9 dicembre forconi: aprile 2018

lunedì 30 aprile 2018

BOND: LINEA MAGINOT!


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La notizia del giorno è l’ennesimo attacco dei bond vigilantes alla famigerata linea Maginot, che giustamente come ci fa notare un lettore, sarebbe meglio sostituirla con la nostra linea del Piave, anche se noi non siamo qui a dire che questa linea non cadrà mai, ma che prima di altri 10 anni, resterà invalicabile, ma di questo ne riparleremo proprio nel prossimo manoscritto in uscita nelle prime settimane di maggio.
Il termine “Linea Maginot” è stato preso a metafora per indicare qualcosa in cui si ha forte affidamento constatando poi, alla conclusione, come questo risulti inefficace. In realtà la Linea fece ciò per cui era prevista, sigillando una parte dei confini della Francia, tanto che costrinse l’aggressore a girarle attorno. Nella visione originaria, la Linea Maginot era parte di un più ampio piano di difesa, nel quale gli attaccanti avrebbero incontrato ulteriormente la resistenza dei difensori; ma i francesi non resero operante l’ultima parte, portando di fatto alla perdita di efficacia della Linea.( Wikipedia )
La storia, la deflazione da debiti sta completando l’ultima parte della linea Maginot.
Nel frattempo il dollaro che doveva andare a 1,30 torna su supporti decisivi come ci racconta il nostro amico Puntosella…
Non aggiungo altro, non si può ogni giorno stare a parlare della schizofrenia di un gregge che corre dietro alle illusioni del suo pastore, la Federal Reserve, la verità è figlia del tempo e non resta che attendere. Nel frattempo, nel mercato del lavoro americano si è accesa, una spia rossa, ma molti hanno fatto finta di non vederla.
Ma soprattutto un semplice consiglio in attesa della prossima tempesta perfetta, godetevi la cedola, il resto sono chiacchiere da bar!
Tutti guardano alla linea del decennale, il famigerato 3 %, invece come vi abbiamo anticipato un paio di mesi fa e vi ripeteremo insieme a Machiavelli, bisogna guardare altrove, come abbiamo dimostrato più volte non significa nulla tanto meno dal punto di vista tecnico…


Da dove volete farla partire la trendline, come la volete interpretare, a Vostra completa discrezione!
Un consiglio, lasciate perdere gli umori delle masse, ragionate, date un’occhiata alla realtà, ricordatevi che siamo nel bel mezzo della più colossale deflazione da debiti della storiacome diceva il buon Oscar Wilde, nelle masse la pazzia è la regola, nei singoli l’eccezione!

Fonte: qui

Le orchestre continuano a suonarsela sul Titanic globale. Sperando che l’iceberg porti un nuovo QE

Dunque, facciamo un piccolo aggiornamento della situazione. Dopo aver inviato Mike Pompeo a PyongYang per aprire la strada allo storico meeting con Kim Yong-un, quello a cui voleva infilare un missile balistico in culo attraverso il grosso bottone che ha sulla scrivania, Donald Trump ha invitato Vladimir Putin alla Casa Bianca, lo stesso leader russo contro cui minacciava razzi nuovi, furbi e intelligenti solo due settimane fa. Il tutto, mentre il battagliero ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, quello che da dieci giorni sta martellando i media con le sue prove di false flag dell’attacco con gli agenti chimici in Siria, si diceva “certo al 100% che i due presidenti non permetteranno che si arrivi a un confronto militare”. Di colpo, la pace. A questo punto, attendiamo con ansia l’apertura di un canale diplomatico che porti Bashar al-Assad e signora a passare un bel weekend nella magione in Florida del presidente statunitense, tra golf e riconciliazione dopo quel brutto fraintendimento sui gas a Douma.
Ci hanno veramente presi per imbecilli. E, forse, hanno qualche ragione, stando a quanto leggiamo sui giornali e sentiamo in tv, ripetuto poi a macchinetta in base alle convinzioni personali, essendo questo il Paese di Montecchi e Capuleti non per nulla. E l’Italia, infatti, non è da meno, tranquilli, se parliamo di teatrini: Donald Trump e soci non hanno proprio un cazzo da insegnarci. Dopo giorni di minuetto politico e camminate sulle uova per cercare di non urtare la sensibilità altrui e arrivare a una quadra per il nuovo governo, ecco infatti che stamattina Silvio Berlusconi – forse sfuggito al controllo di chi dovrebbe somministrargli le pillole – è intervenuto a modo suo nella disputa seguita alle consultazioni del presidente del Senato. Di fatto, comportandosi come un elefante – oltretutto armato di tutto punto e con protezioni da giocatore di football americano – in una cristalleria di 10 metri quadrati. Dopo aver detto che gli italiani non sanno votare e che il centrodestra deve guardare al PD per cercare di dare vita a un esecutivo, ecco che il Cavaliere svela il suo piano occupazionale per i Cinque Stelle: “Gli farei pulire i cessi a Mediaset”.
Immediata la soddisfatta presa d’atto da parte di Matteo Salvini, il quale da giorni sta digerendo qualsiasi boccone pur di arrivare al traguardo e in cinque minuti si è visto crollare il sogno del potere davanti agli occhi: se vuole andare con Renzi e soci, si accomodi pure. Ma senza me e la Lega. Giorgia Meloni, come al solito, non pervenuta. Non ci voleva. Il Paese non si meritava quest’altra mazzata, dopo la nefasta conferma giunta da quel simposio di craniolesi dell’FMI, il quale ha registrato in uno dei suoi lungimiranti studi (quelli che solitamente avvertono delle crisi quando le banche stanno già fallendo e i modelli di VaR segnalano perdite medie pari a dieci volte le capitalizzazioni) il sorpasso degli spagnoli sugli italiani a livello di ricchezza pro capite: dopo l’1 a 1 scaturito dalla rivalità incrociata in Champions, gli iberici tornano in vantaggio, in attesa che la prossima crisi bancaria gli esploda in culo come la bolla immobiliare di quel fenomeno di José Luis Zapatero. Tanto, come nel caso degli istituti di credito, ci pensa l’Europa a tamponare, mentre loro fanno la siesta, incarcerano politici catalani e mangiano tapas. Va beh, non disperiamo: anche perché all’orizzonte si staglia un evento spartiacque come il voto in Molise, già ribattezzato l’Ohio italiano per la sua strategicità politica. Il livello a cui siamo arrivati sta tutto qui, attaccarsi al voto regionale molisano come alle presidenziali USA o al referendum sul Brexit. Ci sono tanti modi di morire, noi abbiamo scelto davvero il peggiore: di stupidità. E nel ridicolo.

Ma attenzione, perché oggi è venerdì, c’è il sole, fa un caldo della madonna e la mia città è infestata di designer con la casa arredata all’IKEA che però si atteggiano a Philippe Starck dei miei coglioni, corteggiati dall’amministrazione comunale perché portano soldi e prestigio alla città: per quanto rompono i coglioni e creano disagio, solo a livello di traffico, vorrei proprio vederlo – in termini reali – questo grande contributo, se escludiamo taxisti e spacciatori di cocaina. Quindi, l’umore è pari a quello di Matteo Salvini. Ma perché il mondo intero, Italia in testa, sembra l’orchestra del Titanic, quella che continuava imperterrita a suonare, nonostante la nave fosse già inclinata, imbarcasse acqua e stesse per dire addio ai suoi sogni di grandeur nautica? 

Perché l’unico modo per evitare il redde rationem è proprio centrare l’iceberg, l’importante è non farsi colpire troppo duro e troppo direttamente: serve una falla, anche grossa. Ma non strutturale. E per un solo motivo: occorre riattivare o, come nel caso di BCE e Bank of Japan, tenere attive le stamperie delle Banche centrali, altrimenti viene giù tutto davvero. E lì diventano cazzi, roba seria, roba che nemmeno la Cicciolina saprebbe gestire con troppa disinvoltura. Perché questi grafici, (i quali proseguiranno per tutto l’articolo, onde evitare di dover pubblicare troppe fotografie di facce da cazzo politico/economiche assortite)





parlano da soli del livello di immersione della merda in cui gli Istituti centrali hanno portato il mondo, spacciando quello che è doping monetario per misura espansiva emergenziale. Emergenziale i miei coglioni, qui siamo alle soglie dell’helicopter money: quindi, strutturale. Mettiamocelo in testa, l’enorme manipolazione del concetto stesso di libero mercato che è stata posta in essere si è spinta talmente tanto in avanti nella sua natura quasi faustiana da non permettere exit strategy normali: e non soltanto per il carico debitorio globale da mani nei capelli, un qualcosa il cui deleverage imporrebbe cure capaci di scatenare guerre civili anche in un tempio buddista ma per il fatto che non esistono più concetti base come la price discovery, il fair value, il mark-to-market, i criteri di VaR per l’iscrizione a bilancio degli assets.

Chi conosce, realmente, il valore di un asset che detiene? 

Nessuno, siamo al mark-to-stocazzo: se un mercato azionario può soltanto salire per legge, perché se cala intervengono gli “Special team” come quelli cinese e giapponese, se un mercato obbligazionario non ha volume di trading come quello del debito sovrano nipponico, dove opera solo la Bank of Japan, se le aziende sembrano tutte sane come pesci come nell’eurozona, visto che si finanziano direttamente e a costo zero dalla Bce attraverso il programma di acquisto di corporate bond, bypassando le forche caudine di un sistema bancario che già mostra crepe attraverso il rialzo continuo del Libor, come cazzo sperate di valutare seriamente una security?

Vale tutto, ormai. Il problema è che, proprio per la natura di perpetuità di cui necessita un sistema simile, ogni tanto servono dei pit-stop, perché per quanto le Banche centrali comprino, esistono ancora delle sacche di resistenza tipo Raqqa in cui albergano dei rompicoglioni tipo il sottoscritto che tendono a farsi ancora delle domande: tipo, quanto sperate di andare avanti con l’ampliamento degli stati patrimoniali, prima di dire basta? Il problema, finora, non si era posto per il semplice fatto che a garantire quella che, nei fatti, è una swap-line globale e perpetua ci aveva pensato l’impulso creditizio della PBOC, la quale operava come bancomat del mondo, ottenendo in cambio l’accettazione del proprio export di deflazione da sovra-produzione e mercati abbastanza aperti e grandi, come gli USA, da accettare la messe infinita di cianfrusaglie che Pechino produce.

Ora, però, quello stimolo silenzioso, nascosto e perpetuo sta cominciando a calare, segnalando criticità interne allo stesso mercato cinese nella sua fase di pre-transizione da Paese produttore/esportatore a nazione di consumi interni e servizi, la rivoluzione annunciata da Xi Jinping che, però, impone tempi un po’ più lunghi di un paio di mesi per compiersi. E con il carico di leverage ai massimi ovunque, quei due bordelli conosciuti come sistema bancario ombra e mercato immobiliare, cominciano a porre pressione sui conti di Pechino e la loro sostenibilità: per carità, scordatevi gli allarmi da hard landing che qualcuno – tipo il Luttwak di turno ospite da Formigli – mette ciclicamente e strumentalmente in circolazione per terrorismo politico ma la Cina, almeno per un po’, non riuscirà più a sostenere da sola il peso di stimoli monetari alternati nelle altre parti del mondo.

Ovvero, la FED potrebbe dover smettere con la propria pantomima dei rialzi, messa in atto per vendere al mondo la narrativa dell’economia USA in forma smagliante e per dar vita, in condizioni di mercato non ostili o troppo agitate, a stress test veri e propri sulla tenuta dei mercati più esposti all’indebitamento in biglietti verdi di fronte a un aumento del costo del denaro: insomma, visto che garantisce Pechino, proviamo a vedere se qualche emergente si schianta come accaduto con il taper tantrum seguito all’annuncio di Ben Bernanke di fine del QE. 

Lo stesso vale per la BCE, la quale millanta ottimismo e spara cazzate a ogni conferenza stampa che segue le riunioni del board ma, come accaduto a fine marzo, quando sente il livello della merda salire troppo, è costretta a operare in modo che il mercato – o, almeno, quella parte di mercato che ancora non è completamente dipendente dall’eroina di Stato – si accorga dell’eccezionalità, questa sì emergenziale, del raddoppio degli acquisti di bond corporate da una settimana con l’altra come accaduto a fine marzo, tanto da portare quell’asset class al 22% del totale di acquisto da poco più del 5% di quando si cominciò a operare in tal senso.

Vuoi vedere che in Europa si rischia un bel ciclo di default, stile catene retail USA, se per caso Draghi smette di finanziare i buchi di cassa e comprare bond di fatto junk a prezzi degni di un’obbligazione tripla A? 

Il silenzio tombale, ormai da settimane, della Bundesbank ne pare l’indiretta conferma. C’è poco da fare, le orchestrine devono continuare a suonare sul ponte del Titanic, è il loro dovere: altrimenti, qualcuno potrebbe sentire il rumore di fondo della diga che comincia a cedere. La politica, dal canto suo, sta operando in tal senso e ai massimi livelli: quando mai si era arrivati alla prospettazione quotidiana di confronti nucleari, come accaduto in quest’ultimo periodo? Prima la Corea del Nord, poi i vari conflitti proxy fra USA e Russia e Israele e Iran. Il tutto, con il gran coté di scandali ad alto potenziale di disinformazione e destabilizzazione di massa, vedi il Russiagate o il caso Cambridge Analytica che ha travolto Facebook e il suo mondo di metadati rubati a destra e manca, per nome e conto di multinazionali e governi.

Una bella pantomima, quest’ultima, la cui funzione è stata anch’essa di stress test mascherato, in questo caso riguardo la sostenibilità di uno sgonfiamento controllato della bolla tech sugli indici statunitensi, evitando il contagio a tutte le equities: per ora, ha funzionato. Ma solo perché nessuno, sul mercato, vuole credere davvero alla fine dello stimolo cinese, al prosciugamento della fonte di eterna giovinezza dei mercati, tanto che l’altro giorno Pechino è sembrata voler rassicurare tutti, tagliando dell’1% i requisiti di riserva delle banche dal 25 aprile prossimo, questo nonostante le accuse di manipolazione valutarie mosse nei suoi confronti solo 24 ore prima da Donald Trump, quello che formalmente sarebbe il nemico giurato in una spietata e terribile guerra commerciale.

E solo un’enorme pantomima globale, una sciarada che vede implicati tutti e per un unico scopo: evitare un 2008 all’ennesima potenza che non farebbe prigionieri, soprattutto fra quelle elites che pensavano di essersi salvate il culo con i contentini populisti dell’elezione di Trump e la vittoria del Brexit e che, invece, di fronte a un’altra recessione globale vedono stagliarsi all’orizzonte, questa volta molto probabile, l’ipotesi della forca. Perché avanti di questo passo, l’allestimento di patiboli potrebbe diventare lo sport nazionale, in molte società meno tutelate di altre. E lor signori non intendono testarne la solidità e la resistenza di quei patiboli, quindi continuano a suonare.

E, finora, ha funzionato, visto che le melodie contenute nello spartito della grande mistificazione globale vedono stuoli di topi seguire il pifferaio lungo la strada delle false emergenze e delle grandi paure collettive (una su tutte, l’ormai mitico e ciclico allarme terrorismo), le distrazioni di massa che operano come assicurazioni sulla vita dei potenti, siano essi politici, banchieri, industriali, speculatori o mass media. Sta a noi decidere se continuare a ballare come gonzi o tapparci le orecchie come Ulisse con le sirene e sfruttare il silenzio per cercare di capire davvero quale sia il volume della musica di sottofondo: quella della “stabilità” artificiale di mercato, vendutaci finora un tanto al chilo attraverso le meraviglie presunte dei programmi di QE, sta per fermarsi, è sempre più lenta.

E’ una guerra a chi ha più da perdere. O meno, dipende dalla prospettiva da cui si guarda la situazione. Voi da che parte volete stare, questa volta? 
Volete ancora scannarvi fra guelfi e ghibellini per chi sta con la Russia e chi sta con gli USA, chi difende Assad e chi i sauditi, chi fiancheggia Teheran e chi Tel Aviv? 

Quel tempo, è finito e ve lo dice uno che a queste contrapposizioni, di fatto solo nominalistiche, si è prestato per mesi. Perché adesso la recita, la commedia dell’assurdo, ha disvelato la vera trama di fondo. Stiamo per precipitare, potenzialmente, dentro una crisi in grado di far ricordare il 2008 come una passeggiata in un parco di Tokyo a rimirare i ciliegi in fiore. 

Davvero credete ancora ai buoni e ai cattivi?

Se sì, vi lascio con questa notizia, fresca fresca: “(ANSA) – WASHINGTON, 20 APR – Il partito democratico ha presentato una causa multi milionaria alla corte federale di Manhattan contro il governo russo, la campagna di Trump e Wikileaks per una presunta cospirazione che avrebbe interferito nelle presidenziali 2016 per favorire il tycoon danneggiando Hillary Clinton. Lo rivela il Wp.(ANSA). SAV 20-APR-18 17:23 NNNN”. Che la pantomima continui. Anzi, aumenti di intensità. Con la benedizione di tutte le parti in causa (banche centrali in testa) e il sigillo di autorevolezza garantito dal “Washington Post”, fresco di premio Pulitzer sull’argomento.

20 Aprile 2018

Sono Mauro Bottarelli, Seguimi su Twitter! Follow @maurobottarelli

Gli interessi di Usa e Fed sul prezzo del petrolio

Lapresse
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Nelle ultime settimane il prezzo del petrolio è salito molto, complice la tensione siriana. Sono tanti gli interessi intorno all'oro nero, sia politici che finanziari.

Quando uno pensa all'amministrazione di Donald Trump, principalmente, tende a concentrarsi sulle scelte di politica economica, partendo dalla maxi-riforma fiscale per arrivare al budget tutto deficit per il 2019 e alla guerra dei dazi con la Cina. C'è poi l'annosa questione del muro con il Messico e la diatriba con la Corea del Nord, risolta - a quanto pare - da un viaggio del capo della Cia e del nuovo numero uno del Dipartimento di Stato, Mike Pompeo, durante le vacanze pasquali. Solo ultimamente, dopo il raid missilistico degno di Una pallottola spuntata, il nome dell'inquilino della Casa Bianca viene associato in maniera chiara con la questione siriana. Eppure, questo grafico pare dirci il contrario: alla faccia dell'isolazionismo sbandierato in campagna elettorale e durante il discorso di insediamento, Donald Trump non ha affatto trascurato la Siria. E con esso, il Pentagono e i suoi missili. 
 
Fino a oggi, però, la percezione dell'intervento statunitense era sfumata, forse perché sovrastata dalla presenza massiccia e roboante delle truppe russe, forse perché in ossequio alla strategia della cortina fumogena rispetto alle rogne interne, i fronti di politica estera statunitense hanno seguito la logica delle sliding doors, aprendosi e chiudendosi in base alle necessità del caso. Ora, però, qualcosa pare cambiato. E non negli equilibri interni siriani, tutti incentrati sul proxy israelo-iraniano più che su quello russo-statunitense, bensì sullo scacchiere che maggiormente interessa chi opera in quella regione: quello energetico. Questa mappa è di fondamentale importanza per capire la strategia mediorientale di Mosca, di fatto fortemente concentrata proprio sul fronte di gas e petrolio: come vedete, divide il mondo in tre aree strategiche e di idealistico c'è veramente poco. Ci sono produttori, consumatori e hub finanziari: ovvero ci sono domanda e offerta, di fatto la base del mercato e l'intermediazione finanziaria alla stessa, cioè il concetto di petrodollaro che proprio Cina, Russia e Iran intendono mettere in discussione, operando prima su contratti bilaterali che escludano il biglietto verde come benchmark e poi, nel caso di Pechino, attraverso i futures denominati in yuan. 
 
Ovviamente, ciò che rappresenta l'interessa di Mosca è avverso a Washington e, come accade da sempre, l'Europa si ritrova in mezzo a questo conflitto di interessi contrapposti, basti vedere l'annosa questione della pipeline Nord Stream 2, il collegamento diretto fra Russia e Germania, bypassando l'Ucraina di fatto filo-statunitense
Bene, questo grafico ci mostra come la domanda mondiale di petrolio, espressa in barili al giorno, non sia mai stata così forte e per così a lungo dall'inizio degli anni Settanta, un qualcosa che opera come base per una dinamica tanto attesa, quanto temuta in tempi di controllo dell'inflazione come driver dell'aumento dei tassi di interesse reali, in principal modo statunitensi: il barile a 100 dollari. 
Chi ne sta parlando in maniera sempre più aperta è l'Arabia Saudita, dentro e fuori la sede Opec e lo fa, ovviamente, per una ragione chiara: proprio quel conflitto siriano il cui riacutizzarsi ha portato a questo: se da un lato, infatti, l'effetto combinato di traino del petrolio e crisi Rusal sull'alluminio ha garantito un rally delle commodities che ha sostituito quello azionario nel cuore di chi specula, dall'altro ecco che i soggetti maggiormente ottimisti - operando pesantemente al rialzo - sul petrolio sono proprio i fondi speculativi, cartina di tornasole di una dinamica che potrebbe essere strutturale come assolutamente strumentale. Se infatti la rottura di quota 75 dollari al barile post-raid in Siria ha fatto gridare qualcuno alla fine della congestione da eccesso di offerta a fronte di un mondo con crescita troppo bassa per bruciare sufficiente petrolio da far alzare le quotazioni, qualcuno si spinge oltre e vede il raggiungimento dei massimi di prezzo da 40 mesi a questa parte come un potenziale rischio di instabilità. 
 
 
Se infatti finora i picchi del greggio erano stati sostenuti dalla produttività cinese, almeno negli ultimi 15 anni, adesso si comincia a parlare di political premium per giustificare l'avanzata nelle valutazioni, tanto da avanzare il dubbio che la crescita dello shale statunitense rischi di non essere sufficiente a tamponare il gap di domanda. Ma come, si è passati da un eccesso di offerta che ha schiacciato le valutazioni per anni al rischio di tempesta perfetta per mancanza di offerta senza passare per il via? 
Sono bastati quattro missili andati a segno in Siria su una settantina sparati per liberare il mercato dal giogo del greggio in eccesso? 
Ovviamente no. E proprio quella sovra-esposizione degli hedge fund ci dice due cose: primo, siamo in pieno attacco speculativo a fronte di una crescita mondiale in rallentamento. Secondo, attenzione alle dinamiche reali che potrebbero attivarsi dal 12 maggio prossimo, quando Donald Trump sarà chiamato a dire la sua parola definitiva sull'accordo nucleare con l'Iran, un qualcosa che dovrebbe avere a che fare con la sicurezza mondiale rispetto alla minaccia atomica, ma che, in prima battuta, significa operare sul regime sanzionatorio che potrebbe drasticamente ridurre produzione ed export petrolifero iraniano, liberando quote di mercato che l'Arabia Saudita sarebbe pronta a rimpiazzare con somma gioia.
E non è un caso che questa dinamica rialzista, così come l'attacco a Douma che è servito come falso pretesto per l'attacco contro la Siria, siano comparsi nel momento stesso in cui Mohammed bin Salman, principe ereditario saudita aveva appena terminato il suo road-show mondiale in favore del gigante petrolifero statale Aramco, la cui privatizzazione con sbarco in Borsa rimane l'evento degli eventi nel comparto commodities. Annunciato, poi rinviato, poi sospeso a data da destinarsi, il collocamento della utility del Regno rimane il sogno inconfessato e inconfessabile di molti, statunitensi e francesi in testa. Non a caso, le due visite più roboanti e quelle in cui ha ottenuto un'accoglienza da padrone del mondo siano state quelle di bin Salman a Washington e Parigi: casualmente, la Francia ha mostrato il suo lato più bellicista e atlantista in occasione della rappresaglia Usa contro Assad e l'altro giorno Emmanuel Macron, in visita proprio alla Casa Bianca, ha concentrato l'intero discorso con Donald Trump sulla questione iraniana, di fatto parlando ancora una volta come rappresentante mondiale dell'Ue, senza che tra l'altro nessuno a Bruxelles abbia avuto da ridire. 
E attenzione, perché nel silenzio generale, martedì il Financial Times riportava nell'inserto interno dedicato ai mercati, una notizia di capitale importanza: per la prima volta in assoluto, il comparto shale statunitense ha raggiunto un livello di utili cash tali da poter finanziare autonomamente l'apertura di nuovi pozzi e impianti di trivellazione
Questo significa non solo affrancarsi dal giogo bancario dei finanziamenti, ma, grazie al free cash generato dalla loro operatività, poter dar vita a nuove esplorazioni e attività estrattive. Con un prezzo del petrolio a 53 dollari per giungere a breakeven operativo e generare free cash dai flussi di cassa, al netto del CapEx, ora gli operatori shale statunitensi possono godere del Wti in area 68 dollari, una manna dopo mesi e mesi di stagnazione e bacini a produttività ridotta. E questo, grazie all'impennata del prezzo generata dalla Siria e dal suo - di fatto - falso allarme globale. 
A oggi, stando a dati di Saxo Bank, le scommesse speculative al rialzo sul prezzo del petrolio - long - hanno raggiunto i massimi da cinque anni a 1,09 triliardi di dollari, ma esiste anche un rovescio della medaglia, visto che l'impennata che fa felici i produttori, ha già spinto il prezzo della benzina negli USA a oltre 3 dollari al gallone, un qualcosa che venerdì scorso ha infatti portato Donald Trump a operare in base al suo atteggiamento bipolare, twittando che l'Opec con il suo operato mantiene i prezzi del petrolio «artificialmente molto alti». Boom, primo crollo delle quotazioni. Martedì, poi, è bastato che Emmanuel Macron facesse intravedere la possibilità di un nuovo accordo con l'Iran al termine del suo incontro con Donald Trump per stoppare per la seconda volta in cinque giorni il rally del greggio. Gli hedge fund, esattamente come nel 2008, stanno sbagliando scommessa? Come allora, i prezzi crolleranno sotto il peso della crisi finanziaria in arrivo? 
Sono davvero tante, troppe le variabili al lavoro sul fronte petrolifero, ma una su tutte rischia di operare da vero catalizzatore: l'inflazione Usa. Se infatti il picco di questi giorni del greggio si è traslato in tempo reale in aumento dei prezzi alla pompa per gli automobilisti e gli autotrasportatori Usa, appare chiaro che una prosecuzione di questa dinamica non potrebbe che vedere la Fed costretta a tenerne conto nella sua scelta relativa all'intervento sui tassi di interesse, essendo la componente energetica fondamentale. 
Quanto? Ce lo dicono questi grafici, dai quali desumiamo che per quanto Donald Trump twitti la sua rabbia contro l'Opec per i prezzi troppo alti, uno shock energetico sul portafoglio degli americani potrebbe tradursi nell'ennesimo rischio al ribasso per l'economia che la Fed sta aspettando come la manna per rallentare il suo programma di normalizzazione del costo del denaro. 
Come vedete, a livello di inflazione reale - a fronte di dinamiche salariali pressoché stagnanti da trimestri per i lavoratori Usa, soprattutto per quelli a medio e basso reddito -, il costo dell'energia è quello che ha inciso di più negli Usa, erodendo potere d'acquisto. Ma, come mostrano gli altri due grafici, se l'extra-costo energetico va a intaccare la possibilità di spesa extra dell'americano medio, tassi di interesse tenuti strumentalmente bassi possono operare egregiamente come off-setting di questa dinamica molto pericolosa per la narrativa della ripresa economica a stelle e strisce, oltre che per i consumi personali già al palo. 
 
E se lo shock petrolifero non fosse legato a timori geopolitici reali, né tantomeno alla fine dell'extra-offerta rispetto a una domanda che paga anche il netto ridimensionamento dell'impulso creditizio cinese (basti vedere i dati shock presentati martedì da caterpillar, vera cartina di tornasole della stato di salute dell'economia reale Usa), bensì unicamente a una fiammata speculativa auto-alimentata e auto-alimentante che serva unicamente da casus belli per la Fed, al fine di poter assumere una postura meno da falco e più da colomba rispetto al rialzo dei tassi, in attesa dello shock geopolitico reale che inneschi i prodromi di un nuovo Qe, leggi la questione iraniana? Gli hedge fund stanno per prendere una clamorosa e costosissima cantonata, come nel 2008? E se sì, quanto di questa scelta è strumentale a un do ut des con il potere politico? Ovvero, voi alimentate la spirale al rialzo con scommesse long da record e state tranquilli che quando ci sarà da salvare qualcuno, nessuno si scorderà di voi e del favore che avete fatto a governo e Fed? 
Vi sembra un'enorme, intricata e pericolosa partita di scacchi? Lo è, perché i soggetti in questione non hanno solo una mano sul portafogli, hanno anche l'altra sul grilletto, in troppi e troppo caldi scenari mondiali. Oltretutto, non solo con interessi ultra-miliardari in ballo nel campo energetico, ma anche con la questione duplice riguardante il dollaro, ovvero il suo ruolo di moneta benchmark per gli scambi internazionali - petrodollaro in testa - e il suo costo, cioè la politica che adotterà la Fed rispetto agli stimoli per l'economia. La Cina resisterà alla tentazione di assestare un colpo micidiale alle aspettative statunitensi, colpendo in maniera assassini il comparto energetico e i suoi multipli folli a Wall Street, quando tutti sono con la guardia alta sul comparto tech e e-commerce? Di più, Pechino e Mosca resisteranno alla tentazione di svelare il bluff speculativo, distruggendo in poche sedute di trading quell'autonomia di free-cash operativo raggiunta dal settore shale Usa dopo trimestri di sofferenza? 
Quando vi dico che stiamo vivendo un periodo destinato a diventare uno snodo epocale della storia moderna, non sto esagerando. Segnatevi la data del 12 maggio sul calendario, in base alle mosse Usa sull'Iran capiremo molte cose. Ammesso di non essere ancora troppo impegnati con le consultazioni per il nuovo governo… 
Fonte: qui

TUTTI PERDONATI GLI IMPRESENTABILI DELL'M5S?

GRAZIATO E RIAMMESSO NEL GRUPPO M5S, EMANUELE DESSÌ, AMICO DI SPADA E PICCHIATORE DI ROMENI, PASSEGGIA TRANQUILLO A PALAZZO MADAMA

POI CI SONO I CANDIDATI MASSONI E QUELLI DI RIMBORSOPOLI: CECCONI, CAIATA, MARTELLI, BUCCARELLA, TUTTI PERDONATI O ALLINEATI, COMUNQUE FEDELI ALLA LINEA…

COSA NON SI FA PER UNA POLTRONA(PALAZZO CHIGI)!!!

Federico Capurso per “la Stampa

di maioDI MAIO
I candidati massoni «non solo sono stati già espulsi dal Movimento 5 Stelle, ma li denuncerò per danni di immagine», prometteva Luigi Di Maio all' alba delle elezioni. Cosa fare, però, con i parlamentari coinvolti nello scandalo Rimborsopoli?

«Se non rinunceranno alla proclamazione, li denuncerò per danni di immagine», assicurava il leader. E gli altri Impresentabili? La risposta - come si può intuire - è sempre stata la stessa. Ma oggi, a quasi due mesi dal voto, che fine hanno fatto gli otto parlamentari eletti e ripudiati dal Movimento?

EMANUELE DESSI E DOMENICO SPADAEMANUELE DESSI E DOMENICO SPADA
Di rinunce o denunce non c' è traccia. Sono tutti al loro posto e tranquilli passeggiano nei cortili di Montecitorio e Palazzo Madama. Anzi, uno di loro, il senatore Emanuele Dessì, è stato persino graziato e riammesso nel gruppo M5S. «La polemica sull' affitto irrisorio pagato per la sua casa popolare è stata chiarita dal suo Comune di residenza, riconoscendogli il diritto a quel canone», dicono dal Movimento. Dimenticando, forse, il video di Dessì in compagnia del pugile Domenico Spada, membro dell'omonimo clan mafioso di Ostia; o i suoi post su Facebook in cui si vantava di aver picchiato dei ragazzi romeni.
emanuele dessi alessandro di battistaEMANUELE DESSI ALESSANDRO DI BATTISTA

Capiranno gli elettori. Perché dopotutto, al Senato, ogni voto è prezioso. Purtroppo, non si poteva concedere il perdono anche ai due colleghi senatori Carlo Martelli e Maurizio Buccarella, rieletti nonostante lo scandalo Rimborsopoli. Troppo bruciante la colpa, tanto che ancora oggi gli attivisti Cinque Stelle li insultano quotidianamente sui loro profili social.

«Non possiamo fare altro che eliminare i commenti», sospira Buccarella, che però ammette di essere rimasto in «ottimi rapporti» con gli ex colleghi.
MAURIZIO BUCCARELLAMAURIZIO BUCCARELLA

Tanto che lui, come anche Martelli, si sono finora perfettamente allineati alle votazioni in Senato con il Movimento, come se ne facessero ancora parte.

Le minacce di denuncia di Di Maio, invece, sembra siano cadute nel vuoto. «Solo se non avessimo firmato un documento in cui rinunciavamo alla nostra proclamazione, ci avrebbe denunciato», precisa Buccarella. «E io l'ho firmato, dandolo al mio referente del Movimento in Puglia, che poi lo ha depositato in Corte d' Appello. Ecco, dopo non so cosa sia successo. Evidentemente la Corte non lo ha preso in considerazione».

filippo roma delle iene becca andrea cecconiFILIPPO ROMA DELLE IENE BECCA ANDREA CECCONI






Il motivo lo spiega senza troppi giri di parole il deputato Andrea Cecconi: «È carta straccia». Anche lui sospeso dal Movimento per il caso Rimborsopoli e in attesa che i probiviri M5S, intorno alla fine di maggio, si pronuncino. «Ma non credo ci siano possibilità di rientrare», nonostante anche lì alla Camera, come al Senato, i Cinque Stelle epurati continuino a seguire le indicazioni di voto del Movimento. Una posizione comodissima per entrambe le parti. Tanto che i vertici grillini «non ci hanno ancora detto nulla a proposito delle restituzioni da fare. Sappiamo solo che in questa legislatura saranno forfettari. Certo, se non ce lo chiedono...», dicono a una voce sola Buccarella e Cecconi, che sull' ipotesi di rientrare nel gruppo M5S ci hanno messo da tempo una pietra sopra.
SALVATORE CAIATASALVATORE CAIATA

Chi invece spera ancora di poter essere graziato è Salvatore Caiata, punito per non aver informato di un'indagine per riciclaggio a proprio carico, e che però, nel frattempo, avrebbe teso le orecchie anche all' ipotesi di un suo passaggio ad un altro gruppo, magari nel centrodestra. Insieme a lui, nel gruppo Misto alla Camera, ci sono anche la rieletta Silvia Benedetti, abbandonata per Rimborsopoli, il massone Catello Vitiello e Antonio Tasso, che continua ad utilizzare sui social l' immagine del Movimento nonostante sia stato interdetto dall' uso del simbolo.
CATELLO VITIELLOCATELLO VITIELLO

Nessuno, però, vuole infastidirli, fin quando resteranno dei voti fedeli al Movimento. Anzi, dicono gli epurati, «visto che non ci chiedono nemmeno i soldi indietro e che questa legislatura potrebbe finire presto, molti di quelli al secondo mandato potrebbero raggiungerci. Vedrete».

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"COSÌ BUTTAI NEL CESSO LA COCAINA DI MARRAZZO"

IL CARABINIERE CARLO TAGLIENTE, UNO DEI QUATTRO MILITARI SOTTO PROCESSO PERCHÉ ACCUSATI DI AVERE ORDITO UN COMPLOTTO AI DANNI DELL'ALLORA PRESIDENTE DELLA REGIONE LAZIO: "VIDI MARRAZZO CON LA TRANS. ERA SCONVOLTO E CI PREGÒ DI NON PROCEDERE" 

“NON ABBIAMO SEQUESTRATO LA COCAINA PER UN GESTO DI COMPRENSIONE NEI SUOI CONFRONTI”

Maria Elena Vincenzi per La Repubblica - Roma

PIERO MARRAZZOPIERO MARRAZZO
Così il carabiniere Carlo Tagliente, uno dei quattro militari sotto processo perché accusati di avere ordito un complotto ai danni dell' allora presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo, ha ripercorso gli istanti di quel blitz di ormai quasi nove anni fa.

natalie by gmt mezzelaniNATALIE BY GMT MEZZELANI





Era il 3 luglio del 2009, Tagliente, insieme al collega Luciano Simeone, entrò nell' appartamento in cui il governatore era in compagnia di una transessuale, Natali. Un seminterrato di pochi metri quadrati sulla Cassia, in via Gradoli. I due carabinieri, che avevano avuto la dritta da un loro collaboratore, il pusher Gianguarino Cafasso, filmarono l' accaduto e, secondo l' accusa, lo fecero con il preciso intento di ricattarlo: le evidenze investigative dimostrarono, infatti, nelle settimane successive svariati tentativi di commercializzazione di quel video che immortalava l' allora presidente della regione in compagnia di una trans e di un quantitativo ingente di polvere bianca. Addirittura, il gruppetto in divisa rifiutò una proposta di 400mila euro da un fotografo: secondo loro, era troppo bassa.
appartamento di brenda by gmt mezzelaniAPPARTAMENTO DI BRENDA BY GMT MEZZELANI

Simeone era già stato sentito dai giudici esattamente un anno fa, ieri è toccato a Tagliente.
cafasso by GMTCAFASSO BY GMT
«Marrazzo era sconvolto - ha affermato il carabiniere rispondendo alle domande del pm Edoardo De Santis - Ci ha chiesto, per favore, di non procedere. C' è stata un' opera di convincimento da parte dell' ex governatore e di Natali affinché evitassimo di procedere. Marrazzo chiedeva se ci fossero i giornalisti, fuori. Ci disse che aveva un ruolo, una famiglia e che se lo avessimo portato in caserma l' avremmo rovinato. Noi per paura e per comprensione, perché si trattava di una persona importante, decidemmo di non fare alcun verbale di denuncia. Abbiamo buttato la droga nel water davanti a lui». Ricostruendo le fasi di quella vicenda, Tagliente ha aggiunto: « Ho lasciato il mio numero di cellulare a Marrazzo, su sua richiesta. Lui ci diede un numero fisso, dicendo che avremmo dovuto contattarlo dopo qualche giorno. Probabilmente per far intendere che ci sarebbe stato riconoscente, in qualche modo. Tre giorni dopo - ha concluso il militare - contattammo quell' utenza ma rispose una segretaria. Lasciai di nuovo il mio numero di cellulare ma non venni ricontattato».
PIERO MARRAZZOPIERO MARRAZZO

carlo tagliente foto mezzelani gmtCARLO TAGLIENTE FOTO MEZZELANI GMT


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