9 dicembre forconi: 03/05/17

domenica 5 marzo 2017

LA NUOVA FIERA DI ROMA E’ SULL’ORLO DEL CRAC

I DEBITI SONO ARRIVATI A 200 MILIONI 

L'AREA DELLA VECCHIA FIERA, CHE SERVIVA PER PAGARE I FORNITORI, NON È STATA MAI VENDUTA. 

E LA NUOVA? 

STA CADENDO A PEZZI. SENZA CONTARE CHE 23 DIPENDENTI RISCHIANO IL LICENZIAMENTO

Loredana Di Cesare per www.ilfattoquotidiano.it

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Qual è il destino della Nuova Fiera di Roma? Il sogno Veltroniano, un investimento di 355 milioni di euro per il polo espositivo della Capitale che doveva competere con le maggiori realtà fieristiche europee sta per crollare sotto il peso dei debiti – arrivati a 200 milioni, di cui 70 milioni d’interessi con Banca Unicredit – e dei pesanti danni strutturali dei padiglioni. Ora Fiera di Roma è in procedura prefallimentare: “Se entro luglio non troviamo i soldi per pagare i fornitori, falliamo”, dice lapidario Mauro Mannocchi, amministratore unico di Fiera. Il piano per evitare il crack prevede il licenziamento di 23 dipendenti su 76.

La “cattedrale nel deserto” situata tra la Capitale e l’aeroporto di Fiumicino, che spicca più per sconfinatezza che per bellezza, ed edificata nel 2006 dai costruttori romani della famiglia Toti della Lamaro Costruzioni, proprietari dei terreni, si estende su un’area di 390mila mq, di cui circa la metà è occupata da ben 14 padiglioni espositivi.

Il progetto del nuovo polo fieristico, detenuto al cento per cento dalla holding Investimenti Spa, società i cui soci sono Camera di Commercio di Roma (58,5%), Comune di Roma (21,7%) e Regione Lazio (9,8%), doveva finanziarsi con la vendita della vecchia Fiera di Roma, chiusa da oltre dieci anni e in stato di abbandono. Si tratta di un’operazione subordinata all’adozione di una variante urbanistica, ancora oggi in alto mare e che rischia di naufragare. A distanza di dieci anni non si conoscono le sorti della vecchia struttura ormai nel degrado e abbandono di via Cristoforo Colombo. O meglio, la proposta del Comune prevede un cambio di destinazione d’uso con aumento di cubature su circa 75 mila metri quadrati. Mentre da un sopralluogo effettuato da un tecnico incaricato dal Municipio VIII in cui ricade la struttura, la superficie complessiva degli edifici è di 44 mila mq.
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Il regalo di cubature – su un’area trentamila mq in più – viene denunciato da Andrea Catarci di Sel, presidente del VIII Municipio: “E’ una proposta irricevibile – afferma il minisindaco– perché con l’aumento si va nella direzione della cementificazione”.

In poche parole, la vecchia fiera ha perso appeal negli anni e la sua valorizzazione deve passare per la speculazione edilizia, altrimenti nessuno comprerà l’area. Parallelamente la Nuova Fiera sta letteralmente cadendo a pezzi: dei 14 padiglioni, 10 sono agibili: quattro sono chiusi da diversi anni: crepe profonde nei muri, pavimenti dissestati, percorsi pedonali diroccati, e porte scardinate, risultato del progressivo sprofondamento dei terreni. Da quando sono iniziati questi fenomeni di diffuso dissesto? “Immediatamente, dalla consegna del cantiere” – spiega Mannocchi intervistato da IlFattoQuotidiano.it

Se non bastasse, per salvare la barca che affonda Mannocchi chiede 100 milioni per fermare i danni strutturali.  Soldi (tantissimi) che, secondo il manager, dovrebbe sborsare Lamaro Costruzioni che “ha fatto male i lavori”  e che nel frattempo ha aperto un contenzioso con Investimenti spa per cautelarsi dal rischio di pagare le manutenzioni. In questo magma di responsabilità compare anche Stefano Perotti – arrestato dalla Procura di Firenze per corruzione nell’ambito dell’inchiesta “Sistema”, accaparrandosi una fetta di appalti sulla nuova fiera di Roma. Era il 2004 e la Spm Consulting di Perotti vince il bando per l’alta sorveglianza dei lavori.

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Insieme alla montagna di debiti e ai problemi strutturali, non mancano anche quelli organizzativi. Nel 2009, dopo soli otto mesi di mandato, si dimette l’amministratore delegato della controllante Investimenti spa, Luigi Mastrobuono, sostituito solamente a gennaio scorso da Carlo Paris. Paris, indicato dal sindaco Ignazio Marino, doveva essere l’uomo del miracolo. Peccato però che rischia di battere il record del suo predecessore: Marino ha chiesto le sue dimissioni nelle scorse settimane. Contattato via mail per un’intervista, risponde con un laconico: “Credo che sia più prudente non espormi”. Anche se nei giorni scorsi ha dichiarato che la “Fiera è a un passo dal fallimento”.  A mancare è anche il direttore generale Vincenzo Alfonsi, che poco dopo l’insediamento di Paris lascia la sua poltrona. Sembra che abbia lasciato per essersi opposto al taglio del suo stipendio. Dal 2008 è assente un ufficio acquisti e dal 2012 è assente il direttore commerciale. E non mancano esempi di gestione poco cauta. Un esempio su tutti è l’accordo con Roma solare, società privata che ha coperto tutti i 14 padiglioni con i suoi pannelli fotovoltaici. Ebbene, anche i quattro padiglioni chiusi e inagibili devono consumare comunque energia elettrica. I trasformatori sono sempre in funzione, producendo alti ricavi per la green utility e alti costi per Fiera di Roma.

Cadono teste e va a picco anche il fatturato della Fiera di Roma che passa da 36 milioni nel 2010 a 21,7 milioni nel 2014. E di conseguenza salgono i debiti nei confronti dei fornitori, che se non pagati, come dice Mannocchi “la Fiera di Roma fallisce”. E luglio è il termine per saldare tutto. “Il tribunale fallimentare – aggiunge l’amministratore unico – ci ha concesso il concordato preventivo e se entro luglio non ripianiamo i conti, andiamo tutti a casa”. Per ora però, a casa andranno solo i dipendenti, che hanno proclamato uno sciopero per il 9 giugno prossimo in vista di un congresso internazionale di medicina.
NUOVA FIERA DI ROMANUOVA FIERA DI ROMA

VECCHIA FIERA DI ROMAVECCHIA FIERA DI ROMA
All’inizio del 2015 Fiera di Roma apre la mobilità per 23 lavoratori che terminerà proprio il 9 giugno. “Non siamo in grado di mantenere i livelli occupazionale e ahimè devo licenziare”, si giustifica Mannocchi. Troppi soldi. Il sindaco Ignazio Marino vuole liberarsi della zavorra cercando di uscire dalla Fiera di Roma perché non la considera un asset strategico della Capitale. Davanti alle telecamere de ilfattoquotidiano.it non ha voluto rispondere alle nostre domande. Il governatore Nicola Zingaretti (Pd) invece parla ai nostri microfoni di “grande pasticcio che dura da anni”, affermando di prendersi l’impegno con i lavoratori “Siamo persone serie, non mandiamo a casa nessuno”. Anche se rivendica di essere socio in piccola parte.
Fiera DI RomaFIERA DI ROMA

Riceviamo e pubblichiamo
La delibera da me proposta e approvata in giunta non ha carattere finanziario ma di sostenibilità urbanistica, ed è finalizzata a restituire a Roma e ai suoi cittadini una parte della città che, da un decennio, versa nel degrado. La metà dei 7,3 ettari dell’ex Fiera sono destinati ad attrezzature, servizi e verde per il Municipio 8, il consiglio ha votato a favore della presente delibera.
VECCHIA FIERA DI ROMAVECCHIA FIERA DI ROMA

La quota destinata all’edificazione, di 75.000 mq, è sensibilmente inferiore a quella prevista dalla delibera della Giunta Alemanno, che prevedeva 91.300 mq, ed è anche al di sotto delle previsioni della giunta Veltroni, 87.900 mq. La scelta della trasformazione e rigenerazione urbana compiuta dalla giunta Marino è più difficile di quella dell’espansione edilizia perché va ad incidere nella città abitata, ma è l’unica alternativa vera al consumo del territorio.
Distinti saluti
Prof. Giovanni Caudo
Assessore alla Trasformazione e rigenerazione urbana di Roma

Fonte: qui

SEQUESTRO MORO - LE TESTIMONIANZE INEDITE DI ALCUNI EX BRIGATISTI

PER ESSERE SICURI DI NON AVERE PROBLEMI DI PARCHEGGIO AL MOMENTO DI “CONSEGNARE” IL CADAVERE DI ALDO MORO, I BRIGATISTI ROSSI DECISERO CHE UNO DI LORO ANDASSE LA SERA PRIMA A OCCUPARE IL POSTO IN VIA CAETANI CON LA SUA MACCHINA

Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”

aldo moro repubblicaALDO MORO REPUBBLICA
Per essere sicuri di non avere problemi di parcheggio al momento di «consegnare» il cadavere di Aldo Moro, al centro di Roma, i brigatisti rossi decisero che uno di loro andasse a occupare il posto la sera prima in via Caetani; con la sua macchina, ché altre a disposizione non ce n' erano in quel momento e rubarne una sarebbe stato rischioso. Una Renault 6 verde, spostata e portata via quando arrivò la Renault 4 rossa con il suo carico di morte.

E in via Mario Fani, dove Moro era stato rapito, i terroristi si mossero con una certa sicurezza anche perché alcuni di loro avevano già fatto appostamenti quando, prima di arruolarsi nelle Br, volevano sparare a Pino Rauti, il deputato missino che abitava proprio in quella strada e che la mattina del 16 marzo 1978 fu uno dei primi a dare l' allarme telefonando al 113.

IL FURGONE «DI SCORTA»
IL CORPO DI ALDO MORO FOTO ANSAIL CORPO DI ALDO MORO FOTO ANSA
La via di fuga per portare l'ostaggio nella «prigione del popolo» dove restò chiuso per 55 giorni è stata ripercorsa metro dopo metro da uno degli assalitori: vie secondarie e poco frequentate, di cui altri militanti che parteciparono all' azione erano stati frequentatori abituali: una faceva la maestra d' asilo da quelle parti, un altro aveva un negozio di caccia e pesca nella zona.

Tutto filò liscio, e non ci fu bisogno di utilizzare un furgone parcheggiato lungo il tragitto, per eventuali emergenze che non si verificarono. Sono alcuni particolari contenuti in Brigate rosse - Dalle fabbriche alla campagna di primavera (DeriveApprodi, pag. 534, euro 28), primo volume di un lavoro condotto da Marco Clementi, Elisa Santalena e Paolo Persichetti, due storici di professione e un «ricercatore indipendente» (Persichetti) che ha la particolarità di aver aderito alle Br-Unione dei comunisti combattenti, e per questo è stato arrestato, condannato e ha scontato la pena dopo essere stato estradato dalla Francia.

aldo moroALDO MORO
Gli autori hanno potuto contare sulle testimonianze inedite di alcuni ex brigatisti non pentiti né dissociati, ma soprattutto hanno consultato per mesi le carte trasmesse all' Archivio di Stato dagli apparati di sicurezza in seguito alle direttive degli ex presidenti del Consiglio Prodi e Renzi, che hanno tolto il segreto su molta documentazione relativa ai cosiddetti «anni di piombo».

È la prima ricerca di questo tipo, la cui conclusione porta a sostenere che il sequestro Moro fu la logica evoluzione della strategia messa in campo dalle Br all' inizio degli anni Settanta, e il suo epilogo la tragica ma quasi inevitabile conseguenza della contrapposizione frontale fra lo Stato e i partiti che lo rappresentavano da un lato, e i terroristi dall' altro.

ALDO MORO IL COVO BR DI VIA GRADOLIALDO MORO IL COVO BR DI VIA GRADOLI
Senza misteri che nasconderebbero patti segreti, verità indicibili, collaborazioni occulte e inquinamenti dell' azione brigatista. Una sorta di contro-inchiesta rispetto a quella condotta dalla nuova commissione parlamentare incaricata di provare a svelare nuovi segreti del caso Moro, ancora in attività e già foriera di scoperte e ulteriori acquisizioni; ultima in ordine di tempo le modalità dell' esecuzione di Moro la mattina del 9 maggio: con l' ostaggio colpito a morte non quando era già rannicchiato nel bagagliaio della Renault 4, come riferito finora dai terroristi, ma seduto sul pianale e poi caduto all' indietro. Una sorta di fucilazione.
ALDO MORO IL COVO BR DI VIA GRADOLIALDO MORO IL COVO BR DI VIA GRADOLI

I dossier di dalla Chiesa Nel libro ci si sofferma su altri aspetti, come la centralità di un altro «covo» romano brigatista rispetto a quello molto noto di via Gradoli scoperto durante i 55 giorni, in via Chiabrera, al quartiere Ostiense, dove si svolse la riunione operativa dell' 8 maggio in cui si assegnarono i compiti per l' indomani. E vengono contestati e ribaltati, anche sulla base dei documenti redatti all' epoca dalle forze di polizia, alcuni presunti misteri come quelli relativi al ritrovamento delle macchine utilizzate dai brigatisti per il sequestro, o alla scoperta del corpo di Moro.

Dagli atti consegnati dall' Arma dei carabinieri emerge l' attività del Nucleo speciale guidato dal generale dalla Chiesa, ricomposto nell' estate del '78. Dalle relazioni semestrali inviate al ministro dell' Interno, si evince una vastissima operazione di raccolta dati e schedature a tappeto, con «più di 16.161 fascicoli e circa 19.780 schede personali, che oggi purtroppo non risultano consultabili (potrebbero anche essere andati distrutti), 9.200 servizi fotografici, di cui 7.391 riferentisi a soggetti e 1.451 a luoghi di interesse operativo».
ALDO MORO IL COVO BR DI VIA GRADOLIALDO MORO IL COVO BR DI VIA GRADOLI

La maggior parte dei fascicoli riguardavano attività svolte a Roma (4.916) e Milano (4.200), ma anche a Napoli (2.100), Torino, Genova, Firenze, Padova e altre città.
Consultabili sono invece, presso la Fondazione Gramsci, i verbali delle Direzioni del Pci, nelle quali i dirigenti scelsero non solo di sposare da subito la cosiddetta «linea della fermezza», ma di non attribuire alcuna attendibilità a ciò che Moro scriveva dal carcere brigatista in cui era segregato.

«Bisogna negare valore alle cose che ha detto e potrà dire, ciò gioverà alla nostra posizione», sintetizzò Emanuele Macaluso nella riunione del 30 marzo. Fu uno dei passaggi chiave del fronte del rifiuto su cui si ritrovarono i partiti di governo, con l' eccezione finale dei socialisti che provarono a smarcarsi. Storie che avvinghiarono l' Italia di 39 anni fa, e oggi si arricchiscono di dettagli e punti di vista di allora su cui ci si continua a interrogare.

Fonte: qui
Aldo MoroALDO MORO