9 dicembre forconi: 09/06/17

mercoledì 6 settembre 2017

Il petrolio farà la fine del carbone: a 15 dollari al barile entro il 2040


Il petrolio farà la fine del carbone: a 15 dollari al barile entro il 2040

Il boom dell’auto elettrica sta rivoluzionando il modo di muoverci su quattro ruote, e potrebbe contribuire anche ad abbassare il prezzo del petrolio.

Recentemente il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato un report dal titolo «Cavalcando la transizione energetica: il petrolio oltre il 2040» (Riding the Energy Transition: Oil Beyond 2040) nel quale si analizza il ruolo delle auto elettriche nei prossimi anni e il loro impatto sul prezzo del petrolio.
Quello che più sorprende di questo resoconto è la sua conclusione. Si legge infatti che se dovesse verificarsi un rapido aumento delle vendite di auto elettriche, i prezzi del petrolio potrebbero scendere ai livelli della quotazione del carbone - circa 15 dollari al barile nel 2040.

Petrolio a 15 dollari al barile nel 2040

Al di là del fatto che ci si aspetta una diminuzione della domanda globale di petrolio, la rivoluzione dei trasporti è un altro dei motivi che porteranno ad un cambio profondo nel mercato del greggio.
Il petrolio ha ormai perso la sua prerogativa come unica fonte di combustibile per il trasporto su strada e, sebbene possa essere utilizzato anche in altri modi, non è più considerato “l’oro nero”. Si sta già trovando a competere con sostanze “sorelle” come il gas naturale, il carbone, l’energia nucleare e le rinnovabili.
Nel momento in cui dovesse perdere la sua esclusività sui veicoli a motore, il petrolio potrebbe diventare il nuovo carbone, con ampie riserve recuperabili e una domanda molto elastica rispetto a quella attuale. In uno scenario in cui il petrolio perdesse il suo ruolo di principale combustibile per i trasporto, secondo quanto si legge nel documento, il suo prezzo cadrebbe considerevolmente, fino ad arrivare intorno ai 15 dollari al barile. Attualmente il prezzo del greggio si aggira intorno ai 50 dollari al barile.

Il ruolo dell’auto elettrica

Facciamo un passo indietro. Nell’anno 1900, le auto elettriche costituivano un terzo delle automobili esistenti negli USA: erano silenziose, facili da utilizzare e adatte al traffico urbano. La richiesta di elettricità richiamò addirittura l’attenzione di Thomas Edison e Ferdinand Porsche (quest’ultimo avrebbe sviluppato il primo modello di auto ibrida nel 1901). I veicoli elettrici furono i protagonisti almeno fino al 1910, fino a quando la Ford T non scalzò tutti gli altri modelli, auto elettriche comprese.
La Ford T infatti costava circa il 40% in meno di una macchina elettrica nel 1912: il basso costo si accompagnava al netto miglioramento della rete viaria. Era poi molto più facile installare distributori di benzina nelle aree rurali piuttosto che la rete elettrica. La scoperta di nuovi pozzi, poi, portarono a una caduta del prezzo del petrolio e l’auto elettrica perse definitivamente la sua competitività, per poi scomparire del tutto intorno agli anni ’30.
Tuttavia, l’auto elettrica sembra pronta a tornare, man mano che il suo livello di efficienza migliora, specialmente per quanto riguarda le batterie utilizzate. 
Le prospettive future delll’auto elettrica sono differenti:
  • l’OPEC ha predetto che le auto con combustibile alternativo saranno solo il 6% in tutto il mondo nel 2040. Nel 2016 questa cifra è stata rivista al rialzo, fino ad arrivare al 22%;
  • Bloomberg New Energy Finance (BNEF) ha calcolato che saranno 7,4 milioni i veicoli elettrici sulle strade entro il 2020 e il 25% di tutte le automobili nel 2040;
  • BNP Paribas calcola un 25% entro il 2030.

Fasi di transizione energetica

Lo sceicco Zaqui Yamani, ex ministro dell’Arabia Saudita, ha commentato:
“l’età della pietra è finita ma non per mancanza di pietre. Allo stesso modo, l’era del petrolio finirà ma non per mancanza di petrolio”.
Dagli anni della rivoluzione industriale abbiamo assistito a numerose fasi di transizione energetica. Per primo il legno, che da principale combustibile dpassò da un 90% al 30% dal 1850 al 1895. Sorte contraria ebbe il carbone, che saltò dal 9% al 65%. Il carbone fu a sua volta sostituito dal petrolio e dal gas tra il 1910 e il 1955. Nel giro di quarant’anni la percentuale di carbone utilizzato si è ridotta dal 77% al 28%, mentre la percentuale combinata di petrolio e gas è salita dal 9% al 65%.
Attualmente, il documento del Fondo Monetario Internazionale segnala che, dopo l’esame dei recenti sviluppi nei trasporti e nell’energia rinnovabile, “il petrolio come combustibile principale per il trasporto e come importante fonte di energia in generale potrebbe avere vita breve”, molto più corta di quel che si pensava.
È questa l’ultima era del petrolio, nella quale il petrolio diventerà il nuovo carbone? In pochi negherebbero che la transizione energetica proceda a pieno regime. Il progresso tecnologico del fracking, tecnica base per l’industria dello shale oil, ha portato ad una riduzione dei costi di produzione di oltre il 50%. Anche l’uso del petrolio per unità del PIL mondiale è diminuito di un 40% dal 1980. L’Agenzia Internazionale per l’Energia ha previsto una diminuzione nella percentuale dell’energia mondiale proveniente dal petrolio e dal carbone, che raggiungerà rispettivamente il 26% e il 25% entro il 2040.
Finora si è parlato di futuro, ma quali sono i dati attuali? La prossima transizione energetica potrebbe verificarsi nei prossimi 10/25 anni, quando le auto elettriche rimpiazzeranno i veicoli a motore così come i veicoli a motore rimpiazzarono le carrozze e i cavalli più di un secolo fa.
Fonte: qui

Allarme siccità, in secca le sorgenti del Po: niente acqua su Monviso

Allarme siccità, in secca le sorgenti del Po: niente acqua su Monviso

Ai 2.020 metri di quota del Pian del Re, accanto alla pietra scolpita con la celebre frase «Qui nasce il Po», dalla roccia non esce una goccia d’acqua. 

I primi otto mesi del 2017 sono stati i meno «piovosi» dal 1800


La sorgente del Po in secca (Ansa)La sorgente del Po in secca (Ansa)
shadow
Le sorgenti del Po sono in secca. Un evento che si registra raramente, conseguenza delle siccità che ha colpito il Piemonte, e non solo. Ai 2.020 metri di quota del Pian del Re, alla base del Monviso, accanto alla pietra scolpita con la celebre frase «Qui nasce il Po», dalla roccia non esce una goccia d’acqua. Poco più a valle diversi rivoli si uniscono per dare vita al torrente destinato a diventare il fiume più lungo d’Italia, lungo 652 chilometri.
Il record del 2017
Da dicembre 2016 ad agosto 2017 è stato registrato un deficit di piogge del 40% rispetto al passato e questi primi otto mesi dell’anno - dicono gli esperti - sono stati i più secchi dal 1800. «Le scarse precipitazioni estive - sottolinea il climatologo del Cnr Michele Brunetti - non hanno fatto altro che peggiorare una condizione di siccità già molto grave alla chiusura della stagione primaverile che, con un deficit di quasi il 50% rispetto alle precipitazioni medie primaverili, è risultata la terza più secca di sempre. A parte le importanti precipitazioni che hanno caratterizzato il Centrosud nel mese di febbraio, è da dicembre 2016 che le precipitazioni risultano sotto la media sull’intero territorio nazionale, tanto che, se consideriamo le precipitazioni cumulate sulle ultime tre stagioni (i 9 mesi da dicembre 2016 ad agosto 2017), siamo di fronte a un deficit di precipitazioni di quasi il 40%, senza grosse differenze tra nord e sud e, se le confrontiamo con le medesime tre stagioni dal 1800 ad oggi, quelli di quest’anno risultano i 9 mesi più secchi di sempre». In futuro la siccità, secondo il climatologo Massimiliano Fazzini, docente delle Università di Camerino e Ferrara, non è destinata a migliorare. «Durante le future estati - è il suo allarme - avremo sempre meno acqua e di peggiore qualità. Regioni come Puglia, Sicilia e Sardegna dovranno mettere in campo processi di desalinizzazione utilizzando così l’acqua del mare». «Dobbiamo iniziare - è il suo monito - a non sprecare l’acqua quando ci laviamo. Considerando i modelli climatici futuri, problemi di tale portata per il Centro Italia non dovrebbero esserci».
Agosto il mese più caldo dal 1800
La siccità è ovviamente collegata con le temperature sopra la media e si è quindi accentuata quest’estate, risultata - secondo Brunetti - seconda solo a quella del 2003. Mentre il mese di agosto è stato il terzo più caldo per l’Italia dal 1800, con un’anomalia di 2.53 gradi sopra alla media. Più caldi sono stati solo l’agosto del 2012 e del 2003, con anomalie di più 2.56 gradi e più 3.86 gradi rispettivamente. Il caldo dell’ultimo mese, assieme alle temperature eccezionalmente alte del mese di giugno (il secondo più caldo di sempre con un’anomalia di +3.22°C) e a un luglio non eccezionale ma comunque tra i 10 più caldi di sempre, hanno portato l’estate 2017 ad essere seconda solo a quella eccezionalmente torrida del 2003 (anomalia di +2.48°C quella di quest’anno contro +3.76°C dell’estate 2003).

Fonte: qui

I Brics pensano alla creazione di una propria criptovaluta

I Paesi dei Brics stanno discutendo la possibilità di creare una propria criptovaluta in alternativa agli altri strumenti di pagamento, ha dichiarato ai giornalisti il presidente del fondo degli investimenti diretti della Federazione Russa Kirill Dmitriev.
"Un altro argomento che è stato discusso presso la commissione Finanze sono state le criptovalute, inoltre potrebbe essere discussa la creazione di una propria criptovaluta come alternativa agli altri strumenti di pagamento. Questo è qualcosa in discussione nel quadro del forum di business dei Brics," — ha detto Dmitriev.
Ha osservato che ora l'attenzione sui pagamenti tra i vari Paesi dell'organizzazione è focalizzata sulle monete nazionali.
"Ma anche le criptovalute stanno cominciando ad essere discusse come uno dei meccanismi possibili per il calcolo delle transazioni, in alcuni casi potrebbe essere necessario e risultare una buona alternativa al dollaro e ad altri strumenti di pagamento", ha aggiunto.
Fonte: qui