9 dicembre forconi: 05/28/18

lunedì 28 maggio 2018

RENZI AI SUOI: “MI DICONO CHE MATTARELLA IN QUESTI GIORNI HA ASCOLTATO MOLTO DRAGHI E VISCO, CHE VEDONO SAVONA COME FUMO NEGLI OCCHI.”

E MATTARELLA CHIESE A CONTE: "ESISTE UN PIANO "B" PER USCIRE DALL'EURO?''
E MATTARELLA CHIESE A CONTE: "ESISTE UN PIANO "B" PER USCIRE DALL'EURO?''

Augusto Minzolini per “il Giornale”

MATTARELLA SALVINIMATTARELLA SALVINI
Al mattino a un amico che partecipava a uno dei tanti convegni del week-end milanese, Giancarlo Giorgetti, il consigliere principe di Matteo Salvini, ha confidato al telefono tutta la nevrosi accumulata per una estenuante trattativa finita male. «Anche Matteo ha spiegato è altalenante: una volta dice che vuole usare la candidatura del prof. Savona come un piede di porco per far saltare tutto; un altro momento ci ripensa. Sono stressato, spero che al più presto si arrivi a una decisione. Qualunque essa sia».

Passa qualche ora e si capisce che sul nome del professor Savona, il vecchio samurai diventato il pomo della discordia, sarebbe fallito il tentativo di Giuseppe Conte. «Anche l'incontro di questa sera tra Mattarella e Conte non servirà a niente-, predice Giorgetti a un amico alle 17 -. Tutti sono rimasti sulle loro posizioni».

VISCO E DRAGHI 05VISCO E DRAGHI
In realtà a quell'ora si era già capito che le missioni del pomeriggio al Quirinale del leader della Lega, Salvini, prima, e, poi, del capo dei 5stelle, Luigi Di Maio, terrorizzato dal rischio di andare nuovamente alle urne, si erano risolte in un fallimento. «Se su Savona ha tagliato corto Salvini c'è il no di Berlino e dei poteri forti, significa che è il ministro giusto. Se non lo vogliono si torna a votare». «Qui ha confidato Di Maio, di ritorno dal Colle, ai suoi finisce male.

BERLUSCONI SALVINI MELONI CON MATTARELLABERLUSCONI SALVINI MELONI CON MATTARELLA



La posizione di Mattarella è incomprensibile».

Mentre al Quirinale un Capo dello Stato, fuori di sé, non risparmiava nulla ai suoi interlocutori: «Dovranno spiegare agli italiani, quello che succederà da domani in poi sui mercati».

La verità è che il «caso Savona» è diventato alla fine l'elemento catalizzatore del «non detto» di queste settimane: c'è stato un problema istituzionale che ha tirato in ballo le prerogative del Capo dello Stato; c'è stato un problema economico che ha riguardato i rapporti con l'Unione Europea; c'è stato un problema finanziario che ha investito anche le relazioni con Bankitalia e con la Bce; ed ancora, ci sono state tutte le contraddizioni, che, piano piano, sono venute in luce nel contratto di governo.

VISCO DRAGHIVISCO DRAGHI
E la montagna di parole con cui i mediatori hanno tentato di coprire tutto questo negli ultimi giorni, quello spesso manto di ipocrisia, non è bastata per raggiungere un compromesso. Sicuramente non è bastata la dichiarazione di Savona. Anzi, la sortita del professore ha spostato l'attenzione sul «contratto» di governo, su quelle domande che ieri Mattarella stesso ha rivolto nell' incontro al Quirinale al premier incaricato: esiste un piano «B» per uscire dall'euro o è solo una fantasia? Che tipo di rapporto questo governo vuole instaurare con la Germania?

PAOLO SAVONAPAOLO SAVONA
Insomma, con le parole si è tentato di individuare una mediazione impossibile: il lessico di mille dichiarazioni e un intero vocabolario di aggettivi rassicuranti, non avrebbero potuto, infatti, sminuire il significato e i modi della possibile nomina di un personaggio come Savona con il suo profilo, la sua personalità, la sua storia al ministero dell'Economia.

Delle due l'una: la nomina di Savona al ministero di via Venti Settembre avrebbe avuto il significato di un cedimento di Mattarella, per cui l'influenza che il Quirinale via via è venuto ad assumere nei settennati di Scalfaro, Ciampi e, soprattutto, Napolitano, sarebbe diventata un pallido ricordo; se, invece, Salvini avesse accettato l'esclusione del Professore, avremmo avuto il paradosso che il primo governo «sovranista» di questo Paese, sarebbe stato il primo a essere condizionato platealmente dalla Ue e dalla Germania, nella scelta del ministro dell' Economia.

matteo salvini claudio borghiMATTEO SALVINI CLAUDIO BORGHI
Da qui non si scappa. Ci sarebbe stato un vincitore e un perdente. E nessuno era nelle condizioni di poter accettare una sconfitta. Nessuno dei due veri duellanti, Mattarella e Salvini, ha voluto fare un passo indietro, consapevoli della posta in gioco.

«Non mi arrendo», ha ripetuto per tutto il giorno Salvini. Un'espressione che il fido Claudio Borghi ha tradotto in questo modo lanciando segnali di nuovo a Berlusconi, dopo il «freddo» di queste settimane, per la prossima campagna elettorale: «Mattarella e compagni non sono lucidi. Stanno facendo a Salvini il favore che l'establishment americano ha fatto a Trump. Le hanno provate tutte. Anche di dividere il ministero dell'Economia in due, per impedire a Savona di partecipare ai vertici europei.
PAOLO SAVONAPAOLO SAVONA

La verità è che questa crisi pone non solo il problema del nostro rapporto con l'Europa, ma anche di quanto è avvenuto nel 2011: la domanda da porsi è se l'Italia è un Paese a sovranità limitata o no? È una questione che non nasce ora. Lo sa benissimo Berlusconi che ha l'occasione di vendicarsi per tutto quello che gli hanno fatto. Ieri c' è stato un Capo dello Stato che su ordine della Ue ha fatto fuori un premier. Oggi c'è un Capo dello Stato che ha posto un veto sulla nomina di un ministro, sempre su ordine di Bruxelles. Tutti i nodi sono venuti al pettine».

E già, sul nome di Savona è andato in scena lo scontro tra due mondi. Uno scontro che non riguarda solo il tema europeo, ma anche questioni spinose come la politica del credito, delle banche che riaprono vecchie ferite e suscitano nuovi rancori nel nostro establishment.

renzi mattarellaRENZI MATTARELLA
«Mi dicono ha confidato Matteo Renzi ai suoi, per spiegare l'avvitarsi della situazione che Mattarella in questi giorni ha ascoltato molto Draghi e Visco, che vedono Savona come fumo negli occhi. Tra l'altro quello che dice Savona sugli errori fatti da Bankitalia nel trattare i problemi delle piccole banche o il bail-in, io lo firmerei».

Quindi, con Bruxelles, Berlino, Draghi, Visco che premevano, Mattarella non ha potuto non mettere quel «veto» su Savona. E ha dovuto accettare un grande rischio, quello su cui D' Alema giorni fa lo ha messo in guardia: «Se il Presidente dice no a Savona, rischia di ritrovarsi di nuovo di fronte lo stesso problema dopo le elezioni. Con Salvini che, però, gli metterà sul tavolo una maggioranza dell' 80%».
angela merkel silvio berlusconiANGELA MERKEL SILVIO BERLUSCONI

Già, con quel «no» ora Mattarella rischia di diventare l'obiettivo di una campagna elettorale, di essere sfiduciato dal Paese. Ecco perché forse farebbe bene a non tirarsi addosso nuove critiche e polemiche, varando un governo di «tecnici» per portare il Paese al voto (per questa mattina ha convocato al Quirinale il professor Cottarelli, l'uomo che mise in piedi un piano per la spending review).

Sarebbe stato più prudente per lui rifugiarsi dietro a qualche precedente, mettere in piedi un governo istituzionale, guidato da uno dei due presidenti delle Camere, come fece Francesco Cossiga nell'87. Come dice il proverbio: «chi lascia la via vecchia per la nuova sa quello che lascia, ma non sa quello che trova».

Fonte: qui

Cina. Arabia Saudita accetta i petro-yuan

Pechino-Cina

Tutta questa complessa problematica sarebbe facilmente comprensibile rileggendo, e meditando, questi scarni dati  pubblicati dall’International Monetary Fund World Economic Outlook (October – 2017).

Le proiezioni al 2022 danno la Cina ad un pil ppa di 34,465 (20.54%) miliardi di Usd, gli Stati Uniti di 23,505 (14.01%), e l’India di 15,262 9.10%) Usd. Seguono Giappone con 6,163 (3.67%),  Germania (4.932%), Regno Unito 3,456 (2.06%), Francia 3,427 (2.04%), Italia 2,677 (1.60%). Russia 4.771 (2.84%) e Brasile 3,915 (2.33%).

I paesi del G7 produrranno 46,293 (27.59%) mld Usd del pil mondiale, mentre i paesi del Brics renderanno conto di 59,331 mld Usd (35.36%).

– Gli Stati Uniti non sono più la prima potenza economica mondiale, contano il 14.01% quando la Cina raggiunge il 20.54%.

– Ma assieme agli Stati Uniti tutto il sistema economico occidentale non funziona più come in passato: i paesi afferenti il G7 costituiscono il 27.59% del pil ppa mondiale contro il 35.36% dei paesi del Brics.

Dimenticate Russia, Arabia, Iran, Opec. È la Cina che fa i prezzi del petrolio.

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Volenti o nolenti si sta chiudendo il periodo in cui il dollaro americano era l’unica valuta usata per gli scambi internazionali. Questo non significa certo che lo yuan abbia soppiantato già il dollaro, ma la strada è questa.

La convivenza non sarà certo facile.

The Risks of the China-Saudi Arabia Partnership

Lead Story: China acts to make petro-yuan a reality

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«Già nel 2015 la Cina è diventata il primo importatore di greggio saudita e ha scavalcato gli Stati Uniti. Il trend si è consolidato.»

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«Nel 2017 l’Arabia Saudita, primo esportatore al mondo con una media 7 milioni di barili al giorno, ne ha venduti 1.070.000 alla Cina e soltanto 950.000 agli Usa»

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«E’ una «spinta verso Est» che rende sempre più importanti i rapporti fra i due Paesi: sono su fronti geopolitici diversi ma complementari dal punto di vista economico»

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«Per cementare gli scambi Pechino e Riad hanno deciso di lanciare contratti denominati in yuan, e ancorati all’oro, sullo Shanghai Energy Stock Exchange. I contratti in «petro-yuan» hanno debuttato il 26 marzo e i contratti futures sono stati subito trattati da giganti finanziari come Glencore e Trafigura.»

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«A maggio gli Shanghai crude oil futures sono arrivati a coprire il 12 per cento del mercato mondiale, in crescita dall’8 per cento di marzo e con un raddoppio degli scambi settimanali. Il prezzo del barile denominato in yuan ha oscillato in questi due mesi fra i 429 e 447 yuan»

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Le conseguenze non sono però solo contabili oppure economiche: potrebbero essere anche politiche, e di gran peso.

«l’Iran potrebbe aggirare le sanzioni vendendo il greggio in Asia senza usare la valuta americana»

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In una simile situazione, il peso di eventuali sanzioni imposte, per esempio, all’Iran potrebbe essere sostanzialmente ridotto, per non dire vanificato.

Si dovrebbe prendere atto come l’Occidente non abbia più la possibilità di imporre le sue scelte né con mezzi militari né con mezzi economici.

Restano aperte le strade maestre della diplomazia, questo sicuramente, ma questa via presupporrebbe una reciproca accettazione, punto nodale sul qual l’Occidente è troppo spesso andato oltre il lecito.


→ La Stampa. 2018-05-28. I petrodollari tramontano, lo yuan cinese conquista Riad

E l’Iran potrebbe aggirare le sanzioni vendendo il greggio in Asia senza usare la valuta americana.

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La Cina si avvicina all’Arabia Saudita e lancia la sfida al cuore dell’egemonia statunitense nell’economia mondiale, i petrodollari. Una svolta che potrebbe anche rendere meno efficaci le sanzioni all’Iran. Dal giugno 1974, dopo la prima crisi petrolifera, un patto di ferro siglato dall’allora presidente Richard Nixon e Re Faisal d’Arabia, ha stabilito che gli acquisti di greggio sul mercato del Golfo dovessero essere effettuati con il biglietto verde. Da quei Paesi arriva un quarto della produzione e metà delle esportazioni di petrolio al mondo e questo ha dato alla moneta di Washington un vantaggio su tutte le altre. Ma lo scorso dicembre, in un incontro fra il nuovo ministro delle Finanze saudita, Mohammed Al-Jadaan, e il governatore della Banca centrale cinese Zhou Xiaochuan, per la prima volta si è affacciato un concorrente. Pechino. 

Già nel 2015 la Cina è diventata il primo importatore di greggio saudita e ha scavalcato gli Stati Uniti. Il trend si è consolidato. Nel 2017 l’Arabia Saudita, primo esportatore al mondo con una media 7 milioni di barili al giorno, ne ha venduti 1.070.000 alla Cina e soltanto 950.000 agli Usa. La Cina, primo importatore al mondo con acquisti per 8,6 milioni di barili al giorno, ne ha comprati 1,1 milioni da Riad, scavalcata l’anno scorso dalla Russia con 1,2 milioni. E’ una «spinta verso Est» che rende sempre più importanti i rapporti fra i due Paesi: sono su fronti geopolitici diversi ma complementari dal punto di vista economico. Per cementare gli scambi Pechino e Riad hanno deciso di lanciare contratti denominati in yuan, e ancorati all’oro, sullo Shanghai Energy Stock Exchange. I contratti in «petro-yuan» hanno debuttato il 26 marzo e i contratti futures sono stati subito trattati da giganti finanziari come Glencore e Trafigura.  

E’ stato un debutto con i fuochi di artificio. A maggio gli Shanghai crude oil futures sono arrivati a coprire il 12 per cento del mercato mondiale, in crescita dall’8 per cento di marzo e con un raddoppio degli scambi settimanali. Il prezzo del barile denominato in yuan ha oscillato in questi due mesi fra i 429 e 447 yuan, con una quotazione a metà strada fra il prezzo del Brent europeo e il Wti americano, come ha notato il portale geopolitico francese Leap. Il vantaggio per la Cina è che non deve più acquistare dollari per comprare greggio mentre per l’Arabia Saudita la scelta riflette la nuova realtà del mercato, con due terzi delle esportazioni che vanno oramai verso l’Asia. La Cina è poi un partner «più accomodante» dal punto di vista politico, non chiede rispetto dei diritti umani o riforme in senso liberale dell’economia. Ed è per questo che il Fondo sovrano China Investment Corporation è visto come favorito per l’acquisto del 5 per cento della compagnia petrolifera saudita, l’Aramco, un affare da 100 miliardi. 

Ma il boom dei petro-yuan è legato anche alle nuove sanzioni americane all’Iran. Già nel 2012, all’inizio del nuovo round di restrizioni durate fino all’accordo sul nucleare del 2015, Pechino aveva cominciato a comprare greggio iraniano in yuan. Ora gli scambi che potrebbero arrivare all’equivalente di 30-40 miliardi all’anno perché Teheran cercherà di sostituire i mercati europei con quello cinese, sempre più assetato, tanto che nel primi mesi del 2018 le importazioni hanno superato i 9 milioni di barili al giorno. E’ probabile quindi che l’esperimento dei petro-yuan sia esteso all’Iran, in modo da aggirare le sanzioni americane, che si applicano ai contratti denominati in dollari. Questo spiega l’effervescenza della Borsa petrolifera di Shanghai, partita con «un rombo di tuono», come ha commentato l’agenzia broker di Singapore Oanda. Shanghai potrebbe presto rivaleggiare «con i due mercati di riferimento» per il greggio, il Brent a Londra e il Wti americano. E il re petrodollaro rischia di perdere lo scettro. 

Fonte: qui

BANNON SOFFIA SUL FUOCO POPULISTA: “QUELLO CHE E’ SUCCESSO IN ITALIA E’ DISGUSTOSO, FASCISTA E ANTIDEMOCRATICO. POTERI E CAPITALI STRANIERI HANNO PRESO LA SOVRANITA’”

MACRON OVVIAMENTE CORRE A SOSTEGNO: “GRANDE RESPONSABILITA’ DA PARTE DI MATTARELLA”

MERKEL TIENE IL PUNTO: “VOGLIAMO COLLABORARE CON TUTTI MA…”

MACRON ELOGIA 'RESPONSABILITÀ E CORAGGIO' MATTARELLA
merkel macronMERKEL MACRON
(ANSA) - Il capo dello Stato francese, Emmanuel Macron, ha elogiato il "coraggio" e il "grande spirito di responsabilità(AHAHAHAHAH!!!)" del presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella.

MERKEL, ROMA? COLLABORIAMO CON TUTTI MA CI SONO PRINCIPI
(ANSA) - "Vogliamo collaborare con tutti i governi, ma ci sono anche dei principi nell'eurozona". Lo ha detto Angela Merkel, rispondendo ad alcune domande sulle difficoltà future con l'Italia al Global Solutions Summit a Berlino.
stephen bannonSTEPHEN BANNON

"Ovviamente ci saranno dei problemi. Anche all'epoca, con la Grecia di Tsipras, ci furono problemi, e poi ci siamo accordati". "Lavorammo per molte, molte notti fino ad arrivare ad un accordo", ha aggiunto. Ne vale la pena, per la cancelliera, "l'Italia è un membro importante dell'Ue", ha concluso.

BANNON, TOLTA SOVRANITÀ ALL'ITALIA, È DISGUSTOSO
(ANSA) - Quanto successo in Italia a livello politico nelle ultime 48 ore è "disgustoso" ma anche "fascista e antidemocratico": è l'opinione dell'ex stratega di Donald Trump Steve Bannon, intervenuto a un incontro a Roma. "Poteri, capitali e media stranieri hanno preso la sovranità dell'Italia", sostiene Bannon, che punta il dito contro "il partito globalista di Davos". Quanto al premier incaricato Cottarelli, secondo Bannon si tratta di "un altro tecnocrate dal Fmi".
bannonBANNON

"Il 60% degli italiani vogliono indietro il loro Paese. Cosa c'è di più fascista di portare loro via ciò per cui hanno votato", si è chiesto Bannon, secondo il quale "da qui alle prossime elezioni l'intensità degli attacchi aumenterà". A suo parere si tratta in ogni caso di "un giorno storico" perché Lega e M5s "hanno strappato la maschera ai globalisti". Bannon ha tracciato un parallelo tra Brexit, la vittoria di Donald Trump e le elezioni del 4 marzo, sottolineando che oggi "l'Italia è importante a livello globale, è al centro del mondo politico". "Bruxelles, Francoforte, Davos, Wall Street - ha aggiunto - non hanno consentito la formazione del governo perché se avesse funzionato il modello si sarebbe diffuso anche altrove". Fonte: qui

CHE FA BERLUSCONI? – LEGITTIMATO DALL'EUROPA COME FORZA GARANTE DELL'ANTI-POPULISMO, LODA MATTARELLA: DIFENDIAMO IL RISPARMIO DELLE FAMIGLIE

LA TELEFONATA DI SOLIDARIETA' DI SILVIO AL QUIRINALE MA NON SI SBILANCA SULLA FIDUCIA A COTTARELLI ASPETTANDO LE MOSSE DI QUEL GIOCATORE DI POKER A CAPO DELLA LEGA

Barbara Acquaviti per il Messaggero

BERLUSCONI MATTARELLABERLUSCONI MATTARELLA
Il sospiro di sollievo, la sua prima reazione. L' idea di un governo che avesse due esponenti di spicco del M5s, lo stesso Di Maio e Bonafede, ad occuparsi di due argomenti per lui sensibili come Comunicazioni e Giustizia, lo stava inquietando non poco. Ma è la difesa di Sergio Mattarella, il no a quell' ipotesi di impeachment su cui invece si potrebbero ritrovare sia Matteo Salvini che Giorgia Meloni, la linea di confine su cui Silvio Berlusconi colloca le truppe di Forza Italia subito dopo il fallimento del tentativo del governo Conte.

MATTARELLA BERLUSCONIMATTARELLA BERLUSCONI
«Prendiamo atto con rispetto delle decisioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e osserviamo con preoccupazione l' evolversi della situazione politica». Soprattutto, l' ex premier sembra dare forza alle motivazioni con cui il capo dello Stato si è opposto alla nomina di Paolo Savona come ministro dell' Economia. «In un momento come questo il primo dovere di tutti e difendere il risparmio degli italiani, salvaguardando le famiglie e le imprese del nostro Paese».


La parola d' ordine, tuttavia, resta sempre quella di attaccare i grillini, senza toccare gli alleati. «Il movimento Cinquestelle che parla di impeachment è come sempre irresponsabile». Mentre verso il capo dello Stato si aizzava la grancassa di M5s e Lega, infatti, da Arcore sarebbe partita una telefonata di solidarietà in direzione del Quirinale.

GOVERNO DEL PRESIDENTE

Berlusconi, però, al momento non si sbilancia sulla possibilità che gli azzurri sostengano il governo del presidente che potrebbe vedere la luce nelle prossime ore, dopo la convocazione di Carlo Cottarelli al Colle. Perché il tentativo è quello di mantenere un difficile equilibrismo che consenta di tenere ancora in piedi l' alleanza di centrodestra. Per questo, si evita qualsiasi attacco a Matteo Salvini. E questo sebbene, nello scorrere la lista dei potenziali ministri giallo-verdi, Berlusconi si sia reso conto che le rassicurazioni avute dall' alleato nell' ultimo faccia a faccia alla Camera, fossero del tutto aleatorie.

berlusconi salvini meloniBERLUSCONI SALVINI MELONI
A differenza del leader della Lega, il presidente di Fi non ha fretta di andare a votare, sebbene sia convinto che la sua riabilitazione, e dunque la sua candidabilità, potrebbero consentire a Forza Italia di tenere il passo con quello che sembra ora lo strapotere leghista. Ma sa che da ieri questa ipotesi è più probabile. «Forza Italia attende le determinazioni del Capo dello Stato, ma ove necessario sarà pronta al voto».

D' altra parte, resta il timore che l' asse giallo-verde vada oltre l' esperimento fallito del governo e si concretizzi, anche alle Politiche, in un' intesa sui territori, magari basata su una reciproca desistenza. Ma un altro tema condizionerà il fragile equilibrio su cui si regge l'alleanza di centrodestra: il rapporto con l' Europa, su cui l' alleanza già aveva trovato una difficile sintesi. Salvini potrebbe polarizzare la campagna elettorale su questo discrimine, mentre Berlusconi da tempo si è accreditato come garante con gli amici del Ppe.



Fonte: qui

P.S.
Governo, spread sfonda i 230 punti. In Borsa banche ancora a picco. 

Analisti: “Verso nuovo voto con escalation anti Ue”



Governo, Conte rinuncia e Mattarella convoca Cottarelli - Di Maio chiede lʼimpeachment, Salvini: "Al voto"

Decisivo il nodo sul nome di Savona e soprattutto le sue idee di politica economica, che è stato stoppato dal Colle.

FOLLIA AL COLLE - IL CANDIDATO GIUSTO E' UN UOMO DELLA TROIKA: CARLO COTTARELLI!

LA SCIAGURATA DECISIONE POLITICA (GIA' BOCCIATA DAL VOTO DEGLI ITALIANI) DEL QUIRINALE E' APPOGGIATA SOLO DA SILVIO BERLUSCONI E DAL PD.

Il premier incaricato Conte ha rimesso l'incarico al Presidente, che ha convocato per lunedì Cottarelli, l'ex commissario alla spending review del governo Renzi. Decisivo il nodo sul nome dell'economista Savona. "Ho accettato tutti i ministri tranne quello dell'Economia, ho registrato con rammarico indisponibilità ad ogni altra soluzione", ha sottolineato Mattarella. Irritazione di Di Maio, che chiede l'impeachment del Capo dello Stato, mentre Salvini vuole il ritorno alle urne: "Subito la data delle elezioni o andiamo a Roma".



Scontro istituzionale senza precedenti - Dopo 85 giorni di stallo e di tentativi infruttuosi di dare un governo al Paese, l'impasse politica si trasforma dunque in uno scontro istituzionale senza precedenti. Il no del Quirinale all'impuntatura di Lega e M5s sul nome dell'economista sardo Paolo Savona scatena, infatti, l'ira di Salvini e Di Maio. E verso il Capo dello Stato si materializza la possibilità dell'accusa peggiore: quella di impeachment, la messa in stato d'accusa del Presidente per alto tradimento. Accusa mossa dal M5s e su cui anche Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni concorda. E mentre Salvini, per ora, glissa sull'ipotesi che i 5 Stelle vogliono invece portare in Parlamento, arriva la presa di distanze di Silvio Berlusconi. Parole "irresponsabili", taglia corto il leader di Forza Italia.



Cottarelli, il piano B del Colle - La bufera si scatena sul Presidente della Repubblica che ha tuttavia in serbo un piano B: per lunedì mattina è stato convocato al Colle Carlo Cottarelli, l'economista che non dispiaceva né al M5s né alla Lega per il lavoro da lui a suo tempo svolto sulla spending review. Nessun commento ufficiale di Cottarelli ma chi l'ha sentito racconta che la telefonata del Colle ha colto "di sorpresa" l'ex commissario, che ora si prepara in fretta a raggiungere la Capitale da Milano per presentarsi all'appuntamento con Mattarella. Giusto il tempo, ha scherzato con chi gli ha parlato, di finire di correggere i compiti dei suoi studenti della Bocconi.

Nuove elezioni ad ottobre? Salvini chiede subito la data - Per Cottarelli potrebbe profilarsi un incarico per un governo del Presidente che se dovesse essere bocciato dal Parlamento, porterebbe il Paese a nuove elezioni. Probabilmente ad ottobre. E chi chiede con forza l'immediato ritorno al voto è Salvini. "Vogliamo una data per le elezioni, altrimenti veramente andiamo a Roma. Dopo anni hanno gettato la maschera", afferma il leader leghista in diretta Facebook. "Stavolta ci hanno fermato, ma non lo faranno la prossima volta", aggiunge.

Mattarella: "Non posso subire imposizioni" - Mattarella, durante il suo discorso dopo la rinuncia di Conte, è costretto a ricordare le sue prerogative e spiega di non aver mai ostacolato la formazione di un governo politico e anzi di aver sostenuto il tentativo di formare un esecutivo in base alle regole previste dalla Costituzione. Il suo ruolo, sottolinea ancora una volta, non ha mai subito né può subire imposizioni.

Irritazione di Lega e M5s: "Scelta incomprensibile"  - Ma non sono dello stesso avviso i leader delle due forze alleate per il governo che ha chiamato al Colle per incontrarli prima di ricevere il premier incaricato con riserva. "Questa scelta è incomprensibile", scuote la testa Di Maio mentre Salvini esprime tutta la sua rabbia per il tentativo fallito a causa delle ingerenze europee: "Mai servi, mai schiavi", avverte il leader del Carroccio.

Di Maio svela la lista dei ministri portata al Colle - E Di Maio snocciola in un video su Facebook la composizione del governo "che avrebbe potuto vedere la luce lunedì mattina". Vicepresidente e ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, Luigi Di Maio. Vicepresidente e ministro dell'Interno, Matteo Salvini. Rapporti con il parlamento, Riccardo Fraccaro. Pa, Giulia Bongiorno. Affari Regionali, Enrica Stefani. Sud, Barbara Lezzi. Disabilità, Lorenzo Fontana. Affari Esteri, Luca Giansanti. Giustizia, Alfonso Bonafede. Difesa, Elisabetta Trenta. Economia e finanze, Paolo Savona. Politiche agricole, Gian Marco Centinaio. Infrastrutture e trasporti, Mauro Coltorti. Istruzione, Marco Bussetti. Beni Culturali, Alberto Bonisoli. Salute, Giulia Grillo, Sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti.


Inutile la nota diffusa da Savona: "Voglio un'Europa diversa" - Di Maio e Salvini credevano sarebbe potuta bastare una preventiva dichiarazione di fede europeista da parte di Savona per convincere il Colle. E l'economista sardo ci aveva anche provato. Nel pomeriggio, mentre il candidato premier lavorava a casa, Savona aveva infatti diffuso una sua dichiarazione per chiarire quali fossero le sue posizioni sul "tema dibattuto e quelle del governo che si va costituendo interpretando correttamente la volontà del Paese". In poche parole, "voglio una Europa diversa, più forte, ma più equa", aveva detto l'ex ministro che stigmatizza la "scomposta polemica che si è svolta sulle mie idee in materia di Unione europea".

No del Colle ad un "sostenitore di una possibile fuoriuscita dall'euro" - Ma al Quirinale la sua professione europeista non è bastata e non ha potuto che dire "no" ad un "sostenitore di una possibile fuoriuscita dall'euro". Nonostante il suo ultimo tentativo di mediazione l'incarico al prof di diritto privato mostra a quel punto di essere arrivato ad un nulla di fatto. Rimette il mandato per "formare il governo di cambiamento" nelle mani del Presidente che ringrazia così come gli esponenti delle due forze politiche per aver indicato il suo nome ed avergli dato fiducia.


Fonte: qui

 

Chi è Carlo Cottarelli, una vita tra Bankitalia Fmi e spending review

A suo modo Carlo Cottarelli un ruolo, e non certo secondario, lo ha avuto nel corso della campagna elettorale. Attraverso il suo Osservatorio sui conti pubblici ha fatto le pulci a tutti i programmi di spesa delle forze politiche, mettendo in correlazione le relative coperture. Ipotesi di spesa che in molti casi non sono risultate coperte da pari incrementi di entrata o da contestuali tagli. Sempre in campagna elettorale è stato evocato come possibile ministro sia dai Cinquestelle che dal centrodestra, più volte evocato per le coperture di programmi roboanti. Lui si è anche detto disponibile a eventuali incarichi di governo, ma nella precondizione che non si può generare crescita e occupazione attraverso l’aumento del debito. Un modo per prendere le distanze – da ultimo nel corso di un incontro organizzato a Milano dalla Adam Smith Society - anche dal contratto di governo M5S-Lega. La convocazione partita dal Quirinale al termine di una giornata in cui la crisi politica ha investito frontalmente la massima istituzione di garanzia del Paese prelude a un incarico per la formazione del governo, con un orizzonte temporale (soprattutto se non otterrà la fiducia dal Parlamento) limitato.
Di certo si può sostenere che, a differenza di Giuseppe Conte indicato da Lega e Cinque Stelle per Palazzo Chigi, Carlo Cottarelli è bene conosciuto a livello internazionale, in Europa e oltre Oceano. Dopo l’esordio nel 1981 nel Servizio Studi della Banca d’Italia, nel 1988 passa al Fmi con l’incarico di direttore degli Affari Fiscali. A Washington trascorre buona parte della sua esperienza professionale, con incarichi crescenti quali quello di capo della delegazione del Fmi in Ungheria, Turchia, Regno Unito e Italia. Quando nel 2013 Enrico Letta lo chiama a Roma affidandogli l’incarico di commissario alla spending review ai giornalisti convocati in Via XX Settembre per la sua apparizione pubblica sorge spontanea la domanda: dottor Cottarelli, ma è proprio convinto della sua scelta, visto che i tagli alla spesa nel nostro paese non si riescono proprio a fare? Risposta: ho vissuto buona parte della mia vita professionale negli Stati Uniti, ora mi sembra giunto il momento di fare qualcosa in prima persona per il mio paese. Scelta tutt’altro che facile, se si considera che la sua famiglia aveva deciso di restare negli Stati Uniti. Si mette all’opera e comincia a setacciare la spesa pubblica in tutti i suoi meandri, con una premessa, più volte ribadita: la razionalizzazione della spesa pubblica in Italia è doverosa e possibile, ma i tecnici possono setacciare, proporre e indicare strade e possibili interventi. 

Ma è poi la politica che decide, è la politica che in alcuni casi deve assumersi l’onere anche dell’impopolarità se si vanno a toccare posizioni di rendita e privilegi consolidati nei decenni. In realtà alcune delle sue proposte saranno oggetto di attenta analisi in sede politica, come quella di agire sul fronte delle agevolazioni fiscali e di intervenire per disboscare l’universo delle società partecipate, ma il cammino per una vera razionalizzazione della spesa resta incerto. La breve esperienza del governo Letta e il cambio della guardia a Palazzo Chigi con Matteo Renzi lasciano intendere fin dalle prime battute che la coabitazione con il nuovo capo del governo sarà tutt’altro che agevole. 

Le proposte a volte tranchant di Cottarelli non entusiasmano Renzi, attento prima di tutto al loro impatto in termini di consenso. Cottarelli chiude la sua esperienza come commissario alla spending review e su designazione dello stesso governo Renzi torna nel 2014 al Fmi in qualità di direttore esecutivo. Nell’ottobre dello scorso anno, scaduto l’incarico, torna in Italia e a Milano fonda l’Osservatorio sui conti pubblici. Ora si appresta a tornare a palazzo Chigi, in una situazione politica senza precedenti. La sua linea è che il debito va ridotto e va mantenuto un congruo avanzo primario, puntando sulla crescita. Il tutto con un approccio certamente problematico rispetto alla linea di politica economica adottata dall’Europa negli anni del rigore, ma comunque fortemente ancorato all’euro e alla salvaguardia del bene primario della stabilità finanziaria.

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TRUMP RIAPRE AL VERTICE CON KIM JONG UN: "PROCEDIAMO MOLTO BENE"

GLI STATI UNITI AVEVANO ANNULLATO IL VERTICE FISSATO PER IL 12 GIUGNO A SINGAPORE MA IL LEADER DELLA COREA DEL NORD HA ESPRESSO LA SUA “FERMA VOLONTA’” DI INCONTRARE TRUMP
IL PRESIDENTE SUDCOREANO MOON JAE-IN: "PYONGYANG VUOLE LA DENUCLEARIZZAZIONE DELLA PENISOLA"

Il leader della Corea del Nord, Kim Jong-un, ha espresso la "sua ferma volontà" di incontrare il presidente americano Donald Trump. Lo riferisce l'agenzia ufficiale nordcoreana Kcna, dopo l'incontro a sorpresa di sabato tra Kim e il presidente sudcoreano Moon Jae-in. "Stiamo procedendo molto bene riguardo ai colloqui sul summit", ha dichiarato il numero uno della Casa Bianca. Gli Usa avevano annullato il vertice fissato per il 12 giugno a Singapore.

KIM TRUMPKIM TRUMP
Il Governo di Pyongyang ha inoltre riaffermato l'intenzione di procedere verso la denuclearizzazione della penisola, ha riferito Moon Jae-in parlando dell'incontro con Kim al villaggio di confine di Panmunjeom, luogo in cui nel 1953 fu firmato l'armistizio che pose fine alla Guerra di Corea. Secondo il presidente sudcoreano, la Corea del Nord resta tuttavia dubbiosa sulla "promessa degli Stati Uniti sulla sicurezza garantita" dopo il completamento del complesso processo di stop al nucleare.

Un altro incontro tra i leader delle due Coree dovrebbe tenersi il 1° giugno. Il faccia a faccia tra Kim e Trump dovrebbe svolgersi invece il 12 giugno a Singapore. Dalla parte americana sembra crescere la fiducia, caduta solo poche ore fa, che il vertice possa portare dei risultati positivi.

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Ma Savona voleva davvero il ritorno alla Lira? Breve storia del "Piano B"

I dubbi sull'economista da parte del Quirinale sarebbero dovuti anche alle sue posizioni contro l'Euro. E mentre molti ricordano che fu lui ad ipotizzare per primo un piano alternativo all'Euro, altri ricordano che in realtà non è proprio così 
Con una lettera Paolo Savona ha provato il 27 maggio a fugare i dubbi sulla sua posizione anti europeista. In un testo affidato a Scenarieconomici.it, sito a cui spesso il professore ha affidato le proprie riflessioni su economia, finanza e innovazione, dice: "Le mie posizioni sono note. Voglio un' Europa diversa, più forte ma più equa". Savona ha parlato di “polemiche scomposte” auspicando inoltre l'attribuzione "al Parlamento europeo di poteri legislativi sulle materie che non possono essere governate con pari efficacia a livello nazionale". Propone di "creare una scuola europea di ogni ordine e grado per pervenire a una cultura comune che consenta l'affermarsi di consenso alla nascita di un'unione politica". 

Parole però che non hanno tranquillizzato fino in fondo. Non sul tema più caldo, quello su cui molti si aspettavano qualche riga. Nella lettera infatti non si fa riferimento diretto all’euro, né alle sorti dell'Italia dentro o fuori la moneta unica. Savona è in questi giorni indicato da molti come l’ideatore di un piano B per risolvere la crisi dell’eurozona. Il primo, il piano A, prevedeva una riforma dell’area euro ma una sostanziale sopravvivenza della moneta unica. Il secondo, quello B appunto, una rottura ordinata dell’euro e un ritorno alla sovranità monetaria nazionale, alla libertà di creare moneta, di svalutare per favorire le esportazioni, in sintesi un ritorno ad una moneta nazionale come fu la Lira.

Ma Savona preferisce davvero la rottura dell'Euro?

In realtà Savona non sarebbe l’ideatore di questo piano di uscita ordinata dell’Italia dall’Euro, anche se ne parlò in alcune occasioni, come una puntata de L’infedele di Gad Lerner del 2012 che sta circolando molto sui social in queste ore. Savona, al minuto 8 di questo video ancora disponibile su Youtube, spiega alle telecamere che un piano per l'uscita ordinata dall'Euro e un ritorno ad una moneta nazionale, come era la Lira, era qualcosa che già l'ex ministro dell'economia Giulio Tremonti aveva preparato, dicendosi sicuro che anche Bankitalia, "conoscendola bene" aveva pronto un piano alternativo all'Euro in caso di emergenza: il famoso Piano B, che però non dice mai di preferire ad una riforma dell'Euro stando dentro l'Euro. 


In articolo sempre su Scenarieconomici.it pubblicato il 27 maggio si ricostruisce la storia del Piano B e della sua relazione con Savona, che oggi si dà per scontata: emerge che nel 2015, durante una conferenza alla Link University di Roma intitolata proprio “Un piano B per l’Italia, Paolo Savona fece solo l’introduzione alla discussione, dove però si concentrò solo sul piano A, quello che spesso ha detto di preferire, ovvero una serie di misure necessarie  “per rendere l’Euro una moneta veramente comune ed unitaria europea”.

Mentre in realtà il Piano B sarebbe stato il frutto del lavoro di un team di economisti non concepito come “una strada da percorrere, ma come un piano di emergenza a fronte di eventi monetari improvvisi e di rottura”. Una sorta di “Lancia di salvataggio” o di “Uscita d’emergenza” economica, spiega l’articolo che ricorda l’evento, “che viene progettata non per un suo normale utilizzo, ma per far fronte ad eventi imprevedibili ed indesiderati che, comunque, potrebbero accadere non per nostra volontà”.
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