9 dicembre forconi: 12/10/18

lunedì 10 dicembre 2018

Jean-Paul Fitoussi: "Ho sostenuto Macron, ma è solo un imbecille"


L'economista francese al Fatto: "A Parigi non capiscono cosa accade in Francia, il presidente ha aiutato i ricchi e dimenticato poveri e sinistra"




Un aggettivo per definire Emmanuel Macron? "Imbecille". Jean-Paul Fitoussi non fa giri di parole. L'economista francese, di origini tunisine, ha sostenuto il presidente francese, ma ora lo boccia senza appello. "Lo ritenevo in gamba" dice in un'intervista al Fatto Quotidiano, ma "i francesi si sono accorti della verniciatura, neppure fatta bene, di un muro pieno di crepe". Fitoussi demolisce l'azione del leader di En Marche all'Eliseo.
"Parigi non conosce la Francia e chi abita a Parigi non sapeva che milioni di francesi vivono difficoltà più estreme di quelle ipotizzabili. Ci si sveglia stupiti di questa rabbia, ma un politico che non conosce il suo Paese, che dirigente è?".
La Francia è sconvolta dalla protesta dei gilet gialli e il presidente francese dovrebbe parlare stasera, dopo tanto silenzio.
"Macron aveva annunciato che il suo programma era costituito da due parti. Apriva alla destra, all'elite, alla borghesia imprenditoriale, garantendo la riduzione delle tasse sul capitale finanziario. E offriva però alla sinistra, al popolo, un miglioramento delle condizioni economiche. L'aiuto alla destra c'è stato subito. I ricchi e i ricconi si sono visti alleggerire le tasse sui capitali, ha lasciato intatte solo quelle sul patrimonio immobiliare. Ai poveri invece ha servito il nulla". [...] "L'aumento della benzina è stata una vera provocazione" [...] "Quella provocazione, frutto dell'ignoranza sulle condizioni del territorio, ha scatenato la protesta. La gente ha pensato: questo qui toglie le tasse ai ricchi e le mette a noi poveri".
La marcia indietro a Parigi è arrivata "troppo tardi", secondo Fitoussi. Il futuro di Macron è però ancora nelle sue mani.
"La Francia ha le spalle solide e il presidente della Repubblica può dormire sonni tranquilli. Se vuole resterà fino al compimento dell'ultimo giorno del suo mandato. Altrimenti si può dimettere, se intuisce di non avere sufficiente caratura e forza politica".
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Gilet gialli, Macron: "La collera è giusta, in un certo senso"


Fa mea culpa e prova a depotenziare i gilet gialli con promesse di denaro per salari bassi e pensionati. Misure che sfasciano i conti pubblici (e aiutano l'Italia). S'è ormai ingolfato il motore franco-tedesco



È il discorso del mea culpa. È stato in silenzio per giorni, mentre le strade di Francia erano incendiate dalla protesta dei gilet gialli, ma dopo settimane di disordini Emmanuel Macron è tornato a rivolgersi ai suoi concittadini. Lo ha fatto attraverso la televisione. E, mentre i francesi lo ascoltavano, guardandolo dall'altra parte dello schermo, ha ammesso le ragioni della rabbia che sta mettendo a ferro e fuoco il Paese: "La collera è giusta, in un certo senso - ha detto – questa indignazione è condivisa da molti francesi".
Il gradimento nei confronti della sua figura sta crollando a picco nei sondaggi e Macron forse sapeva che era arrivato il momento di palesare gli errori commessi. "Mi rendo conto di aver fatto male ad alcuni francesi con le mie dichiarazioni", ha detto.
Non sono ancora passati due anni da quando, sulle note dell'Inno alla gioia di Beethoven - l'inno dell'Unione europea, che scelse di far suonare prima prima della Marsigliese - s'incamminava verso la piazza del Louvre e si apprestava a fare il suo primo discorso da presidente della Repubblica. Un periodo relativamente breve, nel corso del quale però i cambiamenti, in Francia come in Europa, sono stati radicali. E quei miglioramenti nelle condizioni di vita che i francesi aspettavano da lui non sono arrivati. Macron con le sue parole sembra ammetterlo, ma prova a mostrare ottimismo alla nazione dice: "Non possiamo restare divisi. Attraversando questa crisi riconcilieremo i francesi".
Dopo lo stop ai rincari delle tasse su carburante, luce e gas, annunciato nei giorni scorsi dal premier Philippe Macron annuncia nuovi provvedimenti. Per placare la rabbia dei gilet gialli e scongiurare proteste future decreta uno "stato di emergenza economica e sociale" e presenta un piano di misure che partiranno nel giro di pochi giorni: "Prenderò misure già questa settimana", assicura. Ha intenzione di aumentare il salario minimo di 100 euro a partire dal 2019, (questo incremento si aggiunge a quello dell'1,8% che doveva essere introdotto a partire da gennaio), di annullare l'aumento della tassazione per le pensioni di meno di 2mila euro al mese, e di chiedere agli imprenditori di versare un bonus a fine anno ai dipendenti. Attualmente erano esentati solo i pensionati che guadagnavano meno di 1.200 euro al mese. Ha annunciato inoltre che le ore di straordinario dei lavoratori non saranno tassate a partire dal 2019. Da parte di Macron, poi, la richiesta ai datori di lavoro che ne abbiano la possibilità di versare "un bonus di fine anno ai loro dipendenti" sul quale non graveranno imposte. A queste misure si aggiungerà la lotta all'evasione fiscale: i dirigenti di grandi imprese francesi dovranno versare le imposte in Francia e così pure i giganti che fanno profitti in Francia. Macron ha poi annunciato di voler affrontare la questione dell'immigrazione.
A rischio la tenuta dei conti pubblici francesi. Il motore francotedesco ormai si è ingolfato
Alcune di queste misure, però, peseranno inevitabilmente sui conti pubblici della Francia, e Bruxelles potrebbe chiedergliene il conto. Macron, insomma, potrebbe trovarsi a dover giustificare le sue scelte davanti alla Commissione europea, un po' come ha dovuto fare il governo gialloverde italiano con la manovra. Una situazione simile potrebbe, in qualche modo, agevolare il confronto tra l'Italia e la Commissione europea.
Appare chiaro, ormai, uno scenario che andava delineandosi in maniera sempre più evidente negli ultimi mesi: il motore franco-tedesco non funziona più. Angela Merkel, dopo la perdita di consensi in Assia e Baviera ha deciso di lasciare la guida della Cdu dopo 18 anni (il testimone ora passa ad Annegret Kramp-Karrenbauer, eletta l'8 dicembre ad Amburgo) e ha annunciato che, quando finirà il suo mandato da cancelliera non vorrà altri incarichi politici. In Germania, insomma, è finita un'era. E in Francia le tensioni sociali sono sempre più accese. Macron con il suo pacchetto di provvedimenti proverà a placarle, ma riuscirci è tutt'altro che semplice. Anche se dovesse riuscirci, lo scoglio di Bruxelles potrebbe essere l'ennesima prova da affrontare. Per non parlare della sua leadership ormai appannata.
Per un'alleanza che fatica, per difficoltà interne ai Paesi, ad andare avanti, altre alleanze potrebbero formarsi in futuro. Una l'ha proposta Salvini rispondendo a una domanda sul rapporto tra Italia ed Europa: "Sono convinto che l'asse tra Italia e Germania sia da ricostruire". Solo parole nel vento, una provocazione o uno scenario possibile?
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MODA - COME HA FATTO IL BOSS DI ZARA A DIVENTARE IL SESTO UOMO PIÙ RICCO AL MONDO (70 MILIARDI $)?


E LO SPIEGA ‘REPORT’ (VIDEO INTEGRALE QUI), CON UN SERVIZIO CHE APRE GLI OCCHI SU COME SI PRODUCONO I CAPI, DI LUSSO O ECONOMICI, CHE INDOSSIAMO TUTTI I GIORNI: BARILI DI MATERIALI TOSSICI E INFIAMMABILI SENZA PROTEZIONI, SOSTANZE CHIMICHE AMMASSATE ALLA RINFUSA. LE RISPOSTE DELLE AZIENDE, CON IKEA CHE PROMETTE: ‘ABBIAMO AVVERTITO I NOSTRI FORNITORI E…’

REPORT: "VERNICI E SICUREZZA ZERO, ECCO LA 'MODA CHIMICA' DEI GRANDI MARCHI"
L. Giar. per ‘il Fatto Quotidiano

report pulp fashionREPORT PULP FASHION
Secchi di prodotti chimici senza coperchio, vernici mescolate a mani nude, uomini a lavoro in sandali sopra a pavimenti pieni di residui di sostanze nocive. "Questo tra qualche anno avrà un tumore alla vescica", commenta un consulente d' azienda ignaro di essere ripreso, indicando un operaio.

Non c' è scampo, la moda funziona così e queste condizioni di lavoro accomunano i fornitori di decine di marchi noti nel mercato mondiale. Che sia Made in Italy o Made in Sweden, quasi tutto arriva in realtà dalla Cina. Lo dimostra l' inchiesta di Report su Rai Tre: in un servizio di Emanuele Bellano vengono sbugiardate le grandi aziende del fashion, tutte impegnate a garantire la sicurezza e l' alta qualità dei propri fornitori ma in realtà ultimo anello - sempre inconsapevole? - di una catena che inizia dall' altra parte del mondo con condizioni di lavoro pessime.

report pulp fashionREPORT PULP FASHION
Con una telecamera nascosta il giornalista entra nella fabbriche che producono tessuti per i grandi marchi - gli stessi che, a inizio servizio, parlano di moda "green" da Milano e da Parigi - , accompagnato da una guida che da anni lavora nel settore e che non sa di essere ripresa. Il risultato è il contrario di ciò che professano le grandi aziende: vecchi barili di materiali tossici e infiammabili senza protezioni, sostanze chimiche ammassate alla rinfusa, operai senza guanti né mascherine. "In Italia se un direttore ha una fabbrica così arriva il padrone e lo caccia a calci in culo", sentenzia la guida nello stabilimento di Shanghai.

report pulp fashionREPORT PULP FASHION
Eppure i clienti sono tutti falcoltosi: "Per Zara facciamo 100mila metri di tessuto l' anno - spiega a Report una manager della fabbrica - poi oltre a loro e a H&M produciamo anche per il gruppo Vf, per Gap e siamo in attesa di partire con Mango". Una volta ottenuti i filmati dalle fabbriche, Report ha chiesto spiegazioni ai marchi coinvolti.

Tra i "no comment" e i "verificheremo" dei più, Zara ha negato di aver mai lavorato con quegli impianti (contraddicendo non solo i video, ma anche il proprio sito internet), mentre H&M si è difeso assicurando di far firmare un protocollo ai propri fornitori in cui si impegnano a rispettare certi standard. L' unica presa di posizione decisa è arrivata da Ikea: "Abbiamo provveduto ad avvisare i nostri fornitori che se entro 90 giorni non si adegueranno agli standard di sicurezza chiuderemo i rapporti".


fabbriche di vestiti cinesiFABBRICHE DI VESTITI CINESIreport pulp fashionREPORT PULP FASHION

LA STORIA DEL 35ENNE DI ANCONA, SIEROPOSITIVO DA 11 ANNI, CHE ORA RISCHIA IL CARCERE: È ACCUSATO DI LESIONI GRAVISSIME, PER AVER CONTAGIATO L’EX FIDANZATA, E DI OMICIDIO VOLONTARIO PER LA MORTE DELLA COMPAGNA, SCOMPARSA PER UNA PATOLOGIA LEGATA ALL’HIV


LA POLIZIA: “ECCO LA SUA FOTO, CHI SA PARLI”


claudio pintiCLAUDIO PINTI
Verrà processato con rito abbreviato il 17 gennaio ad Ancona per le accuse di lesioni gravissime e omicidio volontario, davanti al gup Paola Moscaroli, Claudio Pinti, 35enne autotrasportatore, sieropositivo da undici anni, accusato di aver consapevolmente contagiato l'allora compagna morta nel giugno 2017 per una patologia tumorale connessa al virus, e di aver trasmesso l'Hiv anche a una 40enne con cui aveva una relazione. Quest'ultima sarà parte civile nel giudizio insieme ad alcuni suoi congiunti, così come i familiari della compagna di Pinti, compresa la figlioletta assistita da un'avvocatessa nominata dal tutore. L'autotrasportatore e la sua ex fidanzata, che dopo avere scoperto di essere sieropositiva lo aveva denunciato alla polizia, oggi erano tutti e due in aula: i loro sguardi non si sono nemmeno incrociati.

La foto di Claudio Pinti è stata divulgata dalla Polizia di Stato per esigenze investigative e per il rilevante interesse pubblico che potrebbe riguardare eventuali altre vittime di reato. La Squadra mobile di Ancona sta cercando di contattare coloro che abbiano eventualmente avuto incontri sessuali con Claudio Pinti. Claudio Pinti, 36 anni e' stato arrestato dalla polizia di Ancona con l'accusa di lesioni gravissime per aver contagiato consapevolmente con il virus
POLIZIAPOLIZIA
Hiv diverse partner occasionali oltre alla compagna. Ora è detenuto a Roma

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STUPRO NELL’OSPEDALE DI PADRE PIO



UN INFERMIERE DELLA “CASA SOLLIEVO DELLA SOFFERENZA” DI SAN GIOVANNI ROTONDO È ACCUSATO DI AVER VIOLENTATO UNA PAZIENTE: ARRESTATO E SOSPESO, SARÀ LICENZIATO 

SECONDO GLI INQUIRENTI AVREBBE EFFETTUATO PRATICHE SANITARIE MOLTO INVASIVE SULLA DONNA…


padre pioPADRE PIO
Avrebbe stuprato una paziente in ospedale, nella Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, l'ospedale voluto, creato e inaugurato da San Pio da Pietrelcina negli anni '50: per questo un infermiere in servizio nella struttura è stato arrestato e sospeso dal lavoro, e nei suoi confronti è in atto la pratica di licenziamento. A quanto si apprende l'infermiere, le cui generalità non sono state rese note per tutelare la vittima, è stato posto ai domiciliari.

Secondo la ricostruzione dei carabinieri, l'episodio è accaduto un mese fa. La vittima, subita la violenza, ha immediatamente chiesto aiuto ai medici di San Giovanni Rotondo che hanno informato dell'accaduto i militari. Gli inquirenti sostengono che l'infermiere avrebbe effettuato pratiche sanitarie non di sua competenza e, tra le altre cose, molto invasive.     

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I DATI ISTAT SULLA POVERTÀ CERTIFICANO CHE PEDALARE PER 4 EURO LORDI A CONSEGNA NON GARANTISCE UNA VITA DIGNITOSA



PRECARI, CASSINTEGRATI, STRANIERI: IL NUMERO DI PERSONE A RISCHIO INDIGENZA È STABILE, MENTRE CALA IL RAPPORTO TRA I PIÙ RICCHI E PIÙ POVERI 

IL VERO PROBLEMA È CHE LAVORARE NON BASTA PIÙ PER CAMPARE SERENI

Estratto dell’articolo di Marco Maroni per “il Fatto Quotidiano”

operaio troppo lento 3OPERAIO TROPPO LENTO
Una notizia buona e una cattiva. Quella buona, fonte Istat, è che nel 2016 (ultimi dati disponibili) il reddito netto medio annuo delle famiglie in Italia è cresciuto del 2,1%, una crescita che interessa tutte le fasce di reddito ma che, sorpresa, è più accentuata nel 20% di famiglie più povere.

Il rapporto tra il reddito medio del 20% più ricco della popolazione e il 20% più povero sarebbe calato da 6,3 (vuol dire redditi netti dei più ricchi superiori di 6,3 volte rispetto a quelli dei più poveri) a 5,9. Un andamento che sembra contraddire tutta l' attuale letteratura economico politica sull' aumento strutturale delle diseguaglianze.

riderRIDER
La notizia meno buona emerge da un' analisi un po' più approfondita dei dati pubblicati ieri dall' istituto di statistica. E dice, in sostanza, che è stabile il numero di persone residenti in Italia a rischio povertà e che il lavoro non è più garanzia di vita dignitosa. I rider che pedalano per 4 euro lordi a consegna, così come gli altri lavoratori della cosiddetta gig economy, i cassintegrati che hanno lavorato qualche ora in più alla settimana, i precari che lavorano a chiamata e i lavoratori part time, tanto più se hanno famiglie a carico o se sono stranieri continuano a essere, se non poveri, a rischio povertà. Quest' ultima è, secondo l' istituto di statistica, la condizione di chi ha un reddito disponibile annuo inferiore a 9.925 euro, 827 euro al mese.
pil dati istatPIL DATI ISTAT

Nel dettaglio, i dati pubblicati ieri, basati sull' ultima indagine Eu-Silc (Statistics on income and living conditions), mostrano che nel 2016 il reddito medio annuo per famiglia (esclusi gli affitti figurativi, cioè il reddito in più rappresentato dalla proprietà di un' abitazione) è stato di 30.595 euro. L' anno dopo, peraltro, il reddito medio dovrebbe essere ulteriormente cresciuto, visto che l' aumento Pil è passato dallo 0,9% all' 1,5%.
Il 20% più povero, come s' è detto, guadagna posizioni rispetto ai ricchi, anche se siamo sempre sotto i livelli pre crisi (nel 2007 il 20% più ricco aveva un reddito solo 5,2 volte maggiore).

rider deliverooRIDER DELIVEROO
(…) Il Sud si conferma messo peggio del Nord, col 33,1% di persone a rischio povertà (contro il 13,7% al Nord ovest e il 10,2% al Nord est) così come sono svantaggiate le famiglie con almeno un componente straniero: 38,9%, contro il 18,1%. (…)

Fonte: qui





Censis: paure e rancore, la società guarda al sovrano autoritario

La fotografia arriva dal 52/o Rapporto



Ansa - Un sovranismo psichico, prima di quello politico, come risultato della cattiveria che gli italiani provano, per riscattarsi dalla delusione per la mancata ripresa economica, e che spesso rivolgono contro gli stranieri. E' la diagnosi impietosa della situazione sociale italiana, come risulta dal 52/o rapporto Censis che ha analizzato la società italiana. All'origine del sentimento c'è il cosiddetto ascensore sociale: l'Italia è il paese dell'Unione europea con la più bassa quota di cittadini che dicono di avere un reddito e una capacità di spesa migliori di quelle dei propri genitori: sono il 23% contro una media europea del 30% (i picchi sono in Danimarca a quota 43% e in Svezia al 41). A pensarlo sono soprattutto le persone con un reddito basso, convinte che nulla cambierà nel loro portafogli. La delusione si intreccia con la percezione di essere poco tutelati 'a casa': il 63,6% è convinto che nessuno difende i loro interessi e la loro identità e che devono pensarci da soli. "La non sopportazione degli altri sdogana i pregiudizi, anche quelli prima inconfessabili", sottolinea il capitolo del Censis che fotografa la società italiana.

PERICOLO MIGRANTI - Nel mirino dei 'cattivi sovranisti' finiscono soprattutto gli stranieri: il 69,7% degli italiani non vorrebbe i rom come vicini di casa e il 52% è convinto che si fa di più per gli immigrati che per gli italiani. La quota raggiunge il 57% tra le persone più povere. Da qui la conclusione del Censis: "sono i dati di un cattivismo diffuso che erige muri invisibili ma spessi". I più bersagliati, inoltre, risultano gli extracomunitari: il 63% degli italiani vede in modo negativo l'immigrazione dei Paesi non comunitari contro una media Ue al 52% e il 45% non tollera anche quelli comunitari (in Europa la media è al 29%). I più ostili sono gli italiani più fragili: il 71% di chi ha più di 55 anni e il 78% dei disoccupati, mentre il dato scende al 23% tra gli imprenditori. Ma perché tanta ostilità? gli stranieri tolgono il lavoro agli italiani è la risposta del 58%, per il 63% sono un peso per il welfare mentre il 37% crede che il loro impatto sull'economia sia favorevole. 


ONDATA ASTENSIONE - Accanto al fronte immigrazione, si apre quello sul voto: alle ultime elezioni politiche gli astenuti e i votanti scheda bianca o nulla sono stati 13,7 milioni alla Camera e 12,6 al Senato. Una pratica che è schizzata negli ultimi decenni: dal 1968 a oggi l'area del non voto è salita dall'11,3% di 50 anni fa, al 29,4%. Inoltre, il 49% degli italiani crede che gli attuali politici siano tutti uguali, mentre divide il loro uso dei social network: per il 52,9% sono inutili o dannosi, contro il 47,1% ce li apprezza perché eliminano ogni filtro nel rapporto cittadini-leader politici. 

MIRAGGIO ITALIEXIT? - Pochissima convinzione anche rispetto all'Unione europea: oggi secondo il Censis, il 43% degli italiani pensa che far parte delle istituzioni europee abbia giovato all'Italia contro una media del 68% nel resto del Vecchio continente. "Siamo all'ultimo posto in Europa, addirittura dietro la Grecia della troika e il Regno Unito della Brexit", scrive l'istituto di ricerca. Eppure finora gli italiani sono stati tra i più assidui 'fan' di Bruxelles e in particolare al voto: nel 2014 l'affluenza alle elezioni europee era al 72%, rispetto al 42,6 della media. A maggio ci sarà un'importante prova per capire se c'è ancora fedeltà. 

SI GUARDA AL SOVRANO AUTORITARIO - L'Italia sta andando "da un'economia dei sistema verso un ecosistema degli attori individuali, verso un appiattimento della società", in cui "ciascuno afferma un proprio paniere di diritti e perde senso qualsiasi mobilitazione sociale". "Ognuno - si legge nel rapporto - organizza la propria dimensione sociale fuori dagli schemi consolidati" e così "il sistema sociale, attraversato da tensioni, paure, rancore, guarda al sovrano autoritario e chiede stabilità" e "il popolo si ricostituisce nell'idea di una nazione sovrana supponendo" che "le cause dell'ingiustizia e della diseguaglianza sono tutte contenute nella non-sovranità nazionale". Se "siamo di fronte a una politica dell'annuncio", a giudizio del Censis "serve una responsabilità politica che non abbia paura della complessità, che non si perda in vincoli di rancore o in ruscelli di paure, ma si misuri con la sfida complessa di governare un complesso ecosistema di attori e processi".

Gilet gialli una “catastrofe”, Macron pronto a cambiare rotta: “Ho fatto cavolate”

Secondo un sondaggio se il movimento di protesta presentasse una lista per le elezioni europee otterrebbero in Francia il 12% dei voti, la seconda forza politica del Paese

09/12/2018
Per la quarta domenica consecutiva, Parigi raccoglie le macerie lasciate dai casseur: «Una catastrofe per l’economia», come la definisce il ministro Bruno Le Maire. A pezzi anche il rapporto Francia-Usa, con Donald Trump caldamente invitato da Parigi a «non immischiarsi» nei fatti interni francesi con i suoi tweet irridenti. E intanto affiorano i sospetti di «ingerenza straniera», con la Russia in prima fila.
Emmanuel Macron, sempre in silenzio e nelle stanze dell’Eliseo, si prepara al lunedì in cui dovrà giocarsi tutte le carte, prima fra tutti il jolly delle concessioni ai gilet gialli per evitare che sabato prossimo prenda forma un quinto appuntamento con la guerriglia a ridosso di Natale. Accerchiato dai nemici, interni e internazionali, Macron sta mettendo a punto i ritocchi agli annunci che farà lunedì sera, rivolgendosi finalmente ai francesi in tv alle 20. Tagli alle tasse, aumento dei sussidi e delle pensioni minime, rinuncia all’ecotassa, o addirittura rimpasto di governo e siluramento di Edouard Philippe: il toto-proposte impazza, ma già domani mattina si avranno le prime anticipazioni, perché dalle 10 il presidente riceverà all’Eliseo le alte cariche dello Stato, i partiti, i sindacati e tutti i partner sociali per illustrare loro, in anteprima, il suo piano per disinnescare il grande conflitto sociale. «Ho fatto delle cavolate, ci sono troppe tasse in questo Paese!», si sarebbe sfogato venerdì scorso Macron incontrando i sindaci, secondo la ricostruzione offerta stamattina da Le Parisien. E ora sembra deciso a porvi rimedio.

Disordini a Parigi per la protesta dei gilet gialli, vengono date alle fiamme alcune auto

Ad ogni modo la Francia si è risvegliata ancora una volta con la testa pesante dopo la sbronza di violenza del sabato. Se il consenso per i gilet gialli, pur in calo, resta alto, il governo appare sull’orlo di una crisi di nervi. Il nuovo tweet di Trump, che si accoda ai gilet gialli e spiega la loro rivolta con l’accordo di Parigi sul clima, da lui osteggiato, ha fatto reagire con stizza i vertici: «Noi non interveniamo sulla politica interna americana e ci piacerebbe fosse reciproco». Per una volta non ha avuto bisogno di codici diplomatici il capo del Quai d’Orsay, Jean-Yves Le Drian, che è stato ben attento ad associare alla sua presa di posizione il presidente Macron.
La Francia guarda anche ad altri nemici, quelli che hanno messo in rete venerdì sera i piani della prefettura per gestire la manifestazione. E gli 007 indagano su possibili «ingerenze straniere», dopo che il Times aveva avanzato un’ipotesi di attività sospette sui social network legati alla Russia. Ma la cordata ostile non si ferma qui. «L’internazionale populista», come la chiamano alcuni media, si è messa in moto per spalleggiare i gilet gialli - scrive ad esempio L’Obs - proprio nel cuore di quella che Macron avrebbe voluto fosse la base operativa mondiale dell’antipopulismo e del progressismo. Il settimanale nota che «Donald Trump si propone come guida suprema dei manifestanti francesi» e Steve Bannon ha esultato con un «Parigi brucia!». Gert Walders, il leader dell’estrema destra olandese, ha twittato un bel gilet giallo, mentre in Serbia un deputato di estrema destra ha indossato l’indumento della protesta addirittura in parlamento, mentre «il presidente turco Erdogan, che di repressione se ne intende, non ha potuto non denunciare le violenze della polizia». Ce n’è anche per Matteo Salvini, che «non nasconde la sua gioia di fronte ai guai dei francesi». Insomma, «il presidente francese è diventato il simbolo di tutti i valori» che «l’internazionale populista» detesta.

Lacrimogeni sugli Champs-Elysées: la polizia trascina via un manifestante

Secondo i risultati di un sondaggio Ipsos pubblicato da Le Journal du Dimanche, se i Gilet gialli presentassero una lista per le elezioni europee otterrebbero in Francia il 12% dei voti, e sarebbero la seconda forza politica del Paese. La Republique en marche, il movimento di Macron, alleato con i centristi di MoDem, otterrebbe il 21% e sarebbe al primo posto. Terza piazza per il Rassemblement National di Marine Le Pen (14%) e quindi i verdi (3%), i conservatori di Les Republicains (11%) e la sinistra di Lfi (9%).

DOPO IL QATAR, PURE L'IRAQ POTREBBE ABBANDONARE L'OPEC


IL PAESE CHIAMATO AD IMPEDIRE ALTRE FUGHE È L' ARABIA SAUDITA, CHE FU LEADER DI FATTO DELL'ORGANIZZAZIONE, E PER QUESTO ALLEATO PRIVILEGIATO DEGLI USA. 

TRUMP SPINGE SU RIAD PER TENERE BASSI I PREZZI DEI CARBURANTI. 

MA PUTIN VUOLE IL CONTENIMENTO DELLA PRODUZIONE PERCHÉ GLI COSTA CARO ESTRARRE

Flavio Pompetti per “il Messaggero

Chi seguirà il Qatar sulla rotta della fuga dall' Opec?
Dopo l' annuncio di ieri a Doha gli analisti del mercato del petrolio puntano gli occhi su Vienna, dove domani e il giorno dopo i 14 membri superstiti del cartello si riuniranno per fare il punto della situazione, e decidere la rotta comune. La defezione del Qatar non è di per se rilevante: lo stato del Golfo produce solo il 2% del petrolio mondiale, e la sua assenza a partire da gennaio non avrà conseguenze sulla capacità decisionale.
Il problema è invece il successo che l' Opec non ha nel far rispettare le quote che vengono assegnate ai singoli stati membri.
PETROLIOPETROLIO

Nel mese scorso molti di loro hanno estratto in eccesso, con il risultato di vanificare l' obiettivo di fermare la caduta dei prezzi, che sono scesi del 30% rispetto al picco di 82 dollari a fine ottobre. Il primo a rompere le righe è stato l' Iraq, un paese devastato dalla guerra, e che ancora dipende dal petrolio per il 90% della sua economia. Nelle stime del governo occorrono 100 miliardi di dollari per ricostruire le infrastrutture perdute negli ultimi tre anni di campagna contro l' Isis, e per riavviare la crescita.

IL RE DELL ARABIA SAUDITA CON TAMIM AL THANI EMIRO DEL QATARIL RE DELL ARABIA SAUDITA CON TAMIM AL THANI EMIRO DEL QATAR
Il mese scorso i pozzi del paese hanno estratto 4,76 milioni di barili al giorno, contro la media annuale di 3,2 milioni. Lo sconfinamento è però ancora al disotto dei 5 milioni di barili che il ministro del petrolio fresco di nomina Thamir Ghadhban ha dichiarato necessari nel lungo termine per l' amministrazione del suo paese. Tutti questi dettagli fanno dell' Iraq un candidato possibile per un secondo strappo dall' Opec, che se dovesse occorrere sarebbe però fatale. Il paese è il secondo per ordine di produzione all' interno del cartello, e una sua defezione aprirebbe alla totale anarchia, visto che Libia, Venezuela e Nigeria da tempo scalpitano per essere esentate dagli accordi, e spesso li violano.

prezzo petrolio vertice opecPREZZO PETROLIO VERTICE OPEC
GLI APPELLI

Il paese chiamato ad impedire altre fughe è l' Arabia Saudita, fino a dodici anni fa il leader di fatto dell' organizzazione, e per questo motivo alleato privilegiato degli Usa. La casa reale di Riad è infatti il principale destinatario degli appelli sempre più urgenti che Donald Trump sta lanciando da Washington, perché da Vienna si esca venerdì con un accordo che confermi la piena disponibilità di prodotto, e quindi una garanzia sul contenimento dei prezzi.
riunione opecRIUNIONE OPEC

 Su questa strada però i sauditi devono fare i conti con la Russia, un paese che estrae a costi molto alti, e ha quindi bisogno di spingere una politica di contenimento della produzione. Dal 2006 Mosca è accettata ai summit dell' Opec come paese non associato, ma di fatto ha acquistato un grande potere di influenza, visto che con l' Arabia e gli Usa fa parte della nuova triade dei padroni dell' oro nero.

vladimir putin e mohammed bin salman 4VLADIMIR PUTIN E MOHAMMED BIN SALMAN
A Buenos Aires lo scorso fine settimana Putin si è accordato con Mohhammed bin Salman per una riconferma del taglio di un milione di barili al giorno che da due anni regola la produzione Opec. L' ultima variabile di questa complessa scacchiera sono gli Usa, dove l' interesse del presidente a calmierare il mercato non coincide con quello dei produttori, molti dei quali sono appena tornati ad estrarre dopo l' ondata di chiusure del 2015. Se l' asticella dei prezzi dovesse tornare sotto i 50 dollari al barile, molti di loro torneranno a protestare direttamente contro la Casa Bianca.

Fonte: qui

SI FERMA ANCHE L'ULTIMA NAVE ATTIVA NEL MEDITERRANEO



SALVINI: ''ERA ORA, MENO PARTENZE, MENO SBARCHI, MENO MORTI''. 

MEDICI SENZA FRONTIERE E SOS MÉDITERRANÉE, LE ONG CHE USAVANO AQUARIUS: ''È IL RISULTATO DELLA PROLUNGATA CAMPAGNA AVVIATA DAL GOVERNO ITALIANO E SUPPORTATA DA ALTRI STATI EUROPEI, PER DELEGITTIMARE, DIFFAMARE E OSTACOLARE LE ORGANIZZAZIONI UMANITARIE''

Chiara Giannini per ''il Giornale''

aquariusAQUARIUS
La politica anti migranti del Viminale e le inchieste del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, hanno dato i loro frutti: due Ong, Medici senza frontiere e Sos Méditerranée, hanno infatti annunciato lo stop alle loro attività. La notizia che quelli che indicavano le Organizzazioni non governative come responsabili dell' incremento degli sbarchi auspicavano da tempo.

«Dopo due mesi in porto a Marsiglia - si legge nel comunicato di Msf - senza riuscire a ottenere una bandiera e mentre uomini, donne e bambini continuano a morire in mare, Msf e Sos Méditerranée sono costrette a chiudere le attività della nave Aquarius. Una scelta dolorosa, ma purtroppo obbligata, che lascerà nel Mediterraneo più morti evitabili, senza alcun testimone».
LA AQUARIUS TORNA IN MARELA AQUARIUS TORNA IN MARE

Claudia Lodesani della Ong italiana chiarisce: «In un crescente clima di criminalizzazione dei migranti e di chi li aiuta, si perde di vista il principio stesso di umanità. Cercheremo nuovi modi per fornire loro l' assistenza umanitaria e le cure mediche di cui hanno disperatamente bisogno». Frederic Penard, direttore delle operazioni di Sos Mediterranée, spiega: «Rinunciare all' Aquarius è stata una decisione estremamente difficile da prendere».

rifiuti infetti nell'aquarius 4RIFIUTI INFETTI NELL'AQUARIUS
Per le Ong, a influire sulla scelta sarebbero «gli attacchi compiuti negli ultimi 18 mesi da alcuni stati europei, ma anche le affermazioni grottesche sul traffico di rifiuti e attività criminali». E poi l' attacco frontale: «È il risultato della prolungata campagna avviata dal governo italiano e supportata da altri Stati europei, per delegittimare, diffamare e ostacolare le organizzazioni umanitarie impegnate a soccorrere persone vulnerabili nel Mediterraneo».

Non la pensa così il ministro dell' Interno, Matteo Salvini, che ha sempre definito le Ong «complici degli scafisti». Con un post su Twitter ha espresso la sua soddisfazione: «La nave Aquarius chiude le attività. Meno partenze, meno sbarchi, meno morti. Bene così». Dichiarazioni sulla stessa linea della collega Marine Le Pen: «La fine dell' attività pro migranti della nave Aquarius è un' ottima notizia per i popoli europei. Ora tutti i nostri sforzi devono concentrarsi per annullare il Global Compact, la cui firma è prevista a Marrakech».

la nave aquariusLA NAVE AQUARIUS
La notizia non ha risparmiato critiche della sinistra. Il primo a intervenire è stato Giuseppe Civati di Possibile: «L' attuale ministro dell' Interno Salvini gongola, sulle pelle delle persone disperate, proseguendo la battaglia feroce contro le Organizzazioni non governative. Ma le responsabilità - dice ancora - sono diffuse nella classe politica italiana, basti pensare al codice Minniti, il primo atto di criminalizzazione verso chi svolgeva attività di salvataggio di vite umane. E non va dimenticato Di Maio, che parla di taxi del mare».
la nave aquariusLA NAVE AQUARIUS



L' accordo raggiunto nel vertice governativo su Sophia ha invece portato a una proroga di tre mesi della missione militare europea. Salvini, chiaro nel minacciare lo stop alla missione in mancanza di regole nuove, non ha nascosto le sue perplessità.

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