mercoledì 15 maggio 2019
DOMENICA CHIUDE IL TRAFORO DEL GRAN SASSO?
PER EVITARE DI SPACCARE L'ITALIA E ISOLARE L'ABRUZZO, SI PENSA A UN COMMISSARIAMENTO. A RISCHIO ANCHE I LAVORI DEI LABORATORI DI FISICA NUCLEARE
IL MOTIVO? L'AUTOSTRADA DEI PARCHI (GESTITA DA TOTO) E L'ISTITUTO SCIENTIFICO AVREBBERO CONTAMINATO LA RISORSA IDRICA CHE FORNISCE ACQUA POTABILE A 700MILA PERSONE
È LA PIÙ GRANDE GALLERIA D'EUROPA: OLTRE 10 KM
TRAFORO DEL GRAN SASSO , IPOTESI COMMISSARIO PER EVITARE LA CHIUSURA
Andrea Martini per ''Il Sole 24 Ore''
Continuano gli incontri per evitare che dalla mezzanotte di domenica prossima venga chiuso il Traforo del Gran Sasso. L' ipotesi sul campo di un commissario nominato con lo sblocca-cantieri, dopo la conversione del decreto legge, quindi non prima di metà giugno, non basta alla concessionaria autostradale Strada dei Parchi che chiede invece un intervento immediato del governo o con la nomina di un commissario di Protezione civile o mediante un' azione del Prefetto.
La riunione tecnica di ieri - convocata inizialmente per discutere soltanto del Piano economico-finanziario della società - è servita al vice presidente della concessionaria Mauro Fabris per chiarire le posizioni in campo. Oggi al ministero delle Infrastrutture ci sarà un altro incontro che cercherà di sbloccare la situazione.
Strada dei Parchi conferma la decisione della chiusura del tunnel domenica prossima, in attesa che vengano adottato misure concrete. L' incontro di ieri è stato definito «positivo» da Fabris perché è servito a chiarire la disponibilità del ministero a trovare una soluzione. Poi in serata è arrivata la nota del ministero stesso: «Il Mit, nella consapevolezza della complessità della questione, coinvolgerà tutti i soggetti interessati e tutti i livelli istituzionali, in modo da raggiungere sia l' obiettivo di breve termine, ossia il mantenimento in esercizio delle gallerie autostradali, sia quello di lungo termine, quindi la messa in sicurezza definita degli acquedotti
. Non a caso, è prevista una modifica al decreto Sblocca cantieri con cui sarà nominato un Commissario straordinario incaricato di sovraintendere alla progettazione, all' affidamento e all' esecuzione degli interventi necessari per la messa in sicurezza del sistema idrico».
Ora però le soluzioni vanno trovate in fretta. La riunione di oggi sarà aperta anche a Regione, Provincia e alcuni sindaci. Anche perché alla Regione fa capo il progetto di più lungo periodo che prevede l' impermeabilizzazione delle gallerie, lavoro da circa 120 milioni stanziati per Strada dei parchi e l' Istituto di fisica nucleare.
Proprio ieri, entrando alla riunione al ministero, il presidente dell' autostrada dei Parchi, Cesare Ramadori, ha detto che la chiusura del traforo del Gran Sasso ipotizzata per il 19 maggio «non è interruzione di pubblico servizio, ma avviene a seguito dell' indagine della procura della Repubblica».I lavori nel traforo del Gran Sasso - ha aggiunto - «sono straordinari. Non toccano al concessionario ma al concedente», cioè allo Stato.
La Concessionaria Strada dei Parchi ha voluto comunque precisare che alcune categorie di veicoli potranno continuare a transitare nel Traforo del Gran Sasso anche in caso di chiusura: potranno continuare a percorrere la tratta autostradale Assergi-Colledara e viceversa i mezzi di Polizia Stradale, Vigili del Fuoco, 118, quelli appartenenti alle altre Forze di Ordine Pubblico.
«Rendere operativa tale decisione, il 19 maggio, significherebbe tagliare a metà l' Abruzzo, con risvolti pesantissimi per il sistema imprenditoriale locale isolando di fatto un territorio già duramente colpito dal terremoto», ha detto il presidente di Confindustria L' Aquila Abruzzo Interno, Riccardo Podda.
Alla riunione di ieri si è parlato anche del piano economico-finanziario ma con un sostanziale rinvio della partita. Il Mit ha infatti comunicato che vanno superati due nuovi ostacoli: la valutazione dell' Autorità di regolazione dei trasporti e quella dell' Ue. Potrebbero arrivare a breve invece i 112 milioni previsti per i lavori di manutenzione straordinaria sui viadotti. Dopo la prima bocciatura del decreto da parte della Corte dei conti a febbraio, sarebbe ora avvenuta la registrazione del provvedimento.
A RISCHIO 9 MILIARDI DI VALORE AGGIUNTO PER LE PROVINCE DI AQUILA E TERAMO - PROBLEMI ANCHE PER LE ATTIVITÀ DEI LABORATORI DI FISICA NUCLEARE
Andrea Martini per ''Il Sole 24 Ore''
«Un danno enorme per tutte le imprese dell' Abruzzo interno. Un provvedimento che metterebbe in ginocchio le aziende aquilane, già gravate dalle difficoltà di una ripresa post-sisma che fatica a decollare. Come Confindustria non possiamo che opporci fermamente».
A esprimere un secco no alla chiusura del traforo del Gran Sasso è il presidente di Confindustria L' Aquila Abruzzo Interno, Riccardo Podda. Le imprese del territorio sono già in allarme per la paventata interruzione di quella che è una arteria fondamentale che tiene letteralmente insieme la parte Ovest e quella Est dell' Abruzzo.
Il traforo del Gran Sasso, con i suoi 10 chilometri di galleria, è uno snodo fondamentale dell' autostrada che dalla Tangenziale Est di Roma arriva fino all' allacciamento con l' autostrada A 14 (Bologna-Bari-Taranto). Collocato a metà strada tra le uscite dell' Aquila e quella di Teramo, ogni giorno sotto il Gran Sasso transitano 11mila macchine, per un valore di circa 35mila euro stimato dalla Concessionaria Strada dei Parchi.
Nei periodi di punta durante l' estate si arrivano a toccare anche i 70mila veicoli giornalieri. In tutta la rete dell' autostrada A24 e A25 (quest' ultima è quella che dalla diramazione di Torano della A24 arriva fino a Pescara) transitano più di 19mila veicoli in media ogni giorno. Di questi il 15% sono mezzi pesanti, quelli più propriamente legati al sistema economico del territorio.
«La chiusura del traforo del Gran Sasso costringerebbe ad utilizzare la Statale 80, che arriva fino a 1.300 metri di altezza, con un percorso tortuoso», spiega Agostino Ballone, presidente di Confindustria Abruzzo. Le province più colpite sarebbero nell' immediato quelle dell' Aquila e di Teramo: 155 comuni con una popolazione complessiva di 618mila abitanti, 80mila imprese registrate che producono circa 9 miliardi di valore aggiunto e 1,7 miliardi d' export. Per non parlare del turismo: il traforo del Gran Sasso è un nodo fondamentale per i collegamenti con il Lazio, da cui viene ogni anno un quarto dei turisti dell' Abruzzo.
Ma a rischiare il blocco dell' attività sono anche i Laboratori di Fisica Nucleare del Gran Sasso: si tratta del centro di ricerca sotterrano più grande del mondo, che sfrutta la protezione dalla radiazione cosmica ottenuta con gli oltre 1.400 metri di montagna sovrastanti. La struttura è utilizzata da oltre mille scienziati provenienti da 29 paesi diversi.
L' ACCUSA DI INQUINAMENTO NELLA CONSULENZA DA 2MILA PAGINE
Ivan Cimmarusti per ''Il Sole 24 Ore''
Oltre 2mila pagine di consulenza tecnica accusano Strada dei Parchi spa (SdP) e l' Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) di aver inquinato, tra il 2016 e il 2017, la falda acquifera sottostante il traforo del Gran Sasso, sull' A24.
La spa - che gestisce le arterie autostradali di collegamento del Centro Italia - e i laboratori all' interno del massiccio montuoso negli Appennini, sono accusati di aver generato una «immissione incontrollata» di Toluene e Cloroformio, che ha contaminato la risorsa idrica che fornisce acqua potabile (complessivi 800 litri al secondo) a 700mila persone nelle quattro province abruzzesi. Un rischio, per la verità, tuttora in corso, tanto che SdP ha deciso di interdire il traffico sull' A24 all' altezza del traforo, per evitare ulteriori procedimenti per inquinamento.
L' accusa della Procura di Teramo, infatti, è basata sulla mancanza di «un adeguato isolamento delle superfici» del tunnel e dei laboratori rispetto alla falda acquifera sottostante. Isolamento tuttora mancante, tanto che a gennaio scorso la Regione Abruzzo è corsa ai ripari, deliberando la «messa in sicurezza dell' acquifero del Gran Sasso e del sistema di captazione delle acque potabili», stanziando 172 milioni di euro, 104,3 dei quali a SdP.
Interventi necessari ma in stallo.
Una missiva del Mit del 10 aprile a firma del dg Felice Morisco, in risposta a una nota della spa del 5 aprile, ha specificato che «questa direzione ha già riscontrato la richiesta della Regione Abruzzo rilevando l' estraneità degli interventi, richiamati nella delibera regionale, al rapporto concessorio in quanto non contemplati dalla convenzione unica attualmente vigente». Uno stop alla messa in sicurezza. Tanto che SdP, come detto, temendo un rischio di reiterazione del reato per inquinamento ambientale, ha disposto l' interdizione del traffico a partire dal 19 maggio.
Dall' azienda, infatti, spiegano che anche l' incidente in galleria di una autocisterna, con conseguente sversamento di benzina, andrebbe a inquinare la falda per la mancanza di quell' isolamento del tunnel, causando così un nuovo reato per inquinamento ambientale imputabile ai vertici societari. Fonti vicine alla Procura della Repubblica di Teramo, spiegano, però, che non ci sarebbe comunque il rischio di un sequestro del traforo, in quanto il tunnel è considerato strategico per tutta la viabilità del Centro Italia.
A settembre partirà il processo a carico, tra gli altri, di Lelio Scopa, Cesare Ramadori e Igino Lai, rispettivamente presidente, amministratore delegato e direttore generale di esercizio di Strada dei Parchi, e di Fernando Ferroni e Stefano Ragazzi, rispettivamente presidente dell' Infn e direttore dei Laboratori nazionali del Gran Sasso.
Le posizioni dei due enti attengono a capi d' imputazione distinti, ma entrambi legati alla mancanza «di un adeguato isolamento» rispetto alla falda acquifera.
I vertici della spa rispondono «per colpa consistita - si legge negli atti - in negligenza, imprudenza ed imperizia» tali da «cagionare o comunque non impedire l' immissione incontrollata in ambiente di Toluene e la conseguente contaminazione delle acque sotterranee del Gran Sasso, analiticamente accertata dal distretto Arta Abruzzo di Teramo». Stando alla consulenza ci sarebbe «contaminazione derivante dall' utilizzo di vernici nei lavori di rifacimento della segnaletica stradale».
Fatto avvenuto il 4 e 5 maggio del 2017. Di violazione della 231 (responsabilità di enti e società) risponde SdP, per aver «omesso di adottare ed efficacemente attuare idonei protocolli organizzativi e gestionali» che prevedessero «misure per prevenire i reati». Infn, invece, risponde per «l' immissione incontrollata in ambiente di Cloroformio (Triclorometano), derivante dall' impiego nelle attività sperimentali di rilevanti quantità di reagenti e sostanze chimiche delle acque sotterranee del Gran Sasso». Valori fuori norma che si sono registrati fra il 7 novembre 2016 e l' 11 agosto 2017.
Fonte: qui
DELUSIONE TRA I BENEFICIARI DEL REDDITO DI CITTADINANZA: IN MOLTI HANNO TROVATO SOLTANTO 40 O 50 EURO CARICATI NELLA CARD E ORA PENSANO DI RESTITUIRLA
I PALETTI PER AVERE LA CIFRA TONDA DI 780 EURO SONO TROPPO STRINGENTI.
E IN VENETO CHI LO RICEVE SI VERGOGNA A MOSTRARLO E QUINDI NON LO USA…
Michela Nicolussi Moro per www.corriere.it
È stato caricato sulla «RDC card» di Poste Italiane il reddito di cittadinanza per le prime 500 famiglie venete sulle 3064 che l’avevano richiesto attraverso i Caf della Cgil. La maggioranza delle domande, accolte dopo il controllo dei requisiti da parte di Agenzia delle Entrate e Inps, arriva da Padova: 733. Seguono Treviso con 652, Rovigo con 486, Verona con 386, Vicenza con 372, Venezia con 359 e Belluno con 76.
Valanga di pratiche
«Altre 3mila pratiche devono ancora essere processate — spiega Claudio Zaccarin, responsabile regionale dei Caf Cgil — e di queste, stando alla media di accoglimento del 60% finora registrata, andranno a buon fine circa 1800. Le assegnazioni iniziali, erogate a partire dallo scorso 27 aprile, hanno un valore compreso tra 100 e 370 euro, ma ce ne sono anche da 40 e 50 euro. Tutte hanno suscitato una certa delusione, perché gli aventi diritto erano convinti di ricevere i 780 euro di massimale sul quale era stata impostata la campagna elettorale del M5S».
Troppe variabili
E invece la cifra cambia a seconda di molte variabili, non solo dei diktat di base, cioè: essere cittadini italiani, europei o risiedere in questo Paese da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due continuativamente; avere un Isee inferiore ai 9.360 euro, un patrimonio immobiliare (esclusa la prima casa) non superiore ai 30mila euro e un patrimonio finanziario non maggiore ai 6mila (20mila per i disabili). «Se una persona gode già di una misura di sostegno, il reddito di cittadinanza diminuisce — avverte Alfio Calvagna, presidente del Comitato Inps Veneto — in certi casi può invece essere detratto, in altri sommato all’altro assegno. Insomma è tutto molto soggettivo e complicato anche se l’intento del governo di tendere una mano a chi è in condizioni economiche disperate è condivisibile».
La vergogna di spenderlo: fenomeno «veneto»
Chi l’ha ricevuto, usa il reddito di cittadinanza per pagare le bollette, le rate del mutuo, le spese condominiali, l’affitto. «Ma non la spesa al supermercato o le medicine — rivela Zaccarin — perché si vergognano a esibire al supermercato o in farmacia la tesserina gialla, la vivono come una certificazione di povertà». «Posso trovare gente che conosco, non è dignitoso — ha confessato una casalinga trevigiana di mezza età, marito disoccupato e due figli studenti —. E poi i 370 euro che ci hanno dato bastano appena per le bollette». Un senso della dignità che ha finora spinto il 10% dei destinatari di una cifra irrisoria, come i 40 euro, a rifiutarla. «E’ vero, molti l’hanno respinta ed è un fenomeno tipicamente veneto — sottolinea Calvagna —. Questa regione è fatta di piccole comunità, ci si conosce tutti, è difficile ammettere di non farcela da soli, di avere bisogno di aiuto». Al punto che pure gli anziani respingono la pensione di cittadinanza, diramazione dello stesso provvedimento. Un’ottantenne veneziana a riposo dalla pubblica amministrazione e un coetaneo padovano in quiescenza dal privato, entrambi con pensione minima di 600 euro al mese, hanno detto «no grazie» ai 200-300 euro prospettati. «Un contributo così risicato è offensivo — la motivazione — invece di darci la carità, lo Stato ci passi una pensione adeguata».
Navigator fermi
C’è un altro problema: il reddito di cittadinanza prevede anche un inserimento lavorativo per uno dei componenti disoccupati della famiglia del richiedente, non necessariamente per lui. Ma i «navigator», cioè i tutor incaricati dal governo di facilitare accesso e pratiche ai Centri per l’impiego, non sono ancora scesi in campo, perché il bando per il loro reclutamento è uscito nemmeno un mese fa. E poi l’accordo Stato-Regioni prevede un potenziamento del personale dei Centri per l’impiego, che è in divenire. «In più molti assegnatari della misura di sostegno non vogliono lavorare, magari perchè già lo fanno in nero — aggiunge il responsabile Cgil —. Ma al terzo no (nei primi 12 mesi si riceve un’offerta di lavoro nel raggio di 100 chilometri dalla residenza, seguita da una seconda che coprirà un raggio di 250 chilometri e da un’ultima in arrivo da qualsiasi regione, ndr), perderà l’assegno». Tuttavia in questo momento sembra il problema minore. «Il lavoro lo procuri se c’è ma se non esiste, come al Sud, che fai?», chiude il presidente del Comitato Inps.
Fonte: qui
PERCHÉ LE DOMANDE PER IL REDDITO DI CITTADINANZA SONO AL DI SOTTO DELLE ATTESE?
LE CAUSE SONO LEGATE AL FATTO CHE UN QUARTO DELL’OLTRE UN MILIONE DI DOMANDE PRESENTATE È STATO RIGETTATO DALL’INPS “PER LA MANCANZA DI UNO O PIÙ REQUISITI” RITENUTI”
“TROPPO STRINGENTI PER LA RICHIESTA DEL BENEFICIO”
Alberto Ferrigolo per www.agi.it
Si potrebbe definirle come “lettere dalla povertà”. O la testimonianza che anche un piccolo aiuto può esser utile a non farci sentire ai margini. O a uscire da una situazione di difficoltà. Non solo economica. Ma personale. Nei confronti di terzi. Una comunità, la famiglia, una moglie, un figlio, una figlia. “Per una volta non mi sono sentito un fallito per aver pagato la comunione di mia figlia” ha scritto, tra gli altri, Giorgio.
Oppure, “Sono una donna sola con una bambina, sono in affitto e senza lavoro. Ora posso migliorare la mia situazione e garantire a mia figlia qualcosa da mangiare in più e un tetto. Ho già pagato una bolletta”, scrive Eleonora77 dalla Sicilia. “Per la prima volta grazie al Rdc, mi sento di essere aiutato e considerato dal mio Stato. Sono riuscito a pagare le bollette e gli altri soldi li ho utilizzati per fare la spesa” dice Raffaello dalla Toscana. Anche perché “difficilmente chi non ha difficoltà a comprare del cibo può capire cosa si prova”.
Sono alcune delle lettere arrivate sulla mail spesa di 'spesadicittadinanza@gmail.com' che Il Fatto ha sollecitato a inviare per raccontare come viene speso il Reddito di cittadinanza e che il quotidiano pubblica oggi in due pagine, che riassumono anche i dati delle domande finora presentate per ottenerlo 1.016.977), le domande arrivate ai Caf (748.742), il tasso delle domande rifiutate (25%). Oltre al numero delle domande pervenute finora all’Inps, che è pari al 57% delle famiglie in povertà assoluta, con una descrizione percentuale delle differenze regionali che sono notevoli.
In Sardegna, ad esempio, sono state presentate 46.335 domande a fronte di 35.011 famiglie povere (il 132%), mentre in Trentino Alto Adige la sovrapposizione è solo del 23%. Anche in Abruzzo il numero di domande per il reddito di cittadinanza supera la povertà (103%) e tassi elevati si registrano in Campania (85%, pari a 172.175 individui) e Toscana (84%). Tra i valori inferiori alla media prevalgono le regioni del centro-nord, con l’eccezione di Calabria e Molise (entrambe 43%). Percentuali che rivelano come il rapporto tra domande di Reddito di cittadinanza e i poveri assoluti, nelle regioni più povere è più alto.
PERCHÉ IL REDDITO NON DECOLLA?
Il tema di cui si discute in questi giorni è infatti legato al numero delle domande pervenute, che si è rivelato per l’Inps “al di sotto delle attese” si legge nell’analisi che accompagna la pubblicazione delle testimonianze arrivate al giornale via email e ci fa interrogare sul perché il Reddito di cittadinanza non decolla? E tra le spiegazioni più in voga che si possono leggere qua e là, c’è quella secondo la quale, “siccome molti lavorano in nero, preferiscono non chiedere il sussidio per evitare controlli fiscali e sanzioni penali”.
Ciò che fa tirare le somme per dire che alla fin fine “in Italia non c’è poi tutta la povertà che pensavamo”. Ma “le famiglie povere – secondo l’Istat 1,8 milioni (5 milioni di individui) – sono quelle che spendono in maniera insufficiente per il sostentamento, a prescindere dalla fonte dei loro magri redditi. Magari questi poveri lavorano in nero, ma hanno comunque dei consumi da poveri” analizza l’articolista.
Secondo chi analizza le cause, invece, il Rdc non decolla “sono altri”. Ad esempio sono legate al fatto che un quarto dell’oltre un milione di domande presentate è stato rigettato dalla stessa Inps “per la mancanza di uno o più requisiti” ritenuti “troppo stringenti per la richiesta del beneficio”.
E ciò che pesa di più in favore di questa “mancata corrispondenza” tra reddito di cittadinanza e povertà sarebbe da attribuire proprio ai “criteri di calcolo della scala di equivalenza del reddito che penalizzano le famiglie numerose” come lo possono essere il tetto a 6.000 euro sul conto in banca soprattutto per l’integrazione della pensione di cittadinanza oppure il requisito della residenza e dell’attestazione del patrimonio che impedisce a molti dei 500 mila nuclei di stranieri poveri (il 28% del totale) di accedere al beneficio.
LA CAUSA DELLA DISPARITÀ TERRITORIALE
Così come il motivo della disparità territoriale sarebbe da ricercare nel “diverso tasso di accettazione delle domande, con un numero di rifiuti maggiore laddove la percentuale è più alta, ma potrebbe anche risiedere nella misura statistica”. L’articolo conclude con questa riflessione: “Poiché l’obiettivo del reddito di cittadinanza è il contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale e le regole rischiano di penalizzare alcune categorie di indigenti, è già chiaro che serve qualche aggiustamento”. In che modo? Forse proprio “grazie ai risparmi sullo stanziamento inizialmente previsto, che andrebbero destinati ad ampliare la platea dei beneficiari, con correttivi che permettano di raggiungere il maggior numero di poveri”.
E stando sempre in tema di povertà, lo scorso lunedì 6 maggio il Sole24Ore ha fatto un po’ di conti in tasca alla middle class, rilevando che dal 2008 ha perso il 12% del proprio reddito, con un calo che nel decennio nella fascia reddituale che sta tra i 26 mila e i 55 mila euro.
Tanto che il 43% degli italiani non riesce ad arrivare ai 15 mila euro di reddito annuo. E i più ricchi sono una quota che non supera il 5% dei contribuenti. Confronti possibili? Anche l’area Ocse non è affatto messa bene. A guardare a fondo si scopre che “il numero delle famiglie con un reddito medio è calato quasi ovunque negli ultimi trent’anni: Spagna -9,4%, Germania -5,8, Olanda -5, Italia -3,9”.
Ma in questi giorni, oltre che di povertà, sui giornali si è parlato anche molto di ricchezza. In particolare sul Sole24Ore e su Libero, che secondo dati Bankitalia-Istat “dopo tre anni di calo nel 2017 la richezza netta delle famiglie italiane e tornata a crescere (98 miliardi in piu in termini fair value; +1%) ed e arrivata a 9.743 miliardi, otto volte il loro reddito” si può leggere sul quotidiano confindustriale. “Mentre quella delle societa non finanziarie s’e ridotta a 1.053 miliardi (23 miliardi in meno sul 2016; -2,1%). Ciò che fa titolare a Libero così l’apertura della prima pagina del 10 maggio: “Ecco la verità sulla ricchezza degli italiani”. Ovvero, “siamo nababbi: superati addirittura dai tedeschi”. La verità? Forse, o come sempre, sta nel mezzo, come per i famosi polli di Trilussa…
Fonte: qui
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