9 dicembre forconi: 11/09/18

venerdì 9 novembre 2018

REFERENDUM – DOMENICA SI VOTA A ROMA SULLA MESSA A GARA DEL SERVIZIO DI TRASPORTO PUBBLICO DELLA CAPITALE


SI MOBILITANO I RADICALI, PROMOTORI DELLA CAMPAGNA, IL PD PER IL SI’, LA LEGA SUL FRONTE OPPOSTO: E’ UNO SPRECO DI SOLDI 

GLI APPELLI DI FERILLI E VERDONE: TUTTI A VOTARE

IL QUORUM AL 33% VIDEO

quesiti del referendum consultivo sono due. 
Il primo: “Volete voi che Roma Capitale affidi tutti i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e rotaia mediante gare pubbliche, anche ad una pluralità di gestori e garantendo forme di concorrenza comparativa, nel rispetto della disciplina vigente a tutela della salvaguardia e della ricollocazione dei lavoratori nella fase di ristrutturazione del servizio?”.
Il secondo: “Volete voi che Roma Capitale, fermi restando i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e rotaia comunque affidati, favorisca e promuova altresì l’esercizio di trasporti collettivi non di linea in ambito locale a imprese operanti in concorrenza?”.

Maria Egizia Fiaschetti per il Corriere della Sera

atacATAC
Ancora un giorno per provare a convincere gli indecisi, prima del silenzio che scatterà domani a 24 ore dall' apertura dei seggi (per votare, domenica dalle 8 alle 20, servono documento e tessera elettorale). Sono le battute finali del confronto sul referendum consultivo per la messa a gara del servizio di trasporto pubblico di Roma, sul quale sono chiamati a esprimersi 2,4 milioni di cittadini.
Ieri anche Sabrina Ferilli ha invitato i romani a andare a votare.

atacATAC
Nell' ultima settimana i Radicali, promotori della campagna, hanno moltiplicato i banchetti per diffondere il tam-tam sul territorio. Ma un militante di lungo corso ammette: «Sarà difficile raggiungere il quorum, quasi 800 mila Sì. Potremmo dirci soddisfatti se arrivassimo a 300 mila». Sul tetto minimo di votanti, un terzo degli aventi diritto, si è aperta una diatriba che rischia di finire davanti al Tar: «Il Comune ha indetto il referendum su Atac lo stesso giorno in cui ha approvato la modifica dello Statuto, che per quello consultivo non prevede il quorum - protesta Alessandro Capriccioli, segretario dei Radicali Roma - . Non si capisce perché sia rimasto, ma se centinaia di migliaia di cittadini fossero a favore sarebbe un dato politico del quale si dovrà tenere conto».

atacATAC
Nel Pd la maggioranza ha sposato la battaglia - dal «turborenziano» Luciano Nobili a Roberto Giachetti fino all' ex vicesindaco Walter Tocci - ma alcuni, alla spicciolata, potrebbero non allinearsi. «Nel partito ha prevalso il "Sì" - ribadisce il capogruppo dem in assemblea capitolina, Giulio Pelonzi - . Speriamo che si raggiunga il quorum, la gestione scellerata di questa giunta rischia di segnare il destino dell' azienda». Favorevole all' apertura al libero mercato anche Forza Italia: «Atac deve essere valorizzata con una governance mista pubblico-privata che affianchi alle competenze specialistiche presenti in azienda l' approccio privatistico alla gestione delle commesse, mantenendo all' interno di Roma Capitale le funzioni di indirizzo e controllo», sottolinea Davide Bordoni, portavoce azzurro in aula Giulio Cesare.
atacATAC

Sul fronte opposto la Lega, che ha già lanciato l' opa sul Campidoglio se la sindaca dovesse dimettersi in caso di condanna: «Il referendum è uno spreco di soldi che non risolve nulla - osserva Maurizio Politi, l' unico consigliere comunale del Carroccio -. L' azienda va riformata, ma la strada da seguire non è la messa a gara».

Indicazione di voto contraria anche da FdI: «La liberalizzazione c' è già con il 20% affidato a Roma Tpl e non mi sembra che la qualità sia migliore - ribadisce il capogruppo, Andrea De Priamo -. E poi se Atac diventasse una bad company salterebbe il concordato...». Scontata la linea del M5S, convinto che l' azienda debba rimanere pubblica. Posizione sulla quale converge anche la consigliera dissidente Cristina Grancio, passata al gruppo Misto: «Non ci si può arrendere all' idea che il privato sia la soluzione».

Fonte: qui

DUE MAMME DI PESCARA OFFRIVANO A UN 56ENNE LE LORO FIGLIE MINORENNI PER FILMATI E IMMAGINI PEDOPORNOGRAFICHE


L’UOMO, COMPAGNO DI UNA DELLE DUE AGUZZINE, IMMORTALAVA UNA BIMBA DI 12 ANNI IN POSE EROTICHE, INDUGIANDO SULLE PARTI INTIME DELLA PICCOLA 

IN UN VIDEO UNA 13ENNE VENIVA RIPRESA MENTRE...

Stefano Buda per “www.leggo.it”

PEDOPORNOGRAFIAPEDOPORNOGRAFIA
Una oscura vicenda riguardante la produzione di materiale pedopornografico, che avrebbe avuto luogo per diversi anni nella provincia di Pescara, con il coinvolgimento di due minori della zona e delle rispettive madri. Una storia raccapricciante ed oscena, con tre adulti nelle vesti di aguzzini, finita davanti al tribunale collegiale di Pescara su segnalazione del tribunale dei minorenni dell'Aquila.

I fatti risalgono ad un periodo compreso tra il 2009 e il 2016. Il ruolo centrale, nell'ambito della vicenda, sarebbe stato giocato da un pescarese di 56 anni che quattro anni fa, mentre si trovava agli arresti domiciliari per reati analoghi, fu scoperto dalla polizia postale dopo avere condiviso su internet, attraverso il proprio account gmail, otto immagini a carattere pedopornografico.

Nel corso delle successive indagini, nella sua abitazione, archiviate in una chiavetta usb, furono rinvenuti oltre cinquemila files contenenti filmati ed immagini di minori coinvolti in attività sessuali o ritraenti le loro parti intime.

Tra gli incolpevoli protagonisti dei video hard, anche una ragazzina appena dodicenne, figlia di una donna di 45 anni, convivente dell'orco che deteneva il materiale illegale. Secondo l'accusa la donna, anche lei imputata, avrebbe concorso a realizzare foto e video della bambina, carpita «in pose ammiccanti, lascive, riproducenti in primo piano le sue parti intime».

La coppia avrebbe realizzato anche cinque filmati, risalenti all'epoca in cui la bambina aveva solo sette anni, nei quali la piccola «veniva invitata ad alzare la gamba sinistra e a mostrare le mutandine di pizzo nero». In alcuni casi, inoltre, le riprese indugiavano sulle natiche nude della bimba mentre dormiva o la immortalavano mentre indossava calze autoreggenti.

Le riprese erano effettuate dall'uomo, che insieme alla madre della bambina forniva istruzioni alla piccola sulle pose ammiccanti da assumere. Insieme alla coppia è imputata anche un'altra donna, di 50 anni, amica della compagna del principale imputato: secondo l'accusa avrebbe realizzato un video pornografico di circa due minuti, poi inviato all'amica, le cui riprese erano state compiute dalla figlia tredicenne.

La prima udienza del processo è saltata per difetto di notifica. Si tornerà in aula a dicembre. La coppia è accusata di produzione di materiale pedopornografico, con aggravanti legate alla genitorialità. L'uomo, assistito dall'avvocato Melania Navelli, deve rispondere anche di divulgazione e detenzione delle immagini illegali.

La seconda donna, difesa dall'avvocato Alessandro Vanni, è invece accusata di corruzione di minorenne. Il padre di una delle due ragazzine coinvolte si è costituito parte civile.

Fonte: qui

Tria parla di spread, patrimoniale, reddito. Padoan lo boccia in toto: così ‘azzardo che Italia non merita’

Il ministro Tria rassicura gli italiani sulla manovra, ma il suo predecessore Pier Carlo Padoan non perde occasione di rimproverarlo, senza risparmiare parole anche sferzanti. “I pilastri della manovra non sono in grado di garantire la crescita prospettata dal governo: quello presentato da Tria è un quadro pieno di rischi, un azzardo che il paese non merita”.
Entrambi parlano nel corso delle audizioni separate presso le commissioni bilancio di Camera e Senato.

Mentre la scadenza per presentare all’Ue una risposta alla bocciatura della legge di bilancio si fa sempre più vicina (è stata fissata a martedì prossimo, 13 novembre), Tria ribadisce che il governo “intende confermare nei suoi capisaldi fondamentali” il contenuto della manovra. Manovra che tra l’altro, a suo avviso, avrebbe dovuto essere anche più espansiva, al fine di stimolare la crescita dell’economia italiana.
“Ci rendiamo conto che i problemi rilevati richiederebbero una manovra espansiva forse più incisiva di quella programmata ma è stato necessario trovare un corretto equilibro tra stabilità finanziaria e stabilità siociale, perché entrambe sono necessarie”.
A tal proposito, Tria precisa che non c’è nessun pericolo patrimoniale, confermando le rassicurazioni arrivate nelle ultime settimane da altri rappresentanti del governo:
“Non ci sarà nessuna patrimoniale. Una operazione del genere si confermerebbe infatti una “operazione suicida”.
Piuttosto, “nelle prossime settimane” saranno definiti i provvedimenti sul reddito di cittadinanza che definiranno “platea e modalità di erogazione nel rispetto dei tetti di spesa”. E sia il reddito di cittadinanza che quota 100 potranno arrivare anche con un decreto. Le due misure, precisa Tria, potranno essere definite “con un collegato ma anche con decreti legge per partire quando le misure sono pronte”. Ciò “perchè è importante conoscere i dettagli non solo per l’erogazione della spesa ma anche per determinare le aspettative dei mercati che possono influenzare l’economia”.
Riguardo alla flat tax sulle partite Iva e professionisti, questa comporterà una “riduzione del prelievo su queste categorie per circa 1,5 miliardi di euro a regime”.
Ma il discorso di Tria è stato bocciato in toto dall’ex titolare del Tesoro Pier Carlo Padoan.
A suo avviso, le ripercussioni delle misure della manovra sulla crescita sono “sovrastimate e estremamente incerte”. Di conseguenza, “il governo sta fondando la propria politica economica su numeri poco credibili”.
In particolare, riguardo agli investimenti pubblici, secondo Padoan questi addiritura “rischiano di subire un forte rallentamento”.
L’ex ministro dei governi Letta e Renzi punta il dito anche contro la “mancata correlazione positiva dell’intervento sulle pensioni e il mercato del lavoro” e sul forte rischio di credit crunch dovuto al permanere di uno spread troppo alto”.
Ieri la Commissione europea ha praticamente messo con le spalle al muro il governo M5S-Lega, snocciolando previsioni che, per il 2019, indicano livelli di debito e di deficitdecisamente peggiori rispetto a quanto atteso in precedenza. Indicativo il fatto che, per il prossimo anno, il rapporto deficit-Pil sia atteso addirittura al 2,9%, molto più del target contemplato nella manovra, pari a 2,4%, già fumo negli occhi per Bruxelles.
Ferma è stata la replica di Tria che ha criticato l’outloook Ue, affermando che le stime contenute nelle previsioni economiche d’autunno della Commissione sono derivate da una “analisi non attenta e parziale del Documento Programmatico di Bilancio (DPB), della legge di bilancio e dell’andamento dei conti pubblici italiani”.
L’anti Padoan – se così si può chiamare Tria – ha precisato a proposito dei negoziati in corso con l’Ue che il governo è impegnato a rispettare il limite del deficit fissato al 2,4% e che certo, lo spread a 300 punti “è chiaro che è un livello che preoccupa se viene mantenuto a lungo”.
Ma, a suo avviso, “è chiaro anche che l’osservazione è costante”. Noi – ha spiegato – continuiamo a pensare che la definizione della manovra possa chiarire la situazione. Riaffermo che lo spread non possa dipendere dal fatto che il disavanzo previsto per il 2019 sia troppo alto”.

Fonte: qui

QUELL'INCIDENTE CHE MISE FINE ALLA DINASTIA PERNIGOTTI


DOPO 150 ANNI CHIUDE LO STABILIMENTO E LA PRODUZIONE VA IN TURCHIA: LA STORIA DI UN MARCHIO NATO A NOVI LIGURE NEL 1860, CHE FU FORNITORE UFFICIALE DELLA FAMIGLIA REALE. 

NEL 1995 STEFANO PERDE IN UN INCIDENTE ENTRAMBI I FIGLI E, RIMASTO SENZA EREDI, CEDE LA SOCIETÀ AGLI AVERNA, CHE POCO DOPO VENDERÀ AI TURCHI 

LE PROMESSE NON MANTENUTE

pernigottiPERNIGOTTI

Dopo oltre 150 anni lo stabilimento della Pernigotti a Novi Ligure chiude i battenti. Dietro ai gianduiotti, ai torroni, e a ogni altro tipo di squisito dolciume si cela una profonda storia, dagli anni d'oro di fine Ottocento, quando la Pernigotti diventa fornitore ufficiale della famiglia Reale italiana, agli ultimi decenni del Novecento, un periodo di crisi, al termine del quale i proprietari sono costretti a cedere l'attività in mano ai turchi.

pernigottiPERNIGOTTI
Tutto ha inizio nel 1860, quando Stefano Pernigotti apre una drogheria nella piazza del Mercato, a Novi Ligure. Siamo negli anni di Torino capitale d'Italia. La bottega procede molto bene e Stefano decide di allargare l'impresa. Nel 1868 fonda insieme al figlio Francesco la "Stefano Pernigotti e Figlio", specializzata in produzione dolciaria. La mostarda e il torrone di Natale sono i piatti forti dell'azienda che inizia a esportare i suoi dolci in molte città del Regno d'Italia.

pernigottiPERNIGOTTI
Non solo. I dolci sono così squisiti che persino la famiglia Reale italiana li vuole. E così la Pernigotti diventa fornitore ufficiale della famiglia Reale. Tanto che il Re Umberto I in persona concede all'azienda la facoltà di innalzare lo stemma reale sull'insegna della fabbrica. Stemma che accompagnerà il logo fino al 2004. Gli anni d'oro dell'azienda iniziano a scemare con l'arrivo della Prima Guerra Mondiale e il relativo blocco delle importazioni di zucchero.

Ma Francesco ha un'intuizione geniale: sostituisce lo zucchero con il miele, arricchendo ulteriormente il sapore dei dolci. Nel 1919 a Francesco succede il figlio Paolo. Il fiorente periodo prosegue e culmina nel 1927 con l'inizio della produzione industriale del gianduiotto, nato ufficialmente a Torino nel 1865. Nel 1935 Paolo compra la Enea Sperlari, specializzata nella produzione del torrone, e l'anno successivo si cimenta nella preparazione di gelati. Una scommessa vinta: ancora oggi troviamo i gelati della Pernigotti.

pernigottiPERNIGOTTI
Nel 1944 un bombardamento distrugge la fabbrica che viene immediatamente ricostruita, dove tutt'ora ha sede l'azienda. La nuova e rinnovata fabbrica offre ulteriori e fertili opportunità di crescita. La crisi inizia negli anni Ottanta e porterà alla cessione della Sperlari nel 1981 agli americani della H.J. Heinz Company. Poi nel 1995 Stefano, succeduto al padre Paolo, perde in un incidente entrambi i figli e, rimasto senza eredi, cede la società alla famiglia Averna (quella del famoso amaro). L'11 luglio 2013 la famiglia Averna vende l'azienda al gruppo turco Toksoz, che ieri ha deciso di chiudere i battenti dello stabilimento di Novi Ligure.


QUANDO I TURCHI PROMETTEVANO: "PORTEREMO PERNIGOTTI NEL MONDO"

«Siamo fieri di aver acquisito Pernigotti, marchio ricco di storia e fascino che identifica nel mondo la gianduia e il torrone italiano. Manterremo e potenzieremo l’attuale struttura, sviluppando l’attività in nuove aree geografiche, sfruttando la forza del marchio Pernigotti», dicevano i fratelli Ahmet e Zafer Toksoz nel 2013, dopo aver rilevato lo stabilimento novese dalla famiglia siciliana Averna (quella del famoso amaro), che a sua volta l’aveva comprata da Stefano Pernigotti nel 1995. E giusto tre anni fa, sempre i due fratelli turchi ribadivano: «Vogliamo portare Pernigotti a competere in dieci anni con i grandi player mondiali del cioccolato».

Purtroppo niente è andato come dichiarato. Ci sono stati sì investimenti nel marketing e nel settore pubblicitario, ma non sul fronte produttivo. Lo stabilimento di Novi è stato “dimenticato”, denunciano i sindacati, senza effettuare alcun ammodernamento degli impianti. Negli ultimi cinque anni sono stati accumulati diversi milioni di euro di perdite e ne ha risentito anche il settore dei semilavorati per la gelateria, di cui la Pernigotti era leader in Italia con oltre il 9 per cento del mercato.
pernigottiPERNIGOTTI

Ad aprile del 2015 aveva chiuso anche il magazzino in località Barbellotta, esternalizzato a Parma: allora a pagarne il prezzo erano stati 50 lavoratori, tra fissi e stagionali. «Questo è il primo prezzo che il territorio novese paga in termini di occupazione per mano della nuova proprietà della Pernigotti. Speriamo che sia anche l’unico», aveva detto all’epoca Raffaele Benedetto, segretario provinciale della Filt-Cgil. Una speranza che purtroppo si è rivelata vana.

pernigotti storiaPERNIGOTTI STORIA
Attualmente la Pernigotti produce – in diversi stabilimenti, anche all’estero – gianduiotti, torroni, uova di pasqua, preparati per gelato, snack al cioccolato e tavolette, praline e creme spalmabili.

Fonte: qui

IL DEBITO PUBBLICO DI 2 MILA E TRECENTO MILIARDI E’ SOSTENIBILE? CERTO: LA RICCHEZZA DEGLI ITALIANI VALE 10 MILA MILIARDI DI EURO, TRA IMMOBILI, PORTAFOGLI DI TITOLI E LIQUIDITÀ



I DEPOSITI RAPPRESENTANO LA MAGGIOR COMPONENTE DELLA RICCHEZZA FINANZIARIA DELLE FAMIGLIE ITALIANE (AL 31%, CIRCA 1.200 Miliardi), MENTRE I TITOLI PUBBLICI SONO SCESI A CIRCA IL 20% DEL TOTALE, UNA QUOTA SIMILE A QUELLA DELLE AZIONI (24%)


SPORTELLO BANCARIOSPORTELLO BANCARIO
La ricchezza totale delle famiglie italiane sfiora i 10 mila miliardi di euro. Per la precisione tra mattone e investimenti finanziari si arriva a 9.799 miliardi, con circa 6.000 di ricchezza reale e 4.000 di quella finanziaria, dove sono inclusi azioni, bond e depositi. È quanto emerge da uno studio della Banca d’Italia, curato da Diego Caprara, Riccardo De Bonis e Luigi Infante, del servizio analisi statistiche di via Nazionale, che spiega quanto sia cambiata dal dopoguerra la ricchezza delle famiglie.

La sua composizione ricorda quella di Francia e Spagna, mentre sono inferiori le somiglianze con gli Stati Uniti, dove il mercato finanziario è più evoluto e con la Germania, dove è più limitato il fenomeno delle case di proprietà. Quindi la ricchezza reale pari a 6.300 miliardi vale 5,5 volte il reddito disponibile, mentre quella finanziaria, pari a 4.400 miliardi, è 3,8 volte. La ricchezza totale netta, tenendo conto dei debiti, è invece quantificabile in 8,5 volte il reddito.

DEBITO PUBBLICODEBITO PUBBLICO
La «rincorsa» della finanza sul mattone è iniziata subito dopo la guerra in un’Italia ancora agricola con alcune battute d’arresto, come la nazionalizzazione di Enel, le crisi di Borsa degli anni ‘70 e ‘80 e quella recente della finanza globale. Negli anni della new economy c’era stato anche il sorpasso, poi rientrato. Il recupero è in corso ma, al momento, il peso della ricchezza «reale» resta ancora superiore.

All’interno della finanza c’è invece una classe di attivi scesa ai minimi storici dal 1950: le emissioni bancarie, colpite dalla normativa del bail in, e i titoli di Stato, un tempo i grandi preferiti dei risparmiatori. Ora la gran parte dei Btp è detenuta in maniera indiretta, tramite fondi pensione e gestioni. In termini assoluti i titoli di Stato detenuti direttamente, pari a 121 miliardi di euro, sono la metà di vent’anni fa, quando avevano raggiunto il picco di 363 miliardi, di pari passo con l’aumento del debito pubblico.

soldiSOLDI
La poca voglia di rischiare, invece, è sempre di moda. E quindi anche la liquidità, come emerso di recente anche dalla ricerca dell’Acri. I depositi rappresentano la maggior componente della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane (al 31%), mentre i titoli pubblici sono scesi a circa il 20% del totale, una quota simile a quella delle azioni (24%).

Fonte: qui

Jim Rickards: The Debt Bomb Is Ready To Explode

Jim says the debt bomb has been a long time in the making, but it is finally getting ready to explode. Here are the details…
The great Chinese growth slowdown has been proceeding in stages for the past two years. The reason is simple. Much of China’s “growth” (about 25% of the total) has consisted of wasted infrastructure investment in ghost cities and white elephant transportation infrastructure.
That investment was financed with debt that now cannot be repaid. This was fine for creating short-term jobs and providing business to cement, glass and steel vendors, but it was not a sustainable model since the infrastructure either was not used at all or did not generate sufficient revenue.
China’s future success depends on high-value-added technology and increased consumption. But shifting to intellectual property and the consumer means slowing down on infrastructure, which will slow the economy.
In turn, that means exposing the bad debt for what it is, which risks a financial and liquidity crisis. China started to do this last year but quickly turned tail when the economy slowed. Now the economy has slowed so much that markets are collapsing.
But doesn’t China have over $1 trillion of reserves to prop up its financial system?
On paper, that’s true. But in reality, China is “short” U.S. dollars. The Chinese may have $1.4 trillion of U.S. Treasury securities in its reserve position, but they need those assets possibly to bail out their banking system or defend the yuan.
Meanwhile, the Chinese banking sector, which in many ways is an extension of the state, owes $318 billion in U.S. dollar-denominated deposits of commercial paper.
From a bank’s perspective, borrowing in dollars is going short dollars because you need dollar assets to back up those liabilities if the original lenders want their money back. For the most part, the banks don’t have those assets because they converted the dollar to yuan to prop up local real estate Ponzis and local corporations.
There’s not much left over to bail out the corporate, individual and real estate sectors.
This is all part of a global “dollar shortage” attributable to Fed tightening, both in the forms of higher rates but also a reduction in base money.
A dollar shortage seems implausible in a world where the Fed printed $4.4 trillion. But while the Fed was printing, the world borrowed over $70 trillion (on top of prior loans), so the dollar shortage is real. The math is inescapable.
So the Chinese debt bomb that has been a long time in the making is finally getting ready to explode. The economy is slowing, debt is exploding and the trade war with Trump has hurt China’s exports needed to earn dollars to pay the debts.
The defaults are beginning to pile up. Several large corporations and regional governments have defaulted recently.
China’s leaders have panicked at the slowdown and have started the credit flow again with lower interest rates, higher bank leverage and more debt-financed, government-directed infrastructure spending.
Of course, this solution is strictly temporary. All it does is postpone the day of reckoning and make the debt crisis worse when it does arrive.
With every passing day, a Chinese financial collapse draws closer. The rest of the world will not escape the consequences.
When the crisis strikes in full force, possibly in 2019, the rest of the world will not be spared.

LE IENE: ECCO COME I SUPERMERCATI METTONO IN VENDITA LA CARNE SCADUTA

LE IENE: ECCO COME I SUPERMERCATI METTONO IN VENDITA LA CARNE SCADUTA

LE ASSOCIAZIONI DEI CONSUMATORI COME AL SOLITO N.P..

LE IENE E LA CARNE SCADUTA RIVENDUTA AL SUPERMERCATO


Emanuele Bonati per www.scattidigusto.it

le iene e la carne scaduta rimessa in vendita 4LE IENE E LA CARNE SCADUTA RIMESSA IN VENDITA 
Le Iene hanno mandato in onda il servizio da un supermercato piemontese, nel Monferrato, in cui si vede il caporeparto della macelleria che fa ri-mettere in vendita della carne scaduta il giorno prima, facendola confezionare di nuovo con una nuova data di scadenza. E il procedimento viene ripetuto nei giorni successivi: si apre la confezione, e si re-impacchetta. Così la carne acquista una “nuova giovinezza” Vedete tutto in questo video con il servizio delle Iene.

Se la carne inizia ad assumere un colore preoccupante, la si ripulisce – al coltello, naturalmente – e/o la si trita e si rimette in vendita. E quando inizia a muoversi da sola, la si usa per fare sughi e ragù. E se proprio proprio è inutilizzabile, la si butta.

Tutto questo è stato possibile testimoniarlo grazie a una telecamera nascosta addosso a un dipendente, che aveva chiamato Le Iene per denunciare il tutto. L’inviato Giulio Golia conduce il tutto, commentando con un nutrizionista in studio, Massimo Artorige Giubilesi, presidente dell’Ordine dei Tecnologi Alimentari Lombardia e Liguria.
Il quale non può che confermare le scorrettezze operate, etichettabili (queste sì in modo corretto) come frode in commercio, oltre a costituire un pericolo per la salute pubblica. Dire, come si sente dalle riprese clandestine, “la carne dentro non è nera” è ammettere che è comunque contaminata da qualche batterio, potenzialmente pericoloso quando non letale. In Europa ogni mese ci sono almeno 50 allarmi alimentari per questioni batteriche.

La direzione, rappresentata da due o tre persone, sostiene che loro i controlli li fanno ogni giorno – che in effetti è vero, visto che ogni giorno vengono re-etichettate le carni scadute. E aggiungono che a loro non risultano intossicazioni di clienti. E posso anche pensare che effettivamente potessero non avere idea dell’accaduto, anche se forse potevano mostrarsi più possibilisti, invece di trincerarsi dietro i controlli giornalieri.
le iene e la carne scaduta rimessa in vendita 3LE IENE E LA CARNE SCADUTA RIMESSA IN VENDITA 

Mi viene spontanea qualche domanda. Perché il dipendente non ha denunciato il tutto all’ASL o a qualche autorità competente in materia? Persino il famoso Codacons, autore di denunce spesso utili ma a volte puerili (vedi l’acqua Evian griffata Chiara Ferragni, o il caffè di Starbucks, accusati di costare troppo), andava bene.

Il dipendente continua a fare domande per far capire come si procede al riconfezionamento: sembra che sia al primo giorno di lavoro, o quasi. Perché il caporeparto non si pone delle domande a sua volta?

Nessun rimbalzo di notorietà per il dipendente, che non viene mostrato in volto, a differenza degli altri protagonisti. Possiamo immaginare che abbia ottenuto un qualche rimborso, o compenso – ma se perdesse il posto di lavoro? Il buon Golia si premura di perorarne la causa, certo.

le iene e la carne scaduta rimessa in vendita 1LE IENE E LA CARNE SCADUTA RIMESSA IN VENDITA 
A un certo punto il dipendente-agente segreto viene convocato in direzione e accusato di avere una telecamera nascosta. Punto. Non gli viene sequestrata, non viene mandato via, non si parla di provvedimenti nei suoi confronti.

Il dipendente torna in reparto, e il caporeparto inizia a raccomandare di buttare le confezioni scadute, ma se la carne è ancora buona… Un’indagine presso la ASL per verificare l’effettiva presenza o meno di intossicazioni in zona avrebbe fornito qualche elemento di valutazione in più (non ci sono intossicazioni: è andata bene!?). E voi, che idea vi siete fatta? Per andare sul sicuro meglio cercare ottime macellerie?

Fonte: qui

Banche italiane: scadenze TLTRO II possono impattare su metriche di liquidità strutturale

Da giugno in poi, quando le operazioni TLTRO II avranno scadenza residua inferiore ai 12 mesi, si potrebbero ravvisare tensioni sulle metriche di liquidità strutturale delle banche italiane. Bertotti, capo della segreteria generale di Assiom Forex, evidenzia le sfide che attendono il settore

Banche italiane: scadenze TLTRO II possono impattare su metriche di liquidità strutturale
In questi giorni il mercato obbligazionario italiano fatica a trovare stabilità. Lo spread fra BTP e Bund tedeschi a dieci anni ha trovato un nuovo baricentro attorno ai 300 punti base, soglia dalla quale fatica ad affrancarsi. Nel frattempo continuano gli attriti politici fra Italia ed Unione Europea a proposito della manovra proposta dal Governo Conte. Questo insieme di tensioni ha alterato la term structure del debito italiano, che comincia ad accusare le pressioni mostrando una leggera inversione su scadenze inferiori ai dieci anni, ma non ha ancora avuto effetti collaterali sul mercato monetario e interbancario, sia italiano che europeo.
La situazione del comparto monetario continua ad esser caratterizzata da un eccesso di liquidità che da questa estate può essere quantificato a livello aggregato di Eurozona intorno ai 1.900 miliardi di euro, come confermato a Money.it da Marco Bertotti, Segretario generale di Assiom Forex. “È innegabile che il costo di raccolta della liquidità su scadenze lunghe sia aumentato a partire dallo scorso maggio, però è anche vero che i tassi a brevissimo restano schiacciati sul riferimento di -0,40% della Banca centrale europea sui depositi overnight”, ha commentato l’esperto.
Nella pratica non sembrano esserci situazioni di stress; questa settimana l’operazione di rifinanziamento settimanale presso la Banca centrale europeo ha visto sostanziale conferma dell’importo, così come la scorsa ottava. Nel finanziamento principale di ieri la Bce ha assegnato fondi per 8,007 miliardi da 7,683 miliardi in scadenza, mentre la scorsa settimana i fondi assegnati alle banche dell’Eurozona erano stati 7,68 miliardi a fronte di scadenze per 7,86 miliardi.
Per il segretario dell’associazione che riunisce i più importanti operatori italiani, però, il mercato potrebbe essere più prudente nei prossimi mesi. “Ci sono alcune scadenze di debito wholesale importanti che le banche nostrane si troveranno a fronteggiare – argomenta Bertotti -. Al di là delle questioni macroeconomiche e politiche che sicuramente avranno il loro ruolo, vi sono alcune prove d’esame importantissime che attendono le banche italiane, prima fra tutte la scadenza delle operazioni TLTRO II che inizieranno ad avere un impatto sulle metriche di liquidità strutturale (NSFR) da giugno in poi, allorchè avranno scadenza residua inferiore al 12 mesi”.
Tra giugno 2020 e marzo 2021 le banche italiane dovranno ripagare 250 miliardi di euro di prestiti a basso costo ottenuti dal programma Target Long Term Refinancing Operation (TLTRO), lanciato per la prima volta nel settembre del 2014 e reiterato nel marzo del 2016 dalla Banca centrale europea.
Da sole le banche italiane hanno coperto circa un terzo delle operazioni varate dalla Bce in favore degli istituti di credito dell’Eurozona con il vincolo di reimpiegare le risorse raccolte a favore dell’economia reale, ossia prestiti a imprese e famiglie. Quando arriverà il momento dei rimborsi gli istituti di credito più piccoli potrebbero incontrare difficoltà nel reperire sul mercato all’ingrosso risorse adeguate a rimpiazzare i TLTRO, spingendole a contrarre i propri bilanci o ad aumentare i depositi. Fonte: qui