Il discorso integrale di Papa Francesco ai rappresentanti dell'Economia  di Comunione: "Bisogna allora puntare a cambiare le regole del gioco  del sistema economico-sociale. Imitare il buon samaritano del Vangelo  non è sufficiente”
Cari fratelli e sorelle,
sono lieto di accogliervi come rappresentanti di un progetto al quale  sono da tempo sinceramente interessato. A ciascuno di voi rivolgo il  mio saluto cordiale, e ringrazio in particolare il coordinatore, Prof.  Luigino Bruni, per le sue cortesi parole. E ringrazio anche per le  testimonianze. Economia e comunione. Due parole che la cultura attuale tiene ben separate e spesso considera opposte. Due parole che voi invece avete unito,  raccogliendo l’invito che venticinque anni fa vi rivolse Chiara Lubich,  in Brasile, quando, di fronte allo scandalo della diseguaglianza nella  città di San Paolo, chiese agli imprenditori di diventare agenti di  comunione. 
Invitandovi ad essere creativi, competenti, ma non solo questo.  L’imprenditore da voi è visto come agente di comunione. Nell’immettere  dentro l’economia il germe buono della comunione, avete iniziato un  profondo cambiamento nel modo di vedere e vivere l’impresa. 
L’impresa non solo può non distruggere la comunione tra le persone, ma può edificarla, può promuoverla. Con la vostra vita mostrate che economia e comunione diventano più  belle quando sono una accanto all’altra. Più bella l’economia,  certamente, ma più bella anche la comunione, perché la comunione  spirituale dei cuori è ancora più piena quando diventa comunione di  beni, di talenti, di profitti.
Pensando al vostro impegno, vorrei dirvi oggi tre cose. 
La prima riguarda il denaro. 
È molto importante che al centro dell’economia di comunione ci sia la comunione dei vostri utili. L’economia  di comunione è anche comunione dei profitti, espressione della  comunione della vita. Molte volte ho parlato del denaro come idolo. La  Bibbia ce lo dice in diversi modi. Non a caso la prima azione pubblica  di Gesù, nel Vangelo di Giovanni, è la cacciata dei mercanti dal tempio  (cfr 2,13-21). Non si può comprendere il nuovo Regno portato da Gesù se non ci si libera dagli idoli, di cui uno dei più potenti è il denaro. Come  dunque poter essere dei mercanti che Gesù non scaccia? Il denaro è  importante, soprattutto quando non c’è e da esso dipende il cibo, la  scuola, il futuro dei figli. Ma diventa idolo quando diventa il fine.  L’avarizia, che non a caso è un vizio capitale, è peccato di idolatria  perché l’accumulo di denaro per sé diventa il fine del proprio agire. 
E’  stato Gesù, proprio Lui, a dare categoria di “signore” al denaro:  “Nessuno può servire due signori, due padroni”. Sono due: Dio o il  denaro, l’anti-Dio, l’idolo. Questo l’ha detto Gesù.
Allo stesso livello di opzione. Pensate a questo. 
Quando il  capitalismo fa della ricerca del profitto l’unico suo scopo, rischia di  diventare una struttura idolatrica, una forma di culto. La “dea  fortuna” è sempre più la nuova divinità di una certa finanza e di tutto  quel sistema dell’azzardo che sta distruggendo milioni di famiglie del  mondo, e che voi giustamente contrastate. Questo culto idolatrico è un  surrogato della vita eterna. I singoli prodotti (le auto, i telefoni…)  invecchiano e si consumano, ma se ho il denaro o il credito posso  acquistarne immediatamente altri, illudendomi di vincere la morte. Si  capisce, allora, il valore etico e spirituale della vostra scelta di  mettere i profitti in comune. Il modo migliore e più concreto per non  fare del denaro un idolo è condividerlo, condividerlo con altri,  soprattutto con i poveri, o per far studiare e lavorare i giovani,  vincendo la tentazione idolatrica con la comunione. Quando condividete e  donate i vostri profitti, state facendo un atto di alta spiritualità,  dicendo con i fatti al denaro: tu non sei Dio, tu non sei signore, tu  non sei padrone! E non dimenticare anche quell’alta filosofia e  quell’alta teologia che faceva dire alle nostre nonne: “Il diavolo entra  dalle tasche”. Non dimenticare questo!
La seconda cosa che voglio dirvi riguarda la povertà, un tema  centrale nel vostro movimento. Oggi si attuano molteplici iniziative,  pubbliche e private, per combattere la povertà. E tutto ciò, da una  parte, è una crescita in umanità. Nella Bibbia i poveri, gli orfani, le  vedove, gli “scarti” della società di quei tempi, erano aiutati con la  decima e la spigolatura del grano. Ma la gran parte del popolo restava  povero, quegli aiuti non erano sufficienti a sfamare e a curare tutti.  Gli “scarti” della società restavano molti. Oggi abbiamo inventato altri  modi per curare, sfamare, istruire i poveri, e alcuni dei semi della  Bibbia sono fioriti in istituzioni più efficaci di quelle antiche. La  ragione delle tasse sta anche in questa solidarietà, che viene negata  dall’evasione ed elusione fiscale, che, prima di essere atti illegali  sono atti che negano la legge basilare della vita: il reciproco  soccorso. 
Ma – e questo non lo si dirà mai abbastanza – il capitalismo continua a produrre gli scarti che poi vorrebbe curare. Il  principale problema etico di questo capitalismo è la creazione di  scarti per poi cercare di nasconderli o curarli per non farli più  vedere. Una grave forma di povertà di una civiltà è non riuscire a  vedere più i suoi poveri, che prima vengono scartati e poi nascosti. Gli  aerei inquinano l’atmosfera, ma con una piccola parte dei soldi del  biglietto pianteranno alberi, per compensare parte del danno creato. Le società dell’azzardo finanziano campagne per curare i giocatori patologici che esse creano.  E il giorno in cui le imprese di armi finanzieranno ospedali per curare  i bambini mutilati dalle loro bombe, il sistema avrà raggiunto il suo  culmine. Questa è l’ipocrisia! L’economia di comunione, se vuole essere  fedele al suo carisma, non deve soltanto curare le vittime, ma costruire  un sistema dove le vittime siano sempre di meno, dove possibilmente  esse non ci siano più. Finché l’economia produrrà ancora una vittima e  ci sarà una sola persona scartata, la comunione non è ancora realizzata,  la festa della fraternità universale non è piena. Bisogna allora  puntare a cambiare le regole del gioco del sistema economico-sociale. Imitare il buon samaritano del Vangelo non è sufficiente.  Certo, quando l’imprenditore o una qualsiasi persona si imbatte in una  vittima, è chiamato a prendersene cura, e magari, come il buon  samaritano, associare anche il mercato (l’albergatore) alla sua azione  di fraternità. So che voi cercate di farlo da 25 anni.
Ma occorre agire soprattutto prima che l’uomo si imbatta nei  briganti, combattendo le strutture di peccato che producono briganti e  vittime. Un imprenditore che è solo buon samaritano fa metà del suo  dovere: cura le vittime di oggi, ma non riduce quelle di domani. Per la  comunione occorre imitare il Padre misericordioso della parabola del  figlio prodigo e attendere a casa i figli, i lavoratori e collaboratori  che hanno sbagliato, e lì abbracciarli e fare festa con e per loro – e  non farsi bloccare dalla meritocrazia invocata dal figlio maggiore e da  tanti, che in nome del merito negano la misericordia. Un imprenditore di  comunione è chiamato a fare di tutto perché anche quelli che sbagliano e  lasciano la sua casa, possano sperare in un lavoro e in un reddito  dignitoso, e non ritrovarsi a mangiare con i porci. Nessun figlio,  nessun uomo, neanche il più ribelle, merita le ghiande.
Infine, la terza cosa riguarda il futuro. Questi 25  anni della vostra storia dicono che la comunione e l’impresa possono  stare e crescere insieme. Un’esperienza che per ora è limitata ad un  piccolo numero di imprese, piccolissimo se confrontato al grande  capitale del mondo. Ma i cambiamenti nell’ordine dello spirito e quindi  della vita non sono legati ai grandi numeri. Il piccolo gregge, la  lampada, una moneta, un agnello, una perla, il sale, il lievito: sono  queste le immagini del Regno che incontriamo nei Vangeli. E i profeti ci  hanno annunciato la nuova epoca di salvezza indicandoci il segno di un  bambino, l’Emmanuele, e parlandoci di un “resto” fedele, un piccolo  gruppo. Non occorre essere in molti per cambiare la nostra vita: basta che il sale e il lievito non si snaturino. Il grande lavoro da svolgere è cercare di non perdere il “principio attivo” che li anima: il sale non fa il suo mestiere crescendo in quantità, anzi, troppo sale rende la pasta salata, ma salvando la sua “anima”, cioè la sua qualità. Tutte  le volte che le persone, i popoli e persino la Chiesa hanno pensato di  salvare il mondo crescendo nei numeri, hanno prodotto strutture di  potere, dimenticando i poveri. Salviamo la nostra economia,  restando semplicemente sale e lievito: un lavoro difficile, perché tutto  decade con il passare del tempo. Come fare per non perdere il principio  attivo, l’ “enzima” della comunione? Quando non c’erano i frigoriferi,  per conservare il lievito madre del pane si donava alla vicina un po’  della propria pasta lievitata, e quando dovevano fare di nuovo il pane  ricevevano un pugno di pasta lievitata da quella donna o da un’altra che  lo aveva ricevuto a sua volta. È la reciprocità.
La comunione non è solo divisione ma anche moltiplicazione dei beni,  creazione di nuovo pane, di nuovi beni, di nuovo Bene con la maiuscola.  Il principio vivo del Vangelo resta attivo solo se lo doniamo, perché è  amore, e l’amore è attivo quando amiamo, non quando scriviamo romanzi o  quando guardiamo telenovele. Se invece lo teniamo gelosamente tutto e  solo per noi, ammuffisce e muore. E il Vangelo può ammuffirsi.  L’economia di comunione avrà futuro se la donerete a tutti e non resterà  solo dentro la vostra “casa”. Donatela a tutti, e prima ai poveri e ai  giovani, che sono quelli che più ne hanno bisogno e sanno far  fruttificare il dono ricevuto! Per avere vita in abbondanza occorre  imparare a donare: non solo i profitti delle imprese, ma voi stessi. Il  primo dono dell’imprenditore è la propria persona: il vostro denaro,  seppure importante, è troppo poco. Il denaro non salva se non è  accompagnato dal dono della persona. L’economia di oggi, i poveri, i  giovani hanno bisogno prima di tutto della vostra anima, della vostra  fraternità rispettosa e umile, della vostra voglia di vivere e solo dopo  del vostro denaro. 
Il capitalismo conosce la filantropia, non la  comunione. È semplice donare una parte dei profitti, senza abbracciare e  toccare le persone che ricevono quelle “briciole”. Invece, anche solo  cinque pani e due pesci possono sfamare le folle se sono la condivisione  di tutta la nostra vita. Nella logica del Vangelo, se non si dona tutto  non si dona mai abbastanza. Queste cose voi le fate già. Ma potete  condividere di più i profitti per combattere l’idolatria, cambiare le  strutture per prevenire la creazione delle vittime e degli scarti;  donare di più il vostro lievito per lievitare il pane di molti. Il “no”  ad un’economia che uccide diventi un “sì” ad una economia che fa vivere,  perché condivide, include i poveri, usa i profitti per creare  comunione. Vi auguro di continuare sulla vostra strada, con coraggio,  umiltà e gioia. «Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). Dio ama i  vostri profitti e talenti donati con gioia. Lo fate già; potete farlo  ancora di più. Vi auguro di continuare ad essere seme, sale e lievito di  un’altra economia: l’economia del Regno, dove i ricchi sanno  condividere le loro ricchezze, e i poveri sono chiamati beati. Grazie.