9 dicembre forconi: 01/04/17

mercoledì 4 gennaio 2017

Il 2017 per i titoli di Stato italiani





Il 2017 sarà impegnativo per il Tesoro per fattori quantitativi e  qualitativi, esogeni ed endogeni. Anche quest’anno l’Italia sarà il primo emittente di titoli di Stato nell’Eurozona con emissioni a medio-lungo termine attorno a €260 miliardi. Dovrà sborsare €214 miliardi circa per i titoli di Stato in scadenza (esclusi BoT e bond esteri) oltre al pagamento più elevato in Europa per le cedole sul debito pubblico, pari a €47 miliardi.
In un anno dominato dal rischio politico italiano ed europeo, l’Italia si trova sotto la spada di Damocle della minaccia di declassamento di Dbrs, che dovrebbe decidere il 13 gennaio sulle sorti della “A-low” italiana. 

Intanto il debito/Pil italiano, il secondo nell’Eurozona, non cala, la crescita stenta e il settore bancario è frenato nella palude dei non-performing loans.
Ad alleggerire il peso della gestione del debito pubblico 2017, tuttavia, incideranno tuttavia una serie di fattori in chiave positiva: il costo medio alla raccolta anche quest’anno è atteso vicino ai minimi storici, in virtù di rendimenti molto bassi che potrebbero salire relativamente poco nonostante il reflation trade dagli Usa e i rialzi “soft” dei tassi della Federal Reserve; lo spread BTp/Bund è visto stabile nel 2017, grazie al continuo supporto del QE della Bce; la domanda sui titoli di Stato italiani dovrebbe confermarsi sostenuta anche quest’anno, per l’abbondanza della liquidità (maxi-rimborsi + maxi-cedole + QE) e per il fatto che il collocamento dei titoli di Stato resta concentrato sul mercato domestico presso le mani forti degli investitori istituzionali italiani.

IL QUADRO NELL’EUROZONA
Titoli di stato a medio e lungo termine. Anno 2017, valori in miliardi di euro
I numeri, in termini assoluti e anche relativi, sono comunque pesanti per la gestione del debito pubblico italiano anno 2017. I  titoli di Stato a medio-lungo in scadenza ammonteranno quest’anno a circa 216 miliardi (escludendo i BoT saranno oltre 30 miliardi in più rispetto al 2016 rileva il Tesoro nelle sue Linee guida 2017): si tratta del calendario di rimborsi più pesante dal 2010. Questo ammontare è ancor più eclatante se messo a confronto con i titoli di Stato tedeschi e francesi in scadenza nel 2017, due Paesi con Pil più grande dell’Italia: quest’anno rimborsano 145 miliardi circa di titoli di Stato ciascuno contro i 214 italiani.


L’Italia si conferma nel 2017 primo emittente di gran lunga di titoli di Stato in euro a medio-lungo termine, con aste lorde attese dagli addetti ai lavori attorno ai 260-267 miliardi, contro i 145 miliardi della Germania e i 210 miliardi della Francia. Gli esperti del credito di Scope Ratings, nell’outlook sui rischi sovrani europei, sottolineano che il debito/Pil medio tra Italia, Spagna, Francia e Regno Unito salirà al 106% nel 2017 mentre l’unico grande Stato con debito/Pil in calo sarà ancora una volta la Germania che dovrebbe scendere al 67% (dal 71% del 2015) nonostante una crescita non brillante (il Pil spagnolo è previsto a + 2,2% contro +1,1% di media tra Italia, Germania, Francia e Regno Unito).
L’Italia quest’anno pagherà anche il più elevato quantitativo di cedole e quindi di interessi sul debito: 47 miliardi i coupon italiani contro 39 della Francia e i 22 della Germania (quest’ultima aiutata dai titoli tedeschi acquistati nel 2017 dal QE per 140 miliardi contro i 100 italiani).
Il costo medio alla raccolta per l’Italia tuttavia dovrebbe rimanere molto contenuto quest’anno: secondo Unicredit, invariati i livelli attuali, sarà in media dell’1,5% sul medio-lungo termine (tra 2 e 50 anni ma con più emissioni sul lungo tratto). Il tasso medio sullo stock dei titoli di Stato è ora al 3%. Il QE della Bce continuerà anche quest’anno a esercitare una pressione al ribasso sui rendimenti, al rialzo sui prezzi: tenuto conto delle emissioni nette di BTp (44 miliardi circa), Bnp Paribas stima che il Public Sector Purchase Programme della Bce (fino a marzo su un totale di 80 miliardi e in seguito 60 miliardi mensili) acquisterà 103,35 miliardi di titoli di Stato italiani, portando le emissioni nette negative a quota 60 miliardi.
Lo spread tra BTp e Bund potrebbe muoversi in qualsiasi direzione, ma quel che importa è che dovrebbe allargarsi o restringersi molto poco.  

Il rischio politico resta la vera grande fonte di incertezza e turbolenza per la gestione del debito pubblico quest’anno: al netto delle incognite di Trumponomics e Brexit, naturalmente.

Articolo integrale: qui


Da Mps all'euro, le bufale che nessuno combatte


MONTE DEI PASCHI DI SIENA ED EURO. In questi giorni, da più parti, si festeggiano i 15 anni di introduzione dell'euro. E sempre più voci cominciano a mettere i dubbio la magnifiche sorti e progressive della valuta comune europea, un qualcosa di impensabile fino a poco tempo fa. E sapete perché? Perché la gente ha capito l'inganno. O, quantomeno, l'ha percepito. Non a caso, l'altro giorno il presidente dell'Antitrust, Giovanni Pitruzzella, ha invitato i Paesi dell'Ue a dotarsi di una rete di agenzie pubbliche per combattere la diffusione di notizie-bufale su Internet, spiegando che questa lotta è più efficace se viene svolta dagli Stati, piuttosto che delegarla ai social media come Facebook. 

In un'intervista con nientemeno che il Financial Times, Pitruzzella ha suggerito la creazione di un network di agenzie indipendenti, coordinate da Bruxelles e modellate sul sistema delle agenzie antitrust, che potrebbero rilevare le bufale, imporne la rimozione e, dove necessario, sanzionare chi le ha messe in giro: «La post-verità è uno dei motori del populismo ed è una minaccia che grava sulle nostre democrazie. Siamo a un bivio: dobbiamo scegliere se vogliamo lasciare Internet così com'è, un far west, oppure se imporre regole in cui si tiene conto che la comunicazione è cambiata. Io ritengo che dobbiamo fissare queste regole e che spetti farlo al settore pubblico». Vaghissima voglia di censura verso le idee non allineate? Assolutamente no, perché per Pitruzzella «questo monitoraggio della Rete non si tradurrebbe in una censura, perché la gente continuerebbe a usare un Internet libero e aperto», ma beneficerebbe della presenza di un'entità terza - indipendente dal governo - «pronta a intervenire rapidamente se l'interesse pubblico viene minacciato». 

Vi dico soltanto che a un'entità terza per verificare i contenuti pubblicati ci ha pensato anche Facebook e si tratta della Poynter, tra i cui finanziatori emergono la Open Society Foundation di George Soros e il National Endowment for Democracy, la sigla ombrello del Dipartimento di Stato che ha coordinato e organizzato le varie rivoluzioni arancioni in giro per il mondo. Pensate un po' chi potrebbero scegliere come entità terza il cosiddetto settore pubblico, ovvero l'establishment terrorizzato dal fatto che un decennio abbondante di bugie crolli come un castello di carte in pochi mesi.

E poi, scusate, ma il più clamoroso caso di fake news o bufala, per parlare come mangiamo, in ambito economico non è forse stato estremamente governativo e ufficiale?

Non fu Matteo Renzi all'inizio del 2016 a dire che Mps era risanata e che era un affarone investirci? 

Chi l'avesse fatto, avrebbe perso l'80% del capitale(per il momento!!!).
Eppure nessuno ha detto nulla all'ex premier, come la mettiamo Pitruzzella? 

E proprio su Mps, come vedete, è già scoppiato l'ennesimo caos: c'è chi propone un'addizionale che, se pagata, garantirebbe al tartassato di diventare azionista della banca, c'è chi come Renato Brunetta già polemizza e vede il Pd pronto ad usare il "salva-risparmio" calendarizzato al Senato come trappola per il governo Gentiloni per poter andare al voto in primavera e c'è chi, come la Germania, non perde occasione per dirci che i soldi pubblici sono l'ultima ratio utilizzabile, prima occorre tosare per bene gli obbligazionisti e gli azionisti. 

Ognuno dice la sua, ma nessuno dice la verità.

Ad esempio che la Germania non può proprio dirci niente, perché se falliamo noi, lei ci segue a ruota. 

Vi parlavo ieri della dura accusa di Donald Trump nei confronti di Berlino, molto politica vista la special relationship tra Obama e la Merkel, ma anche sostanziale: con il suo surplus, la Germania sta ammazzando il resto d'Europa e con l'euro così debole sta cominciando a fare male anche agli Usa. 

Bene, da quando è entrato in vigore l'euro, l'Italia ha accumulato un deficit verso la Germania di 359 miliardi, praticamente la metà dei 754 miliardi di crediti che la Germania ha garantito ai partner dell'eurozona. 

Il motivo è semplice: farci comprare e consumare merci e beni tedeschi, una sorta di credito al consumo sovrano. 

Peccato che tutto questo sia avvenuto in contemporanea con l'imposizione da parte di Berlino, attraverso il braccio armato di Bruxelles, di misure di austerità proprio per purgarci del peccato originale dell'eccessivo deficit, la mitologica soglia del 3%: insomma, Berlino ci invogliava a comprare le sue automobili e i suoi beni, ma ci bacchettava perché lo facevamo, lasciandoci a languire in una sorta di stagflazione mortale insieme al resto dei cosiddetti Piigs, i quali hanno subito la stessa cura da cavallo. 

Ora, la situazione a livello sovrano è simile a quella di Mps: la Germania ha infatti offerto credito ai partner dell'eurozona per garantirsi un surplus commerciale e pensa, ragionando in termini assoluti, che quei 754 miliardi siano iscritti nel suo bilancio di Stato come esigibili immediatamente. 

E se, invece, diventassero quasi un triliardo di euro di non-performing loans, ovvero di crediti incagliati o inesigibili, cosa succederebbe agli squilibri di Target2, il bancomat della Banche centrali Ue? 

Che bagno di sangue patirebbe la Bundesbank che tanto ci rompe l'anima per Mps dopo che ha speso 250 miliardi per salvare l'intero sistema bancario tedesco? 

Ci troveremmo di fronte a una Mps sovrana moltiplicata per 100 volte. 

D'altronde, la ricetta greca con l'Italia non funzionerebbe: verso Atene, infatti, Berlino ha usato la carta della condivisione, il burden-sharing, ovvero imponendo agli altri Stati membri di prestare soldi al governo ellenico per mantenere solvibile il suo debito verso la Germania, il tutto legando quella liquidità a riforme capestro e a tassi di interessi da usura. 

Ma con il debito monstre italiano, questa ricetta semplicemente non funzionerebbe: crollerebbe tutto. 

Compresa e, forse, in primis, l'impalcatura distorta e distorsiva che la Germania ha dato all'Ue attraverso il controllo della Commissione e della Bce, almeno fino all'arrivo di Mario Draghi. Ma queste cose non le dicono, perché non sta bene: e, avanti di questo passo, il Pitruzzella di turno le censurerà in nome della lotta contro le bufale. 

E poi, scusate, perché io dovrei pagare con le mie tasse il salvataggio di Mps, quando si sa benissimo chi ha ottenuto credito da Rocca Salimbeni senza restituirlo? Il 70% delle insolvenze è infatti concentrato tra i clienti che hanno ottenuto finanziamenti per più di 500mila euro, quindi non famiglie e piccole imprese, ma grandi aziende e persone di un certo livello(magnaccia legati a filo doppio con banche-politica-sindacati-Confindustria-media!!!).

In totale, si tratta di 9.300 posizioni e il tasso di insolvenza cresce all'aumentare del finanziamento, visto che la percentuale maggiore dei cattivi pagatori (32,4%) si trova fra quanti hanno ottenuto più di tre milioni di euro. 

C'è un problema, al quale sicuramente Pitruzzella porrebbe rimedio mettendo a tacere la vicenda: ovviamente, infatti, un "tasso di mortalità" così elevato sulle posizioni più onerose apre molti interrogativi sulla gestione della banca, dirigenziale ma anche politica, tanto più che la gran parte dei problemi nasce dopo l'acquisizione di Antonveneta, un affare degno di Totò e della vendita della fontana di Trevi. 

Guarda caso, prestiti concessi nel 2008 che finiscono a sofferenza nel 2014: colpa della crisi? Certo, ma anche del fatto che la gestione Mussari e Vigni aveva concesso i crediti e quella di Profumo e Viola ha dovuto prendere atto che erano diventati dei buffi, come dicono a Roma. E chi li ha tirati quei buffi a Mps? 
Qualche nome è emerso. Ad esempio, Sorgenia dell'ingegner De Benedetti con qualcosa come 600 milioni di buco o il gruppo Marcegaglia attraverso il credito ottenuto tramite la controllata Banca agricola mantovana, ma ce ne sono tanti altri, tutti soggetti che hanno goduto di credito enorme - sopra i 500mila euro, non parliamo di prestiti per cambiare l'automobile o pagare il dentista al figlio - e che non lo hanno restituito, sommergendo Mps sotto un mare di sofferenze. Che, ora, dovremmo pagare tutti noi, magari con l'addizionale perché si spera di tramutare Mps in Royal Bank of Scotland in due anni, facendola tornare produttiva sul mercato e in grado di ridare quanto ottenuto e macinare utili. 
Perché non si parla di queste cose nel dibattito pubblico? 

Perché occorre sempre e solo sentire banalità, falsità e allarmismi da quattro soldi? 

Cominciate a farvi qualche domanda, prima che sia tardi e i vari Pitruzzella vi impongano anche cosa pensare. 

Fonte: qui

Riyadh, scioperano contro il mancato pagamento di stipendi: immigrati arrestati e fustigati

Un tribunale saudita ha inflitto quattro mesi di carcere e 300 frustate per danneggiamento di beni pubblici. Sconosciuta la nazionalità degli immigrati condannati. I lavoratori erano dipendenti della Binladin Group e di Saudi Oger, giganti nel settore dell’edilizia. Dietro la crisi il crollo delle entrate nel settore petrolifero, che ha influito sul bilancio dello Stato.
Riyadh (AsiaNews/Agenzie) - Un tribunale saudita ha condannato al carcere e alla fustigazione decine di lavoratori migranti, dipendenti del colosso dell’edilizia Binladin Group, per aver scioperato contro il mancato pagamento degli stipendi arretrati. La stampa saudita non ha sinora precisato la nazionalità degli operai, che hanno incrociato le braccia per le molte mensilità non percepite; le proteste sarebbero poi sfociate in violenze di piazza, che hanno portato all’arresto.
I primi a riferire delle condanne sono i giornali arabi Al-Watan et Arab News, i quali però non chiariscono la nazionalità dei lavoratori migranti. Alcuni diplomatici contattati dall’Afp non hanno potuto (o voluto) chiarire la vicenda, affermando di non conoscerne i dettagli.
Un gruppo di operai ha subito una condanna a quattro mesi di carcere e 300 frustate per danneggiamento di beni pubblici e istigazione al disordine pubblico. Altri hanno ricevuto pene inferiori, per un massimo di 45 giorni di prigione inflitti da un tribunale della Mecca.
Da tempo gli operai del settore edile, dipendenti della Binladin Group e di Saudi Oger, non ricevono lo stipendio anche a causa della crisi nel settore petrolifero, che ha portato a un crollo nei ricavi. Lo stesso governo saudita sarebbe in ritardo sui pagamenti, aggravando così i conti già in rosso delle due imprese.
Come rivela il nome, la multinazionale araba fondata nel 1931 è di proprietà della famiglia Bin Laden e lo stesso Osama - leader di al Qaeda e a lungo il ricercato numero uno del terrorismo islamico internazionale - era uno dei 52 figli del fondatore Mohammed bin Laden. Fra i vari incarichi ottenuti dal capostipite, il restauro della celebre moschea di al Aqsa, a Gerusalemme. Tuttavia, oggi il gruppo ha conosciuto la crisi e non ha certo contribuito a rilanciarne l’immagine il crollo di una gru nel settembre 2015 alla grande moschea della Mecca, che ha causato la morte di 109 persone. La crisi del gruppo, acuita dal crollo nelle entrate petrolifere, ha portato anche al licenziamento nel maggio scorso di decine di migliaia operai stranieri.
Sulla crisi del settore edilizio è intervenuto di recente anche il ministro saudita delle Finanze Mohammed Aljadaan; il 22 dicembre scorso, nel corso di una conferenza stampa dedicata alla presentazione del bilancio per il 2017, l’alto funzionario governativo ha assicurato che il pagamento degli arretrati avverrà “entro 60 giorni”.

SULLA STRAGE DI CAPODANNO I TURCHI BRANCOLANO NEL BUIO

IL PRESUNTO ATTENTATORE NON E’ CINESE, MA VIENE DAL KIRGIZISTAN(MA NON E' NEPPURE LUI!) 

LO HANNO INTERROGATO E RILASCIATO: LA NOTTE DELLA STRAGE ERA A CASA SUA 

LA TV HA RIMOSSO LE IMMAGINI DEL SUO PASSAPORTO 

MA PRIMA DI SCAGIONARLO, LE AUTORITA’ DI ANKARA FANNO SAPERE CHE HA COMBATTUTO IN SIRIA

Piera Matteucci per la Repubblica

mashrapov presunto attentatore reinaMASHRAPOV PRESUNTO POI SCAGIONATO ATTENTATORE REINA
Prosegue la caccia al presunto autore della strage di Istanbul. Iahke Mashrapov, kirghizo di 28 anni, è stato infatti prima arrestato e poi rilasciato. 

Fonti della polizia avevano fatto sapere di aver arrestato alcuni familiari, tra cui la moglie, nella provincia anatolica di Konya, dove il killer sarebbe arrivato con lei e con i due figli alla fine del mese di novembre. Sembra che la moglie non sapesse che “l’uomo facesse parte dell’Isis”.


I media turchi avevano diffuso un video-selfie dell’uomo, girato in centro. Nel selfie, che dura una quarantina di secondi, si vede l’uomo, con indosso lo stesso giubbotto scuro immortalato dalle telecamere di sicurezza la notte di Capodanno, che cammina per la strada, a quanto pare dalle parti di Piazza Taksim.
attentatore reinaATTENTATORE REINA


L’uomo, in un’intervista, sostiene di essere stato scambiato per l’attentatore per via della somiglianza, ma di essere stato rilasciato dalla polizia dopo un controllo. Secondo l’agenzia di stampa kirghiza Akipress, Mashrapov era in Kirghizistan la notte della strage.
Come riportato da Akipress, Mashrapov ha spiegato che il 1 gennaio è volato a Istanbul da Bishkek per questioni commerciali, ma al ritorno le forze dell’ordine turche lo hanno prelevato dall’aeromobile. “Sono partito da Bishkek per Istanbul il 1 gennaio. Ho terminato i miei impegni di lavoro lì”.
Sono andato all’aeroporto di Istanbul e subito prima dell’imbarco, la polizia turca mi ha trattenuto per interrogarmi. Mi hanno interrogato per circa un’ora, l’aereo per Bishkek è stato ritardato per questo”, ha detto l’uomo. “La polizia ha spiegato che venivo interrogato perché somigliavo leggermente all’uomo nella foto. Si sono scusati e mi hanno lasciato partire“.
Non so chi sia il sospettato, non so come la foto del mio passaporto sia finita sui social media”, ha aggiunto Mashrapov. Anche le autorità del Kirghizistan hanno escluso il legame di un loro connazionale con l’attentato di Istanbul. Lo riferisce la Bbc.

Il capo dei servizi di sicurezza kirghisi, Rakhat Sulaimanov, ha spiegato all’emittente britannica che l’uomo non è coinvolto nell’attacco.

Il quotidiano Haberturk aveva anche riferito che Mashrapov avrebbe deciso di spostarsi con la famiglia “per non dare nell’occhio” e la moglie sarebbe tra i 16 arrestati lunedì nell’ambito dell’inchiesta sulla strage. Hurriyet aveva sottolineato inoltre che l’uomo avrebbe in passato combattuto in Siria con i jihadisti e sarebbe stato “addestrato specificamente”.
In precedenza si era ipotizzato che l’attentatore fosse originario della regione autonomia dello Xinjiang, nel nord-ovest della Cina, popolata per lo più da uiguri di religione islamica. Intanto la polizia turca ha già arrestato quattordici presunti complici del killer. Stamattina, davanti al ‘Reina’ c’è stata una marcia della pace.

Fonte: qui

Italia inaffidabile, ora anche la Germania si prepara alla fine dell’Euro

Gli ultimi mesi del 2016 sono disseminati di indizi: sono proprio i tedeschi, sinora i più strenui difensori della moneta unica, a parlare dell’Italia fuori dalla moneta unica. Al punto tale da pensare che la fine dell’Euro, a Berlino, non sia più tabù


Un indizio è un indizio. Due indizi sono una coincidenza e tre sono una prova. Viene in mente Agatha Christie ripensando all’ultimo mese del 2016. Che sembra far presagire che all’Italia possa essere riservata, nel 2017, una brutta sorpresa. Prima, le dichiarazioni di Clemens Fuest, uno degli economisti tedeschi più vicini al Governo e ai vertici delle istituzioni comunitarie, che – in un’intervista al Corriere della Sera – ha fatto sapere che non può più essere considerata un tabù l’uscita dell’Italia dall’Euro.Poi, le docce fredde della Banca Centrale Europea sulla proposta di allungare i tempi previsti sul tentato intervento di mercato sul Monte dei Paschi di Siena, e sull’entità dell’investimento necessario da parte dello Stato per salvare la banca.
Tre segnali che convergono – in pochi giorni – e sembrano dire che la pazienza nei confronti dell’Italia si stia esaurendo e che la fine dell’esperienza del governo Renzi possa aver fatto precipitare la situazione. Del resto c’è un numero, che alla Banca Centrale Europea definiscono il Target 2, che dice che dall’Italia stanno uscendo ingenti capitali. E che lo fanno – questo l’elemento più preoccupante – a velocità crescente: tra Maggio e Ottobre del 2016 dall’Italia sono “fuggiti” 80 miliardi di Euro. La Spagna, che è seconda in questa classifica, ne ha persi solo 20. Tale perdita, peraltro, è quasi interamente dovuta al disinvestimento che gli stessi cittadini italiani fanno rispetto ai titoli del proprio debito pubblico spostandosi verso l’estero. Nei prossimi mesi arriveranno i dati che aggiorneranno tale situazione al periodo dopo il referendum ed allora l’allarme potrebbe diventare rosso.
Ecco che quindi ci potremmo ritrovare di fronte a una nuova tempesta perfetta: in cui la dipendenza dal “metadone” degli acquisiti della Banca Centrale Europea risulta essere ancora più forte, proprio nel momento stesso in cui la durata della terapia (e la sua intensità) potrebbe ridursi. Il tutto, mentre sono gli italiani, per primi, a certificare con le proprie scelte la sfiducia nel proprio sistema. Del resto, in Germania è da tempi non sospetti che sostengono che l’ombrello protettivo del Quantative Easing sia “diseducativo” facendo venir meno gli incentivi più forti alle riforme: manovre come l’ultima finanziaria (che continua a spendere sulle pensioni e a non trovare soldi per dare prospettiva alle generazioni più produttive) hanno fatto di tutto per confermare questa paura. Ci ha pensato il referendum, infine, per indebolire anche l’ultima speranza che lo stesso Schaeuble, l’austero Ministro delle finanze tedesco, affidava ad un governo che è stato sconfitto.
In una situazione simile, quindi, non è improbabile immaginare che tra i tedeschi potrebbe cominciare a farsi strada la proposta indecente: dopo che l'Italia lo ha minacciato per anni, potrebbero essere proprio loro a cominciare a pensare di lasciare l’unione monetaria, insieme ai Paesi più forti. O, comunque, ad aprire una vera e propria discussione sulla possibilità di una separazione monetaria, che fino a solo qualche mese fa era ritenuta impossibile.

Non è improbabile immaginare che tra i tedeschi potrebbe cominciare a farsi strada la proposta indecente: dopo che l'Italia lo ha minacciato per anni, potrebbero essere proprio loro a lasciare l’unione monetaria, insieme ai Paesi più forti. O, comunque, ad aprire una vera e propria discussione sulla possibilità di una separazione monetaria, che fino a solo qualche mese fa era ritenuta impossibile

Certo tutto ciò non è concepibile prima delle elezioni tedesche di settembre. E comunque, una simile ipotesi dovrà fare i conti con la forte resistenza di Angela Merkel, l’unico leader davvero europeista: l’unica che ha conosciuto il dolore dei muri (essendo cresciuta nella Germania dell’Est) e che, probabilmente, sarà riconfermata Cancelliera. Quel che è certo è che il dossier Italia – come aveva previsto il Financial Times ed è, forse, l’unica previsione che l’FT ha azzeccato in questo annus horribilis – sarà quello che cambierà quasi per inerzia la visione sull’unione monetaria: da matrimonio senza possibilità di divorzio ad accordo che, come tutte le costruzioni umane, può anche fallire. E il cui fallimento non potrà non aver ripercussione sulla stessa forme di un’Unione di cui era baluardo ideologico. E, tuttavia, come la stessa Merkel sa bene, una separazione consensuale potrebbe, a quel punto, essere preferibile ad una guerra fredda che per anni ha depotenziato un progetto che ha grandi meriti ma deve recuperare quel pragmatismo che è necessario a qualsiasi visione.
Una possibilità per l’Italia, in effetti, ci sarebbe, per evitare un esito che potrebbe essere catastrofico - si pensi solo all’esplosione di un debito pubblico denominato in Euro se si decidesse di riadottare una moneta nazionale il cui valore sarebbe automaticamente svalutato dall’impossibilità di fare un qualche affidamento sulla cordata che ci lega ad uno dei Paesi più affidabili del mondo - o, perlomeno, per arrivare ad una rinegoziazione di un Patto che non funziona in una posizione che non sia di debolezza: una possibilità che dipende tutta dal nuovo Regime Gentiloni: riprendere la strada dei cambiamenti concreti (ma conoscendo il PD è tempo perso inutilmente, oltre che altre risorse buttate alle ortiche!!!) che nel tempo, il pochissimo che ci è rimasto, recuperino fiducia(ancora con queste balle!!!). È una strada strettissima ma che non ha alternative e che tocca pure ad un abusivo Gentiloni percorrere senza indugi(solita propaganda!!!).

Fonte: qui


La Bundesbank si riprende il suo oro(in vista  della dissoluzione dell'Euro)

La Bundesbank rimpatria il suo oro depositato a New York prima del previsto (titolo originale)
dal portale www.blognews24ore.com
Da un articolo del portale Zero Hedge del 26 dicembre 2016 – Nel gennaio 2016, la Bundesbank aveva annunciato di aver riportato in patria un totale di 366,3 tonnellate dell’oro detenuto all’estero. Il che portava le riserve d’oro depositate a Francoforte a 1’402 tonnellate.
“Con circa 1’403 tonnellate d’oro, Francoforte è il principale luogo di deposito delle nostre riserve di oro – aveva dichiarato lo scorso gennaio Carl-Ludwig Thiele, membro del consiglio di amministrazione della Bundesbank – Il rimpatrio si svolge senza problemi. Rispetto al 2014, siamo riusciti ad aumentare il volume del trasporto.”
Nel gennaio 2013, la Bundesbank aveva annunciato l’intenzione di depositare metà delle sue riserve d’oro a Francoforte entro il 2020, il che significava il rimpatro di 300 tonnellate di oro da New York e 74 tonnellate da Parigi. Nel gennaio 2016, a New York restavano 111 tonnellate, mentre 196 tonnellate si trovavano ancora a Parigi.
A seguito della pubblicazione di diversi rapporti, nell’ottobre 2012 l’istituzione tedesca competente aveva chiesto la prova della reale esistenza delle circa 3’400 tonnellate d’oro ufficialmente possedute dalla Bundesbank, perchè “l’autenticità e il peso delle riserve non sono mai state verificate.” Il movimento del rimpatrio si era intensificato a seguito di voci secondo cui gran parte dell’oro depositato nei forzieri all’estero era stato re-ipotecato, fuso oppure venduto. In pratica, non esisteva più.
All’epoca, Carl-Ludwig Thiele dichiarava alla stampa che questi trasferimenti servivano a “costruire la fiducia” e cercava di far tacere le voci. Va detto che rimpatriare l’oro depositato in banche estere non aiuta a costruire la fiducia. A fine 2013, la Bundesbank annunciava che era riusciva a rimpatriare solo 37 tonnellate sulle 374 previste, il che aveva aumentato le voci sull’oro mancante. Di fronte alla reazione dei media e del pubblico, la Bundesbank aveva accelerato il programma e riportato in patria 120 tonnellate di oro nel 2014 e 210 nel 2015. Un segno che, invece di essere costruita, la fiducia nei confronti delle banche estere stava diminuendo.
Venerdì scorso, circa un anno dopo, il giornale tedesco Bild scriveva che nel 2016 la Bundesbank aveva rimpatriato una quantità di oro maggiore del previsto : “Nel 2016 abbiamo riportato a casa più oro del previsto, circa la metà delle nostre riserve ora sono nei forzieri in Germania – aveva dichiarato il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann.
L’agenzia Reuters ha scritto che nell’ambito della crisi economica, diversi cittadini tedeschi avevano comunque messo in dubbio l’esistenza dell’oro tedesco, il che aveva portato la Bundesbank a pubblicare una lista delle riserve d’oro esistenti nel 2015.
Secondo il giornale Bild, attualmente in Germania sono depositate 1’600 tonnellate di oro, poco meno dell’obiettivo di 1’700 tonnellate che dovrebbe essere raggiunto nel 2020. Il giornale non spiega però il vero motivo dell’accelerazione del rimpatrio a partire dal 2013.