9 dicembre forconi: gennaio 2018

mercoledì 31 gennaio 2018

Anno nuovo e balle identiche


Anno nuovo balle identiche. Ad esempio gli ultimi arrivati sullo scenario elettorale, Potere al Popolo, rilanciano il frusto slogan: lavorare meno lavorare tutti. Trovano sociologi compiacenti che ne certificano la bontà psicologica ed economisti che li appoggiano. Trascurando per un attimo gli psicologi veniamo al problema economico. Se lo stipendio é legato alla paga oraria, lavorare meno vuol dire meno entrate per il lavoratore e che lavorino in tanti porta solo ad una redistribuzione degli stipendi più bassi. Quindi si ha un impoverimento generale delle classi meno abbienti e un tracollo nei consumi. In definitiva si accelera la crisi. 

Se invece l’idea é di lavorare meno a pari stipendio, si alzano i costi di produzione e quindi si esce dal mercato con conseguenti licenziamenti o trasloco di fabbriche all’estero. Ancora una volta si accelera la crisi. Quindi la soluzione proposta é inutile, peggio dannosa. Il problema é che l’abbiamo già sperimentata e nessuno se ne accorge. 

Dove? Ma nel pubblico impiego naturalmente! Non é che si sia lavorato meno nel senso dell’orario, ma nel senso della produttività media generale sì

Le assunzioni “elettorali” (esempio lampante la Sicilia) hanno portato più lavoro, più stipendi, allargando contemporaneamente il debito nazionale e quindi accelerando il disastro.

Soluzioni? I lavori socialmente utili e il volontariato. I primi dovrebbero essere appalto  di chi é pagato a casa a non fare nulla: cassintegrati normali e speciali, persone in mobilità, insomma quelli che con mille forme ricevono dallo stato, ma non prestano nessun lavoro. Il volontariato potrebbe essere appalto di coloro (magari extracomunitari e giovani) che non hanno niente da fare se non invelenirsi contro chi non da loro nessuna reale possibilità. Il problema é che tutto questo lavoro (meglio impiego di tempo) dovrebbe non essere sottratto al lavoro “salariabile” tradizionale. Dovrebbe essere dedicato alla cura di tutte le cose che NON riusciamo ormai da decenni a finanziare e quindi che NON finanzieremo mai. Parlo delle questioni di degrado ambientale, di tutte quelle situazioni da cui nascono disastri e che incidono profondamente poi sul bilancio generale dello stato. Disastri prevedibili, come frane, inondazioni, incendi e ricostruzione dopo i terremoti. 

Ma per fare una cosa del genere ci vorrebbe uno stato efficiente, un’organizzazione adatta e non liti continue per rubacchiare un voto, che si traduce di solito in rubacchiare tout court dopo il voto. 

Guardateli in faccia quelli che dovrebbero cambiare le cose. Guardateli bene: dovunque hanno avuto il potere hanno lasciato uno strascico di processi a loro carico per peculato, falso in atto pubblico e anche peggio. Ma non si vergognano mai, non ne hanno mai abbastanza di rubare, di prenderci in giro, con quelle maschere (facce mi pare eccessivo), non si vergognano di niente e noi non siamo neppure buoni di cambiare canale appena li vediamo. Non solo, discutiamo anche fra di noi per difendere i nostri corifei o abbattere i nostri nemici. E siccome non sappiamo più ascoltare sentiamo solo noi dire ladro e non quando lo dice il nostro antagonista. Siamo d’accordo solo quando diciamo che non vorremmo vivere qua, ma da un’altra parte. Come se qua non lo avessimo fatto noi dando retta a tutti questi imbarazzanti personaggi che degnamente ci rappresentano.



Fonte: qui

GLI USA STILANO UNA ‘PUTIN LIST’ CON CENTINAIA DI FIGURE CHIAVE DELLA POLITICA E DELL’ECONOMIA RUSSE, TRANNE PUTIN ...

E MEDVEDEV: ‘CHI NON COMPARE, DOVREBBE DIMETTERSI…’ 

A CHE SERVE L'ELENCO? PER IL MINISTRO DEL TESORO MNUCHIN ‘CI SARANNO SANZIONI’. 

IL CREMLINO: ‘CI HANNO DE FACTO BOLLATO COME NEMICI DEGLI STATI UNITI’

1.PUTIN LIST: ALL'INDICE INTERO GOVERNO,ANCHE PREMIER MEDVEDEV
medvedev e putin sotto la pioggiaMEDVEDEV E PUTIN SOTTO LA PIOGGIA
 (ANSA) - Tra le 114 figure politiche incluse nel Rapporto Cremlino si conta l'intero governo russo, a partire dal premier Dmitri Medvedv. Di fatto manca solo il presidente Vladimir Putin. 'All'indice' vengono messi il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, il capo dell'amministrazione presidenziale Anton Vaino, il primo vice premier Igor Shuvalov (nonché gli altri vice premier) e tutti i ministri, incluso il ministro degli Esteri Serghei Lavrov.

L'ampiezza della 'lista nera' ha spinto il vice premier Arkady Dvorkovich a definirla come una specie di 'rubrica' della politica russa, un "chi è chi" dell'élite politica (ed economica, se si includono gli imprenditori con un patrimonio superiore al miliardo di dollari e i capi delle grandi corporazioni di Stato).
medvedev e putin sotto la pioggiaMEDVEDEV E PUTIN SOTTO LA PIOGGIA

2.PUTIN LIST: CREMLINO, È DE FACTO ELENCO DI NEMICI USA

 (ANSA) - Washington "de facto" bolla come "nemici degli Stati Uniti" le persone incluse del Rapporto Cremlino. Così il portavoce di Vladimir Putin Dmitri Peskov. Peskov, allo stesso tempo, ha chiesto di "moderare" le reazioni alla Putin list spiegando che il presidente russo valuterà in un incontro con "i consiglieri della campagna elettorale " il Rapporto sul Cremlino ed eventualmente lo "commenterà lui stesso". Lo riportano le agenzie.

"Questa non è la prima volta che affrontiamo azioni piuttosto ostili contro di noi quindi dovremmo tenere a bada le nostre emozioni, considerare tutto e quindi formulare una posizione su questo tema", ha detto Peskov. Che poi ha sottolineato: "Se si legge questo documento e il suo titolo, si vedrà che la lista viene stilata in conformità con la legge per "contrastare gli avversari dell'America". "In pratica, l'intero gruppo di persone [menzionato nella lista] è descritto come nemico degli Stati Uniti". Peskov si è poi detto "indifferente" alla sua inclusione nella 'Putin list'.

YELIZAVETA PESKOVA CON IL PADREYELIZAVETA PESKOVA CON IL PADRE
3.PUTIN IRONIZZA, NON SONO NEL RAPPORTO USA? PECCATO...

 (ANSA) - "Che peccato, mi dispiace...". Così Vladimir Putin rispondendo a chi gli faceva notare che nel 'Rapporto Cremlino' stilato dagli Usa - la cosiddetta 'Putin List' - praticamente mancava solo lui. "Questa lista - ha detto - non ha senso, c'è tutto il governo, l'amministrazione, gli imprenditori... praticamente hanno incluso 146 milioni di russi. E' chiaro che serve a contenere il nostro sviluppo. Noi, nonostante tutto, andiamo avanti e per ora non risponderemo: dobbiamo vedere come evolve la situazione perché c'è anche una parte segreta".

dmitry peskovDMITRY PESKOV
Putin ha poi sottolineato come quest'ultimo 'libro nero' renda "più complicato il rapporto fra Stati Uniti e Russia" quando invece Mosca è intenzionata a "migliorare" le relazioni con gli Usa poiché, trattandosi di due potenze nucleari, a beneficiarne è "il mondo intero". Il presidente russo ha poi ribadito che negli Usa è in atto "uno scontro politico, un attacco contro il presidente eletto", e che questa situazione sta danneggiando i rapporti fra Russia e Usa. "Noi - ha detto Putin - non possiamo sempre cedere". Sono dunque gli Stati Uniti a dover decidere che rapporto vogliono avere con la Russia. "Dunque, cosa vogliono? Dovrebbero deciderlo da soli. Noi sappiamo quello che vogliamo: vogliamo costruire relazioni stabili e di lungo termine basate sul diritto internazionale", ha detto Putin.

4.PUTIN LIST: MEDVEDEV, CHI NON COMPARE DOVREBBE DIMETTERSI...

Mnuchin a DavosMNUCHIN A DAVOS
 (ANSA) - Non comparire nella 'Putin list', per un funzionario russo, potrebbe essere un motivo sufficiente a "rassegnare le dimissioni". Così il premier russo Dmitri Medvedev ha commentato, con una battuta, il senso del Rapporto 'Cremlino' pubblicato dagli Usa. "L'esclusione da questa lista potrebbe essere una buona ragione per le dimissioni... ma naturalmente non lo faremo", ha detto Medvedev in conferenza stampa congiunta con il suo omologo belga. "L'importanza di questa lista è nulla, si avvicina allo zero", ha aggiunto. Se fosse accaduta la situazione opposta, e la parte russa avesse preparato una lista che includeva "l'intera amministrazione del presidente Trump, la Camera, il Senato, la Corte Suprema, l'ufficio del Procuratore Generale, cosa sarebbe successo negli Stati Uniti? Niente", ha notato Medvedev. "E lo stesso accadrà nel nostro paese: niente", ha detto il primo ministro russo. Lo riporta Interfax.
ivanka donald trump e steven mnuchinIVANKA DONALD TRUMP E STEVEN MNUCHIN

5.PUTIN LIST: MNUCHIN, MI ATTENDO CHE USCIRANNO SANZIONI

 (ANSA) - L'intento della 'Putin-list' e' quello di "un'analisi estremamente accurata": ''mi attendo che usciranno'' sanzioni dalla lista dei 210 uomini politici e oligarchi vicini al presidente russo Vladimir Putin. Lo afferma il segretario al Tesoro americano Steven Mnuchin in un'audizione in Congresso, secondo quanto riportato dai media americani.

Fonte: qui

Il colosso Hna in crisi di liquidità

La conglomerata cinese rischia un credit crunch da 2,4 mld e avverte i creditori. 
Il primo azionista di Deutsche Bank pronto a cedere asset. E guarda alla Via della Seta per ingraziarsi il governo
Il colosso cinese Hna ha ammesso davanti ai propri creditori di avere problemi di liquidità. Un ammanco che nel primo trimestre dell’anno dovrebbe ammontare a circa 2,4 miliardi di dollari (ossia 15 miliardi di yuan). Il che vuol dire che la conglomerata, primo azionista di Deutsche Bank davanti al fondo statunitense BlackRock, potrebbe essere costretta a posticipare il pagamento di debiti per 65 miliardi di yuan in scadenza nei primi tre mesi dell’anno. Secondo quanto riportato dall’agenzia Bloomberg, rappresentanti del gruppo, fondato nel 1993 partendo dalla compagnia aerea Hainan Airlines, hanno spiegato la situazione ai principali creditori e a funzionari governativi in una riunione a porte chiuse che si è svolta la scorsa settimana. Già nelle scorso settimane, comunque, Chen Feng, fondatore del gigante che spazia dal trasporto aereo alla finanza al turismo, nel corso di un’intervista, non aveva negato i problemi legati al gran numero di acquisizioni e fusioni fatte negli ultimi anni, nonostante, si è giustificato, nello stesso tempo l’economia cinese abbia attraversato un periodo di transizione, contraddistinta da un rallentamento della crescita, che ha avuto ripercussioni sulla possibilità del gruppo ad accedere a nuova finanza. Nonostante le difficoltà, Chen aveva comunque detto di nutrire fiducia sulla capacità dell’azienda di proseguire su uno sviluppo sostenibile. Da mesi, però, Hna è nel mirino della vigilanza cinese, che ha esortato le banche a verificare l’esposizione verso la conglomerata e verso altri grandi gruppi privati, nonché delle authority di alcuni Paesi in cui ha interessi e opera, come gli Stati Uniti e la Svizzera, per via di dubbi sulla struttura societaria, che la dirigenza a cercato di fugare.
Per recuperare liquidità Hna ha quindi avviato un programma di cessioni, dopo la campagna di investimenti in Uber, nell’elvetica Dufry, nella statunitense Igram Micro e negli hotel Hilton. Il processo è già iniziato. La scorsa settimana il gruppo ha annunciato un accordo con Blackstone per la cessione di una proprietà a Sydney. In vendita è anche il 29,5% detenuto nel gruppo Nh Hotel, dossier per il quale i cinesi hanno ingaggiato Jp Morgan e Benedetto, Gartland and Company. Nei giorni scorsi è inoltre spuntata l’ipotesi di portare in borsa la società svizzera di handling Swissport; prima però si attende l’esito della quotazione a Zurigo della società di catering a bordo Gategroup, che potrebbe avvenire in primavera, in marzo o aprile, 
I debiti a breve e medio termine del gruppo ammontano, allo scorso novembre, a 637,5 miliardi di yuan, in crescita del 36% rispetto al 2016. Il maggiore creditore è la China Development Bank, seguita dalla Export-Import Bank, Da Bank of China, Dalla Agricoltural Bank, da Icbc, dalla China Construction Bank e dalla Bank of Communication.
Intanto per rientrare nelle grazie del governo Hna sta virando verso settori che rientrano nell’iniziativa Belt &Road per il rilancio della via della Seta. «Contiamo di poter trarre beneficio dall’accostarci alle politiche di sviluppo decise dal governo», ha ammesso nei giorni scorsi Kevin Guo Ke, presidente di Cwt International e amministratore delegato di Hna Innovation Group, controllata nata a marzo 2017, prima della stretta sui conti, e specializzata nella logistica, nel commercio e nella finanza nei 64 Paesi toccati dalla rete infrastrutturale tra Asia e Europa voluta da Pechino.

martedì 30 gennaio 2018

OSTIA - ABUSI SULLA FIGLIASTRA 12ENNE: PRESO UN PEDOFILO

COMPRAVA IL SILENZIO DELLA RAGAZZINA CON CONTINUI REGALI MOLTO COSTOSI 

LE MOLESTIE ANDAVANO AVANTI DA QUANDO LA PICCOLA AVEVA 8 ANNI 

LUI SI DIFENDE: “NON HO FATTO NULLA DI MALE”

Mirko Polisano per www.ilmessaggero.it

abusi sessuali su 12enneABUSI SESSUALI SU 12ENNE
Comprava il silenzio di una bambina di 12 anni con continui regali: dalle bambole, quando era più piccola, ai tablet. Così ha abusato di lei a lungo, finché la ragazzina non ha raccontato tutto a una compagna di scuola. È durato quattro anni l'incubo di una bimba di Ostia. I carabinieri del Lido, insieme al nucleo operativo di Roma, hanno arrestato un romeno di 43 anni per il reato di pedofilia.

I FATTI

L'uomo, ex compagno della mamma della 12enne, molestava la piccola da quando aveva otto anni. Abusi e violenze sessuali che si consumavano di frequente visto che i tre vivevano sotto lo stesso tetto in un'abitazione dell'Idroscalo. È stata proprio la comunità del borgo a far scattare l'allarme e a avvisare scuola e servizi sociali e a parlare con i genitori. Il papà della piccola ha così allertato le forze dell'ordine e i carabinieri hanno avviato le indagini.
poliziaPOLIZIA

Dopo un'attenta attività investigativa, i militari hanno fatto scattare il blitz. In piena notte gli uomini del 112 hanno prelevato l'uomo dalla sua abitazione e lo hanno portato in carcere. La bambina è stata invece affidata al padre. «Io non ho fatto nulla di male», si è giustificato l'uomo all'arrivo dei militari.

LA TESTIMONIANZA

Da quanto appurato dalle indagini, durate oltre due mesi, il modus operandi del pedofilo era sempre lo stesso: prima i regali costosi per conquistare la fiducia della dodicenne e poi le molestie.

poliziaPOLIZIA
In alcune circostanze - emerge dall'inchiesta - la piccola sarebbe stata anche costretta a bere alcolici. La bambina sarà seguita in un percorso di riabilitazione e di supporto psicologico. Una storia, quella della piccola Maria (il nome è di fantasia) che ha sconvolto la comunità dell'Idroscalo: «Abbiamo temuto anche per i nostri figli», hanno raccontato alcuni residenti.

Fonte: qui

CORNUTI E MAZZIATI, DAI TEDESCHI – LA DEUTSCHE BANK GUADAGNA 3 MILIARDI CON I DERIVATI SUL DEBITO PUBBLICO

E, GUARDA CASO, SEMPRE LA DEUTSCHE BANK E’ QUELLA CHE INNESCA LA CRISI DELLO SPREAD NELL’ESTATE 2011 (BERLUSCONI USCIRA' DA PALAZZO CHIGI A NOVEMBRE) – SOLO UN CASO? 

Paolo Biondani e Luca Piana  per l’Espresso

In questi anni segnati dalla crisi lo Stato italiano ha perso una cifra superiore a tre miliardi di euro in una serie di scommesse finanziarie ad altissimo rischio effettuate con Deutsche Bank. È la conclusione che si può trarre dall’esame di una serie di contratti finanziari con caratteristiche molto particolari, chiamati in gergo derivati, stipulati fra i nostri governi e il colosso bancario tedesco a partire dal maggio 2004. Accordi riservatissimi, più volte modificati almeno fino al 2015 e tuttora in vigore, ma finora mai pubblicati. Fanno parte di quel complesso di contratti derivati che da anni sono al centro di aspre polemiche proprio per l’entità delle perdite subite dall’Italia. E per la segretezza che li circonda.

DEUTSCHE BANKDEUTSCHE BANK
Di recente due dirigenti del ministero dell’Economia e due ex ministri, Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli, che respingono ogni accusa, si sono visti addebitare dalla procura della Corte dei Conti di aver causato danni miliardari alle casse pubbliche attraverso alcuni derivati siglati a suo tempo con un’altra grande banca, l’americana Morgan Stanley, che all’inizio del 2012 passò all’incasso facendosi versare dall’Italia ben 3,1 miliardi di euro. Tranne questa eccezione, tutti gli altri contratti sono rimasti top secret. Nonostante le richieste di trasparenza arrivate anche dal parlamento, che vi ha dedicato in tempi recenti un’indagine conoscitiva, nessun governo ha infatti mai rivelato i nomi delle altre banche interessate e i contenuti dei contratti, trincerandosi dietro necessità di riservatezza.

Ora L’Espresso è in grado di svelarne un nuovo blocco, raccontando la genesi di una serie di accordi siglati a partire dal 2004 con Deutsche Bank. Contratti che, secondo gli esperti interpellati, rischiano di costare all’Italia più di tre miliardi di euro: la stessa somma che nel caso di Morgan Stanley fece gridare allo scandalo. Si tratta senza dubbio di numeri pesanti. Basti pensare che, per l’intero piano nazionale di ristrutturazione e messa in sicurezza delle scuole pubbliche, il governo italiano ha stanziato per il prossimo triennio circa 1,7 miliardi.

Bomba derivati E di nuovo allarme h partbBOMBA DERIVATI E DI NUOVO ALLARME H PARTB
I derivati sono contratti complicatissimi che, se ben fatti, funzionano come una polizza di assicurazione. Il Tesoro ha sempre sostenuto di averli sottoscritti proprio per coprire l’Italia dai rischi finanziari. Il nostro Paese, che ha un enorme debito pubblico, corre pericoli gravissimi in caso di rialzo dei tassi d’interesse: quando crescono troppo, siamo rovinati. Di qui l’idea di assicurare le casse pubbliche con i derivati. Se i tassi superano un livello da allarme rosso, ad esempio il 5 per cento e rotti (come era previsto nel primo contratto del 2004 con Deutsche Bank), la differenza deve sborsarla la banca. Se invece gli interessi calano o crollano, lo Stato deve pagare comunque il 5 per cento e a guadagnarci è la banca.

quartier generale di Deutsche Bank a FrancoforteQUARTIER GENERALE DI DEUTSCHE BANK A FRANCOFORTE
Qui c’è il primo punto delicato: questo tipo di contratto derivato (chiamato “swap”, cioè scambio di tassi d’interesse: lo Stato paga un fisso e riceve un variabile) a detta di molti esperti assomiglia più a una scommessa che a una polizza assicurativa. Quando assicuriamo la nostra automobile, ad esempio, paghiamo un prezzo determinato e certo fin dall’inizio: in cambio, è la compagnia che si accolla il rischio di dover pagare il conto in caso di incidenti. Con questi “swap”, invece, il costo è incerto e il rischio resta distribuito tra le due parti: se i tassi vanno nella direzione opposta rispetto a quella su cui si è puntato, le perdite possono arrivare a cifre astronomiche. Quindi i derivati in questione assomigliano più a una scommessa finanziaria su come si muoveranno i tassi futuri. Una scommessa che, nel caso di Deutsche Bank, si è rivelata disastrosa per lo Stato italiano.

L’Espresso ha potuto esaminare, in particolare, le caratteristiche dei derivati stipulati con l’istituto tedesco dal 2004 fino al 2015. Si tratta, per la precisione, dello swap originario e di sei contratti di ristrutturazione, che via via modificano gli accordi iniziali, fino a stravolgerli. I cambiamenti sono sostanziali. Il primo derivato legava il Tesoro e la banca per un periodo di tempo molto lungo, fino al 2034. In seguito questo termine è stato prima abbreviato radicalmente, fino al 2017, ma poi riallungato, questa volta fino al 2023.

DERIVATIDERIVATI
Con queste modifiche sono state introdotte nel tempo anche delle opzioni, esercitabili sempre e soltanto da Deutsche Bank: è la banca a poter decidere a suo piacimento di allungare la durata dei contratti o di aumentare il valore assoluto dei pagamenti. Una clausola che solleva una questione cruciale: perché il Tesoro, guidato in tutto questo arco di tempo dalla responsabile della direzione debito pubblico Maria Cannata, che aveva la specifica competenza sui derivati, ha accettato contratti così favorevoli al colosso tedesco? E che posizione hanno tenuto i tre direttori generali che si sono succeduti con i diversi governi? Si tratta degli stessi Siniscalco e Grilli, poi promossi ministri, seguiti infine da Vincenzo La Via.

Per valutare gli effetti di questi contratti, L’Espresso li ha sottoposti a una docente di fama internazionale: Rita D’Ecclesia, che insegna Finanza Quantitativa alla Sapienza di Roma e alla Birkbeck University di Londra. La sua premessa è che calcoli troppo precisi sono impossibili, perché servirebbero informazioni che nei contratti non vengono fornite, come l’esatto momento dell’esecuzione: «Anche uno spostamento di qualche ora può modificare la reale quantificazione dei flussi d’interessi da corrispondere fra le due parti».

maria cannataMARIA CANNATA
Detto questo, l’esperta di matematica finanziaria calcola che, fra il primo contratto del 2004 e l’ultimo accordo conosciuto della primavera del 2015 (quando Deutsche Bank comunicò al governo italiano l’esercizio di un’opzione, che permetteva alla banca di accendere un ulteriore contratto, con scadenza 15 ottobre 2017), questi derivati si siano tradotti in un vero salasso per lo Stato. L’esborso netto è stimabile, solo per questo periodo, «in una cifra compresa fra 1,1 e 1,3 miliardi di euro».

E poi? Che cosa è accaduto dal 2015 a oggi, e che cosa succederà da qui al 2023, quando matureranno le ultime scadenze dei contratti esaminati? I dati disponibili, fermi appunto a tre anni fa, permettono agli esperti di quantificare ulteriori pagamenti molto ingenti. Gli addetti ai lavori utilizzano un indicatore tecnico, chiamato in gergo “mark to market”. Quello dei derivati con Deutsche Bank, alla data dell’ultimo contratto (aprile 2015) risultava negativo, per l’Italia, per 2 miliardi e 250 milioni. Insomma, tra i versamenti già effettuati fino al 2015 e quelli prevedibili per i prossimi anni, non c’è il rischio di sbagliare troppo se si afferma, come spiega la professoressa D’Ecclesia, che «il costo netto a carico dello Stato sia valutabile complessivamente in oltre tre miliardi».

Rita DEcclesiaRITA DECCLESIA
Questa stima è valida, ovviamente, solo a condizioni che i contratti, dopo il 2015, non siano stati ulteriormente modificati (in peggio o in meglio) con altre clausole riservate, come già avvenuto in passato. Questo è un punto importante. A saltare agli occhi, infatti, è proprio il progressivo stravolgimento delle condizioni contrattuali. L’accordo iniziale del 2004, stando alle valutazioni tecniche, non era così squilibrato. L’Italia aveva addirittura qualche probabilità in più di vincere la scommessa rispetto a Deutsche Bank: 54 per cento, contro 46. Ma la posta in gioco era sbilanciata dall’inizio.

Nella media dei casi prevedibili, infatti, lo Stato italiano avrebbe potuto incassare 360 milioni, mentre l’istituto tedesco, in caso di vittoria, poteva sperare fin dall’inizio in profitti più elevati: circa 460 milioni. Nella realtà, però, l’evoluzione effettiva dei tassi d’interesse ha subito dato torto al Tesoro, che ha iniziato a perdere soldi fin dalle prime scadenze, pagando ogni sei mesi pesanti interessi. C’è solo un momento in cui la situazione migliora: nel primo semestre 2009 i tassi risalgono fino al livello che permette allo Stato di non rimetterci troppo. Ma proprio allora il governo italiano accetta di varare la prima ristrutturazione.

draghi derivatiDRAGHI DERIVATI
Non sarà l’unica modifica delle condizioni contrattuali: dal 2010 al 2014 ne seguiranno altre cinque, al ritmo di una l’anno. I risultati sono sempre più negativi per l’Italia. E sempre più vantaggiosi per Deutsche Bank. Tra il 2010 e il 2012, stando alle valutazioni effettuate da Rita D’Ecclesia sulla base delle informazioni disponibili, la banca tedesca riesce ad azzerare ogni rischio di perdere la scommessa con lo Stato. Una strategia del tutto logica, dal punto di vista dell’istituto di Francoforte. Più difficile spiegare il perché di queste scelte per il Tesoro e per i governi dell’epoca. L’unica risposta che si può ricavare dai dati disponibili è preoccupante: con quelle modifiche, il ministero ha ottenuto uno sconto sugli interessi da pagare nell’anno in corso, ma ha aggravato il debito totale, da versare alla scadenza finale. Invece di disinnescare la bomba dei derivati, si è allungata la miccia, aggiungendo altri carichi di esplosivo. Fino ai tre miliardi in scadenza entro il 2023.

Deutsche Bank è lo stesso istituto che, per tutt’altri motivi, è finito al centro di un’inchiesta giudiziaria che riguarda una massiccia operazione sui titoli di Stato italiani avvenuta nel 2011. Tra il primo gennaio e il 30 giugno di quell’anno la banca tedesca aveva ridotto la propria esposizione sui titoli del debito pubblico italiano, tagliandola da 8 miliardi a soli 996 milioni di euro. L’istituto di Francoforte lo comunicò al mercato il 26 luglio 2011: un annuncio che contribuì ad alimentare la crisi di fiducia nell’Italia. Nei giorni successivi lo spread (cioè la differenza tra i tassi d’interesse italiani e quelli tedeschi) superò per la prima volta la soglia dei 300 punti base.

renato brunettaRENATO BRUNETTA
Nel corso di un’indagine per manipolazione di mercato iniziata dai magistrati di Trani e poi trasferita a Milano, è emerso ora un retroscena rimasto per anni inedito: quello stesso 26 luglio 2011 - cioè quando Deutsche Bank sembrava annunciare la fuga dall’Italia, pubblicando i dati di bilancio del 30 giugno precedente - il gruppo tedesco aveva in realtà già ricomprato una grossa quota di titoli italiani. Questa notizia giudiziaria, pubblicata nel dicembre scorso dall’Espresso, è stata utilizzata da importanti esponenti del centro-destra per suffragare la teoria di un complotto tedesco contro il terzo governo di Silvio Berlusconi. Che nell’autunno 2011 fu sostituito da Mario Monti, quando lo spread aveva ormai scavalcato anche la soglia dei 500 punti. L’ex ministro Renato Brunetta ha parlato addirittura di «colpo di Stato».

La teoria del complotto, però, sembra appartenere alla campagna elettorale, più che alla realtà economica. Il capo di Deutsche Bank in Italia, Flavio Valeri, di fronte alla commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, ha ricordato che tra gli azionisti della banca di Francoforte il governo tedesco non c’è. I primi tre soci erano nel 2011 (e sono ancora oggi) investitori internazionali: cinesi, americani e qatarioti. Difficile ipotizzare un complotto politico con mandanti così variegati. Più probabile che i vertici dell’epoca di Deutsche Bank (poi rimossi) seguissero la logica della finanza di ogni latitudine: e cioè quella di massimizzare i profitti.

BERLUSCONI-TREMONTIBERLUSCONI-TREMONTI
La teoria del complotto si scontra anche con altri dati di fatto, documentati proprio dai derivati di Deutsche Bank ora svelati dall’Espresso. 

Il primo contratto, l’accordo-base che apre la strada a tutti gli altri, viene infatti siglato il 17 maggio 2004. 

Quando il capo del governo italiano era Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti ricopriva il ruolo di ministro dell’Economia. Ma non basta. 

Le prime tre decisive ristrutturazioni sono datate luglio 2009, novembre 2010, giugno 2011. Chi era il premier? Ancora Berlusconi. 

E il ministro dell’Economia? Tremonti. 

A questo punto resterebbe da capire perché mai Deutsche Bank avrebbe dovuto tramare proprio contro il governo che le aveva appena regalato quei contratti d’oro.

Fonte: qui

UN ALTRO INCIDENTE PER LA TESLA CON L’AUTOPILOT, CHE STAVOLTA SI È SCHIANTATA CONTRO UN CAMION (FERMO!) DEI POMPIERI

COM’È POSSIBILE CHE UN SUPERCOMPUTER NON VEDA UN VEICOLO GIGANTESCO E ROSSO FUOCO? E' IMPOSTATO COSI' PER UN MOTIVO, CHE SPIEGA ‘WIRED’. 

ED È UNA DELLE VERE RAGIONI PER CUI L’AUTO SENZA PILOTA NON SARA' PRONTA DOMANI, MA TRA QUALCHE ANNO(FORSE ...)

ECCO PERCHÉ LA TESLA NON RIESCE A VEDERE UN CAMION DEI POMPIERI FERMO


LA TESLA MODEL S SI SCHIANTA CONTRO UN CAMION DEI POMPIERI IN CALIFORNIALA TESLA MODEL S SI SCHIANTA CONTRO UN CAMION DEI POMPIERI IN CALIFORNIA
‘Quando vai più veloce di 80 all’ora e una macchina che sta davanti a te si sposta rapidamente di lato, e appare un veicolo fermo, il computer della Tesla non riesce a capire subito che si tratta di un ostacolo. E’ un sistema concepito per evitare che un’auto inchiodi sull’autostrada ogni volta che il veicolo di fronte cambia corsia’.

L’autopilot non è la macchina che si guida da sola: Tesla precisa che l’autista deve essere sempre attento al volante e pronto a frenare in caso di emergenza. Ma funziona così bene (nella stragrande maggioranza dei casi) che i guidatori si mettono a vedere film alla guida…

L’idea che i sensori di movimento siano in grado solo di ‘vedere’ gli oggetti in movimento non è peregrina: i radar sono semplici, economici, robusti e facili da integrare in un paraurti. Ma percepiscono anche molte cose di cui un’auto che sfreccia sull’autostrada non si deve curare: cartelloni autostradali, copertoni abbandonati, segnali a bordo strada. Così gli ingegneri spiegano ai radar di ignorare questi oggetti inanimati e di tenere d’occhio le altre auto sulla strada, quelle in movimento.

La soluzione a lungo termine sarebbe di combinare vari sensori, con differenti abilità, con ancora più potenza di calcolo. Uno di questi è il lidar: radar laser che costruiscono una mappa precisa e dettagliata del ‘mondo’ intorno all’auto, che sanno facilmente distinguere diversi oggetti di forma e colore simile. Il problema è che, rispetto al radar, il lidar è una tecnologia giovane, ancora molto cara, e non abbastanza robusta da resistere l’impatto continuo con buche sulla strada, o cpm pioggia, grandine e neve. È il futuro, ma non è ancora qui.

PS: Elon Musk sostiene invece che le sue auto non avranno bisogno del lidar, e che basteranno radar e sistemi attuali.

Simonluca Pini per www.ilsole24ore.com

Tesla Semi TruckTESLA SEMI TRUCK
Nuovo incidente negli Stati Uniti per un proprietario di Tesla. Dopo lo schianto mortale avvenuto nel 2016 a causa dello scontro contro un camion, una vettura di Elon Musk torna a far notizia per fortuna senza danni letali alle persone. Se nello scontro di quasi due anni fa la vettura non aveva “visto” l'autoarticolato, questa volta la Model S non è stata in grado di frenare o evitare un camion dei Vigili del fuoco fermo nella corsia di emergenza a sinistra con i lampeggianti accesi.
tesla model 3TESLA MODEL 3

Il sindacato dei pompieri della cittadina californiana di Culver City ha confermato via Twitter l'ammissione del guidatore di viaggiare con l'Autopilot inserito al momento dello schianto. Come confermato dagli stessi agenti la vettura viaggiava a 65 miglia orarie prima dello schianto ma non si hanno informazioni precise sulla frenata effettuata automaticamente. Nonostante il forte impatto abbia distrutto la parte anteriore della vettura, sia il guidatore che gli agenti sul mezzo non hanno riportati traumi tali da richiedere un ricovero in ospedale.
il monitor touchscreen della tesla model 3IL MONITOR TOUCHSCREEN DELLA TESLA MODEL 

L'Autopilot non è un pilota automatico
Dopo l'incidente Tesla ha dichiarato l'importanza di utilizzare l'Autopilot solo in presenza di guidatore attento, come ricordato anche dal manuale di utilizzo della Model S. Questa dichiarazione, precisa e non fraintendibile, è però in controtendenza con il messaggio presente sul sito dell'azienda di Palo Alto che recita “Guida autonoma disponibile sulla tua Model S”. La verità quindi dove sta? Come vi abbiamo raccontato nella nostra prova della Model X, i sistemi di assistenza alla guida presenti sui modelli Tesla sono ancora ben lontani da rivoluzionare il nostro stile di guida e soprattutto sono alla pari (se non addirittura leggermente inferiori) alle tecnologie presenti su modelli come la nuova Audi A8.

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L'importanza del venditore
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lunedì 29 gennaio 2018

Se i diamanti costassero un euro al chilo, penseremmo che sono pacchiani


Ne è passato di tempo da quando lo stoico Cleante ringraziava Zeus per aver creato l'uomo, il gioiello della creazione. Ma i gioielli si apprezzano anche perché sono rari, se i diamanti fossero comuni come le patate, li considereremmo inutili e pacchiani (oltre a non essere buoni da mangiare). Oggi, con sette miliardi e mezzo di umani, la fama dell'uomo come gioiello della creazione si è alquanto appannata e Bruno Sebastiani non scende a compromessi nel parlare degli esseri umani come "Il Cancro del Pianeta." E' un titolo molto inquietante per un saggio che, peraltro, fa molte osservazioni corrette. (U.B.)




IL CANCRO DEL PIANETA

Un post di Bruno Sebastiani

E se la nostra intelligenza anziché essere una scintilla divina o una mirabile opera della natura (a seconda che ci si riconosca nel creazionismo o nell’evoluzionismo) fosse un tragico errore del processo evolutivo della vita, una via “svantaggiosa” imboccata casualmente da madre natura che ben presto l’abbandonerà per far ritorno a forme di vita meno distruttive per l’ambiente?

A questa domanda, tanto angosciante quanto di basilare importanza per tutto il genere umano, ho tentato di dare una risposta con la teoria contenuta nel saggio “Il Cancro del Pianeta” (Armando Editore, Roma, 2017).

E la risposta, purtroppo, è stata affermativa. Sì, la nostra intelligenza è il frutto di un’abnorme evoluzione patita dal nostro cervello, evoluzione che ci ha posti in grado di modificare l’ambiente che ci circonda a nostro vantaggio, ma a svantaggio di ogni altra realtà del pianeta.

Fin qui qualcuno potrebbe dire: che male c’è? Noi apparteniamo alla specie Homo sapiens, siamo all’apice della catena della vita ed è giusto che ci preoccupiamo principalmente di noi stessi. Sennonché la nostra vita dipende da tutte le altre realtà esistenti sul pianeta, realtà che stiamo dissennatamente e sistematicamente annientando! È come se ci trovassimo su una nave e continuassimo ad imbarcare acqua: prima o poi ci sarà il naufragio!

Il punto è proprio questo: la “scintilla divina” (o “mirabile opera della natura”) ci ha consentito di piegare a nostro vantaggio le leggi stesse della natura, di squilibrare, sempre a nostro vantaggio, il delicato ed ultra complesso sistema di congegni e meccanismi biologici formatisi spontaneamente in milioni e milioni di anni, e ci ha consentito di farlo in un battibaleno, in poche migliaia di anni, un’inezia di tempo cosmico. Ma non ci ha consentito di creare un nuovo equilibrio altrettanto solido come quello che abbiamo distrutto.

La nostra intelligenza (o ragione) è il software che gira nel nostro cervello ed è lo strumento più potente sviluppatosi su questo pianeta. Ma la sua potenza è niente rispetto a quella necessaria per governare in modo stabile ed equilibrato le innumerevoli variabili presenti in natura.
Erano nel giusto gli antichi asceti che si annientavano di fronte all’ignoto che essi chiamavano onnipotenza divina.

Ma l’essere umano non ha seguito la loro strada perché non poteva che intraprendere il cammino del cosiddetto “progresso”, indotto a ciò due impulsi irrefrenabili, e cioè:


  • da un lato la continua, spontanea crescita (e potenza elaborativa) del cervello, da meno di 500 cc a 1.400 cc in poco più di due milioni di anni;
  • dall’altro lato l’istinto di sopravvivenza della specie, presente in ogni appartenente al regno animale e preposto al mantenimento dell’equilibrio numerico tra tutti gli esseri viventi.


Questo istinto ha normalmente la funzione di non far prevalere una specie sulle altre: alcuni animali hanno sviluppato la forza fisica, altri l’agilità, altri la velocità, altri ancora il mimetismo e così via. Ognuna di queste “doti” si è evoluta al fine di consentire a ciascuna specie la conservazione del proprio posto nel mondo della natura, all’interno di un equilibrio dinamico in continuo movimento. Tale equilibrio in passato, milioni di anni or sono, si è spezzato più volte a causa di eventi catastrofici, quali impatti con asteroidi, glaciazioni, collisioni di placche tettoniche, eruzioni ecc. Ed ogni volta, dopo la catastrofe, la vita ha ripreso ad evolvere, sotto vecchie e nuove forme, fino a ricostituire il suo equilibrio dinamico.

Al di fuori di questi eventi, che condussero alle cosiddette “estinzioni di massa”, alcune specie si estinguono per motivi naturali, di norma per il venir meno delle loro specifiche fonti di sostentamento o l’insorgere di particolari mutazioni climatiche. Queste estinzioni, dette “estinzioni di fondo” (in inglese “background extinctions”) sono assai rare, nell’ordine di 4 – 5 famiglie ogni milione di anni.

Ma ai nostri giorni l’equilibrio che presiede alla contemporanea convivenza di tutte le specie viventi si è nuovamente spezzato, e non per motivi riconducibili ad eventi catastrofici, bensì a causa dell’utilizzo che stiamo facendo delle capacità intellettuali di cui ci siamo trovati involontariamente a disporre.

In pratica nella lotta per la vita, abitualmente regolata dall’istinto di sopravvivenza, noi uomini siamo intervenuti con la nuova super arma fornitaci dall’abnorme evoluzione del nostro cervello, abbiamo sbaragliato tutti gli avversari e siamo rimasti soli a dominare su tutti i regni della natura.

Ma così come è stato facile trionfare su ogni essere animato e inanimato presente sul pianeta, è altrettanto difficile ricreare un nuovo equilibrio che garantisca la continuità della vita sulla Terra. Il nostro trionfo ha comportato la diffusione del genere umano in ogni angolo del globo con un ritmo vertiginoso, cui ha corrisposto per contrappeso l’annientamento di tutte le forme di vita non riconducibili ad un diretto utilizzo antropico (alimentare in primis). Il nostro egoismo è stato tanto cieco da non farci comprendere che in natura tutto è collegato all’interno di un grande super organismo entro cui è germogliata la vita e di cui anche noi facciamo parte. Spezzando un’infinità di anelli apparentemente inutili, abbiamo interrotto il flusso vitale del super organismo, ed ora ne patiamo le conseguenze che portano i nomi tristemente noti di inquinamento, riscaldamento globale, desertificazione, sovrappopolazione ecc. ecc.

Come non intravvedere una corrispondenza tra questo tipo di comportamento e quello delle cellule in cui il materiale genetico muta al punto da trasformarle in agenti cancerosi, restii ad accettare la morte cellulare programmata (apoptosi) e destinati ad innescare con la loro proliferazione incontrollata il processo tumorale?

A mio avviso non ha grande importanza che questa correlazione abbia basi scientifiche o meno. Ciò che conta è che faccia intendere all’essere umano come il progresso di cui va tanto orgoglioso, la cosiddetta civiltà, altro non sia per l’ecosfera se non una malattia che tutto distrugge. Questo morbo, vero e proprio cancro del pianeta, minaccia di far sparire la vita in una nuova estinzione di massa, indotta questa volta non da eventi esogeni, ma da un errore commesso da madre natura stessa, una via svantaggiosa imboccata casualmente che presto sarà abbandonata, come ogni errore prodottosi nel corso del processo evolutivo.

Oggi ci troviamo in una situazione ambigua. Non possiamo negare gli enormi benefici che il progresso ha comportato per tanta parte dell’umanità. Ma non possiamo ignorare i danni irreversibili che abbiamo già causato all’ambiente e agli altri esseri viventi, danni che prossimamente si ritorceranno anche contro di noi.

Quando il cancro conclude la sua opera nefasta anche le cellule cancerose scompaiono insieme ai tessuti sani che hanno distrutto.

Ecco questa è la visione realistica contenuta nel mio saggio. Non mi sono posto il problema della “guarigione” perché ritengo che la “malattia” sia giunta ad un punto tale da lasciare ben poche speranze di risanamento.

Ho mantenuto però un barlume di speranza individuale, laddove ho suggerito a chi ne ha la possibilità di cercare rifugio in quel poco di natura che resta, come abbiamo fatto io e mia moglie che abbiamo lasciato la città in cui vivevamo (Milano) e ci siamo trasferiti in una casa ai margini di un bosco. Qui abbiamo aperto un Bed & Breakfast, al quale abbiamo dato nientemeno che il nome di Joie de Vivre.

Se la speranza collettiva non ha più ragion d’essere, rimane pur sempre la speranza individuale!

Fonte: qui