9 dicembre forconi: 09/02/18

domenica 2 settembre 2018

Italiani sempre più poveri dopo i governi filo-UE

Non è che prima del 2010 gli italiani stessero benissimo: quel che è certo, comunque, è che dal 2011 in avanti la povertà e l'esclusione sociale sono aumentate nel nostro Paese in quantità nettamente maggiore rispetto al resto dell'Europa.
A certificarlo non è un blog di complottisti grillini o falsi sovranisti leghisti, ma uno dei più autorevoli istituti di ricerca a livello continentale, l'Eurostat. Secondo uno studio effettuato da quest'ultimo, che misura il raggiungimento degli Obiettivi di sostenibilità dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, nei campi della povertà, del mondo del lavoro, delle disuguaglianze sociali e della salute della popolazione l'Italia esce con le ossa rotte. 
povertà
© SPUTNIK . VALERIY MELNIKOV
Il rischio di povertà ed emarginazione è largamente maggiore rispetto alla media europea (30% contro 23,5%). Otto anni fa era a rischio povertà un italiano su 4, mentre oggi lo è uno su 3. Evidentemente, cresce anche la percentuale di popolazione che vive in condizioni di grave deprivazione materiale: il 12,1% nel Belpaese (si fa per dire) contro il 7% della media UE. Per esempio, nel 2010 era il 7,4% degli italiani a vivere in queste condizioni. I dati sono sconfortanti: il 16% dei cittadini non riesce a riscaldare adeguatamente la propria abitazione, ed è una percentuale in aumento, quando nel resto d'Europa si è riusciti a ridurre questo numero. D'altra parte, nel 2010 la fetta di popolazione non abbiente deteneva il 20% del reddito complessivo, mentre pochi anni dopo questa è scesa al 19%, dimostrando l'inefficacia delle politiche attivate dai governi che si sono succeduti. Non sarà quindi un caso che in Italia si riscontra una percentuale di popolazione che ha rinunciato alle cure per ragioni economiche pari al doppio rispetto al resto d'Europa: il 5,5%, in crescita dal 2010 a oggi.
Continua poi ad aumentare anche la percentuale dei neet, cioè delle persone che non studiano né lavorano. La più alta in Europa, nonostante il governo Letta avesse ottenuto e investito una vera fortuna con la Garanzia Giovani. E il numero dei laureati è da Terzo Mondo: si laurea solo il 26%, contro il 39% della media comunitaria. È un dato scoraggiante, perché in una società che punta con forza alla rivoluzione industriale 4.0 — tanto da varare anche un programma di successo da parte del ministro Calenda durante il governo Gentiloni — proprio sulla partita della formazione del capitale umano si gioca il futuro di intere generazioni di giovani, i quali se non istruiti adeguatamente e dotati di alte specializzazioni andranno a ingrossare le file dei nuovi poveri.
Considerando questi dati, c'è da domandarsi come possa la stampa mainstream continuare a etichettare sbrigativamente come ignoranti tutti quei cittadini che hanno scelto di affidare la guida del Paese ad altre forze politiche, optando per partiti diversi da quelli che hanno occupato i posti di comando negli ultimi dieci anni. Si fa un gran parlare di fake news, ma sarebbe opportuno analizzare anche gli articoli nei quali i giornali a tiratura nazionale insultano coloro che dissentono dalla narrazione ufficiale della politica, dalla visione "comunemente accettata" di come stiano le cose in Italia e nel mondo. Nell'anno del Signore 2018, infatti, per il pensiero "democratico" non c'è spazio per il dissenso: chiunque non si allinea è un barbaro da screditare e abbattere. Eppure, quelli appena descritti sono i risultati degli illuminati governi che si sono succeduti dal 2011 ad oggi, quegli esecutivi costruiti a immagine e somiglianza dei vertici della Troika. I governi che avrebbero dovuto condurre l'Italia fuori dal guado, quelli di Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, pare invece abbiano impantanato ancora di più la fragile vettura chiamata Italia. Ed è bene ripetere che a certificare il fallimento è un istituto europeo, non un hacker del Cremlino o un sito di estremisti antieuropei. 
Esemplificativa di come gli italiani siano stati fatti cornuti e mazziati è la cronaca recente: un disoccupato di 53 anni ha ricevuto dall'Inps un "bonus povertà" pari a 1 euro e 22 centesimi. Ora, di fronte a una beffa del genere, i cittadini di fede democratico-europeista si chiederanno se dietro agli italiani arrabbiati si cela sempre un complotto social o se invece molte decisioni politiche spacciate per buone si sono rivelate tragicamente sbagliate? Il problema è che molti non vogliono comprendere che con la scusa della crisi economica internazionale e della speculazione finanziaria a suon di spread, migliaia di italiani si sono impoveriti per ingrassare le tasche di altri soggetti sia italiani che internazionali. D'altronde, se i ricchi sono divenuti sempre più ricchi, da qualche parte i soldi li avranno pure presi! Non ci resta che augurarci che il risultato di questi 10 anni di cura-Troika mascherata da governo democratico non finisca per mettere gli italiani gli uni contro gli altri, scatenando una guerra tra poveri di oggi e poveri di domani. 

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Il caos della valuta si sta diffondendo in tutto il Sud del mondo

Il rial iraniano: caduta libera. La lira turca: caduta libera. Il peso argentino: crollo. Il real brasiliano: caduta libera. Ci sono molteplici, complessi, vettori paralleli nel gioco di questo deserto di crollo di valute . Il caso della Turchia è fortemente influenzato dalla bolla del credito facile creato dalle banche europee.
Il problema dell’Argentina è principalmente legato all’austerità neoliberista del governo del presidente Mauricio Macri il quale ha dovuto ammettere che non sarà in grado di raggiungere gli obiettivi di pagamento concordati con il Fondo monetario internazionale meno di tre mesi fa.
L’Iran ha a che fare con le dure sanzioni degli Stati Uniti imposte dopo il ritiro unilaterale dell’amministrazione Trump dall’accordo nucleare iraniano.
Il Brasile ha a che fare con ciò che la Dea del Mercato considera anatema: una vittoria del prigioniero Lula (ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva) o il suo candidato designato alle elezioni presidenziali del prossimo ottobre.
Questa è una grave crisi valutaria che interessa i principali mercati emergenti. Tre di questi – Brasile, Argentina e Turchia – sono membri del G20 e l’Iran, in assenza di pressioni esterne, avrebbe tutte le caratteristiche per qualificarsi come membro. Due – Iran e Turchia – sono sotto le sanzioni degli Stati Uniti, mentre gli altri due, almeno per il momento, sono fermamente all’interno dell’orbita di Washington.
Ora, confrontalo con le valute che stanno guadagnando contro il dollaro USA: la grivna ucraina, il lari georgiano e il peso colombiano. Non esattamente i pesi massimi del G20 – e tutti loro anche all’interno dell’ area di influenza di Washington.
Guarda l’asse dell’oro
Analisti indipendenti dalla Russia e dalla Turchia al Brasile e all’Iran concordano ampiamente sul fatto che lo schiacciante fattore dell’attuale crisi valutaria è un rovesciamento della politica di  “quantitative easing” della Federal Reserve statunitense (QE).
Come ha osservato Jim Rickards, investment banker e risk manager, il QE per tutti gli scopi pratici ha rappresentato la Fed che dichiarava una guerra valutaria contro l’intero pianeta – stampando dollari USA a volontà su un escalation da mille miliardi di dollari. Ciò significava che il crescente debito degli Stati Uniti era svalutato, quindi i creditori stranieri furono rimborsati con dollari americani meno cari.
Turchia crisi valutaria
Ora, la Fed ha drasticamente invertito la rotta ed è completamente investita nella restrizione quantitativa (QT).
Niente più dollari liquidi che inondano i mercati emergenti come la Turchia, il Brasile, l’Argentina, l’Indonesia o l’India. I tassi di interesse statunitensi sono in aumento. La Fed ha smesso di acquistare nuove obbligazioni. Il Tesoro degli Stati Uniti sta emettendo nuovi debiti obbligazionari. Quindi il QT, combinato con una guerra commerciale globale e mirata contro i principali mercati emergenti, enuncia la nuova normalità: la militarizzazione del dollaro USA .
Non c’è da meravigliarsi che Russia, Cina, Turchia, Iran – quasi tutti i principali attori regionali investiti nell’integrazione Eurasia – stiano acquistando oro con l’obiettivo di uscire progressivamente dall’egemonia del dollaro USA. Come lo stesso JP Morgan lo ha coniato oltre un secolo fa, “L’oro è denaro. Tutto il resto è credito. ”
Tuttavia, ogni guerra valutaria non riguarda l’oro; riguarda il dollaro USA. Eppure il dollaro americano ora è come un visitatore imperscrutabile dallo spazio, dipendente da una massiccia leva finanziaria; una galassia di derivati ​​loschi; lo schema di stampa QE; e all’oro non viene riconosciuta la sua vera importanza.
Questo sta per cambiare. La Russia e la Cina hanno fortemente investito nell’acquisto di oro. La Russia ha scaricato in blocco i buoni del tesoro statunitensi. E quello che i BRICS avevano discusso a partire dalla metà degli anni 2000 è ora in movimento; la spinta a costruire sistemi di pagamento alternativi al SWIFT subordinato al dollaro USA.
La Germania sembra addivenire all’idea . Se ciò dovesse accadere, potrebbe forse aprire la strada all’Europa che si ridefinisce geopoliticamente in termini di indipendenza militare e strategica.
Quando e se ciò accadrà, probabilmente ad un certo punto nel prossimo decennio, la politica estera degli Stati Uniti, attualmente configurata come una valanga di sanzioni potrebbe essere efficacemente neutralizzata.
Sarà un affare lungo e prolungato – ma alcuni elementi sono già visibili, come la Cina che utilizza i mercati di negoziazione statunitensi per aiutare l’emergere di una più ampia piattaforma di trasferimento . Dopo tutto, i principali mercati emergenti non riescono a uscire dal sistema del dollaro USA senza una piena convertibilità dello yuan.
E poi ci sono nazioni che contemplano la creazione delle loro criptovalute. La finanza digitale è la strada da percorrere.
Petro Venezuela
Alcune nazioni, ad esempio, potrebbero utilizzare una criptovaluta denominata in DSP (diritti speciali di prelievo) – che è, in pratica, il denaro mondiale designato dal FMI. Potrebbero sostenere le loro nuove monete digitali con oro.
Il Venezuela, del tutto impantanato sta almeno mostrando la strada. Il “bolivar sovrano” ha iniziato a circolare la scorsa settimana – ancorato a una nuova criptovaluta, il petro, che vale 3.600 bolivar sovrani.
La nuova criptovaluta sta già ponendo una domanda affascinante: ” Il petro è una vendita anticipata di petrolio o un debito estero supportato dal petrolio?” Dopotutto, i membri del BRICS stanno comprando una grossa fetta dei 100 milioni di petro – sicuri di essere sostenuti da una riserva sicura, il blocco dell’Ayacucho della riserva dell’ Orinoco Oil Belt.
L’economista venezuelano Tony Boza lo ha inchiodato quando ha sottolineato l’ancoraggio tra il petrolio e i prezzi internazionali del petrolio: “Non saremo soggetti al valore della nostra valuta determinata da un sito web, il mercato petrolifero lo determinerà”.
Una criptovaluta persiana?
E questo ci porta alla domanda chiave della guerra economica americana sull’Iran. I commercianti del Golfo Persico sono virtualmente unanimi: il mercato petrolifero globale si sta stringendo, in fretta, e nei prossimi due mesi scarseggerà.

Le esportazioni di petrolio iraniane dovrebbero scendere a poco più di 2 milioni di barili al giorno ad agosto. Paragonalo ad un picco di 3,1 milioni di barili al giorno in aprile.
Sembra che molti giocatori si pieghino anche prima che le sanzioni petrolifere di Trump entrino in campo.
Sembra anche che l’umore di Teheran sia “sopravviveremo”, ma non è esattamente chiaro che la leadership iraniana sia realmente consapevole della natura della tempesta in arrivo.
L’ultima relazione di Oxford Economics sembra piuttosto realistica: “Ci aspettiamo che le sanzioni riportino l’economia in recessione, con il PIL ora visto in contrazione del 3,7% nel 2019, la peggiore performance economica in sei anni. Per il 2020 assisteremo a una crescita dello 0,5%, guidata da una modesta ripresa dei consumi privati ​​e delle esportazioni nette. ”
Gli autori del rapporto, Mohamed Bardastani e Maya Senussi, affermano che “gli altri firmatari dell’accordo originale [il JCPOA, in particolare l’EU-3] non hanno ancora definito una strategia chiara che consentirebbe loro di aggirare le sanzioni statunitensi e continuare a importare Petrolio iraniano “.
Il rapporto ammette anche l’ovvio: non ci sarà alcuna spinta interna in Iran per il cambio di regime (è una cosa che accade solo nelle deformate menti neocon degli Stati Uniti) mentre “sia i riformatori che i conservatori sono uniti nello sfidare le sanzioni”.
Ma sfidando come? Teheran non ha ideato una roadmap win-win in grado di essere venduta a chiunque – dai membri di JCPOA agli importatori di energia come il Giappone, la Corea del Sud e la Turchia. Ciò rappresenterebbe la vera integrazione dell’Eurasia. Avere l’ayatollah Khamenei che dice che l’Iran è pronto a uscire dal JCPOA non è abbastanza buono.
Pepe Escobar
Fonte: Asia Times
Traduzione: Luciano Lago

DOLLARO: La fine di una moneta rifugio


Nel grafico sopra è raffigurata la percentuale valutaria dei pagamenti effettuati tramite circuito Swift. Proprio in questi giorni, il Ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas ha proposto di creare un circuito alternativo per l’Europa, visto che quello Swift è totalmente Americano, consentendo alle autorità Usa di impedire il buon esito delle operazioni qualora violassero accordi su sanzioni varie. La creazione di un circuito europeo di pagamenti internazionali, darebbe alla Ue quello stato di indipendenza, necessaria per un’area così importante. Qualora si concretizzasse tale scenario, l’Euro aumenterebbe senza dubbio il proprio peso negli scambi internazionali, rafforzandosi alla lunga sul Dollaro. DEDOLLARIZZAZIONE.
Ad oggi il cross Eurusd presenta sempre una configurazione ribassista e ben sottolineata dal quadro delle medie mobili. Tuttavia, un conto sono i grafici di medio-breve termine e un altro i trend macro che si vengono a delineare, alla luce delle linee geopolitiche correnti. La rivalutazione del biglietto verde è avvenuta al prezzo di un rialzo dei tassi Fed di circa il 2% in circa due anni e mezzo, ma soprattutto ad una manipolazione politico fiscale in grado di spingere i capitali verso il Paese a stelle e strisce. Questo, ben supportato da un protezionismo da fare invidia ai tenebrosi anni ’30 sta portando l’America ad un pericoloso isolamento nei confronti del Resto del Mondo. Io credo pertanto che in questi mesi siano nati seri presupposti per credere ad un ridimensionamento del ruolo del Dollaro, che per ben 100 anni è stata la moneta di riferimento indiscussa. Quanto detto precedentemente in merito al circuito swift è uno dei tanti segnali di come gli altri big del globo, si siano veramente rotti le scatole, di sottostare alla volontà americana, mirando a percorsi alternativi in grado di renderli autonomi nella cura dei propri interessi. Troppo spesso, le scelte dall’alto, infatti, sono state pro-Usa e poco pro-Resto del Mondo.
L’ultimo esempio lo stiamo vedendo con le sanzioni all’Iran, dopo aver sopportato per lungo tempo quelle imposte alla Russia. In quest’ultimo caso le esportazioni americane verso quell’area, riguardavano solo il 4% contro il 20% di quelle europee. Fonte: qui

Non ci sono più le mezze stagioni. Lavorativamente, neanche quelle intere

L’estate siamo abituati a vederla come un periodo di lavoretti e spensieratezza. Ma la seconda è scomparsa, e i primi non sono più appetibili come un tempo.

Una ragazza in una spiaggia affollata. Affollatissima. Slaccia il pezzo superiore del costume – ed è subito topless. Qualche momento di imbarazzo nei presenti, imbarazzo di tipo diverso. Arrivano degli agenti e arrestano la giovane donna.
Una signora che assisteva alla scena: “Hanno fatto bene! Sulla spiaggia ci sono anche dei bambini”.
Un ragazzo, anche lui che assisteva alla scena: “Si, però ci sono anche i grandi!”.
Quel ragazzo “brillante” era Luca, impersonato da uno strepitoso Jerry Calà. Che poi strepitoso magari lo è parso a noi, chi ha vissuto quegli spensierati anni Ottanta e i decenni dopo che filavano sempre con quella canzoncina lì: “Per quest’anno, non cambiare…”.

L’estate, oggi

Oggi non ci si ritrova più. Non ci sono più le mezze stagioni, e neanche quelle classiche si sentono tanto bene. Sono diverse.
Prendiamo l’estate. C’erano due cose che non cambiavano mai: vacanze e lavori estivi, spesso il primo contatto con il mondo del lavoro. Si lavorava in tanti per arrotondare e poter partecipare al gioco quando la normalità non lo permetteva. Il gioco erano le vacanze, e così alla fine ci giocavano tutti.

Oggi è diverso. Le vacanze per moltissimi sono un vero incubo. Chi non può andarci deve sorbirsi quelle degli altri, quelle che ogni mattina ti trovi spiattellate sui social. E il lavoro, il lavoro non è più quello di prima. Nemmeno l’estate; dal bagnino al lavoro più bello del mondo (non fare niente).
In ogni cineangurione c’erano sempre tutte le figure dell’estate: i camerieri, i barman, l’immancabile bagnino. Ci sono ancora, o ci dovrebbero essere. Un’occhiata ai titoli dei giornali di questo periodo è sufficiente per farsi un’idea della situazione: cercasi, cercasi disperatamente questo genere di figure.
A Rimini, e in generale nella riviera romagnola, sembrano disperati. Nel resto d’Italia non va meglio. Allora è vero che siamo in presenza di choosy?

Il lavoro più bello del mondo

Di contro l’offerta pare attratta da un unico genere di domanda, una domanda diversa e molto in linea con i tempi. Una domanda social e sognante: il dolce far niente.
Il lavoro più bello del mondo, iniziativa nata l’anno scorso e replicata quest’anno, si è presa titoli, titoloni e centinaia di migliaia di candidature. Dalla Cina ne sono arrivate addirittura 70.000. Lo slogan è: “Ti hanno mai pagato per andare in vacanza?”.

La job description è qualcosa come: essere disponibile ad essere scarrozzato da mattina a sera, bere, giocare, divertirsi o fare finta di divertirsi, e naturalmente postare tutto sui social. Una geniale operazione di marketing che racconta bene il momento: le aziende guadagnano, i giovani sognano. In estate come nelle altre stagioni, solo che in estate potrebbe anche venire più facile.
D’altra parte proprio il regno dei social, senza il quale non avremmo saputo di questa iniziativa e mai ci sarebbe stata, è la causa di questo genere di aspettativa. Siamo passati in poco tempo da ragazzi pronti a sgobbare d’estate a giovani impegnati tutto l’anno a fare una barca di soldi, preferibilmente a basso costo (e basso sacrificio).

Siamo nell’era degli influencers. Sì, mettiamocela quella “s”! L’era in cui l’automatizzazione avanza, i robot ci stanno fregando il lavoro e noi, tutti, ne vogliamo uno gratificante. Il che, sia chiaro, non è affatto un male. Ma è poco realistico.

Come dice Alec Ross: “Ci sono robot che operano meglio dei chirurghi e altri che fanno decollare e atterrare gli aerei, ma non ce ne è uno che pulisce i gabinetti”. Pensiero triste, ma che potrebbe essere vero. Anche d’estate. Gli annunci e la mancanza di personale vanno in quella direzione lì: camerieri, addetti alle pulizie, bagnini.

Estate, perché sei cambiata?

Ma chiaramente non è solo questo e non è così semplice.
Ci sono anche un paio di risposte e dinamiche che raccontano il cambiamento e la complessità.

Il quadro economico

Non è una cosa nuovissima ma in questo periodo storico si avverte di più. L’estate è come quelle feste di paese, o quei concerti, nei quali puoi allestire una bancarella scarsa e racimolare qualcosa. Chiaramente il punto è che l’incasso fa media con i restanti 364 giorni dell’anno.

Fuor di metafora: la domanda di lavoro è spesso del peggior tipo. Salari scarsi, zero possibilità di continuità, condizioni di vero e proprio sfruttamento.

Il pessimismo

Non riguarda solo i giovani. C’è la necessità di trovare una strada, qualcosa di simile alla sicurezza degli anni Ottanta, qualcosa che ci possa somigliare anche alla lontana. In un Paese, in un mondo, così difficile c’è la necessità di un lavoro e non di un palliativo. La voglia di lavorare per spendere i sacrifici in discoteca, come poteva succedere un tempo, non c’è mica più.

L’ottimismo

Di contro, specie nelle nuove generazioni, c’è anche la sana idea di poter ambire a qualcosa di più. L’estate diventa dunque il tempo nel quale fare esperienze, formanti e formative, spendibili. Secondo le statistiche sono tantissimi i giovani che studiano in questo periodo, attività extra curriculari che possano aprire strade che al momento pare non ci siano. Ma si spera.

Lavoretti, lavoretti ovunque

Infine c’è che l’estate, fare la stagione, per molti è sempre stata fare “lavoretti”. E la cifra di questo periodo è che i lavoretti sono all’ordine del giorno (leggi gig economy, leggasi Lavorettidi Riccardo Staglianò).
Ciò di cui c’è bisogno, una forte domanda, è qualcosa di significativo (evito di dire “dignitoso”). Mica arrotondare per fare baldoria.