Non so Voi ma io ho la sensazione che da lunedì nulla sarà più come prima, avverto la stessa atmosfera in Europa e nel Regno Unito che c’era prima della Brexit, tutti sereni, convinti che non succederà nulla…
A noi non interessano le chiacchiere da bar della stampa mainstream, a noi interessano le tendenze e le tendenze dicono che tutte le fesserie scritte in questi mesi sulla maggioranza degli inglesi che vorrebbe tornare indietro sul referendum, sono appunto fesserie…
Quello che sta accadendo dietro il nuovo movimento denominato Brexit Party ha dell’incredibile…
Questa è la dimostrazione che il vento è cambiato ovunque, li chiamano populisti, sovranisti e atre amenità varie, ma in realtà sono solo la conseguenza del fallimento di questa Europa. Rido pensando alle immagini di Londra piene di gente che voleva tornare in questa Europa.
Sembra che costera oltre cento milioni di sterline questa nuova commedia inglese, oggi si voterà nel Regno Unito, gli inglesi scenderanno di nuovo in campo per un secondo referendum sulla Brexit, voteranno per mandare a casa il peggiore primo ministro dell’intera storia parlamentare inglese, sbeffeggiato per ben quattro volte dal Parlamento britannico.
Verranno eletti 73 eurodeputati che non parteciperanno mai alla prima seduta del futuro parlamento europeo, una farsa incredibile. La verità è che dopo mesi e mesi di leggende metropolitane, i tories e i laburisti verranno spazzati via dalla realtà.
I burocrati europeisti, sono riusciti nel compito impossibile di rinsaldare le file della Brexit, secondo gli ultimi sondaggi che non vi racconteranno mai, la Brexit ha buone possibilità di venir riconfermata oggi. La loro stupidità nel cercare di umiliare in ogni maniera gli inglesi è stata providenziale.
Ma torniamo in America, i mercati saliti sulle ali del nulla, nelle prossime settimane dovranno fare i conti con la realtà.
I rendimenti in America ormai sono ad un passo da un’accelerazione devastante, vediamo cosa succede oggi e nei prossimi giorni, tenendo conto che lunedì, l’America è chiusa per il Veteran Day.
Ieri la Federal Reserve ha dato dimostrazione di quanto siano ignoranti i banchieri centrali, nei verbali della riunione del 1 maggio, hanno ribadito che una bassa inflazione è solo temporanea, lo stanno dicendo da dieci anni, non hanno il coraggio di dire alla gente che questa è una deflazione da debiti.
I partecipanti hanno discusso le potenziali implicazioni politiche delle continue letture a bassa inflazione. Molti partecipanti hanno visto il recente calo dell’inflazione PCE probabilmente come transitorio… il Comitato avrebbe bisogno di essere attento alla possibilità che le pressioni inflazionistiche possano costruirsi rapidamente in un contesto di utilizzo limitato delle risorse. In contrasto, alcuni altri partecipanti hanno osservato che un’inflazione moderata unita a guadagni di salari reali approssimativamente in linea con la crescita della produttività potrebbe indicare che l’utilizzo delle risorse non era così alto come suggerirebbero le recenti letture del tasso di disoccupazione. Diversi partecipanti hanno commentato che se l’inflazione non mostra segni di un rialzo nei prossimi trimestri, c’è il rischio che le aspettative di inflazione possano ancorarsi a livelli inferiori a quelli coerenti con l’obiettivo simmetrico del 2% del Comitato…
Mentre in pubblico passano il tempo a dichiarare che non c’è alcuna bolla in vista e che le quotazioni sono adeguate, interessante tra le righe è la seguente dichiarazione…
Tra i partecipanti che hanno commentato la stabilità finanziaria, la maggior parte ha evidenziato gli sviluppi recenti relativi ai prestiti a leva e alle obbligazioni societarie, nonché l’attuale elevato livello di indebitamento delle imprese non finanziarie. Alcuni partecipanti hanno suggerito che l’aumento della leva finanziaria e gli associati oneri del debito potrebbero rendere il settore delle imprese più sensibile alle recessioni economiche di quanto non sarebbe altrimenti. (…) Un paio di partecipanti hanno osservato che le valutazioni delle attività in alcuni mercati sono risultate elevate, rispetto ai fondamentali.
Solo un paio di partecipanti, gli altri probabilmente dormono come sempre o forse fanno finta di niente, in fondo quando la crisi scoppierà, come sempre era imprevedibile.
Nel frattempo mentre qualche ingenuo ancora crede che non ci sarà alcuna guerra commerciale, che si risolverà tutto, che i cinesi si piegheranno e la prenderanno bene, continuano i distinguo nei confronti di Huawei…
Premesso che oltre il 25 % dei fans di Android si trovano su Huawei e che Google si sta suicidando con le sue stesse mani, i cinesi come detto hanno un’arma atomica da lanciare su Trump, ovvero testate nucleari caricate a terre rare…
La ritorsione cinese, invece, è stata silenziosa. Talmente priva di eco da essere ancora ritenuta in elaborazione, mentre invece sarebbe
già stata consegnata alla Casa Bianca sotto forma di segnale in codice. Dissimulata sì ma paradossalment
e così esplicita ed estrema da aver riportato immediatamente le istituzioni americane a più miti consigli, dato che nell’arco di poche ore si è passati da un ultimatum immediatamente operativo a un
congelamento per tre mesi delle restrizioni verso il colosso del Dragone.
La reltà è sotto gli occhi di tutti, forse qualcuno sta davvero facendo i conti senza l’oste in questa crisi…
State sintonizzati oggi sarà un giornata movimentata!
IL SISTEMA OPERATIVO DEL PRODUTTORE CINESE HUAWEI DI SMARTPHONE, ALTERNATIVO AD ANDROID, SARÀ PRONTO ENTRO L'AUTUNNO
MA SIAMO SICURI CHE RIUSCIRÀ A FARE CONCORRENZA A GOOGLE DA UN GIORNO ALL’ALTRO? FINORA NESSUNO È RIUSCITO A VINCERE LA SFIDA DEL “TERZO OS”
E SE DIETRO ALL'OBBIDIENZA DI GOOGLE A TRUMP CI FOSSERO ANCHE (E SOPRATTUTTO) RAGIONI MILITARI?
IL «PIANO B» DI HUAWEI: UN SUO SISTEMA OPERATIVO ENTRO L’AUTUNNO
MEME SU GOOGLE E HUAWEI
Il «piano B» prende forma. Il sistema operativo di Huawei sarà pronto per il prossimo autunno, al massimo in primavera. Andrà su smartphone, tablet, notebook, smartwatch, tv e auto al posto di Android (o Windows). A parlarne è stato il capo della divisione consumer dell’azienda cinese, Richard Yu, con il Global Times, quotidiano cinese controllato dal quotidiano ufficiale del partito comunista, il People's Daily. Le dichiarazioni hanno dunque un che di ufficiale, nel giorno in cui la Cina ha indirizzato protesta solenne a Washington sul trattamento di Huawei. Yu ne ha inoltre parlato con l’americana Cnbc e ha sottolineato che si tratta di una scelta obbligata, «non vorremmo, ma potremmo non avere alternative».
Una scelta obbligata
IL CASO GOOGLE HUAWEI BY OSHO
Avevamo scritto a dicembre dell’ipotesi che Huawei si facesse internamente un sistema operativo da usare in alternativa ad Android di Google. Un passo che rischiava di farsi necessario: la cinese Zte era finita nella lista nera delle aziende che non possono avere relazioni commerciali con le aziende americane ed era rimasta senza il supporto di Google per Android (il problema è rientrato a luglio con un accordo tra Zte e Washington). Huawei intuiva che sarebbe potuto succedere anche lei, vista la tensione con gli Stati Uniti per le accuse di spionaggio. Cosa accaduta lunedì, quando Google ha sospeso la licenza Android - anche se ci sono 90 giorni di sospensione - come conseguenza del bando di Trump nei confronti dell’azienda cinese, finita nella “entity list”.
Il dominio di Android e il “peso” di Huawei
GOOGLE ANDROID VS HUAWEI
Il passaggio a un nuovo OS sarebbe una svolta per il mercato, oggi largamente dominato da Android, che è sul 74,85% degli smartphone seguito da iOS per i device Apple con il 22,9% (dati Statcounter). Huawei è il secondo produttore al mondo dopo Samsung, e dunque il secondo come percentuale di telefoni Android. Il 19% degli smartphone al mondo sono Huawei con Android, una quota elevata tenendo conto che il mercato americano è sostanzialmente inesistente per l’azienda cinese (in Europa ha una quota del 29%, in Italia del 32%).
Un terzo OS, sfida che nessuno ha ancora vinto
XI JINPING DONALD TRUMP
Questi numeri aiutano a capire perché il passaggio non è semplice cè per Huawei nè, potenzialmente, per Google. Partiamo dal primo: passare a un nuovo sistema opeativo, e in particolare a un nuovo negozio di applicazioni, è una sfida ambiziosa perché bisogna portare con sè gli sviluppatori e rendere disponibili le applicazioni. Ren Zhengfei, fondatore di Huawei, martedì ai media cinesi aveva infatti detto «non è difficile fare un nuovo sistema operativo, ma è difficile costruire un ecosistema. È una cosa grossa, va fatta un passo alla volta». La storia recente è costellata di tentativi di uscire dal duopolio Google-Apple, ma tutti fallimentari. La più clamorosa fu la debacle di Microsoft con Nokia. Quando ancora c’erano i Lumia, spesso le app arrivavano lo stesso giorno su iOS e Android, ma non su Windows. Samsung ci ha provato con Tizen, poi rimasto su smartwatch, internet of things e qualche smartphone in India. Il mercato degli smartphone non Android vale lo 0,1% del mercato globale (Gartner). Yu ha detto a Cnbc che Huawei porterà sul suo OS il negozio di app proprietario App Gallery, già installato oggi sui device Huawei.
XI JINPING
Gli utenti sono pronti per un nuovo OS?
Proprio perché è difficile, Yu a Cnbc ha sottolineato più volte «non vogliamo abbandonare Android, ma saremo costretti a farlo come conseguenza delle azioni del governo americano. Penso che non sia una cattiva notizia soltanto per noi, ma anche per le aziende americane perché supportiamo il loro business. Non vogliamo farlo ma non abbiamo altre opzioni». Vista la tensione tra Stati Uniti e Cina, queste parole non possono che essere viste con le lenti della guerra commerciale, in un difficile equilibrio tra lusinga e minaccia. Sempre Global Times cita alcuni analisti cinesi che mettono in guardia Google dal rischio di perdere il 20% dei suoi telefoni Android. Ma i consumatori, se davvero un nuovo OS sarà la via di uscita da questa impasse piuttosto che un accordo Trump-Cina, sceglieranno comunque Huawei o preferiranno l’esperienza di Android e del Google Play Store aprendo, come dicono altri analisti, praterie per altri competitori cinesi, o la stessa Google, con Android?
TRUMP E XI JINPING ALLA CITTA PROIBITA PIAZZA TIEN AN MEN
2 – ECCO I MOTIVI (MILITARI) DELLA GUERRA DI TRUMP E GOOGLE A HUAWEI
Manfrina mediatica? Prezzo pagato da Casa Bianca e Pechino per essere lasciati tranquilli nel finalizzare l’accordo commerciale? Oppure vera e propria guerra tecnologico-militare fra Usa e Cina? Sono alcune delle domande che serpeggiano sui social dopo la mossa trumpiana di Google contro Huawei. Una domanda clou è stata formulata su Twitter dalla giornalista del Tg1, Barbara Carfagna, che da anni segue i temi dell’innovazione tecnologica e della cybersecurity:
Una bella contraddizione, quella di Google, rimarcata dalla giornalista Carfagna. In effetti il ruolo di Google non è secondario nella strategia trumpiana. Il ceo di Google, Sundar Pichai, di recente ha incontrato alcuni generali del Pentagono. Come mai?
GOOGLE
Secondo molti analisti, il problema prevalente fra Trump e Huawei è soprattutto militare, come ha scritto su Start Magazine l’analista Fabio Vanorio. Google ha la top clearance per partecipare alle gare del DoD, Department of Defense (Jedi, Project Maven) e, in base a ciò, deve rendere conto al Pentagono di quanto svolge con Paesi stranieri.
Fino all’era Obama, Google aveva una rilevante libertà di azione all’estero. Adesso, con Trump alla Casa Bianca, il vento è totalmente cambiato. Gli effetti di questo cambiamento? Il primo progetto ad essere modificato è stato Dragonfly. Eric Schmidt, ex ceo di Alphabet (holding che controlla Google) e adesso a capo della Defense Innovation Unit del Pentagono. Si chiede retoricamente un analista al corrente di questioni tecnologiche: “È possibile per la Cina sviluppare un prodotto come Dragonfly senza che il Pentagono ne conosca i contenuti?”. Non è possibile.
DONALD TRUMP XI JINPING
Ma le preoccupazioni di Washington su Huawei sono anche altre. Il colosso cinese ha sviluppato con Google un prodotto per l’healthcare (progettato per rilevare e diagnosticare i primi segni di disturbi visivi nei bambini) basato sull’intelligenza artificiale. Come scritto da Chiara Rossi su Start Magazine, si chiama Track AI e utilizza TensorFlow, un insieme di strumenti software AI di Alphabet, gli stessi impiegati per il discusso Project Maven che la rivolta dei dipendenti di Google ha fatto saltare.
Il software è abbinato ai dispositivi Huawei e consentirà anche ai non professionisti di diagnosticare le condizioni di salute degli occhi dei bambini più piccoli. Ma per sviluppare Track AI, Huawei si è avvalsa di TensorFlow.
TensorFlow è uno degli strumenti più popolari per la creazione di applicazioni di machine learning ed è utilizzato dagli sviluppatori di tutto il mondo. TensorFlow è open-source, quindi chiunque e ovunque può utilizzarlo e Google non può controllarne l’accesso.
SUNDAR PICHAI
Secondo quanto riportato da Bloomberg, Chris Brummitt, un portavoce di Google, ha confermato che un team pubblicitario che collabora con i clienti della società di Mountain View ha fornito consulenza nell’attività di marketing a Huawei, sebbene nessun ingegnere sotto la guida di Sundar Pichai abbia lavorato al progetto Track AI. Anche un portavoce di Huawei ha confermato questa partnership. Vero è che l’iniziativa Track AI non rappresenta una priorità strategica per nessuno dei due giganti della tecnologia, ma sottolinea le importanti relazioni commerciali che Google ha cercato di costruire con aziende cinesi come Huawei da decenni.
DONALD TRUMP
Il Pentagono teme il controspionaggio: vi possono essere dipendenti di Google a rischio di doppio gioco con Pechino. “La Cina è uno Stato che ricorre sistematicamente allo “spionaggio elettronico” per rubare tecnologia e segreti commerciali”, ha detto ieri Edward Luttwak a Marco Orioles di Start Magazine.
C’è una questione Nsa, poi, come svelato tempo fa da Start Magazine: la non compliance di Huawei crea una vulnerabilità enorme e inammissibile per gli Stati Uniti, si dice in ambienti dell’Intelligence italiana.
Non è finita.
Huawei fa molto affidamento sulle app di Google tra cui, per la ricerca, Chrome e Maps, non solo per motivi commerciali. Recentemente, Google Earth 3D Maps ha “incidentalmente” mostrato le principali basi militari segrete di Taiwan, con alcuni dei siti disponibili in dettaglio 3D inclusa una struttura ospitante missili Patriot.
SUNDAR PICHAI AUDIZIONE AL CONGRESSO 4
Risultato: la preoccupazione del Pentagono è stata tale – si dice in ambienti istituzionali fra Usa e Italia – che nella Entity List del Bureau of Industry and Security statunitense – sono state inserite 68 filiali non-Usa di Huawei situate in 26 Paesi (Belgio, Bolivia, Brasile, Birmania, Canada, Cile, Cina, Egitto, Germania, Hong Kong, Jamaica, Giappone, Giordania, Libano, Madagascar, Olanda, Oman, Pakistan, Paraguay, Qatar, Singapore, Sri Lanka, Svizzera, Taiwan, Regno Unito, e Vietnam).
Alle società locali operanti in questi Stati che impiegano parti sensibili originate negli Usa e che hanno rapporti con la locale Huawei è richiesto di interromperli quando vi possano essere preoccupazioni di compromissione di segreti industriali statunitensi. “Finora si contano sulle dita di una mano. Il Pentagono ha iniziato una spunta alla lavagna. Un ottimo modo per il DoD (Department of Defense) valutare l’affidabilità dei propri partner e non di Huawei…”, sottolinea un osservatore al corrente del dossier.
Insomma, la “guerra” tecnologica con risvolti geopolitici – secondo la definizione di Marta Dassù (Aspen) intervistata da Start Magazine – invece di svolgersi solo ad un tavolo si sta sviluppando anche sul mercato globale.
SUNDAR PICHAI AUDIZIONE AL CONGRESSO
I cinesi hanno tergiversato temporalmente per poter arrivare al periodo di campagna elettorale di Trump e per poterlo affrontare in una condizione di sua minore attenzione e focus, facendo leva su tutti gli agenti di Pechino presenti nei meccanismi di check-and-balance di Washington D.C..
Comunque, secondo molti osservatori, si arriverà ad un accordo ma alla fine è stata una vera e propria guerra di nervi. E a quel punto se qualcuno avrà ceduto, non si potrà più tornare indietro. Fonte: qui