
L'esperto:  "Il picco di decessi colpa di un welfare che non protegge la salute".  Gli over 90 si moltiplicano, oggi i più a rischio sono i "figli della  Lupa"
Roma  - L'Italia è un Paese di vecchi, ma non è un Paese per vecchi. Si  spiega anche così il dato che più colpisce tra le stime 2015 degli  indicatori demografici dell'Istat, ossia l'impennata nei decessi. 
L'anno  scorso sono stati 653mila, il 9,1 per cento in più rispetto al 2014. Il  tasso di mortalità (10,7 per mille) è il più alto dal secondo  Dopoguerra, mentre la popolazione è sempre più anziana e, per la seconda  volta dal 1952, si riduce (-2,3 per mille) nonostante il lieve aumento  di residenti stranieri. «Di queste nuove stime - spiega  Alessandro Rosina, professore di Demografia nella Facoltà di Economia  dell'Università Cattolica di Milano - colpisce tutto. Crollano le  nascite, aumentano le persone che si trasferiscono all'estero e,  appunto, aumentano anche i decessi».
Quali sono le cause di questo picco?
«La  popolazione invecchia. E il problema non è solo la fascia di  ultrasessantacinquenni, in crescita, ma quanti tra questi arrivano a 80 e  anche a 90 anni. Quando, se il welfare non è forte, non sostiene e non  incoraggia comportamenti adeguati per la difesa e il supporto delle  condizioni di salute, è facile che arrivi un'impennata come questa.  Insomma, se c'è vento forte, gli alberi più deboli cadono». Quindi  mentre i baby boomers invecchiano, sono sempre più a rischio i «figli  della Lupa», i tanti nati sotto il fascismo, che incentivava la  natalità.
«Diciamo  che è un campanello d'allarme. Ora la natalità non cresce, anzi. E in  Italia la componente fragile della popolazione continua ad aumentare. Le  conseguenze sono da valutare con attenzione». Il trend riguarda tutte le Regioni, dal Sud al Nord. «Sì,  il fenomeno non è specifico di una parte del territorio, è diffuso in  tutta la nazione. Ovviamente è una questione generale che anche gli  altri paesi, ma ribadisco che è anche un segnale che dovremmo cogliere».
Che cosa ci dice questo picco di decessi?
«Ci  dice che dobbiamo costruire una società diversa, piuttosto che tirare  avanti questo welfare che gravita molto sulle famiglie e poco sul  sostegno alle fasce più deboli, che sono in crescita costante. Se il  tasso di mortalità è il più alto dal Dopoguerra è perché nel Dopoguerra  non avevamo tanti anziani. Non dobbiamo guardare il passato, ma  impegnarci a costruire un percorso futuro che tenga conto del fatto che  diventiamo una società con sempre più grandi anziani, ossia over 80 e  85. A questa componente fragile serve un'attenzione diversa».
Eppure negli ultimi due anni il tasso di mortalità era sceso. Solo un caso?
«No,  affatto. Ci sono anni più favorevoli e anni che lo sono meno. Per due  anni molti di questi anziani sono riusciti a tirare avanti, ingrossando  le fila di quella popolazione fragile, potenzialmente a rischio decesso.  Come sappiamo la morte non può essere evitata, solo posticipata. Basta  poco - fattori climatici, un'epidemia di influenza - e siccome la popolazione a rischio è maggiore, il dato dei decessi si compensa e il picco ha evidenza statistica».
E a questo si accompagna il calo delle nascite(la  politica per la famiglia nel nostro paese è dimenticata da decenni,  invece si preferisce parlare di panzane quali la "stepchild  adoption"!!!).
«La  demografia è come un edificio. Stiamo aggiungendo piani in alto,  piuttosto incerti e fragili, e erodiamo sempre più le basi di questo  edificio, sia con il calo del tasso di natalità sia perché molti se ne  vanno, non trovando prospettive in questo Paese».
Non avrà mica ragione chi scappa da questo palazzo pericolante?
«Secondo me no. Ma certo bisogna consolidarlo. Migliorando le condizioni di vita per  gli anziani e rinforzando il peso quantitativo dei giovani ma anche il  loro contributo qualitativo al processo di crescita del Paese, evitando  che vadano via o - se l'hanno già fatto - offrendo qualcosa per cui  valga la pena tornare. L'Italia di potenzialità ne ha, ma ora è come un  terreno fertile coltivato male. Se vogliamo che dia buoni frutti,  dobbiamo coltivarlo meglio, insieme».
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