9 dicembre forconi: 06/14/16

martedì 14 giugno 2016

ALLARME BANCHE: TORNANO A SALIRE LE SOFFERENZE

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ORA LE RATE NON PAGATE VALGONO 198 MILIARDI DI EURO E QUELLE PIU' A RISCHIO (CIOE' SPAZZATURA CHE SPESSO SI TRASFORMA IN PERDITE) AMMONTANO A 84 MILIARDI (IN UN ANNO SONO CRESCITE DEL 2%)

Gli istituti si consolano con la crescita del credito al consumo e ringraziano le famiglie che si indebitano per comprare tablet e smartphone (negli ultimi 12 mesi boom di 21 miliardi)

Per le imprese, invece, si è registrata una diminuzione delle erogazioni di quasi 16 miliardi (-2%), da 806 miliardi a 790 miliardi

Tornano a salire le sofferenze bancarie ad aprile: in un anno le rate non pagate dei finanziamenti sono cresciute di 6,7 miliardi di euro arrivando a 198 miliardi (+2%): a pesare è soprattutto il peso delle sofferenze delle imprese, salite di 4 miliardi a 140,7 miliardi (+3%), mentre quelle relative alle famiglie ammontano a 37 miliardi e sono cresciute di quasi 2 miliardi.
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Le sofferenze lorde valgono 198 miliardi, mentre quelle nette sono cresciute di 1,6 miliardi (+2 miliardi) a quasi 84 miliardi. Questi i dati principali del rapporto mensile sul credito realizzato dal Centro studi di Unimpresa, secondo il quale i prestiti al settore privato sono complessivamente saliti di quasi 5 miliardi (+0,34%), dai 1.405 miliardi di aprile 2015 ai 1.409 miliardi di aprile 2016: a spingere la ripresina dei finanziamenti bancari è il credito al consumo, cresciuto di quasi 22 miliardi (+35%), e il ramo mutui casa, aumentato di oltre 4 miliardi (+1%); per le imprese, invece, si è registrata una diminuzione delle erogazioni di quasi 16 miliardi (-2%), da 806 miliardi a 790 miliardi, causata dalla discesa dei prestiti a breve di 16 miliardi e di quelli di lungo periodo di 15 miliardi, mentre i finanziamenti di medio periodo sono saliti di 15 miliardi.
Secondo lo studio dell'associazione Unimpresa, basato su dati della Banca d'Italia, complessivamente lo stock dei finanziamenti al settore privato è lievemente cresciuto da aprile 2015 ad aprile 2016 di 4,8 miliardi (+0,34%): il totale dei prestiti è salito da 1.405,08 miliardi a 1.409,8 miliardi.
Un risultato legato all'aumento delle erogazioni alle famiglie sostenute da una dinamica in forte accelerazione del credito al consumo, comparto salito di 21,8 miliardi in un anno da 60,9 miliardi a 82,7 miliardi (+35,91%): si tratta dei prestiti erogati per una finalità specifica, in particolare per l'acquisto di automobili, elettrodomestici, televisori, tablet, smartphone, computer, arredamento per la casa e viaggi.
Lieve crescita anche per i mutui di 4,5 miliardi da 357,9 miliardi a 362,5 miliardi (+1,28%), mentre si registra un calo di 5,6 miliardi per i prestiti personali scesi da 179,5 miliardi a 173,9 miliardi (-3,15%). Complessivamente i finanziamenti alle famiglie sono saliti di 20,8 miliardi da 598,4 miliardi a 619,2 miliardi (+3,48%). Resta in generale negativo il quadro per le imprese che hanno visto calare i finanziamenti di 15,9 miliardi da 806,6 miliardi a 790,6 miliardi (-1,98%).
Le aziende nell'ultimo anno hanno assistito alla riduzione dei finanziamenti di quasi tutti i tipi di durata. Sono calati i prestiti a breve termine (fino a 1 anno) per 16,06 miliardi (-5,43%) da 296,03 miliardi a 279,9 miliardi e quelli di lungo periodo (oltre 5 anni) di 15,5 miliardi (-4,13%) da 376,05 miliardi a 360,5 miliardi, mentre quelli di medio periodo (fino a 5 anni), in controtendenza, sono cresciuti di 15,6 miliardi (+11,61%) da 134,5 miliardi a 150,2 miliardi.
Parallelamente c'è la questione delle rate dei finanziamenti non rimborsati: in totale le sofferenze sono passate dai 191,6 miliardi di aprile 2015 ai 198,3 miliardi di aprile 2016 (+3,52%) in aumento di 6,7 miliardi; a gennaio scorso le sofferenze ammontavano a 202,05 miliardi. Nel dettaglio, la quota di crediti deteriorati che fa capo alle imprese è salita da 136,3 miliardi a 140,7 (+3,21%) in aumento di 4,3 miliardi. La fetta relativa alle famiglie è cresciuta da 35,5 miliardi a 37,4 miliardi (+5,16%) in salita di 1,8 miliardi.
accantonamenti sofferenze bancarie
ACCANTONAMENTI SOFFERENZE BANCARIE
Per le imprese familiari c'è stato un aumento di 416 milioni da 15,5 miliardi a 15,9 miliardi (+2,67%). Le "altre" sofferenze (Pa, onlus, assicurazioni, fondi pensione) sono passate invece da 4,07 a 4,1 miliardi (+2,95%) con 120 milioni in più. Le sofferenze nette sono passate da 82,2 miliardi di aprile 2015 a 83,9 miliardi di aprile 2016 in aumento di 1,6 miliardi (+2,04%).
Ad aprile 2015 le sofferenze corrispondevano al 13,64% dei prestiti bancari (1.405,8 miliardi), percentuale salita al 14,07% ad aprile scorso, quando i finanziamenti degli istituti erano passati a 1.409,8 miliardi. Rispetto alla fine del 2010 le sofferenze sono più che raddoppiate: in poco più di cinque anni, da dicembre 2010 ad aprile 2016, sono salite da 77,8 miliardi a 198,3 miliardi in salita di quasi 120 miliardi. A fine 2011 erano a 107,1 miliardi; alla fine del 2012 a 124,9 miliardi.
Fonte: qui

Questa impennata del Greggio continuerà? 6 ragioni per cui lo farà

Gli analisti si chiedono se la recente impennata del greggio (che ora oscilla vicino ai 50 dollari al barile) sia semplicemente il risultato delle temporanee interruzioni della produzione o se l’eccesso di scorte si stia davvero riducendo.

Le attuali condizioni del mercato sembrano essere il risultato della convergenza di molteplici fattori, ciascuno dei quali potrebbe far cambiare l’andamento e frenare l’impennata del greggio.

1) La Domanda Estiva

Di solito, la domanda di greggio aumenta nei mesi estivi. Negli Stati Uniti, il consumo americano di benzina raggiunge il picco tra giugno ed agosto, in genere segnando 90.000 barili in più al giorno. L’Arabia Saudita è un paese piccolo, ma dipende in larga parte dal greggio per la fornitura energetica dei servizi basilari (il che spiega perché investe in energie rinnovabili come con ilnuovo accordo sull’energia eolica stipulato con la General Electric. Nella sola Arabia Saudita, la richiesta di energia per i condizionatori nei mesi estivi arriva a 0,9 milioni di barili di greggio in più al giorno. Questo aumento della domanda stagionale sembra essere coinciso con le numerose interruzioni delle forniture quest’anno.
 2) Il Consumo di Greggio in Asia
 La domanda di greggio da parte della Cina resta forte, ma non perché i consumi cinesi stiano continuando ad aumentare. La maggior parte dell’incremento sembra connesso al fatto che la Cina sta esportando una quantità maggiore di prodotti raffinati, specialmente gasolio. In altre parole, la Cina sta comprando greggio ad un prezzo conveniente, lo raffina e vende i prodotti raffinati ai partner commerciali regionali. Se questo nuovo business delle esportazioni possa continuare a supportare la domanda cinese di greggio dipenderà perlopiù dalle necessità dei suoi partner commerciali e potrebbe non essere sostenibile.L’India, invece, potrebbe essere sul punto di diventare il prossimo grande centro di produzione. Se la campagna governativa del “Produrre in India” avrà successo, la domanda di greggio e prodotti raffinati del paese potrebbe segnare un’impennata. L’AIE prevede che la domanda indiana salga dai 4 milioni di barili al giorno del 2015 a 10 milioni di barili al giorno nel 2040. L’OPEC sembra essere d’accordo e considera l’India una fonte dell’aumento futuro della domanda. Tuttavia, queste previsioni si basano sulla crescita vista in Cina nell’ultimo decennio e potrebbero non essere valide per l’economia indiana per via delle diverse condizioni politiche e sociali.

3) Le Scorte di Petrolio da Scisto

Rappresentano un grande punto interrogativo nell’equazione. Molti giacimenti di petrolio da scisto in Nord Dakota sono stati abbandonati per via degli alti costi di estrazione nella zona, mentre la produzione in Oklahoma e Texas va a gonfie vele. Il numero degli impianti di trivellazione è effettivamente salito negli Stati Uniti la scorsa settimana, per la prima volta in undici settimane. Tuttavia, non è ancora chiaro se questo nuovo aumento possa fare la differenza nel conteggio delle scorte globali. Allo stesso tempo, il numero delle compagnie nel settore del petrolio da scisto che hanno dichiarato bancarotta continua ad aumentare. Questo fatto si associa alle vendite di asset alle compagnie di private equity che non sono attrezzate per far funzionare gli impianti di trivellazione e pagano il minimo per mantenerli fino a quando non potranno rivenderli ottenendo un profitto. L’idea prevalente è che non appena il prezzo del greggio salirà, molti giacimenti torneranno in attività. Tuttavia, la realtà è più complicata. Il costo della produzione varia a seconda della compagnia, della posizione geografica ed addirittura all’interno di un determinato giacimento. Ci sono troppe variabili per prevedere con esattezza cosa succederà, in particolare con il prezzo del greggio che oscilla vicino al profitto.

4) Le Interruzioni delle Forniture Nigeriane

I Vendicatori del Delta del Niger stanno ancora creando scompiglio in Nigeria. Di recente hanno rifiutato le trattative con il governo nigeriano ed hanno attaccato un altro impianto della Chevron (NYSE:CVX). La Shell (NYSE:RDSa) ha fermato addirittura le riparazioni di un oleodotto che il gruppo aveva attaccato mesi fa. Non è chiaro a questo punto se i sabotatori si placheranno accontentandosi dei vecchi sussidi che il governo nigeriano una volta pagava per tenerli buoni. Visto che il governo non sembra capace o non vuole scontrarsi con loro militarmente, questo conflitto – e le conseguenti interruzioni delle forniture – sembrano destinati a persistere almeno per i prossimi mesi.

5) L’Aumento della Produzione Iraniana

D’altra parte, la crescita della produzione iraniana sembra compensare la riduzione di quella nigeriana. La produzione di greggio in Iran è vicina a 4 milioni di barili al giorno ed il paese ha reso noto che continuerà ad aumentarla nei prossimi mesi. Tuttavia, l’Iran non ha ancora ottenuto investimenti esteri concreti per gli asset di petrolio e gas. Il paese ha firmato dei memorandum d’intesa con l’Italia, la Corea del Sud ed il Giappone ma non ha ancora stretto gli accordi con le imprese. Questo principalmente perché il governo iraniano non ha ancora determinato definitivamente i termini per gli investitori esteri, un controverso problema politico in Iran.Il paese ha dichiarato che annuncerà i termini a giugno o luglio ma, a questo punto, chi può dirlo?

6) Le Speculazioni dei Mercati

Le azioni degli speculatori sembrano sempre amplificare l’andamento del mercato del greggio.
Il numero dei nuovi impianti di trivellazione terrà gli speculatori alla larga dai recenti massimi del greggio?
O la dichiarazione dell’OPEC secondo cui il mercato “sta tornando in equilibrio” sarà un nuovo importante fattore?
Oppure gli speculatori potrebbero approfittare del fatto che i magazzini di greggio sono ancora pieni, comportando un calo del prezzo. La stessa volatilità fa aumentare la possibilità per i traders di avere un profitto. Sia che i fondamentali indichino o meno che i prezzi potrebbero restare così alti ed aumentare ancora, gli speculatori hanno numerose ragioni per far oscillare i prezzi attuali.
Fonte: qui

Onu: se paghi puoi ammazzare bimbi

Visto da vicino, il mondo dei “buoni” fa venire i brividi. Prendiamo per esempio Ban Ki-moon, l’ex ministro degli Esteri della Corea del Sud che dal 2007 è segretario generale delle Nazioni Unite ma non se n’è ancora accorto.

I suoi osservatori in Yemen gli consegnano una relazione in base alla quale si scopre che laggiù la guerra ha già ucciso 785 bambini (e ne ha feriti altri 1.200) e che il 60% di tali morti sono da attribuire alle incursioni aeree della coalizione guidata dall’Arabia Saudita (più Kuwait, Egitto, Qatar, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Marocco, Senegal, Sudan) e appoggiata con intelligence e chissà che altro da Stati Uniti, Turchia, Francia, Regno Unito e Canada. Mica Stati canaglia, perbacco, tutta roba buona, anzi ottima. I nostri migliori alleati. Un altro 20% dei bambini è ammazzato, sempre secondo gli osservatori Onu, dai ribelli Houthi, il resto dei morti non si sa bene a chi attribuirlo. Alla coalizione a guida saudita e intelligence (mai questa parola fu più sprecata) occidentale, come agli Houthi, le stesse fonti imputano anche il bombardamento consapevole di scuole e ospedali.
La relazione (ripetiamolo: stilata da osservatori Onu) finisce nel più ampio rapporto Onu intitolato Children and armed conflict 2015 (“I bambini e i conflitti armati 2015”), che propone anche una specie di “lista nera” (Capitolo VI, annesso 228, che trovate nella versione originale inglese in fondo a questo articolo) dei Paesi che ammazzano bambini. Sulla lista c’è, ovviamente, anche l’Arabia Saudita: come potrebbe non essere così?
Apriti cielo. Com’è noto, la verità sui sauditi non si può dire. Farlo costa troppo. E infatti il buon Ban fa rapida marcia indietro. A sole 72 ore dall’uscita, fa ritirare il Rapporto. Prima dice che vuol “rivedere i casi e i numeri citati”, poi in una conferenza stampa ammette la vera ragione: “The report describes horrors no child should have to face. At the same time, I also had to consider the very real prospect that millions of other children would suffer grievously if, as was suggested to me, countries would defund many U.N. programs. Children already at risk in Palestine, South Sudan, Syria, Yemen, and so many other places would fall further into despair”. Traduzione: “Il rapporto descrive orrori che nessun bambino dovrebbe sopportare. Nello stesso tempo, devo considerare la prospettiva che milioni di altri bambini si trovino a soffrire crudelmente se, come mi è stato fatto notare, certi Paesi dovessero ridurre i fondi per i programmi dell’Onu. Bambini che sono già a rischio in Palestina, Sud Sudan, Siria, Yemen e in tanti altri posti vedrebbero aumentare la loro disperazione”.
Che cos’è successo? Questo: la casa reale dell’Arabia Saudita ha minacciato di non versare più fondi all’Onu e il buon Ban Ki-moon si è preso paura. Così l’Arabia Saudita esce dalla lista di quelli che ammazzano bambini in Yemen, dove secondo l’Onu la situazione ufficiale ora è questa: sono morti 785 bambini, di questi il 20% sono stati uccisi dagli Houthi, tutti gli altri non si sa. Visto che i bombardieri dell’Arabia Saudita non c’entrano più, saranno morti di raffreddore. In ogni caso, i poveri piloti sauditi ora sanno di godere della più completa immunità.
Quello che interessa all’Onu, dunque, non è chi ammazza la gente ma chi versa i denari. Se puoi pagare puoi ammazzare. I denari sauditi in effetti sono tanti. Da sola, l’Arabia Saudita ha offerto 500 milioni di dollari in aiuti per l’Iraq, non molto meno per i programmi alimentari dell’Onu in Siria, decine di milioni per la ricostruzione di Gaza. Roba da restare commossi, se solo non sapessimo che il regime wahabita con una mano dà e con l’altra ancor più toglie. L’Arabia Saudita è la prima finanziatrice di Hamas, che tanto si adopera perché Israele abbia una qualche ragione per distruggere Gaza. È stata ed è la prima finanziatrice delle milizie islamiche sunnite che devastano l’Iraq. È stata ed è la prima finanziatrice dell’Isis e di Al Nusra, che così bene hanno lavorato al macello della Siria. Ma di questo Ban Ki-moon che ne sa, lui è solo il segretario generale dell’Onu.
Come se una simile farsa non bastasse, il grande giornalista inglese Robert Fisk, in un articolo rilanciato in Italia dall’AntiDiplomatico , ci racconta che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (una delle agenzie dell’Onu) ha appena pubblicato un rapporto sui pericoli del fumo in Siria. Pare sia particolarmente nocivo il narghilè che in effetti, nella Siria odierna, si staglia come una delle più serie minacce alla salute della popolazione. Dormiamo tranquilli, ragazzi. C’è l’Onu che veglia su di noi.

CAPITOLO VI, ANNESSO 228 DEL RAPPORTO ONU

“In accordance with Security Council resolution 2225 (2015), Al-Shabaab (Somalia), Boko Haram (Nigeria), LRA (Central African Republic and Democratic Republic of the Congo), ISIL (Iraq) and the Taliban (Afghanistan) are listed for abduction of children. Those five groups have committed patterns of abduction of children over a number of years. SPLA (South Sudan) is also listed for abduction as a result of hundreds of violations attributed to it in 2015. Other parties have been added to existing trigger violations. In the Democratic Republic of the Congo, Raia Mutomboki5 is listed for the recruitment and use of and sexual violence against children. In Nigeria, the Civilian Joint Task Force is listed for the recruitment and use of children, with more than 50 verified cases in 2015. In South Sudan, SPLA is now also listed for sexual violence against children, with more than 100 incidents attributed to government forces. In Yemen, owing to the very large number of violations attributed to the two parties, the Houthis/Ansar Allah and the Saudi Arabia – led coalition are listed for killing and maiming and attacks on schools and hospitals”.

ORBAN ABBATTE L'IVA AL 5%


ORBAN ABBATTE L'IVA AL 5%

BUDAPEST - Senza la mannaia della Bce e avendo la completa gestione della propria valuta, oltre ad un accorto governo che fa davvero gli interessi della popolazione, l'Ungheria annuncia il taglio secco dell'IVA su generi alimentari di prima necessità, raccogliendo così i frutti dell'ottima gestione dei conti pubblici.

Il Parlamento ungherese ha approvato il pacchetto fiscale 2017 che include l’abbassamento al 5% dell’IVA su latte, uova e pollame.
In più è stato approvato l'abbattimento delle tariffe per i servizi Internet e di catering dal 27% al 18%. Il nuovo sistema entrerà in vigore del 1° gennaio 2017 e porterà diversi altri cambiamenti.
Le famiglie con almeno due figli a carico riceveranno un trattamento fiscale agevolato, con forti sconti sulle tasse proprio per famiglie con almeno due figli.
Secondo il governo Orban, le modifiche alla tassazione permetteranno a 350mila famiglie ungheresi il risparmio aggregato di 15 miliardi di fiorini.
Sarà anche rimosso il limite di 30 milioni di fiorini sui beni a tassazione ridotta per gli investimenti delle PMI, e le aziende che non possono usufruire a pieno delle deduzioni fiscali per ricerca e sviluppo, saranno autorizzate ad applicare la deduzione dalle donazioni in beneficenza. 
lunedì 13 giugno 2016
Fonte: qui

Cameron trema. L’Indipendent: 55% per il SI, la gente vuole uscire dall’Europa di Bruxelles

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Con gli ultimi sondaggi( l' Indipendent ) che danno il fronte pro-Brexit in vantaggio di ben 10 punti a meno di due settimane dal referendum, David Cameron ha deciso di giocare l’ultima carta: un piano per screditare Boris Johnson, leader degli ‘brexiters’.

Lo rivela il Daily Telegraph sottolineando che gli ultimi giorni hanno gettato il fronte ‘Remain’ ‘nel panico’ e che a questo punto il premier ha deciso di cambiare strategia. Secondo il quotidiano conservatore i guru della campagna per restare nell’Ue hanno pensato che l’unico modo di riguadagnare terreno è attaccare il sindaco di Londra accusandolo di essersi speso in favore della Brexit solo per conquistare la poltrona di primo ministro.

Il tutto a ormai pochi giorni dal fatidico 23 giugno e mentre il Regno Unito sta vivendo un weekend ad alto tasso di patriottismo, con le celebrazioni in pompa magna per i 90 anni della regina Elisabetta e l’esordio dell’Inghilterra agli Europei di calcio contro la Russia. Due eventi che, secondo gli analisti, potrebbero dare un ulteriore impulso alla campagna ‘Leave’.

La bomba su Downing Street l’ha sganciata l’Independent con la pubblicazione in esclusiva di un sondaggio dell’istituto Orb secondo il quale gli euroscettici sarebbero al 55% e i ‘Remain’ al 45%. Si tratta di uno dei margini di vantaggio più ampi per i ‘brexiters’, ancora più impressionante pensando che un anno fa, quando Orb cominciò a fare sondaggi sul referendum, i numeri erano invertiti.

E se è vero che per la media fra i sondaggi del Financial Times i pro Unione europea sono comunque ancora in lieve vantaggio (45% contro 43%), i numeri pubblicati hanno avuto subito due effetti devastanti per l’economia britannica segno che, almeno dagli investitori, sono stati considerati affidabili. Ieri sera l’indice FTSE-100 della Borsa di Londra ha avuto il calo più grave dall’inizio della campagna referendaria e la sterlina ha perso parecchio sul dollaro.

A confermare il momento positivo per gli euroscettici, secondo fonti vicine al governo britannico interpellate dal quotidiano conservatore Daily Telegraph, anche ‘sondaggi interni’ finiti nelle mani di Cameron che ora prova a giocare la sua ultima carta accusando, o meglio facendo accusare dai suoi, il sindaco di Londra di essersi speso in favore della Brexit solo per conquistare la poltrona di primo ministro. In verità la ‘macchina del fango’ in salsa british, o come lo chiama il Telegraph ‘il piano per fare fuori Boris’, era già partita qualche sera fa quando, in un dibattito televisivo, il ministro dell’Energia Amber Rudd ha attaccato Johnson sulle sue ambizioni di carriera. Parole che, secondo fonti del Telegraph, sarebbero state suggerite al ministro direttamente da Downing Street e dal Tesoro. Non solo, l’unico modo di riguadagnare terreno sui ‘brexiters’, sostengono i guru del premier, è associare Johnson all'”impresentabile” Nigel Farage.

Ieri la campagna ‘Remain’ ha presentato un nuovo manifesto in cui il leader dell’Ukip, il sindaco di Londra e Michael Gove sono ritratti ad un tavolo di casinò, intenti a lanciare dadi. Basterà? A sentir gli umori dei sudditi di Sua Maestà il rischio è che la strategia si trasformi in un boomerang. Dai piccoli imprenditori all’uomo della strada, infatti, la critica che viene rivolta più spesso alle due campagne è quella di aver polarizzato troppo lo scontro attorno ai due personaggi forti, Cameron e Johnson, e aver parlato poco di temi concreti e possibili ricadute. E i temi che contano per chi andrà a votare sono sostanzialmente due: economia ed immigrazione.

Inoltre, il sondaggio Orb rivela un altro dato che dovrebbe far preoccupare Cameron e il fronte Remain, quello sull’affluenza che potrebbe rivelarsi cruciale per l’esito del referendum. Il 78% dei sostenitori di Brexit, infatti, ha dichiarato di essere sicuro di andare a votare, contro il 66% dei ‘remainers’.

13 Jun 2016

Fonte: qui