IL POSTO DELL'ITALIA SCONFITTA, TRA NATO E GUERRA FREDDA
PER L’FBI NON SI COLPISCE UNA CELLULA MA SI DEVE ESTIRPARE TUTTA LA RETE.
INTERVENIRE IN VIA GRADOLI AVREBBE INNESCATO UNA REAZIONE: QUELLA DI FORTIFICARE LE ALTRE CELLULE, INFIAMMANDO ANCOR DI PIÙ IL TERRORISMO DELLE BR...
IL MISTERO DELLA NON TRATTATIVA E DELLA MORTE DI MORO? LA POSIZIONE DELL’ITALIA IN EUROPA E NEL MONDO
Il quarantennale dell’assassinio di Aldo Moro non poteva non riaprire la botola dei misteri d’Italia. Ma c’è poco da chiarire se si analizza la politica al di là del proprio ombelico. Per anni ho frequentato Cossiga, che intervenne frequentemente su Dagospia allorché non solo i giornali ma perfino le agenzie di stampa decisero che era un “pazzo con piccone” e non andava più pubblicato.
E ciò che ho imparato da Cossiga è che la politica non si esaurisce nella semplice lettura degli interessi nazionali. Occorre mettere in gioco il posto dell'Italia in Europa e nel mondo. Il mistero della non trattativa e della morte dell’esponente democristiano sta tutto lì.
Il Bel Paese nell’anno 1978 non era un'oasi; non viveva in dorato isolamento; l’Italia aveva perso la seconda guerra mondiale, il patto di Yalta sanciva una separazione netta tra le zone di competenza di Occidente e Oriente, a Berlino per saldare lo stato della Guerra Fredda l’Unione Sovietica tirò su un minaccioso muro. I governi delle nazioni sconfitte, Italia e Germania, non potevano illudersi d'improvvisare senza pagare un prezzo salato. La Nato, all’epoca, non era la tigre di carta di oggi.
Il rapimento di Moro vide il duello tra chi era favorevole a una trattativa con le Brigate Rosse (socialisti e democristiani) e chi si opponeva (comunisti di Berlinguer e il nascente partito di “Repubblica” con in testa Scalfari.
Veniamo al punto dolens. Sul terrorismo all’italiana l’intelligence americana aveva idee dure e ben chiare: non si colpisce una cellula ma si deve estirpare tutta la rete. Intervenire in via Gradoli – dove erano asseragliati Moretti e Balzarani, come suggerito dal ‘’medium’’ di Prodi – avrebbe innescato secondo i cervelli della Casa Bianca una reazione: quella di fortificare le altre cellule, infiammando ancor di più il terrorismo delle BR.
Occorreva sacrificare la vita di Aldo Moro per un piano più articolato e definitivo.
Occorreva sacrificare la vita di Aldo Moro per un piano più articolato e definitivo.
(Ancora oggi alcuni apparati dell’intelligence americana non perdonano la decisione di Obama e di Hillary Clinton di far fuori Bin Laden, avendo ottenuto poi come rislutato la fine di Al Qaeda e la nascita di un terrorismo globalizzato chiamato Isis, con le conseguenze per l’Occidente di una vita a rischio bomba).
Ecco perché a Cossiga, all’epoca ministro degli Interni e a conoscenza di tutto, di colpo i capelli divennero bianchi: l’Italia non era un paese sovrano, tant’è che la Nato riempì di basi militari la penisola, da Aviano a Bagnoli. E Cossiga si dovette rassegnare alla decisione dei vincitori della guerra e lasciare al suo destino il suo compagno di partito.
LO STATO SI RASSEGNÒ A PERDERE ALDO MORO
Lettera al Corriere della Sera
Caro Aldo, a 40 anni da quei 55 giorni che sconvolsero l' Italia - mi riferisco al caso Moro - vorrei chiedere agli italiani: qual è il vostro ricordo dell' epoca? Molti sono quelli che mettono ancora in dubbio la «verità ufficiale» dopo 5 processi, 7 commissioni parlamentari, decine di inchieste giornalistiche e tante opere storiografiche.
La risposta di Aldo Cazzullo pubblicata dal Corriere della Sera
Caro Nicola, Credo ci siano ancora molte cose da chiarire.
Per anni tormentai Cossiga con una serie di domande su Moro, cui non voleva mai rispondere. Arrivato alla fine della sua vita, accettò. Fu l' unica volta che volle rileggere il testo prima della pubblicazione. Mi raccontò di essere stato a trovarlo nello studio di via Savoia la sera prima del rapimento: gli agenti della scorta Moro prendevano in giro quelli della sua, battendo sulla lamiera dell' auto blindata: «Ma come ve ne andate in giro?». «Può immaginare come mi sentii il giorno dopo» commentava Cossiga.
La sua idea era che a perdere Moro non furono gli americani o i democristiani o la P2, ma i comunisti. In sintesi: l' inviato del dipartimento di Stato, lo psichiatra Steve Pieczenick, professore di scienza dei conflitti, appena arrivato a Roma disse subito che il governo aveva commesso un grave errore a escludere la trattativa. Anzi, «sarebbe stato bene annunciare il contrario, e cominciare sul serio a trattare, per stanare i brigatisti».
Cossiga gli rispose che, se l' avesse fatto, l' Italia intera avrebbe pensato al cedimento. «Le Br - diceva - lo uccisero senza accorgersi che avevano vinto. Alla direzione in cui Fanfani avrebbe sollecitato l' apertura del dialogo con le Br, io andai con la lettera di dimissioni: il ministro dell' intransigenza non poteva essere il ministro della trattativa. Già da giorni la Dc aveva cominciato a cedere. Mentre furono i comunisti a essere davvero irremovibili: per loro Moro era già un uomo morto». Il direttore del Sismi Santovito, il direttore del Sisde Grassini, il coordinatore dei servizi Pelosi erano tutti piduisti; ma Cossiga negava che fossero nemici di Moro, anzi.
Parlava semmai di rassegnazione, di resa, di senso di ineluttabilità. «Un aereo dell' Eni ci portò un veggente di Amsterdam, che parlò di una casa dai mattoni rossi con due leoni di marmo, dalle parti di Santa Maria Maggiore. Tonino Tatò, il capufficio stampa di Berlinguer, mi mandò la cassetta con le indicazioni di un' altra veggente. Balle». Le strutture dello Stato si rivelarono del tutto inadeguate. Ciò non toglie che il sangue di Moro ricade in primo luogo sui brigatisti che lo versarono. E tuttora non si sa chi tra Gallinari, Moretti e Maccari abbia sparato. Altro che «tutto chiaro».