1. I RAGAZZI DELLE BANDE LATINE SI FANNO LE OSSA CON PESTAGGI, RAPINE IN METRÒ, LITI E SPEDIZIONI PUNITIVE NELLE ARENE DELLO SCONTRO CONTINUO: PARCHI E DISCOTECHE
2. LE “PANDILLAS”, LE BANDE CRIMINALI, SONO STRUTTURATE COME ASSOCIAZIONI MAFIOSE MA "TRAPIANTATE" IN ITALIA DIVENTANO FLUIDE, NON HANNO CONTROLLO DEL TERRITORIO, SI NUTRONO DI VIOLENZA DI BRANCO E SCONTRO DI STRADA. E MOLTI RAGAZZI, SPESSO CON PROBLEMI DI INSERIMENTO IN ITALIA, SI COSTRUISCONO IL LORO MONDO NELLE BABY GANG
3. QUELLO DEL CAPOTRENO AGGREDITO NON E' UN CASO ISOLATO: NEI PRIMI 5 MESI DI QUEST’ANNO IL PERSONALE DI TRENORD HA SUBITO 44 AGGRESSIONI, 18 DELLE QUALI “FISICHE”
1 - MILANO, ARRESTATI I LATINOS DELL’AGGRESSIONE SUL TRENO MARONI: “SPARARE SE SERVE”
Guarda fisso, mentre racconta agli investigatori della Squadra mobile, al pm Lucia Minutella e all’aggiunto Alberto Nobili. Come fosse anestetizzato. «Quello stava strattonando “Peligro”, dovevo difenderlo». José Emilio Rosa Martinez ha 19 anni, un figlio di 10 mesi e un viso da bimbone come il suo amico Jackson Jahir Lopez Trivino, di un anno più grande e già arrestato nel 2013 dalla Mobile insieme ad altri 24 affiliati alla “Ms13”.
MARA SALVATRUCHA A MILANO La violenza la cantano nell’inno («Siamo le bestie che ammazziamo tutti quegli animali, machete in mano»), la ammette Martinez come se fosse normale tirare fuori quei 50 centimetri di lama dalla cinta e tirare un fendente al controllore di un treno, per una storia di biglietti non pagati. Erano le 21.50 di giovedì e se il 32enne capotreno Carlo Di Napoli non avesse tirato su d’istinto il braccio sinistro, quasi tranciato in due dalla violenza del colpo, sarebbe morto.
CAPOTRENO AGGREDITO CON IL MACHETE Invece riescono a ricucirglielo, l’arto, dopo sette ore di microchirurgia a Niguarda, mentre il collega 31enne Riccardo M. se la cava con un taglio in fronte. Martinez e “Peligro” fanno due chilometri a piedi, quel territorio — la periferia Nord tra la stazione Villapizzone, Affori e la Bovisa — lo conoscono bene. Ma si fanno trovare per strada insanguinati da una volante del commissariato Comasina, Martinez ha ancora l’arma nella cinta, e finiscono in carcere dopo l’interrogatorio per tentato omicidio.
CAPOTRENO AGGREDITO CON IL MACHETE Il resto del gruppo, mezza dozzina di 20enni pieni di vodka e pronti a scatenarsi contro Di Napoli sul trenino metropolitano Rho—Rogoredo, si dilegua ma è già stato identificato grazie alle telecamere interne del convoglio Trenord. C’è anche almeno una ragazza. La Mobile li cerca porta a porta nel quartiere. L’aggressione dà alle destre il pretesto per attaccare esecutivo Renzi e giunta Pisapia sulla sicurezza.
Da Berlusconi («Sono sotto shock, ci vuole l’esercito, ma il governo dov’è?») a Maroni («Mettiamo militari e polizia sui treni, se è necessario sparare, si spari»), da Meloni («la Milano di Expo è fuori controllo») all’assessore regionale Beccalossi («Penso alla legge del taglione»), da Bergamini («Milano come il Bronx») a Salvini («Sembra di essere a Calcutta»). Ribatte Emanuele Fiano del Pd: «Nessuno si improvvisi sceriffo». E il presidente del Senato Piero Grasso: «Aggressione folle, ma non facciamo confusione».
CARLO DI NAPOLI IL CAPOTRENO COLPITO CON IL MACHETE
2 - “BOTTE, SPUTI E INSULTI: SU QUEI VAGONI NOI CONTROLLORI RISCHIAMO LA VITA OGNI GIORNO”
Tra i ferrovieri c’è un detto: “Il treno è come la strada, può salire di tutto”. E come negli ultimi anni “la strada” è cambiata, così, di pari passo, è cambiata, abbassandosi, anche la qualità della vita sui treni: «Il ferroviere ferito a colpi di machete se l’è vista brutta, ma un mese fa ha rischiato la pelle un carabiniere, su un regionale da Venezia per Milano». «Devi sapere – spiega l’agente della polizia ferroviaria, con la garanzia dell’anonimato – che noi delle forze dell’ordine se andiamo dal capotreno e ci mettiamo a sua disposizione, proprio per offrire maggiore sicurezza, viaggiamo gratis.
CAPOTRENO AGGREDITO CON IL MACHETE A bordo ci sono tre, che non hanno il biglietto e si mettono a spintonare il controllore, che va a chiamare il carabiniere. Appena arriva, gli saltano addosso. Uno l’ha preso a calci in faccia quando stava a terra, l’ha devastato, ed è finito all’ospedale. So che i colleghi della Stazione Centrale li hanno acchiappati e consegnati ai carabinieri, i tre dovrebbero essere sotto processo».
CAPOTRENO AGGREDITO A MILANO
Nessuno, però, ne ha saputo nulla, fuori dal mondo dei detective e dei ferrovieri. Le security aziendali custodiscono il monopolio dei dati “ufficiali” – per esempio si sostiene che nei primi 5 mesi di quest’anno il personale di Trenord ha subito 44 aggressioni, 18 delle quali “fisiche” – ma spunta il più veriterio passaparola delle stazioni e dei treni. E gronda paura. O, se non paura, l’ansia continua, l’angoscia dell’incontro sbagliato.
MARA SALVATRUCHA A MILANO Una giovane donna con la divisa da controllore, seduta sulla sua valigia al binario 4, è in attesa della partenza: «Sono diventata molto più guardinga di qualche anno fa. Qui in Lombardia fatti gravi come quello del collega di Trenord ferito col machete non ne erano accaduti, che io sappia, ma quattro mesi fa un mio amico controllore era sulla Milano-Domodossola, solito gruppo senza biglietto, lui ha detto che andava a chiamare i poliziotti e appena s’è girato è stato colpito alla nuca dal lancio di una lattina di birra. So di una mia collega, con la divisa, appena uscita dalla stazione per andare al parcheggio, che è stata inseguita e aggredita».
LA MARA SALVATRUCHA SONO CENTROAMERICANI
Anche a lei sono capitati faccia a faccia con soggetti pericolosi: «Dopo anni, impari a conoscerli. Non esiste più il rispetto, né per il controllore, né per il biglietto da pagare. Ti guardano e fingono di non capire l’italiano. Finché ti rispondono “Non m’interessa”, o “Non pago un cazzo”, se ti va bene. Se no t’insultano, e io chiamo la Polfer».
Più espliciti di lei, alcuni colleghi a stazione Garibaldi: «Ogni giorno trovi chi ti sputa in faccia, chi spinge, chi fa capire che se non te ne vai pigli le botte». «Qualche volta – dice un controllore tarchiato - mi sono guardato intorno, tutti i viaggiatori tenevano gli occhi bassi per evitare casini, e li capisco pure».
MARA SALVATRUCHA Un altro collega: «Sarebbe bene sapere che non in tutte le fermate c’è la polizia ferroviaria. Perciò, se mi serve aiuto, e lo chiedo in una stazione dove i poliziotti stanno effettuando un altro intervento, devo aspettare, magari dieci minuti. Ma Trenord al personale dice che non si possono perdere 10 minuti per uno che rompe le scatole, insomma i pezzi grossi scaricano i casini addosso a noi che siamo in trincea, finché quasi quasi ci scappava il morto».
BATTESIMO PER ENTRARE NELLA GANG MARA SALVATRUCHA Come solo dopo la strage di Claudio Giardiello dentro il palazzo di Giustizia di Milano si è messo rimedio alle falle nella sicurezza, così sinora ogni allarme sui treni è stato silenziato. Anche se le rubriche delle lettere dei quotidiani sono da anni prodighe degli allarmati resoconti di lettori-viaggiatori: parlano di ragazzi che saltano i tornelli, che provocano i viaggiatori, specie le ragazze. «Ci sentiamo abbandonati, non è difficile vedere gruppi di ragazzi con i coltelli sventrare tutti i sedili e scappare», dice un pendolare. I vandalismi solo sui vagoni Trenord ammontano per il 2014 a otto milioni di euro di danni, il costo di due treni nuovi.
MARA SALVATRUCHA «La conosci la storia del sangue? E’ tipica degli arabi. Quando vengono presi – racconta un ispettore Polfer con migliaia di interventi alle spalle e “non razzista”, come si autodefinisce – alcuni si tagliano con la lametta. Per dimostrare che non gliene frega di soffrire, che sono forti. Più d’una volta abbiamo avuto le camere di sicurezza della stazione che sembravano un mattatoio.
MARA SALVATRUCHA Qualche settimana fa un collega giovane ferma uno senza biglietto, che aveva fatto casino, e s’era assicurato che non nascondesse le lamette. Allora questo arabo lo chiama nella cella e là si sloga la caviglia, che diventa come un melone. Vuole il medico e quando arriva gli dice che è stato il poliziotto a fargli male. Per fortuna non sapeva che nelle celle c’è la telecamera e s’è visto bene che era stato autolesionismo. Ma è già fuori, questi hanno capito che non ci sono regole, che non rischiano niente, e così sono sempre sui treni, o nelle stazioni: “Vedi che sono libero?”.
MARA SALVATRUCHA Gli stessi senza-casa ormai vivono nel terrore d’incontrare uno di questi, cercano di venire a dormire accanto ai nostri uffici, figurati le persone normali che lavorano ». La politica di centrodestra oggi soffia più che mai su questa paura. Ma sono dieci anni che il machete è comparso nelle risse di periferia. È da una vita che poliziotti e ferrovieri si sentono abbandonati con i viaggiatori in una prima linea che dicono - i «pezzi grossi fingono sempre di non conoscere».
3 - DA EL SALVADOR A MILANO L’EDUCAZIONE ALLE ARMI DEI BABY-CRIMINALI LATINOS
MARA SALVATRUCHA Era un giovane soldato. Rispondeva agli ordini del capo, detto «Kamikaze», e del suo vice, «Maniaco». All’alba dell’8 ottobre 2013, i poliziotti della Squadra mobile andarono ad arrestare anche Jackson Jahir Lopez Trivino. All’epoca aveva 17 anni e nessun nomignolo. Oggi s’è guadagnato il titolo di «Peligro» ed è stato fermato giovedì notte per l’aggressione al controllore.
«Peligro» si è «formato» in Italia, a Milano. E l’ordine di carcerazione del 2013 racconta l’ambiente della sua educazione criminale dentro la pandilla (banda di strada) Ms-13. Molte aggressioni del gruppo avvennero proprio nelle strade tra i quartieri MacMahon e Bovisa, intorno alla stazione di Villapizzone, quella in cui «Peligro» e il suo compagno Josè Emilio Rosa Martinez si sono scatenati contro il ferroviere.
MARA SALVATRUCHA
Eccola, la catena di violenza di quella banda: 20 maggio 2010, lesioni aggravate contro «Vampirin» (punizione interna alla stessa pandilla ); 23 agosto 2010, tentato omicidio di «Drupin» (dei rivali Ms-18); 12 settembre 2010, tentato omicidio di «Tito» e «Caramelo» (degli altri rivali, i Chicago); 9 gennaio 2011, rapina e tentato omicidio di «Muerto» (dei Neta).
E poi una serie di pestaggi, rapine in metrò, liti e spedizioni punitive nei luoghi eletti della mitologia deviata dello scontro perpetuo: parchi e discoteche di musica latino-americana. Per quei tre anni di violenza, a fine 2013 la polizia fece 27 arresti, operazione «Mareros»: il giovane «Peligro» aveva responsabilità periferiche e finì in carcere con altri 6 minorenni. La sua storia spiega anche l’evoluzione dei gruppi di strada sudamericani a Milano.
MARA SALVATRUCHA
Perché «Peligro» è un giovane ecuadoriano, e non salvadoregno come la maggior parte degli Ms-13. Le pandillas , strutturate come associazioni mafiose nei Paesi d’origine, nelle costole da esportazione in Italia diventano fluide, quasi sfilacciate (anche se spesso hanno contatti con la casa-madre); non hanno controllo del territorio; si nutrono della mitologia dello scontro di strada che domina, fin da quando sono piccoli, l’immaginario di molti ragazzi: perché ci sono cresciuti a contatto. È questa una delle motivazioni principali che spinge gli adolescenti, spesso con problemi di inserimento in Italia, a ricostruire il loro mondo di riferimento nelle bande. «Peligro» era sul treno senza biglietto e senza documenti in regola: ecco perché Josè Emilio Rosa Martinez avrebbe attaccato il controllore. Per aiutare l’amico.
MARA SALVATRUCHA
Il profilo di questo secondo arrestato, salvadoregno, 19 anni, un figlio di 6 mesi, rappresenta invece l’altro filone che alimenta i gruppi. Non ha precedenti in Italia, ma, a quanto avrebbe ammesso, faceva già parte dell’Ms-13 in Salvador. Sembra un percorso tipico: quando arrivano in Italia (perché scappano, o semplicemente perché cercano fortuna con l’emigrazione) gli uomini già affiliati nei loro Paesi d’origine tendono a riavvicinarsi ai gruppi di Milano.
MARA SALVATRUCHA
Per un motivo banale e drammatico a un tempo: le comunità straniere sono piccole, tutti si conoscono, e anche se qualcuno tenta di star lontano dalle pandillas per un po’, spesso si riavvicina perché percepisce un pericolo. Anche nelle strade italiane ci sono «nemici» della 18, magari arrivati qui da tempo. E anche se non si conoscono, le regole della strada riproducono i meccanismi di difesa e attacco.
Fonte:
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GANG MARA SALVATRUCHA IN PRIGIONE