9 dicembre forconi: 03/10/19

domenica 10 marzo 2019

NON E’ VERO CHE TUTTI GLI ITALIANI HANNO SOFFERTO A CAUSA DELL'EURO

PAOLO BECCHI: “ECCO PERCHÉ I CETI BENESTANTI OGGI SONO COMPATTI CONTRO L'USCITA DALL'EURO. CERTO, NON COSTITUISCONO LA MAGGIORANZA NEL PAESE E, COME SI VEDE, I "PERDENTI" CERCANO DI VOTARE IN MODO ALTERNATIVO, SPERANDO CHE LE COSE CAMBINO. MA…”

Paolo Becchi e Giovanni Zibordi per “Libero quotidiano”

Negli ultimi dieci anni il Pil dell' Italia è aumentato di 100 miliardi. Poco, molto poco, parliamo del Pil "nominale", vale a dire del valore in euro del prodotto annuale, che include anche l' effetto dell' inflazione. La ricchezza finanziaria (soldi, conti, titoli, polizze) è invece aumentata di 1,100 miliardi, dieci volte tanto. Prima dell' introduzione dell' euro, grazie anche all' inflazione, il Pil nominale spesso aumentava anche del 7 o 8% l' anno e persino nei primi anni dell' euro cresceva del 4 o 5% l' anno.

RICCHI E POVERIRICCHI E POVERI
Questo ovviamente faceva sì che tutto il debito fosse più sostenibile, che pure i prezzi degli immobili salissero, che ci fossero pochi crediti "marci" in banca. Dal 2008 invece ci sono stati quattro anni in cui il Pil (inclusivo dell' inflazione) è calato e dopo dieci anni è salito appena da 1,630 a 1,730 miliardi.

La ricchezza in euro in banca invece, dopo esser scesa inizialmente sui 3,200 intorno al 2009 è tornata ad aumentare di 1,100 miliardi, e ora è di 4,300 miliardi. Questo perché i valori dei titoli sono aumentati sui mercati grazie alle politiche della Bce e perché gli italiani hanno risparmiato molto di più.

RICCHI E POVERIRICCHI E POVERI
Gli italiani hanno una ricchezza netta (al netto dei debiti) pro capite tra le più alte al mondo, maggiore dei tedeschi e degli inglesi e leggermente superiore anche a quella dei francesi. Questo dato della ricchezza finanziaria mostra una cosa: non è vero che tutto è andato male in questi anni, una parte della popolazione, quella più benestante e anziana non ha sofferto troppo. Se parliamo della ricchezza immobiliare invece sì, in Italia i valori degli immobili sono scesi e non si sono più ripresi.

PAOLO BECCHIPAOLO BECCHI

La tabella di Bankitalia mostra l' andamento della ricchezza netta di giovani e anziani in Italia. I dati sono fino al 2013, se si aggiornassero si vedrebbe un maggiore incremento, ma il quadro è abbastanza clamoroso. I prezzi degli immobili sono raddoppiati tra il 1999 e il 2008 e i giovani hanno quindi comprato dagli anziani case che costavano il doppio, che però si sono subito deprezzate. In aggiunta la crisi occupazionale e la riduzione dei salari con i contratti a tempo ha colpito i giovani e così le riforme delle pensioni, mentre la perdita di reddito per gli anziani è stata compensata grazie a titoli e investimenti vari.

TASSA INDIRETTA

"Padri e figli", non nel senso del celebre romanzo di Turgenev, bensì in un senso molto più materialistico: i "padri" hanno ricchezza finanziaria e i "figli" vivono di lavoro o ne cercano disperatamente uno. Cosa si può concludere da questa divaricazione macroscopica tra Pil che aumenta poco e ricchezza che aumenta molto e tra situazione finanziaria degli anziani e dei giovani?

La politica di austerità, a cui ci ha costretto l' Ue ha avuto l' effetto di far aumentare la rendita, la ricchezza finanziaria, a scapito della produzione e del lavoro. La ricchezza, i "soldi in banca", sono però sterili, non producono niente se non altri soldi tramite interessi e capital gain, che però alla fine sono una tassa indiretta su chi lavora e paga le tasse su quello che produce.

È però importante rendersi conto che non siamo tutti sulla stessa barca, la narrazione diffusa secondo la quale "tutti gli italiani hanno sofferto dell' euro e dell' austerità" è falsa. Una parte della popolazione ha continuato a stare bene ed è quella che ha rendite, soldi che fruttano altri soldi. In banca non ci sono mai stati tanti soldi, polizze, titoli e fondi che continuano a rendere. Chi aveva una ditta e l' ha liquidata e ha messo i soldi in titoli, fondi e altro ha guadagnato. Chi la ditta l'ha tenuta aperta spesso invece si è mangiato parte o tutto il patrimonio. La politica dell' austerità è stata buona per chi vive di rendita, mentre ha punito chi lavora e produce.

povertàPOVERTÀ
Ma la classe dirigente, sia imprenditoriale sia nei media, nella politica, nella magistratura ecc è ovviamente fatta di gente che ha soldi da parte. Il sistema dell' euro e dell' austerità preserva ed accresce i loro conti. Per loro la crisi è un fatto relativo, che non li tocca personalmente. Ecco perché tutti i ceti benestanti oggi sono compatti contro l' uscita dall' euro. Certo questi ceti non costituiscono la maggioranza nel paese e, come si vede, i "perdenti" cercano di votare in modo alternativo, sperando che le cose cambino. Ma le resistenze sono forti, molto forti, perché l' euro non è stato negativo per tutti.

Fonte: qui

IL “FINANCIAL TIMES” SPIEGA PERCHÉ IL GOVERNO TEDESCO SPINGE COSÌ FORTE PER IL MATRIMONIO TRA DEUTSCHE E COMMERZBANK: È L’UNICA CHANCE CHE HANNO DI SALVARE I DUE GIGANTI, SOPRATTUTTO LA PRIMA.

MA DALL’UNIONE DI DUE MALATI POTRÀ MAI NASCERE UNA BANCA SANA?  
IL PIANO DEL VICE CANCELLIERE SCHOLZ E IL RUOLO DI GOLDMAN SACHS

L'ARTICOLO DEL 'FINANCIAL TIMES' SULLA FUSIONE DEUTSCHE BANK - COMMERZBANKL'ARTICOLO DEL 'FINANCIAL TIMES' SULLA FUSIONE DEUTSCHE BANK - COMMERZBANK
LA CRISI DELLA PIÙ GROSSA BANCA TEDESCA: ULTIMA CHANCE PER SALVARE DEUTSCHE BANK
Alessandro Galiani per www.agi.it

Ai primi di febbraio il ministro delle Finanze tedesco, Olaf Scholz, e il suo vice Joerg Kukies si sono recati a Londra. Lo rivela il Financial Times, secondo il quale l'obiettivo dei due esponenti del governo di Berlino è ascoltare il parere dei big della finanza internazionale, a partire da Goldman Sachs e Bank of America, non sulla Brexit o sul rallentamento dell'economia della Germania, ma su come rianimare le due principali banche tedesche Deutsche Bank e Commerzbank, magari fondendole, con l'obiettivo di salvarle entrambe.

Un gigante dai piedi d'argilla
deutsche bank 2DEUTSCHE BANK 2
Uno dei più grossi problemi di Deutsche Bank è quello di essersi lasciata sedurre dal modello della 'banca casinò', arrivando perfino a controllare attività per 4,3 miliardi di dollari, che facevano capo ai casinò di Las Vegas. Non solo. Tra il 2011 e il 2018 ha accumulato una perdita netta 6 miliardi di dollari ed e' stata multata per 14,5 miliardi per attività che vanno dalla vendita dei titoli ipotecari al suo ruolo nello scandalo Libor.

Anche le sue strategie per ammortizzare le perdite speculative non hanno funzionato, come dimostra il fatto che le sue azioni sono crollate ai minimi storici (-90% negli ultimi 11 anni) e che gli analisti hanno apertamente messo in discussione il suo modello di business, basato sull'investment banking.

Olaf Scholz nuovo ministro delle FinanzeOLAF SCHOLZ NUOVO MINISTRO DELLE FINANZE
Anche Commerzbank, la seconda banca tedesca, non se la passa per niente bene e proprio per cercare di salvare questi due istituti, che potrebbero rivelarsi decisivi per puntellare un sistema industriale essenzialmente basato sull'export come quello tedesco, specie in caso di recessione, Scholz e Kukies si sono recati nel cuore della finanza globale per chiedere lumi sulla fusione ai massimi esperti del settore.

Un accordo che nasce dalla "disperazione"
A suggerire al governo questa soluzione, secondo quanto rivela il Financial Times, è Paul Achleitner, il presidente di Deutsche. "È importante che noi in Europa restiamo forti e indipendenti", afferma al Ft Simone Menne, ex direttore finanziario della compagnia aerea tedesca Lufthansa, secondo il quale "può essere sensato unire le forze e, quando si tratta di politica finanziaria, perseguire un approccio più europeo", cioè un approccio piu' svincolato dal modello, tipicamente Usa, della finanza casinò.
deutsche bankDEUTSCHE BANK

Tuttavia non tutti gli esperti finanziari sono d'accordo con la soluzione della fusione. "Riteniamo che un accordo debba avvenire solo nel breve termine", afferma al Ft Stuart Graham, fondatore di Autonomous Research, "un accordo del genere nasce dalla disperazione e il governo lo vuole attuare per prevenire un contagio".

GRATTACIELO COMMERZBANKGRATTACIELO COMMERZBANK
Nel 2018 la crisi di Deutsche si è acuita, Achleitner ha licenziato l'amministratore delegato britannico John Cryan, a favore del "lupo" tedesco Christian Sewing e alla fine dell'anno la polizia ha perquisito il quartier generale della banca nell'ambito un'indagine sul riciclaggio di denaro sporco. Sarebbero stati proprio questi raid a rendere più urgenti le pressioni per una fusione delle due grandi banche tedesche, alla luce dello scandalo della banca danese Danske, allargatosi fino a colpire Deutsche, e dell'inchiesta del Congresso Usa sulle relazioni tra la stessa Deutsche Bank e il presidente Donald Trump.

DEUTSCHE BANK PERQUISIZIONI A FRANCOFORTEDEUTSCHE BANK PERQUISIZIONI A FRANCOFORTE
A guidare il progetto di fusione, secondo il Ft, c'è il prudente socialdemocratico Scholz, che Angela Merkel ha nominato vice-cancelliere l'anno scorso. E Kukies, il suo emissario nel mondo finanziario, ex trader di prodotti derivati di Goldman Sachs, educato ad Harvard, che è l'opposto del suo capo: fiducioso, sfacciato, esuberante.

merkel vacanzaMERKEL VACANZA






La fusione è un progetto che ha implicazioni non solo tedesche ma anche europee, visto che porterebbe alla nascita del secondo polo finanziario dell'Eurozona (dietro Bnp Paribas): un gigante con con circa 2.000 miliardi di euro di asset, 845 miliardi di euro di depositi, oltre 2.500 filiali e 141.000 addetti, contro i 92.000 di Deutsche, di cui almeno 20.000, secondo gli analisti, potrebbero andare persi.

Una questione di sovranità
jorg kramer commerzbankJORG KRAMER COMMERZBANK
Scholz è uno sponsor convinto della fusione e ha adottato una posizione molto più attiva rispetto al suo predecessore, sostenendo che avere banche forti e stabili è una questione di "sovranità nazionale", perché le banche tedesche "non hanno le dimensioni e l'impronta globale necessarie per traghettare il settore industriale" a livello mondiale, in quello che ormai appare come uno scontro con la concorrenza industriale cinese e il sistema finanziario statunitense.

Un'altra preoccupazione del ministro è che Deutsche da sola potrebbe non essere in grado di sfuggire a ciò che James von Moltke, il responsabile finanziario della banca, ha definito un "circolo vizioso di entrate in calo, spese in aumento, rating in diminuzione e costi di finanziamento crescenti". L'anno scorso la banca ha generato un utile netto di 341 milioni di euro, il primo dal 2014, ma inferiore del 20% al target previsto.

deutsche bankDEUTSCHE BANK
Il gruppo inoltre ha realizzato un ritorno sul patrimonio di appena lo 0,5% nel 2018, un ventesimo rispetto al suo obiettivo, e la sua banca d'investimento ha perso 303 milioni di euro lo scorso trimestre a causa della decisione dei grandi clienti istituzionali di trasferire la loro attività altrove.
Il governo e' anche preoccupato per la redditività delle attività dei prestiti corporate (quelli concessi alle grandi imprese) di Deutsche, alla luce dei crescenti costi di finanziamento e del deterioramento del rating.

L'astuto 62enne Achleitner, che ha iniziato la sua carriera in Bain e siede nei cda di Daimler e di Bayer, è diventato una figura chiave di Deutsche: conosce bene Kukies, proveniendo entrambi da Harvard ed avendo gestito tutti e due le operazioni di Goldman Sachs in Germania e in Austria all'inizio della loro carriera.

COMMERZBANKCOMMERZBANK
In qualità di dirigente di Allianz, Achleitner ha supervisionato l'acquisto di 24 miliardi di euro della Dresdner Bank in Germania nel 2001. Non proprio un affare, visto che nel giro di sette anni la statunitense Dresdner ha perso metà del suo valore e il governo è stato costretto a negoziare un accordo per venderla a Commerzbank. Si dice poi che Achleitner creda che Deutsche sia ben posizionata per assumere il ruolo di campione bancario europeo in quanto gli investitori e le grandi aziende del Vecchio Continente sono diffidenti nei confronti dell'egemonia del mercato dei capitali statunitensi, anche alla luce del crescente nazionalismo economico dell'amministrazione Trump.
merkel al telefonoMERKEL AL TELEFONO

"È come riparare un aereo in volo"
"Esiste una vera domanda di servizi che non sono americani - sostiene una persona vicina ad Achleitner - l'interesse nazionale americano potrebbe non coincidere con quello europeo. Per essere un'alternativa agli Usa, devi solo essere il migliore di loro". Un'altra convinzione di Achleitner è che l'acquisizione di una base più ampia di depositi al dettaglio potrebbe ridurre e stabilizzare i costi di finanziamento di Deutsche, molto cresciuti nell'ultimo anno.

Paul AchleitnerPAUL ACHLEITNER






Eppure sono in molti, sia nelle banche che tra gli investitori, a mettere in dubbio gli argomenti del presidente. "Economicamente, la fusione ha senso e sarebbe un regalo per i nostri concorrenti", afferma un dirigente di Deutsche che chiede di non essere nominato. Quelli di Commerzbank non la vogliono. Ma ti dico chi vorrebbe la fusione: "JPMorgan e BNP Paribas, perché passeremmo anni a distrarci con questa operazione".
JORG KUKIESJORG KUKIES

Anche Sewing si è lamentato coi colleghi, sostenendo che la speculazione sulle fusioni ha messo in ombra il fatto che la banca ha realizzato i suoi obiettivi sui costi, sui tagli del personale e sui ritorni di capitale lo scorso anno.

Molti dei principali azionisti della banca, contattati dal Ft, sostengono che il problema principale di Deutsche è che non ha un core business abbastanza redditizio per consentirle di rilanciare la sua tentacolare banca di investimento. Un dirigente di un istituto rivale paragona la ristrutturazione delle due grandi banche alla riparazione di un jumbo jet a metà volo. Finché tre dei quattro motori sono ancora in funzione, l'aereo rimane in alto. "Il problema è che Deutsche ha un solo motore", sostiene.
OLAF SCHOLZOLAF SCHOLZ

Commerzbank preferirebbe una sposa straniera
Le rivali di Deutsche, le banche svizzere Ubs e Credit Suisse hanno attività di gestione patrimoniale per miliardi di franchi. Barclays è supportata da unità di vendita al dettaglio e carte di credito affidabili e redditizie. Al contrario, Deutsche e Commerzbank operano su un mercato interno fieramente competitivo e strutturalmente non redditizio, dominato da centinaia di Sparkassen, le casse di risparmio municipali, e da istituti di credito cooperativi regionali che non hanno l'obbligo di massimizzare i profitti.
deutsche bankDEUTSCHE BANK

A febbraio, l'amministratore delegato di Commerzbank, Martin Zielke, ha gettato la spugna su quasi tutti i suoi obiettivi di redditività per il 2020, accusando i tassi di interesse anemici e la concorrenza locale. Tuttavia la la sua posizione di leader nel mercato fa di Commerzbank un obiettivo potenzialmente attraente per un compratore estero.

Paul Achleitner 1PAUL ACHLEITNER
Zielke preferirebbe una fusione interna ad un'acquisizione esterna "perché pensa che avrebbe un maggiore controllo in tale scenario", sostiene un alto dirigente tedesco. Il governo detiene ancora una quota del 15% in Commerzbank dopo il salvataggio del 2009. Molti osservatori sostengono che sarebbe preferibile un'acquisizione dall'estero di una o dell'altra banca perché ci sarebbero meno sovrapposizioni e minori perdite di posti di lavoro. Ma finora pochi pretendenti sono emersi. "Acquistare i problemi dei tedeschi sarebbe assolutamente folle", afferma il presidente di una banca che è stata collegata a Deutsche.
DEUTSCHE BANK PERQUISIZIONI A FRANCOFORTEDEUTSCHE BANK PERQUISIZIONI A FRANCOFORTE

"Tutte le fusioni devono essere eseguite in modo brutale; 'Sinergia' è solo un'altra parola per ridurre drasticamente i costi". Achleitner avrebbe chiesto garanzie per ristrutturare senza interferenze, sostenendo che il basso tasso di disoccupazione e la rete di sicurezza sociale della Germania le consentirebbe di far fronte alla perdita di posti di lavoro. Tuttavia non è affatto sicuro che riuscirà ad ottenere una simile garanzia.

Cerberus, il fondo di private equity americano, è uno dei maggiori azionisti di entrambe le banche. Secondo fonti bancarie la società Usa sarebbe d'accordo con la fusione. Tuttavia, Cerberus ha pochi alleati. Altri cinque dei principali 10 azionisti di Deutsche hanno dichiarato al Financial Times che sono molto scettici nei confronti di una fusione, o che sono fermamente contrari. Anche Verdi, l'unione del settore dei servizi della Germania, è contro la fusione.
GOLDMAN SACHSGOLDMAN SACHS

"Non appoggiamo questo scenario perché siamo preoccupati di un'altra grande perdita di posti di lavoro", afferma Jan Duscheck, membro del consiglio di sorveglianza di Deutsche. Gli analisti sono scettici. Kian Abouhossein di JPMorgan stima che un tie-up potrebbe generare sinergie da 2 miliardi di euro in cinque anni, ma anche 4 miliardi di costi d'integrazione. Insomma, la partita della fusione resta aperta e niente affatto scontata.


DB-COMMERZ PASSA DA GOLDMAN
Francesco Bertolino per “MF”

La fusione fra Deutsche e Commerzbank passa per Goldman Sachs. Nella banca d' affari americana, considerata a torto o a ragione la più potente al mondo, si sono formati quelli che, secondo il Financial Times, sono i due maggiori fautori dell' aggregazione fra il primo e il secondo istituto di Germania: il presidente di Deutsche Paul Achleitner e il viceministro delle Finanze tedesco Jörg Kukies.
deutsche bank 1DEUTSCHE BANK

Entrambi si sono laureati ad Harvard ed entrambi, in tempi diversi, hanno gestito le attività di Goldman Sachs in Germania e Austria. I due in seguito hanno preso strade diverse. Achleitner ha proseguito l' ascesa nel gotha della finanza tedesca che lo ha portato a diventare nel 2012 presidente di Deutsche. Kukies è rimasto co-responsabile di Goldman in Germania e Austria fino ad aprile 2018 quando è stato chiamato al governo dal ministro delle Finanze Olaf Scholz. Oggi i loro percorsi sono tornati a incrociarsi lungo la via verso la fusione Deutsche-Commerz. A febbraio, riporta il quotidiano inglese, Scholz e Kukies avrebbero incontrato a Londra diversi banchieri d' affari provenienti da Bank of America e, appunto, Goldman.

DEUTSCHE BANK PERQUISIZIONI A FRANCOFORTEDEUTSCHE BANK PERQUISIZIONI A FRANCOFORTE
Ai guru della finanza Usa i due politici avrebbero posto un' unica domanda: il matrimonio s' ha da fare? Non è un mistero che il governo di Berlino coltivi da tempo il sogno di unire le due banche per creare un campione nazionale in grado di sostenere l' export delle imprese tedesche e di resistere alla concorrenza dei colossi americani. Nei piani dell' esecutivo, poi, la fusione dovrebbe consentire di puntellare i conti traballanti dei due istituti e risollevarne così i corsi azionari. Se gli obiettivi politici sono chiari, dentro e fuori dalle banche promesse spose molti dubitano che le nozze siano lo strumento adatto a centrarli.

deutsche bankDEUTSCHE BANK
Dall' unione di due istituti malati, è il ragionamento di alcuni esperti e di gran parte degli azionisti di Deutsche, non può nascere un' uber-banca sana. Contrari anche i potenti sindacati tedeschi che sottolineano poi il possibile impatto devastante di una fusione sull' occupazione nel settore bancario. Altri esperti, pochi a onor del vero, considerano invece l' affare un' opportunità per Deutsche e Commerz di creare sinergie e quindi ridurre i costi, la maggior debolezza dei due istituti.

Christian Sewing Deutsche BankCHRISTIAN SEWING DEUTSCHE BANK
Questa minoranza può annoverare nelle sue fila un nome di peso: Goldman Sachs. In un' intervista del giugno scorso a Bloomberg il responsabile della banca americana in Germania Wolfgang Fink aveva detto a proposito delle ipotesi di consolidamento bancario in Europa: «Non ci siamo ancora. Succederà, ma credo che ci vorrà ancora del tempo prima che sia fattibile».

Il giorno dopo il ministro delle Finanze tedesco Scholz, ospite della European Financials Conference di Goldman Sachs, dichiarava: «La Germania ha bisogno di un settore bancario forte e competitivo. E abbiamo bisogno di banche tedesche forti e attive a livello globale». E in questo progetto Goldman potrebbe avere un ruolo di primo piano. (riproduzione riservata)

Fonte: qui

I magistrati furbetti che fanno milioni con le aste immobiliari



Case e ville comprate per poco e rivendute a prezzi da capogiro. Così un gruppo di toghe in Sardegna lucrava sulle gare e sulle speculazioni edilizie

Magistrati proprietari di ville “vista mare” da milioni di euro o che comprano immobili da capogiro ai prezzi ribassati dell’asta e poi li rivendono al valore di mercato, intascandosi la differenza. In barba alla legge che prevede che le toghe non possano partecipare alle aste giudiziarie, per ovvi motivi di conflitti di interessi.

Invece a Tempio Pausania, in Sardegna, c’erano giudici che facevano speculazioni edilizie facendo vincere le gare ad amici i quali poi li nominavano come aggiudicatari. E a quel punto, i magistrati rivendevano quegli immobili al triplo del prezzo.

Un giro di affari smascherato da altri magistrati, quelli di Roma, in particolare il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pubblico ministero Stefano Fava, che hanno iniziato a indagare nel 2016 su una villa affacciata sul mare di Baia Sardinia.

L’immobile, appartenuto a un noto imprenditore della zona finito male, venne messo all’asta e aggiudicato, complice il giudice fallimentare Alessandro Di Giacomo, a un avvocato «per persona da nominare». Le persone che poi sono state indicate erano Chiara Mazzaroppi, figlia dell’ex presidente del tribunale di Tempio Pausania, Francesco, e il di lei compagno, Andrea Schirra, anche loro magistrati in servizio (presso il tribunale di Cagliari). La villa, grazie alle «gravi falsità» contenute nella perizia, per usare le parole del gip di Roma Giulia Proto, è stata pagata 440 mila euro. Un ribasso ottenuto con «vizi macroscopici nella procedura di vendita»: tra l’altro si certificava la presenza in casa del comodatario che in realtà era morto qualche mese prima. A nulla erano valse segnalazioni e proteste dei creditori: il giudice ha deciso di ignorarle. Per garantire alla figlia del suo ex capo, o forse direttamente a lui, un affare immobiliare non da poco: l’intenzione era di ristrutturare il complesso e di rivenderlo a 2 milioni di euro. Ovvero con una plusvalenza di 1,6 milioni.

Insomma, un affare niente male. Per il quale, poco prima di Natale, il giudice Alessandro Di Giacomo è stato punito con l’interdizione a un anno dalla professione. I Mazzaroppi, padre e figlia, e Schirra sono indagati.

L’indagine ha svelato anche una serie di affari simili per i quali, però, non è possibile procedere: i reati sono già prescritti. Dalle carte depositate dalla procura di Roma, infatti, si scopre che gli affari immobiliari di Francesco Mazzaroppi hanno origini ben più lontane. Correva l’anno 1999 quando il giudice Di Giacomo, ancora lui, assegnò a un’avvocatessa, Tomasina Amadori (moglie del suo collega Giuliano Frau), il complesso alberghiero “Il Pellicano” di Olbia, una struttura da 34 camere. Amadori, a quel punto, indicò come aggiudicataria la Hotel della Spiaggia Srl, società riconducibile al commercialista Antonio Lambiase. Il prezzo dell’operazione era poco più di un miliardo di lire. Un anno dopo, “Il Pellicano” venne venduto da Lambiase, vicino a Mazzaroppi padre, a 2,3 miliardi: più del doppio del prezzo di acquisto. Scrive il pm di Roma Stefano Fava: «Risultano agli atti gli stretti rapporti economici intercorrenti tra Antonio Lambiase e Francesco Mazzaroppi. Lambiase ha infatti acquistato un terreno in località Pittolongu di Olbia cedendone poi metà a Rita Del Duca, moglie di Mazzaroppi.

Su tale terreno Lambiase e Mazzaroppi hanno edificato due ville», nelle quali vivono tuttora. Chiosa il pm: «Le evidenziate analogie, oggettive e soggettive, con la vicenda relativa all’aggiudicazione dell’immobile di Baia Sardinia, nonché la perfetta sovrapponibilità delle condotte dimostrano come anche la vendita a prezzo vile dell’albergo “Il Pellicano” sia conseguente a condotte illecite, non più perseguibili penalmente perché prescritte».

A corredo di tutto ciò, la procura di Roma ha raccolto anche una serie di testimonianze tra le quali quella dell’allora presidente della Corte d’Appello di Cagliari, Grazia Corradini, che non usa mezzi termini: «In relazione all’acquisto del terreno su cui Francesco Mazzaroppi aveva edificato la sua villa c’erano state in passato delle segnalazioni relative a rapporti poco limpidi con i locali commercialisti e in particolare con Lambiase, consulente del Consorzio Costa Smeralda, insieme al quale avrebbe acquistato più di dieci anni fa il terreno su cui era stata realizzata la villa».

La Corradini racconta poi di come a queste segnalazioni fossero seguite due indagini, una penale e una predisciplinare senza alcun esito.

Poi Corradini parla anche della villa a Baia Sardinia: «La vicenda indubbiamente appare poco limpida se si considera il prezzo di vendita di una villa assai prestigiosa che si affaccia su Baia Sardinia, il cui prezzo di mercato si può immaginare pari ad almeno alcuni milioni di euro». Una questione su cui «ha relazionato il presidente del Tribunale di Tempio, la cui relazione allego unitamente ai documenti acquisiti che sembrerebbero confermare una “regolarità formale” nelle procedure di vendita, come ci si poteva attendere visto che eventuali interferenze è difficile che risultino dagli atti della procedura».

Il presidente del tribunale di Tempio chiamato in causa era Gemma Cucca, che ora è presidente della Corte d’Appello di Cagliari, dove è succeduta proprio alla Corradini. Anche lei è indagata dalla procura di Roma.

Ce ne sarebbe abbastanza, ma il torbido al tribunale di Tempio Pausania continua con le rivelazioni di segreto d’ufficio, ingrediente indispensabile in un sistema che si reggeva su favori e amicizie. Sempre nel corso delle indagini sulla villa di Baia Sardinia, infatti, gli inquirenti hanno sentito due indagati parlare tra di loro del fatto che il gip Elisabetta Carta, che aveva firmato il 1 giugno 2016 un decreto d’urgenza per intercettarli, li avesse prima avvisati. Scrive il giudice di Roma: «La vicenda è particolarmente grave: il gip che ha autorizzato una intercettazione informa gli indagati che sono sotto intercettazione dicendo loro di “stare attenti”, il tutto mentre le intercettazioni sono ancora in corso».

Elisabetta Carta si è difesa negando le accuse a suo carico e ammettendo solo di avere avuto con la coppia buoni rapporti lavorativi. Per lei è già stata disposta l’interdizione per un anno.

Non è finita: di quelle intercettazioni, chissà come, venne informato anche Francesco Mazzaroppi, all’epoca presidente della Corte d’Appello di Cagliari e - come detto - padre dell’acquirente Chiara Mazzaroppi.
Tutto questo sembrava normale, nel tribunale di Tempio Pausania, dove i magistrati erano preoccupati soltanto di fare affari immobiliari.

Fonte: qui

BRUXELLES CI ROMPE LE PALLE SUI CONTI, MA SUI PARADISI FISCALI IN EUROPA, CIOE’ OLANDA, LUSSEMBURGO E IRLANDA, NON DICE NULLA


OLANDA, LUSSEMBURGO E IRLANDA, HANNO FATTO PERDERE ALL’ITALIA 6,5 MILIARDI DI ENTRATE FISCALI (SI TRATTA DELLO 0,36% DEL PIL, PIÙ O MENO IL COSTO DEL REDDITO DI CITTADINANZA) 

CON LA LORO FISCALITA’ ED ACCORDI PRIVILEGIATI ALLE MULTINAZIONALI, HANNO DRENATO CAPITALI AGLI ALTRI PAESI (35 MILIARDI SOLO A NOI, FRANCESI E TEDESCHI) 


TRA I FURBETTI CI SONO ANCHE CIPRO E MALTA…

Marco Bresolin per “la Stampa”

I paradisi fiscali costano all' Italia 6,5 miliardi di euro l' anno. E nell' 80% dei casi si trovano all' interno dell' Unione europea. Lussemburgo, Olanda e Irlanda sono i principali Paesi destinatari dei trasferimenti di capitali delle grandi multinazionali, richiamati da un trattamento di favore che l' Ue ancora non riesce a contrastare.
paradisi-fiscaliPARADISI-FISCALI

Martedì l' Ecofin analizzerà nuovamente la situazione a poco più di un anno dalla pubblicazione del primo elenco Ue di "giurisdizioni fiscali non cooperative", la cosiddetta blacklist dei paradisi fiscali. Per l' occasione un rapporto di Oxfam fa il conto di quanto costa il "fuoco amico" per i governi europei. Soltanto nel 2015 più di 20 miliardi di euro di ricavi sono sfuggiti alla lente del Fisco italiano. E così sono sfumate imposte per 6,5 miliardi. Si tratta dello 0,36% del Pil, più o meno il costo del reddito di cittadinanza.

paradiso fiscalePARADISO FISCALE
Le perdite per Francia e Germania sono addirittura superiori in termini assoluti, visto che il rapporto di Oxfam stima minori entrate fiscali pari a 10,1 miliardi di euro per Parigi e addirittura 15 miliardi per Berlino. Se si aggiungono anche i 3,5 persi dalla Spagna si arriva a quota 35,1 miliardi di euro: soldi scippati alle prime quattro economie dell' Eurozona che in realtà non finiscono ai concorrenti, ma vanno quasi totalmente in fumo. I principali tre paradisi fiscali europei offrono "tax ruling" e accordi privilegiati alle multinazionali che trasferiscono lì i loro profitti (circa 187 miliardi di euro l' anno), applicando aliquote molto basse.

Nel dicembre del 2017 l' Ue ha adottato per la prima volta una lista nera dei paradisi fiscali, ma ha deciso di passare sotto la lente soltanto i Paesi extra-Ue. Secondo Oxfam, se la lista fosse estesa anche agli Stati membri ce ne sarebbero cinque che non rispettano i criteri utilizzati per giudicare gli altri paradisi fiscali: oltre a Lussemburgo, Olanda e Irlanda andrebbero inseriti anche Cipro e Malta.
MARTIN SELMAYR E JEAN CLAUDE JUNCKERMARTIN SELMAYR E JEAN CLAUDE JUNCKER

La Commissione europea - attraverso raccomandazioni - ha più volte sollevato la questione con i Paesi in questione. Anche Belgio e Ungheria sono già stati oggetto di richiami, ma le politiche fiscali restano di competenza nazionale e così Bruxelles non ha strumenti per intervenire. La Commissione ha cercato di aggirare gli ostacoli, affrontando il problema dal punto di vista della concorrenza sleale.

L' Antitrust Ue è intervenuta per sanzionare le multinazionali, obbligandole a restituire le imposte dovute ai governi con cui avevano siglato accordi (emblematico il caso dei 14 miliardi che Apple è stata costretta a versare all' Irlanda). Ma questo non ristabilisce certo l' equilibrio e non aiuta gli altri Paesi a recuperare le perdite.

fiscoFISCO
Il rapporto stima che ogni anno 600 miliardi di dollari di profitti vengono portati verso paradisi fiscali, il 30% dei quali all' interno della Ue. Per i Paesi sviluppati questo si traduce in una perdita annua di circa 100 miliardi di dollari.

Al momento gli Stati sulla lista nera Ue sono soltanto cinque: Samoa americane, Guam, Samoa, Trinidad e Tobago, Isole Vergini americane. Altri 63 sono sulla lista grigia, il che vuol dire che si sono impegnati in qualche modo per rimediare alla situazione. Secondo Oxfam, l' Ecofin dovrebbe aggiungere altri 18 Paesi alla blacklist, ma depennarne parecchi da quella grigia, che scenderebbe a quota 32. In particolare potrebbero essere cancellati nove Stati che secondo l' ong sono "dei veri e propri paradisi fiscali", tra cui le Bahamas, le Bermuda, le Cayman e Panama.


Fonte: qui

I GUAI DI TRUMP FRA JARED E COHEN

Bisogna recuperare un po’ di notizie
Sui travagli di Donald Trump, messo nei guai dal suo avvocato e “consigliori” Cohen, e dal bel genero,  Jared Kushner. Cominciamo dal secondo:

Il complotto di Jared Kushner per dare l’Atomica all’amico re saudita e farci dei soldi

L’ha  scoperto la Commissione della Camera (bassa) per la supervisione della spesa pubblica:   un piano per vendere all’Arabia Saudita tecnologia nucleare, aggirando la legge americana che vieta il trasferimento di tecnologie nucleari militari a paesi terzi.
Alla base della trama una ditta-ombra, chiamata  IP3 International.  La quale ha presentato al principe della corona, il ben noto Mohamed Bin Salman, un progetto definito “Il Piano Marshall del 21mo secolo per il Medio Oriente”, detto anche Iron Bridge, Ponte di Ferro.
Impressionante la lista dei capi della  IP3 International  che hanno firmato l’impegno col saudita:  generale Keith Alexander,  generale Jack Keane,  dal contrammiraglio Michael Hewitt,  e Bud McFarlane nonché dai dirigenti di sei società – Exelon Corporation, Toshiba America Energy Systems, Bechtel Corporation , Centrus Energy Corporation, GE Energy Infra e Siemens USA.
Dei Dottor Stranamore  sopra elencati, il più   significativo è Robert “Bud” McFarlane: un nome  del passato quasi leggendario.  Eccolo   qui,  ultraottantenne, (è del 1937) ancora a tramare in armamenti. Fu lui infatti che  ai tempi di Ronald Reagan, come consigliere della sicurezza nazionale,  architettò ed operò il losco e complicatissimo scambio di armi vendute all’Iran  (in violazione dell’embargo in vigore)  e per finanziare i Contras antisandinisti  in Nicaragua,  passato alla storia nera come   lo scandalo Iran-Contra, per cui   “Bud” fu condannato alla galera, ma perdonato dal presidente, che nel frattempo era diventato l’ex capo della CIA George  H. Bush.  Esattamente come Elliott Abrams  anche lui  pardoned, perché da  assistente del segretario di stato reaganiano  si coinvolse nell’Iran Contra e  in genere,   in tutte le trame di intervento armato, palese ed occulto degli Usa in America Latina: anche lui lo si poteva credere morto e invece lo troviamo, nominato da Trump   “special envoy” per il Venezuela, dove sicuramente sta applicando i suoi noti metodi in intervento palese ed occulto.
McFarlane, classe 1937.
Questi personaggi  sono, per così dire, la   prima generazione di neocon, militari o diplomatici  sovversivi dell’ordine mondiale nel presunto interesse degli Stati Uniti –  erano  usciti di  scena dagli anni ’80.  I buoni uffici di Jared  hanno consentito loro di ricomparire a fianco di Trump, dove possono esplicare il loro rinomato know how.
Ma  l’uomo di punta della IP3 è stato, lo credereste? Il generale Michael Flynn, quello che Trump   fece suo primo consigliere della sicurezza nazionale, l’uomo dell’intelligence militare, che poi dovette abbandonare la Casa Bianca perché aveva mentito su suoi incontri con l’ambasciatore di Mosca a Washington.  Orbene, Flynn ha viaggiato in Arabia Saudita per conto della IP3 per organizzare l’insediamento di sei centrali nucleari, formalmente per la produzione di energia elettrica.
Ciò  apre uno spiraglio in un fatto taciuto, ma molto importante  nelle distorsioni della politica estera USA: questi generali in pensione, o caduti in disgrazia, devono pur cercarsi un lavoro e uno stipendio – e lo trovano nelle imprese del settore militare-industriale o nel lobbismo politico-militare,   indifferentemente israeliano o saudita (che paga di più).  I nuovi (o vecchi) datori di lavoro utilizzano volentieri le competenze che hanno acquisito nelle guerre segrete, e conoscenze con i generali ancora in servizio, che questi  sanno contattare amichevolmente, e  che una volta in pensione, anche loro vogliono procurarsi “consulenze”: molte decisioni politiche nascono a questo livello.
Decisioni fatali, come quella di fornire l’Arabia Saudita della bomba  atomica,  in cambio di compensi di “miliardi” di dollari.
La Commissione della Camera ha appurato che il piano è promosso da Jared Kushner,  al quale i congiurati hanno affidato il compito di sedurre il vecchio. Nel rapporto si legge che nel marzo 2017 si è tenuto un incontro: “Era presente anche un agente del National Security Council, il quale ha poi riferito  il signor Harvey stava ancora tentando di promuovere il piano IP 3″ in modo che Jared Kushner possa presentarlo al Presidente per l’approvazione “.
Il signor Harvey è Derek Harvey, Senior Director per gli affari del Medio Oriente e del Nord Africa al Consiglio di sicurezza nazionale; il quale ha assunto il piano di armare con l’atomica i sauditi come parte di quello che hanno fatto passare come  Piano Marshall per il Medio Oriente.

Una guerra nei Balcani? Per salvare il Deep State

Anche perché  il Deep State di prima,  quello di Obama e Hillary Clinton, si sente in pericolo. Adesso per esempio sta per andarsene Dan Coats, nominalmente il direttore della National Intelligence (DNI) ossia l’uomo che coordina  tutte le decine di agenzie di spionaggio e ne riferisce, unico, al presidente. “E’ l’ultimo rimasto della vecchia guardia dei mafiosi”, spiega Umberto Pascali: “Brennan (CIA) è andato, Comey (FBI) è andato; ed ora l’intero apparato mediatico  sta difendendo l’ultimo, Dan Coates appunto, che è in scadenza. Senatori democratici e repubblicani insieme, perfettamente bipartisan, ingiungono a Trump di non mandare via  Coates”  –  con   un fuoco di sbarramento troppo anticipato, tanto da sorprendere lo stesso  Donald. Il quale s’è sentito chiedere  dai giornalisti come mai voleva liberarsi del direttore del DNI, e lui: “Non ci ho nemmeno pensato”.
Dan Coats
Il punto è che Coates è impegnatissimo in queste settimane a cercare di provocare un conflitto nei Balcani – e far diventare la mai guarita piaga del Kossovo una vera guerra dei serbi  contro gli albanesi.  Il Deep State  ha bisogno di  una guerra subito.  Del conflitto serbo-albanese  daranno la colpa a Putin.  Anzi Coates s’è portati avanti e lo ha già fatto: in un rapporto al presidenet ha “previsto” che i Balcani sono a rischio di conflitti a bassa intensita, fino a sfociare in un conflitto aperto nel 2019, perché “la Russia cercherà di sfruttare le tensioni inter-etniche e gli alti livelli di corruzione per impedire ai paesi della regione di spostarsi verso la UE e   la NATO”. Ovviamente, invelenire le tensioni interetniche è proprio la specialità  del Deep State, come abbiamo visto in Irak e Siria, Libia e Ucraina. Aspettiamoci le fiamme nell’ex Jugoslavia.
Anche perché la limitata capacità di attenzione di Donald Trump è concentrata sulle “rivelazioni” che fa al Congresso il suo avvocato delle faccende sporche Daniel Cohen. Il quale, confessatosi colpevole  di molteplici porcherie, per ridurre la sua pena sta facendo il possibile per rafforzare il teorema dell’inquisitore Mueller: il Russiagate,   il fatto che Trump sarebbe una pedina di Putin. Un teorema  già per conto suo scaduto,  che non riesce a tenere in piedi. “Non posso fornire alcun esermpio concreto di collusione coi russi”, ha dovuto ammettere. Ma in compenso ha spiegato per filo e per segno tutti i lavori sporchi che ha fatto per Donald, fra cui il pagamento (già noto) della escort di lusso…

Cohen contro Trump ha detto due verità

Della testimonianza di Cohen – uno  che mente come respira: è  il suo mestiere – val la pena di ritenere tre cose.
La  foga con cui si guadagna  il pubblico progressista, insultando Trump: “Voi non lo conoscete, io sì! E’ un razzista. E’ un truffatore, Un imbroglione. “Lo scopo di tutto nell’organizzazione Trmp è di proteggere Trump, e di mentire per questo.  Ogni giorno, andando al lavoro, sapevamo che ci andavamo per mentire su qualcosa, su qualunque cosa, e  lo avremmo fatto per lui. E questo è diventato la norma,  questo è quello che avviene attualmente in questo paese ….Questa distruzione della nostra civiltà nei nostri rapporti è diventata incontrollabile”.
L’onesto avvocato Cohen
Una sacrosante verità (da quella bocca!):  che vale per qualunque staff di qualunque miliardario che ha fatto fortuna nel capitalismo terminale. Mentire e mentire su qualunque cosa. Infatti anche Marc Zuckerberg  ha comprovatamente mentito al Congresso, ovviamente con il suo staff, cosa che però non lo ha fatto incriminare.
Le  altre cose interessanti  che  ha detto Cohen sono:
che Trump ha continuato a farei suoi affari (alberghieri) in Russia anche durante la campagna elettorale, perché “nemmeno per un secondo ha mai creduto di poter vincere le elezioni”, “lui di politica s’è sempre infischiato”, quindi  pensava che sarebbe tornato al business  dopo la campagna.  E’ la tesi sostenuta anche da Michael Moore: The American Berlusca sceso in campo  per difendere le sue aziende, e trovatosi ad intercettare l’incredibile onda di rabbia popolare, la gigantesca marea  che lo ha portato alla Casa Bianca – dove non sa esattamente quello che fa, non controlla gli apparati e  governa per  twitters. E’ una tesi di cui tenere conto.
L’altra cosa che ha detto Cohen e vale la pena di  annotarsi, è: “Io ho davvero paura che non ci sia la possibilità di una transizione pacifica se Trump è sconfitto nelle elezioni del 2020”.  Probabilmente, Cohen intende che Trump, con un twitter sia in grado di accendere  la marea di rabbia popolare  che l’ha elevato alla presidenza , e provocare  o un colpo di stato, o una guerra civile  – o comunque tremendi disordini  in un paese lacerato e immiserito dalle guerre e dalle iniquità del capitalismo terminale.

Fonte: qui