9 dicembre forconi: febbraio 2016

lunedì 29 febbraio 2016

Nel silenzio dei media, l'Arabia Saudita prepara l'invasione della Siria con un'esercitazione militare con altri 20 paesi

Arabia(21)

Il regime di Riad: "Si tratta dell'esercitazione militare più grande al mondo"

 

Le forze armate di 20 paesi hanno iniziato sabato delle esercitazioni militari su larga scala nel nord dell'Arabia Saudita. Lo ha riportato la Saudi Press Agency. 

Secondo il regime di Riad, l'obiettivo è quello di preparare le truppe ad una risposta efficacia contro la minaccia del terrorismo. Il nome dell'operazione scelto è “Treno Nord” ed è stata portata avanti da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Giordania, Bahrain, Senegal, Sudan, Kuwait, Maldive, Marocco, Pakistan, Ciad, Tunisia, Comore, Gibuti, Oman, Qatar, Malesia coinvolto, Egitto e Mauritania.
 
Secondo il sito web dell'agenzia saudita, è "la più grande esercitazione militare al mondo in termini di numero di forze partecipanti, così come l'estensione della zona di manovra". Non si forniscono ulteriori dati o dettagli.
 
"Gli esercizi Treno Nord venuto in mezzo alle crescenti minacce terroristiche, così come l'instabilità politica e la sicurezza nella regione", si legge nell'articolo.
 
Il 4 febbraio, un portavoce delle forze armate saudite ha detto che se il suo paese riceverà una richiesta da parte della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, sarà disposto a svolgere operazioni di terra contro il gruppo terroristico dello Stato Islamico (EI) in Siria.
 
Quindi: il principale sponsor della creazione, sostegno e finanziamento dell'Isis prepara con un'esercitazione militare con altri 20 paesi l'invasione della Siria “contro la sua stessa creatura(!???!)”, in ritirata per la liberazione in corso da parte dell'esercito siriano.
 

E il Truman Show(dell'Arabia Saudita e della Turchia!!!) può continuare.

Leggi: Assedio di Aleppo, dove muore la verità
 

giovedì 25 febbraio 2016

Gli Usa dovrebbero prepararsi al crollo dell'Arabia Saudita.

Arabia SauditaTre scenari sul possibile collasso di Riyad

Per mezzo secolo, l'Arabia Saudita è stata la chiave di volta della politica americana in Medio Oriente. Arabia Saudita e Stati Uniti hanno stretti rapporti che si basano molto sulle vendite di petrolio. Tuttavia, Washington potrebbe ritrovarsi a dover rivedere queste relazioni perché il Regno potrebbe presto crollare, dicono gli esperti.
"In effetti, l'Arabia Saudita non è uno Stato e può essere descritta in due modi: .. come entità politica con un modello di business intelligente, ma non sostenibile, o come un'entità così corrotta che assomiglia ad una organizzazione criminale verticalmente integrata.
In entrambi i casi, non può resistere per molto tempo", hanno scritto in un articolo per The Atlantic  Sarah Chayes del Carnegie Endowment for International Peace e Alex De Waal della Fletcher School presso la Tufts University.
 
Gli esperti spiegano che il re saudita è il CEO di un'azienda a conduzione familiare che converte il petrolio in denaro per l'acquisto della lealtà politica.
Gli Stati Uniti credono che il re abbia riserve infinite per portare avanti questa politica.
 
In realtà, l'accordo per congelare la produzione di petrolio e l'eventuale vendita della più grande compagnia petrolifera del paese, Aramco, sono segni di un urgente bisogno di entrate
 
Secondo Chayes e De Waal, per l'Arabia Saudita ci sono tre possibili scenari.
 
La prima è la lotta all'interno della famiglia reale, per i cui membri comprare la fedeltà diventerà sempre più costoso.
 
Il secondo è una guerra con un altro stato, dato il confronto tra Riyadh e Teheran in Yemen e Siria.
 
Il terzo è un sollevamento di civili o jihadisti nel paese.
 
Gli esperti dicono che Washington è di solito sorpresa quando stati presumibilmente stabili cominciano a sgretolarsi. Tuttavia, gli Stati Uniti d'America dovrebbero prepararsi per il crollo del regno e cambiare il corso delle relazioni bilaterali.
 
Notizia del: 
 
Fonte: qui

martedì 23 febbraio 2016

Ecco le spese nascoste dal governo sprecone: un miliardo a settimana

Schermata-2016-02-21-alle-19.30.1Ecco le spese nascoste dal governo sprecone: un miliardo a settimana

Lo studio Unimpresa che smaschera il premier: nel 2015 52 miliardi di uscite in più. E 26 di tasse

Roma Da una parte le parole, dall'altra i numeri. Sono le solite due facce del governo Renzi, anche in tema di revisione della spesa pubblica.


Ieri il consulente alla spending review e alter ego del premier, Yoram Gutgeld, ha scritto al Sole 24 Ore rivendicando(con le solite minchiate propagandische!!!) i «risultati importanti di un impegno che il governo intende proseguire» sostenendo che in due anni sono stati conseguiti oltre 25 miliardi di riduzione di spesa coniugati a una riduzione delle tasse per 28 miliardi. In quello stesso momento, il Centro studi Unimpresa smentiva l'ottimismo di Gutgeld.

Nel pomeriggio un'altra doccia fredda, questa volta proveniente dalla Funzione pubblica: nel 2014 le spese per consulenze esterne della Pa nel 2014 sono aumentate del 61,3% su base annua a 1,19 miliardi di euro.

Ma andiamo con ordine.

Secondo il Centro studi Unimpresa, infatti, non solo non è stata attuata una vera spending review, ma l'anno scorso è aumentato pure il carico fiscale.

In particolare, la spesa pubblica è cresciuta di 52 miliardi di euro, mentre le tasse sono cresciute di quasi 26 miliardi: l'esatto contrario di quanto affermato trionfalisticamente da Gutgeld.

Nel 2015 le uscite correnti del bilancio pubblico sono, infatti, passate dai 483,8 miliardi dell'anno precedente a 536,4 miliardi. Le entrate tributarie, invece, sono salite da 407,5 miliardi a 433,4 miliardi.

Ovviamente, il ritorno alla crescita registrato nel 2015 ha attenuato l'incidenza della pressione fiscale in relazione al Pil, ma quando si guardano i dati assoluti - al di là degli effetti del ciclo macroeconomico - si osserva come il concetto di riduzione delle tasse sia un fatto puramente nominalistico.

«Il governo ci prende in giro: sono chiacchiere quelle sulla spending review e sono chiacchiere pure quelle sulla sforbiciata al prelievo fiscale», ha commentato il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi sintetizzando il renzismo in uno slogan («Tante promesse, molti annunci e zero fatti concreti»).

Non poca sorpresa hanno poi destato i dati diffusi dal ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia.

Sono tornati, infatti, ad aumentare i compensi per gli incarichi conferiti da Regioni, ministeri, università e tutto il resto della Pa, sfiorando gli 1,2 miliardi.

Insomma, si è tornati a pescare fuori dal perimetro della Pa, che già conta 3,2 milioni di dipendenti. I dati, che emergono dall'Anagrafe delle prestazioni restituiscono una fotografia poco edificante.

Il numero di soggetti chiamati a consulenze e collaborazioni è aumentato del 15,7% su base annua nel 2014, ma ancora più significativo è l'incremento di quanti hanno ottenuto un compenso (+48%).

Il primato spetta al comparto delle Regioni, che nel 2014 ha registrato un aumento dei costi per la voce in questione del 113%, seguito da ricerca (+56%) e scuola (+55%).

Non si sottrae all'incremento nemmeno il comparto «ministeri e agenzie fiscali» (+32%).

Sommando tutto il capitolo incarichi, sia interni sia esterni, si ottiene un esborso di quasi 1,5 miliardi per quasi 600mila mandati, spalmati su oltre 300mila soggetti dei quali oltre la metà è esterna alla Pa.

Altro che svolta buona: la cara vecchia consulenza ai «fedeli devoti» è più viva che mai.

Fonte: qui

lunedì 22 febbraio 2016

L'esperto: "L'Italia è diventata fragile. E ora pagano i più deboli"(Ci voleva l’esperto?)

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L'esperto: "Il picco di decessi colpa di un welfare che non protegge la salute". Gli over 90 si moltiplicano, oggi i più a rischio sono i "figli della Lupa"

Roma - L'Italia è un Paese di vecchi, ma non è un Paese per vecchi. Si spiega anche così il dato che più colpisce tra le stime 2015 degli indicatori demografici dell'Istat, ossia l'impennata nei decessi.

L'anno scorso sono stati 653mila, il 9,1 per cento in più rispetto al 2014. Il tasso di mortalità (10,7 per mille) è il più alto dal secondo Dopoguerra, mentre la popolazione è sempre più anziana e, per la seconda volta dal 1952, si riduce (-2,3 per mille) nonostante il lieve aumento di residenti stranieri. «Di queste nuove stime - spiega Alessandro Rosina, professore di Demografia nella Facoltà di Economia dell'Università Cattolica di Milano - colpisce tutto. Crollano le nascite, aumentano le persone che si trasferiscono all'estero e, appunto, aumentano anche i decessi».

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Quali sono le cause di questo picco?

«La popolazione invecchia. E il problema non è solo la fascia di ultrasessantacinquenni, in crescita, ma quanti tra questi arrivano a 80 e anche a 90 anni. Quando, se il welfare non è forte, non sostiene e non incoraggia comportamenti adeguati per la difesa e il supporto delle condizioni di salute, è facile che arrivi un'impennata come questa. Insomma, se c'è vento forte, gli alberi più deboli cadono». Quindi mentre i baby boomers invecchiano, sono sempre più a rischio i «figli della Lupa», i tanti nati sotto il fascismo, che incentivava la natalità.

«Diciamo che è un campanello d'allarme. Ora la natalità non cresce, anzi. E in Italia la componente fragile della popolazione continua ad aumentare. Le conseguenze sono da valutare con attenzione». Il trend riguarda tutte le Regioni, dal Sud al Nord. «Sì, il fenomeno non è specifico di una parte del territorio, è diffuso in tutta la nazione. Ovviamente è una questione generale che anche gli altri paesi, ma ribadisco che è anche un segnale che dovremmo cogliere».

Che cosa ci dice questo picco di decessi?

«Ci dice che dobbiamo costruire una società diversa, piuttosto che tirare avanti questo welfare che gravita molto sulle famiglie e poco sul sostegno alle fasce più deboli, che sono in crescita costante. Se il tasso di mortalità è il più alto dal Dopoguerra è perché nel Dopoguerra non avevamo tanti anziani. Non dobbiamo guardare il passato, ma impegnarci a costruire un percorso futuro che tenga conto del fatto che diventiamo una società con sempre più grandi anziani, ossia over 80 e 85. A questa componente fragile serve un'attenzione diversa».

Eppure negli ultimi due anni il tasso di mortalità era sceso. Solo un caso?

«No, affatto. Ci sono anni più favorevoli e anni che lo sono meno. Per due anni molti di questi anziani sono riusciti a tirare avanti, ingrossando le fila di quella popolazione fragile, potenzialmente a rischio decesso. Come sappiamo la morte non può essere evitata, solo posticipata. Basta poco - fattori climatici, un'epidemia di influenza - e siccome la popolazione a rischio è maggiore, il dato dei decessi si compensa e il picco ha evidenza statistica».

E a questo si accompagna il calo delle nascite(la politica per la famiglia nel nostro paese è dimenticata da decenni, invece si preferisce parlare di panzane quali la "stepchild adoption"!!!).

«La demografia è come un edificio. Stiamo aggiungendo piani in alto, piuttosto incerti e fragili, e erodiamo sempre più le basi di questo edificio, sia con il calo del tasso di natalità sia perché molti se ne vanno, non trovando prospettive in questo Paese».

Non avrà mica ragione chi scappa da questo palazzo pericolante?

«Secondo me no. Ma certo bisogna consolidarlo. Migliorando le condizioni di vita per gli anziani e rinforzando il peso quantitativo dei giovani ma anche il loro contributo qualitativo al processo di crescita del Paese, evitando che vadano via o - se l'hanno già fatto - offrendo qualcosa per cui valga la pena tornare. L'Italia di potenzialità ne ha, ma ora è come un terreno fertile coltivato male. Se vogliamo che dia buoni frutti, dobbiamo coltivarlo meglio, insieme».


Fonte: qui

domenica 21 febbraio 2016

Renzi non è Cameron, l’Italia in mani Troike

 

06-renzicameron-iSei a normativa europea?”, parte in tromba un prontuario in lingua tedesca che istilla nel lettore tremendi dubbi: “Vivo in una casa non a normativa europea, la mia auto non è a normativa europea, la mia bici non è a normativa europea, svolgo un lavoro precario che elude le normative europee, non dialogo con la mia banca tramite smartphone perché non ho i soldi per cambiare telefonino… sono un povero fuorilegge?

Ma i dubbi che attanagliano i meno danarosi della zona Euro non turbano certo i sonni dei britannici. Sembra che l’Unione europea abbia poche carte da giocarsi per evitare la fuga del Regno Unito, a patto che tra Strasburgo e Bruxelles non decidano di cancellare una gran mole di normative europee:

le stesse che, in tutti questi anni, avrebbero cagionato la moria del 50 per cento delle imprese italiane.

È di qualche giorno fa la notizia che, più della metà delle imprese del Nord-Est, si sarebbero estinte perché non più in grado di reggere sul mercato, causa i costi lievitati per le normative europee.

Del resto l’Ue è stata fatta sulla carta in forza di regole e moneta.

Ma chi ha fabbricato quelle regole era (ed è) all’asciutto sulle diverse peculiarità economiche del Vecchio Continente.

Per farla breve, l’Europa farebbe poco al caso per il popolo britannico.

Troppa burocrazia, documenti incomprensibili, soprattutto una congerie di norme che, se applicate in Gran Bretagna, metterebbero l’artigianato dell’isola nelle stesse condizioni in cui versa oggi quello italiano.

 

“La mia filosofia è diametralmente opposta a quella di David Cameron. Io sono un federalista cresciuto sognando gli Stati Uniti d’Europa”, ripete intanto Matteo Renzi agli altri leader europei, dimenticando quanto l’accettazione supina delle normative europee abbia fatto lievitare la disoccupazione.

E non dimentichiamo come le normative europee stiano influenzando negativamente la crescita italiana:

nel Belpaese non si produce più nulla, e per il timore d’infrangere le normative.

Queste ultime ree della nuova ventata di tasse, come quella su ascensore e aria condizionata: la prima sarà per ogni famiglia d’un importo pari alla vecchia Tasi, mentre la seconda obbligherà i comuni ad indagini sugli eventuali utilizzatori d’aria condizionata domestica.

La Gran Bretagna non s’è uniformata che ad uno scarso 10 per cento di tutte le normative europee, mentre l’Italia le sta codificando tutte.

Piccolo particolare, il Regno Unito non ha nemmeno una multa Ue sul groppone, invece l’Italia ha totalizzato sanzioni europee per inottemperanza alle varie normative pari ad un quinto del proprio debito pubblico: dall’edilizia alle quote latte, dai rifiuti urbani al mancato adeguamento dei vettori (trasporto pubblico), dalle carceri ai diritti delle più svariate minoranze, dai campi rom inadeguati alle multe per le modalità d’accoglienza dei migranti… Una cifra iperbolica che, al pari del debito pubblico, starebbe sventrando lo stato italiano. Così l’Italia europeista sceglie di affogare, mentre il Regno Unito si difende perché ha ancora una moneta nazionale.

Di fatto l’Italia ha le mani legate, ed il popolo è costretto a rispettare tutte le normative ed a pagare tasse e multe Ue.

E chi lavora e risparmia potrebbe non essere nemmeno più padrone dei propri sacrifici. Infatti la gestione e l’uso discrezionale dei risparmi depositati nelle banche italiane sta per passare totalmente in mani straniere (pardon europee): tutto addebitabile alla direttiva europea Brrd, che designa le nuove norme del sistema bancario europeo: stabilendo nuove norme in materia di salvataggi bancari, e con la scusa di tutelare i risparmiatori, finisce per lasciare che i tedeschi decidano che uso fare dei risparmi italiani (ovviamente è una sintesi forzata, potrebbero anche decidere olandesi, belgi, lussemburghesi… mai italiani).

Di fatto per Renzi s’avvicina Waterloo, e perché il sommarsi di debito pubblico e mancati pagamenti delle svariate multe Ue stanno facendo tornare in auge lo spettro delle mani della Troika sul sistema italiano. Proprio come nell’estate 2014, quando l’allora direttore del Corriere della Sera (Ferruccio De Bortoli) lasciava la direzione anticipando la discesa della Troika nel Belpaese.

Oggi potrebbe serbare lo stesso compito del 2011, ovvero eseguire un prelievo forzoso e patrimoniale da 100 miliardi di euro: per dirla alla Mario Monti “per arrivare a delle ulteriori cessioni di sovranità sono necessarie delle crisi”. Cessione di sovranità significa incremento della povertà: ogni anno già versiamo 50 miliardi alla Bce per essere soci del Club dell’Euro”, altrettanti all’Ue per contribuire alle politiche europee.

La Gran Bretagna fissa i paletti, la Germania si rinforza, l’Italia in camicia viola dice che spezzeremo le reni ai burocrati di Bruxelles. Il solito capitan Fracassa questo Renzi: la storia ci ha regalato camicie in varie sfumature di grigio, nere care ad anarchici e fascisti, rosse da garibaldino e poi da comunista, verde da leghista… Oggi è il turno delle camicie viola, il loro simbolo è il giglio fiorentino, al posto del fez usano come copricapo un cappello goliardico duecentesco, come quello che per la vulgata indossava il Conte Ugolino. Buon appetito signor Renzi, ed alla faccia del popolo sovrano.

Fonte: qui

sabato 20 febbraio 2016

Isis, raid Usa in Libia contro mente delle stragi in Tunisia: 42 morti

Un raid americano in Libia ha preso di mira Noureddine Chouchane

Un raid americano in Libia ha preso di mira Noureddine Chouchane la presunta mente delle stragi dello scorso anno in Tunisia, al museo Bardo e sulla spiaggia di Sousse. Centrato un campo di addestramento dell'Isis a Sabratha, nell'ovest del Paese. Il bilancio è di «42 jihadisti uccisi». Lo scrive il New York Times citando una fonte occidentale. Ancora incerta la sorte di Chouchane.


Secondo la fonte citata dal Nyt, il tunisino Chouchane è considerato uno dei più influenti responsabili dell'Isis, ed è stato collegato alla strage del Bardo di marzo 2015, in cui morirono 24 persone tra le quali 4 italiani, e quella sulla spiaggia di Sousse, a giugno, che fece 38 vittime.

Jamal Naji Zubia, responsabile per i media stranieri di Tripoli, ha precisato che il raid americano ha centrato una casa colonica a diversi chilometri da Sabratha. I jihadisti uccisi nel raid sono soprattutto di nazionalità tunisina.

Fonte: qui


venerdì 19 febbraio 2016

Ad otto anni dall’inizio della crisi, produzione industriale ancora sotto del 23%

MERCOLEDÌ 17 FEBBRAIO 2016, Fonte: Elaborazioni su dati Istat

Nel 2015 la produzione industriale destagionalizzata è aumentata dello 0,8% rispetto al 2014. Nell’ultimo trimestre dell’anno si nota tuttavia un certo affaticamento, diminuendo dello 0,7% annualizzato rispetto al trimestre precedente.

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Il settore che ha sostenuto l’attività produttiva è stato quello dei beni strumentali, che nell’anno appena concluso è aumentato del 3,2%, trainato soprattutto dai mezzi di trasporto (+16,5), senza i quali si dovrebbe registrare un calo in media annua della produzione dei beni strumentali dello 0,7. 

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Sono state  le immatricolazioni di auto nuove (+15,8%) il propulsore della crescita produttiva. Ciò ha favorito, per il settore dei beni strumentali nel suo complesso, il tono sostenuto delle importazioni, cresciute quasi dell’8%. Insignificante è invece stato l’apporto delle esportazioni, che si limitano ad un aumento di mezzo punto percentuale.

Nel settore dei beni di consumo sia le esportazioni (+1% nel 2015) che la domanda interna fanno fatica a sostenere la produzione industriale, che rimane invariata rispetto al 2014. Il dinamismo della domanda interna è desunto dalla crescita delle importazioni, che crescono del 2,6%.

La produzione industriale congiunta dei beni di consumo e di investimento  del 2015 aumenta del 1,7%, ma la produzione di beni intermedi e di energia non riesce a cogliere questa modesta opportunità ed arretra dello 0,4%.

Sono pertanto le importazioni a coprire il fabbisogno realizzando una crescita del 6%.

Se poi si tiene conto che le esportazioni di beni intermedi ed energia sono aumentate del 2,4% senza riuscire a risollevare la produzione interna complessiva del settore se ne deduce la forte carenza sofferta dal nostro paese nella lavorazione e nella trasformazione dei prodotti manufatti. 

E’ il risultato della crisi iniziata nel 2007,  che ha spazzato via quasi un quarto della produzione industriale.


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Fonte: qui

giovedì 18 febbraio 2016

Sulcis: in mille sotto palazzo Regione

foto_491923_550x340Bombe carte e funerali del Piano da 620 milioni di euro

(ANSA) - CAGLIARI, 16 FEB - Il presidente della Regione Francesco Pigliaru ha fatto sapere che incontrerà domani alle 17 il comitato promotore della mobilitazione che oggi a Cagliari ha chiamato a raccolta quasi un migliaio di persone provenienti dal Sulcis.

Parteciperanno il segretario di Ust Cisl Sulcis Iglesiente, Fabio Enne, e i rappresentanti dei Movimenti di Partite Iva (Elio Cancedda), Zona Franca (Paolo Aureli), artigiani e commercianti (Ivan Garau), disoccupati (Simone Siotto), e studenti (Ivano Sais).

Dopo l'annuncio fatto al megafono da Enne, i manifestanti stanno gradualmente abbandonando il presidio. "Noi - ha annunciato Simone Siotto - non ci muoviamo da qua e restiamo a dormire perché abbiamo necessità di un incontro urgente con Pigliaru, abbiamo sentito che lo sblocco del Piano Sulcis non avverrà prima di dicembre, ma i nostri figli non possono aspettare fino a dicembre per mangiare". "È stata una manifestazione partecipata - ha sottolineato Paolo Aureli - tanto è vero che è arrivato un invito esplicito all'incontro da parte di Pigliaru. Ci aspettiamo la nomina straordinaria di un commissario straordinario per il Piano Sulcis e atti concreti per l'immediata attuazione della zona franca integrale sperimentale nel polo del Sulcis".

Ivano Sais ha parlato a nome degli studenti: "Il tempo e' scaduto, vogliamo fatti concreti e speranze per il futuro nostro e del territorio con i suoi 70 mila disoccupati". "Domani ci aspettiamo qualcosa di buono, è da tre anni che siamo in attesa", ha denunciato Elio Cancedda.

IN MILLE SOTTO PALAZZO REGIONE - Viale Trento invasa da un migliaio di persone e mezzi da lavoro. È' il popolo del Sulcis mobilitato da Cisl e movimenti di Partite Iva, studenti, artigiani e commercianti e Zona Franca che rivendica lavoro e sviluppo per la provincia più povera d'Italia. I manifestanti si trovano sotto il palazzo della Regione e hanno appena celebrato con una bara di legno il funerale del Piano Sulcis. Qualcuno ha anche fatto esplodere alcune bombe carta.

"Chiediamo che vengano immediatamente liberati i 620 milioni stanziati per il Piano - ha detto Fabio Enne - il 12 febbraio è stata convocata l'ennesima riunione con i sindaci del territorio, solo per dire che ancora non è stato aperto un cantiere né assegnato un posto di lavoro. Siamo qui per chiedere attenzione non solo per l'industria ma anche per i settori del turismo, della pesca e dell'agroindustria".

CAROVANA SULLA STATALE 130 - Pullman, camion, betoniere e decine di auto: la lunga carovana di chi rivendica lavoro e sviluppo nel Sulcis è partita dopo le 10 dal raccordo di Musei e procede sulla statale 130 in direzione Cagliari, destinazione viale Trento, sotto il palazzo della Regione. Centinaia di persone in marcia chiamate a raccolta dai movimenti di Partite Iva, Zona Franca, artigiani, commercianti, studenti ("Figli della crisi") e disoccupati.

Si tratta del clou della mobilitazione scattata l'1 febbraio con i blocchi stradali sulle vie di comunicazione più importanti del territorio e proseguita con l'occupazione di quasi tutti i 23 Comuni del Sulcis Iglesiente per ottenere l'adesione delle amministrazioni. Alla Giunta regionale, in viale Trento, i manifestanti chiederanno che vengano liberate subito le risorse del Piano Sulcis e la nomina di un commissario straordinario che si occupi della spesa dei fondi e dell'avvio dei cantieri in tempi certi e immediati, ma anche un Piano occupazionale per il territorio.

mercoledì 17 febbraio 2016

NIENTE PANICO! NON E' IL 2008 ... MA E' MOLTO PEGGIO!!!


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Nel fine settimana abbiamo letto di tutto e di più  su quanto è accaduto nelle ultime settimane, un trionfo impressionante del senno di poi.
Era imprevedibili dicono loro, i mercati hanno esagerato come vedremo nel prossimo post.

La domanda principale oggi è questa…Crisi delle banche e dei mercati: è un nuovo 2008?

Lo lasciamo leggere a Voi, a noi interessa ricordare che è ancora presto per assistere ad un nuovo 2008, non ci sono ancora le condizioni, ma quello che è certo è che la prossima crisi sarà più grande e dell’ultima, perchè questa deflazione da debiti, l’immensa mole di debito che opprime l’economia mondiale, non può che sparire attraverso un’unica ipotesi, come abbiamo più volte visto.

A chi suggerisce che in realtà quello che sta accadendo al settore finanziario non è come nel 2008, suggerisco di dare un’occhiata a questa immagine…

Certo non è come il 2008, è semplicemente peggio!

Se poi dove aver ricordato quello che siamo detti nell’ultimo “Machiavelli, la Cina e l’Araba Fenice” ovvero quello che sta succedendo ai vari fondi sovrani dopo il crollo del petrolio diamo un’occhiata in quale settore erano posizionati …


…potete ben capire dopo la perdita di trilioni di dollari cosa abbia significato per questi fondi il collasso del sistema finanziario europeo!

Ma dove saranno finiti i capitali in questi giorni?

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Ma sui treasuries ovviamente, visto che erano in bolla. E tuttora stanno continuando ad acquistare titoli di Stato americani.

E’ chiaro ora che non si tratta del 2008 ma di qualcosa di peggio che anticipa la crisi che verrà?

A si certo non c’era alternativa all’equity e il mercato obbligazionario era in bolla. Tenetevi pronti perchè quando ormai nessuno più ci crederà allora noi cambieremo idea.

Con l’araba fenice o il canto del cigno, stiamo solo cercando di farvi capire che questa volta, rispetto al 2008, c’è ancora l’ultima carta da giocare, quella …politica e non chiedeteci altro.

Dopo la lunga pausa che riguardava l’ondata di panico che ha scosso l’Euopa e soprattutto Deutsche Bank torniamo ad occuparci anche solo per un attimo di quello che è accaduto negli ultimi giorni in America…
Uno dei più attenti osservatori della politica monetaria della Fed la scorsa settimana ha scritto…
” La Fed prenderà una pausa sui rialzi dei tassi. Una pausa a tempo indeterminato. Prima ammettono questo, meglio è per tutti. In effetti, prima ammettono questo, prima i mercati finanziari si calmano  e prima saranno in grado di riprendere il persorso di rialzo dei tassi.” La signora Yellen la scorsa settimana ha avuto due occasioni di alto profilo per fare tale ammissione, eppure lei non è riuscita a farlo . Ha suggerito una pausa per marzo, ma in realtà la Fed non ha alcuna intenzione di rinunciare ad ulteriori rialzi di tassi entro l’anno.”
” Ironia della sorte, ho il sospetto che la mossa della Banca centrale giapponese, ovvero la scelta di portare i tassi in negativo, ha ampliato la divergenza con gli Stati Uniti e spingendo gli operatori di mercato all’acquisto di titoli del Tesoro USA. …”
” In sintesi, un fattore chiave per mantenere l’economia degli Stati Uniti sui binari è riconoscere che un inasprimento delle condizioni finanziarie tramite la forza del dollaro evita la necessità di un inasprimento delle condizioni tramite la politica monetaria…”
La nostra rotta di MEDIO TERMINE nei prossimi mesi, per quanto riguarda il mercato obbligazionario, potrebbe cambiare in maniera sensibile, ma di questo avremo tempo e modo per parlarne insieme.
Nel frattempo nulla di nuovo dall’economia americana …
U.S. Retail Sales
…tolta la droga del mercato automobilistico supportato dal nuovo fenomeno “subprime” resta poco o nulla…
United States Retail Sales Ex Autos MoM
Vendite al dettaglio USA ex-auto. Thanks to Trading economics.

Ora un piccola pausa! State sintonizzati, l’anticipo della nuova tempesta perfetta che verrà non è ancora finito, c’è ancora tempo per assistere al ritorno dell’Araba Fenice e ricordatevi i primi mesi di questo ritorno non saranno affatto facili.

Fonte: qui

martedì 16 febbraio 2016

In Ucraina si svende tutto, anche a pezzi. Ora tocca all' Antonov!



La rottamazione dei settori strategici ucraini è iniziata. UkrOboronProm vicina alla chiusura del settore civile, la Antonov (ex azienda sovietica), a vantaggio dei competitors occidentali

Ormai è ufficiale il gruppo industriale Antonov, fiore all’occhiello dell’industria aeronautica ucraina, cessa ufficialmente di esistere. Come riferisce anche l’agenzia stampa Doninews, i comparti sussidiari della compagnia posseduta dallo stato ucraino erano stati ceduti alla UkrOboronProm anch’essa a controllo statale e nel migliore dei casi costruiranno droni, da usare in zona Nato, visto che l’antiaerea di DNR è riuscita a creare una ”no fly zone” di fatto all’aviazione giallo e blu.

Strano destino per un gruppo industriale che vantava la progettazione e la costruzione di due dei più grandi aerei da trasporto sia civile che militare al mondo, l’An225 Mrija e l’An124 Ruslan, finire in una dismissione a produrre droni.

Ma queste sono le conseguenze di scelte dettate dalla sudditanza politica di Kiev nei confronti degli Usa che ha prodotto il semaforo rosso su tutti i programmi di cooperazione militare con la Russia, provocando danni stimati (al ribasso) dall’IMF per 180 milioni di dollari, mentre in realtà la cifra secondo fonti russe è più’ vicina ai 2 miliardi di dollari. Il prezzo della schiavitù è lo stesso che conosciamo in Italia. Contratti che si perdono, fabbriche che si chiudono e nei casi di pronazione a 90° come quello di Kiev, la dismissione di asset strategici.

La chiusura dell’Antonov in realtà è stato un atto formale. Basta andare sul sito di Wikipedia in lingua ucraina per apprezzare in un diagramma la produzione di tutti i modelli Antonov dal 1991 ad oggi, una bella sintesi dell’evoluzione del comparto industriale ucraino dall’indipendenza ad oggi.

Solo nel 2012 si era arrestata la rovinosa decrescita produttiva, guarda caso quando i legami tra Russia ed Ucraina si stavano rinsaldando.
Tutto a vantaggio della concorrenza nel settore aerei da trasporto Boeing e Lockheed Martin, che avranno il monopolio del mercato, almeno in attesa che il vivace settore aerospaziale russo non proponga sostituti di questi due interessanti aerei che detengono ancora diversi record del mondo in quanto a capacità di carico.

lunedì 15 febbraio 2016

3 Giorni fa - “ Allerta massima ” delle Forze Russe ordinata da Putin per contrastare un possibile intervento turco

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di Enrique Montánchez

Vladimir Putin ordina la massima allerta delle Forze russe per dissuadere la Turchia dall’invadere la Siria.

Putin ha ordinato lo stato di “allerta massima”  dell’Esercito del Distretto del Sud che comprende il Cáucaso, le Flotte del Mar Nero e del Caspio, composte da 9.000 soldati, 50 navi da guerra e 200 aerei da combattimento. La dimostrazione di forza del presidente russo si produce in un momento di massima tensione con il fine di dissuadere la Turchia da una eventuale invasione della Siria e gli Stati Uniti dall’appoggiare il loro alleato turco.

Il ministro della Difesa Sergei Shoigu ha annunciato che le unità militari del Distretto Militare Sud sono state messe in stato d’allerta di combattimento dalla mattina di Lunedì 15 Febbraio, in alcune manovre massicce che coinvolgono le Forze del Caucaso Nord, le regioni del sud est (vicino alla frontiera dell’Ucraina), la Flotta del Mar Nero e la flotta del Caspio.

Ufficialmente l’allerta da combattimento risulta  proclamato allo scopo di comprovare la capacità dell’Esercito russo di rispondere a qualsiasi sfida, secondo Shoigu, tuttavia i mezzi di intelligence europei hanno segnalato che l‘ordine proviene direttamente dal presidente Putin come dimostrazione di forza con un doppio obiettivo: dissuadre il presidente turco Erdogan da una eventuale invasione della Siria che porti ad un confronto militare con le truppe russe che combattono lo Stato islamico ed inviare il messaggio agli USA che non utilizzino la Turchia come “ariete” contro la Russia.

Forze russe del Distretto Sud

Forze russe del Distretto Sud

Fallimento negoziati a Ginevra

In considerazione del fallimento della prima fase dei negoziati di Ginevra tra il governo di Assad e i rappresentanti della opposizione siriana, conclusi con un nulla di fatto, Washington cerca di guadagnare tempo di fronte ad una situazione dove l’Esercito siriano conquista posizioni e si appresta a mettere sotto controllo anche Aleppo e le vie di comunicazione e rifornimento con la Turchia. L’appoggio delle forze aeree russe è risultato determinante e gli oppositori di Assad, inclusi i paesi che li sostengono, si trovano in una posizione di debolezza.  Questo spiega il nervosismo di Washington che vede avanzare l’influenza russa nella regione. Per evitare che questo scenario diventi irreversibile, la Casa Bianca si prepara ad un intervento militare in Siria ma, per realizzarlo, ha necessità della “testa d’ariete” turca.

La strategia di Washington

La strategia di Washington è relativamente semplice, secondo le fonti citate: Ankara deve invadere (in prima battuta)  il territorio turco, si scontra con le forze russe schierate nella zona e gli USA (in seconda battuta) accorrono in aiuto del loro alleato turco che è anche membro della NATO, con cui l’Alleanza Atlantica risulterebbe coinvolta nel conflitto.
Questo scenario viene definito come una Terza Guerra Mondiale con tutto quello che rappresenta. In questo movimento di pezzi sulla scacchiera, bisogna inquadrare la mossa di Putin con la sua dimostrazione di forza (stato d’allarme) con cui i russi mostrano i muscoli militari.

Putin con i quadri militari

Putin con i quadri militari

Le esercitazioni messe in atto nel Distretto militare Sud, in cui intervengono 9000 soldati, 900 carri armati e veicoli blindati, 200 aerei e circa 50 navi, hanno la misssione di mettere alla prova la capacità  di proiettare le forze russe, totalmente equipaggiate, fino a 3.000 Km. di distanza, ha segnalato il Ministro della Difesa russo, secondo la “Associated Press” di Mosca. Questo raggio d’azione include l’attuale teatro di operazioni in Siria e Turchia.

Gli addetti militari sono stati informati

Come comunicato dal viceministro della Difesa, Anatoly Antonov, gli addetti militari accreditati a Mosca sono stati informati dell’allerta massima di combattimento e che questo forma parte dell’accordo di Vienna del 2011 sulle misure per diffondere fiducia e sicurezza fra gli alleati ed i soci, cosa che permette di effettuare ispezioni a sorpresa alle forze militari dei paesi firmatari degli accordi attraverso l’ OSCE, come ha inormato l’agenzia Tass.

Risulta evidente che Mosca non vuole che queste massicce manovre dissuasorie siano controllate in loco dalle commissioni militari dei paesi membri della NATO.

Fonte: qui

Feb 12, 2016 Traduzione: Manuel De Silva

L’Arabia Saudita muove gli aerei verso la Turchia, inizia l’attacco congiunto alle forze siriane, russe e curde

Erdogan con monarca saudita
Erdogan con monarca saudita
by Gordon Duff

Confermato: i Jet russi e siriani sono pronti per abbattere qualsiasi aereo turco o saudita che attraversi la SiriaLa Turchia è disposta a chiudere il Bosforo ed ad attaccare le navi russe nel Mediterraneo.

Il bombardamento delle artiglierie turche contro le posizioni curde, all’interno del territorio siriano (dura già da alcune ore) viene visto da molti osservatori militari come il preludio ad un attacco terrestre contro le forze Siriane-curde anti terroristi all’interno della Siria.

Fonti accreditate sostengono che l’Arabia Saudita, che dovrebbe partecipare all’attacco terrestre assieme alla Turchia, sarebbe disponibile a portare armi nucleari tattiche (?) alla Turchia.

La Turchia dispone già adesso di 84 armi nucleari tattiche nella base aerea di Incirlik, sotto il controllo NATO.

Le stesse fonti avrebbero confermato che l’Arabia Saudita e la Turchia dispongono di aerei americani F-15 ed F-16 modificati per attacchi nucleari da parte di Israele

Gli USA hanno eliminato tutti gli aerei di attacco nucleare della Turchia dietro ordine del presidente Obama.

Abbiamo conferme che la Turchia avrebbe un piano contingente per impadronirsi dell’arsenale nucleare della NATO a Incirlik, con l’aiuto delle forze speciali saudite che sono state addestrate in Israele per sbaragliare le misure di sicurezza delle armi nucleari degli Stati Uniti.

Abbiamo anche una conferma che l’Arabia Saudita sta muovendo i suoi aerei sulle piste nella base statunitense in Turchia. 

Questa settimana gli aerei USA hanno bombardato i civili su Aleppo ( due ospedali colpiti) da questa stessa base.

Sia l’Arabia Saudita che i russi si aspettano una invasione turca su larga scala in risposta al consolidamento delle posizioni delle formazioni curde dello YPG, con aiuto statunitense, per prendere le nuove posizioni che (in mano alle forze curde/siriane)  potrebbero bloccare l’accesso alla Turchia dei rifornimenti per i loro soci dell’ISIS in Siria.

Entrambe le fonti ad alto livello dei russi e dei siriani, contattati questa mattina, hanno confermato che una estensione del conflitto è imminente.

La Turchia ha annunciato ufficialmente che le forze turche sono pronte a muoversi contro i curdi dello YPG (sostenuti dagli USA) che loro considerano un gruppo terrorista.

La Turchia non ha alcuna intenzione di attaccare l’ISIS. Esiste l’evidenza di prove che Ankara ed Erbil sono completamente dietro l’ISIS.

Il Ministro delle relazioni estere Turco, Mevlut Cavusoglu, ha detto “Loro (i sauditi) sono venuti, hanno fatto una ispezione della base.  Al momento non è ancora chiaro quanti aerei sauditi verranno sulla base”.

La Turchia fornisce i rifotrnimenti all’ISIS in Iraq attraverso la via di Duhok, con l’aiuto del regime di Erbil, che si sono messi contro Bagdad e le altre forze curde.

L’Esercito turco ha già individuato gli obiettivi curdi nel nord della Siria

Feb 13, 2016 Fonte:  Veterans Today

Fonte: qui
Traduzione: Manuel De Silva

L’artiglieria turca ha iniziato il bombardamento della base aerea di Menagh, nel nord della provincia siriana di Aleppo

Mezzi blindati turchi alla frontiera con Siria
L’artiglieria turca ha aperto il fuoco comtro le posizioni delle forze di autodifesa curde nel territorio della base aerea di Menagh”, lo riferisce la TV libanese Al Mayeeden.
Lo scorso Giovedì le forze curde avevano liberato la città di Menagh e si erano impadronite dell’aereoportoche era sotto il controllo dei terorristi del Fronte Al Nusraappoggiati da Turchia e sauditi.Le stesse forze curde si accingevano ad ampliare l’offensiva verso la città di Tel Rifaat e di Kafernaya, di grande importanza strategica in quanto si trovano sulla via statale che dalla Turchia porta verso la Siria settentrionale (provincia di Aleppo) e viene utilizzata come principale via di rifornimento dai gruppi terorristi che operano nella regione.
I terroristi di Al Nusra si erano impadroniti della città di Menagh nel 2013 ed un anno dopo avevano preso il controllo della base aerea della stessa città.
La riconquista della base della città e dell’aereoporto, effettuata dalle Forze di Autodifesa curde, rappresenta un importante successo strategico.
Non è chiaro se sia iniziata, con questo bombardamento dell’artiglieria turca, la prospettata invasione di forze di terra dell’Esercito turco, nonostante gli avvertimenti precisi fatti dal comando militare russo alla Turchia circa i rischi di una aggressione turca contro la Siria dove, dal 30 Settembre scorso opera un contingente militare russo ed è presente l’aviazione russa in appoggio all’Esercito siriano che combatte per liberare il paese dai gruppi terorristi.
Si è saputo, fra l’altro, che sono arrivati nella giornata di ieri aerei militari sauditi in una base turca vicino al confine siriano.  Si considera questo un ulteriore segnale della preparazione della prossima offensiva congiunta turco- saudita per invadere il territorio della Repubblica araba di Siria e mettere in salvo i gruppi terroristi sponsorizzati da turchi e sauditi che sono fortemente in difficoltà per causa dell’offensiva  delle forze dell’Esercito siriano e delle formazioni curde, appoggiati dall’aviazione russa.
Le prossime ore saranno decisive per capire se è iniziato un allargamento del conflitto.

Feb 13, 2016 Fonti: Hispan Tv         Sputnik Mundo

Traduzione: Luciano Lago
Fonte: qui

Siria, tutti contro tutti: siamo sull’orlo della terza guerra mondiale?

siria-26639Sfida tra Russia e Usa Arabia e Turchia pronte all'intervento

La pace russa concepita a Monaco, giovedì notte, dal ministro degli esteri russo Sergei Lavrov e dal Segretario di Stato americano John Kerry è morta prima di nascere.

E al suo posto si materializza lo spettro di una nuova guerra ancor più sanguinosa. Mentre Kerry rinnega il piano di pace discusso con Lavrov e minaccia operazioni di terra in Siria se Mosca continuerà a colpire i ribelli(terroristi moderati) appoggiati dalla Cia il premier russo Dimitri Medvedev lo accusa di diffondere un clima da nuova guerra fredda. «Sulle rovine della guerra mondiale - spiega Medvedev intervenendo alla conferenza di Monaco sulla Siria - abbiamo costruito l'Europa perchè i principi erano chiari: abbiamo bisogno di una terza guerra mondiale per capirlo di nuovo?».

Parole che colpiscono nel segno perchè a Monaco dopo le speranze alimentate dall'incontro Kerry-Lavrov di giovedì notte sono tornati a soffiare i venti di guerra. Una guerra ancor più terribile e irrefrenabile che riporta alla mente quella evocata in altre occasioni da Papa Francesco.

Un regolamento di conti finale in cui turchi e sauditi potrebbero guidare la riscossa dei ribelli jihadisti messi con le spalle al muro dall'esercito di Damasco e dai bombardamenti russi.

Il terrificante scenario di una guerra sempre più allargata non è né un evocazione, né un semplice timore.

A conferirgli un allarmante grado di realismo s'aggiungono le dichiarazioni incrociate di sauditi e turchi pronti a prefigurare un intervento di terra dalla frontiera di Ankara spacciato come azione di contenimento dello Stato Islamico. «Nel caso si decidesse di seguire questa strategia Arabia Saudita e Turchia potrebbero partecipare ad un'operazione di terra. Per ora è solo un'ipotesi e non un piano preciso - spiega il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu che però conferma l'arrivo nella base di Incirlik d'una squadra aerea saudita pronta a partecipare alle operazioni di bombardamento contro lo Stato Islamico -. Per il momento l'Arabia Saudita sta mandando degli aerei, ma potrebbe, se necessario, inviare i soldati per un'operazione di terra».

La guerra allo stato Islamico è, ovviamente, pura finzione. Sia le incursioni aeree, sia l'eventuale operazione di terra condotta da turchi e sauditi punterebbe non tanto a cacciare i combattenti del Califfato quanto ad assumere il controllo di vaste aree di territorio siriano per trasformarle nei nuovi santuari dei ribelli jihadisti.

Da quelle zone, una volta salvati i ribelli dall'accerchiamento di russi e governativi, partirebbe non una improbabile offensiva contro lo Stato Islamico, ma bensì - come fa capire il ministro degli esteri saudita Adel Al Juberir - un nuovo tentativo di abbattere il regime di Bashar Assad appoggiato dalle truppe Riad e Ankara.

«Bashar Assad è debole e pressoché finito - dichiara alla Cnn Al Juberir - se non se ne andrà grazie ad un negoziato verrà messo da parte con la forza».

Se l'obbiettivo principale d'un eventuale intervento saudita resta Bashar Assad Ankara potrebbe usare le operazioni di terra per regolare i conti, come già la scorsa estate, con le fazioni curde protagoniste nelle regioni nord orientali della Siria di un offensiva contro i combattenti del Califfato.

Ma per capire quanto temeraria sia l' «annunciata» invasione basti dire che ieri, al primo segnale di un iniziativa militare saudita e turca, l'esercito siriano schierato intorno ad Aleppo ha incominciato a muovere ad est, verso i territori dello Stato Islamico.

E a far ancora più paura s'aggiungono le possibili conseguenze di eventuali confronti fra attori «esterni» sui cieli e sul territorio siriano. Molti si chiedono con angoscia cosa succederebbe se a fermare le incursioni degli F16 sauditi e turchi, privi di qualsiasi autorizzazione di sorvolo dello spazio aereo siriano, entrassero in gioco le batterie missilistiche russe dispiegate a terra.

E molti osservatori sottolineano l'agghiacciante incognita di un possibile scontro tra le forze saudite dopo un'eventuale entrata sul territorio siriano e le unità di Hezbollah e dei pasdaran iraniani che appoggiano il regime di Bashar Assad e considerano i sauditi il loro peggior nemico.

Fonte: qui

Telefonata tra Obama e Putin
Damasco: «Colpiti dai turchi»

Colloquio di distensione dopo lo scontro dei giorni scorsi. «Usa-Russia insieme per cessate il fuoco». Ma il Cremlino: «Assad è l'unica autorità legittima in Siria»

di Marta Serafini

La lettera alle Nazioni Unite

Le accuse ad Ankara sono contenute anche in una lettera inviata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite e pubblicata dall'agenzia di stampa di Stato siriana Sana in cui si afferma che ci siano soldati e mercenari turchi fra i 100 uomini armati entrati in Siria sabato accompagnati da 12 pick-up con armi automatiche. «L'operazione di rifornimento di munizioni e armi continua tramite il varco di Bab al-Salama verso la zona siriana di Azaz», afferma il ministero degli Esteri di Damasco nella missiva. La tensione dunque torna a salire all'indomani della fine del vertice di Monaco, in cui si è discusso a lungo anche di Siria e durante il quale non sono mancati scambi di accuse tra Mosca e Washington.

La posizione di Mosca

Immediatamente la Francia ha chiesto alla Turchia di mettere fine agli attacchi in Siria, dove vengono martellate le postazioni curde, facendo eco a un appello analogo lanciato da Washington al regime di Damasco e «ai suoi alleati». Mentre i combattenti curdi in Siria hanno reso noto che non si ritireranno dalle zone recentemente conquistate nel nord del Paese, nonostante i bombardamenti turchi sulle loro posizioni, nella provincia di Aleppo. Il tutto mentre le forze governative siriane avanzano verso Raqqa, la capitale dell'Isis in Siria, arrivando - secondo fonti militari siriane citate dalla stampa russa - a 35 chilometri da Tabqa, ottanta chilometri a sud di Raqqa. «Assad è l'unica autorità legittima in Siria in questo momento», allontanarlo «vorrebbe dire il caos», ha dichiarato il premier russo Dmitry Medvedev in un'intervista a EuroNews. «Noi non abbiamo mai detto che la permanenza di Assad è la questione principale in questo processo, semplicemente crediamo che al momento non c'è nessun'altra autorità legittima», ha aggiunto, ribadendo che la sua uscita di scena porterebbe al «caos, come abbiamo visto diverse altre volte in Medio Oriente quando Paesi sono collassati, come in Libia». Nella stessa intervista Medvedev ha anche risposto alle minacce di Kerry su un possibile intervento di terra in Siria nel caso in cui non cessino i bombardamenti sui civili. «Queste sono parole futili, lui non avrebbe dovuto dirlo per una semplice ragione: se tutto ciò che vuole è una guerra prolungata, può compiere operazioni di terra e qualunque altra cosa. Ma non provi a spaventare nessuno», ha tuonato il premier russo.


La telefonata

Nel frattempo, in una telefonata, il presidente statunitense Obama ha chiesto a Vladimir Putin di fermare i bombardamenti contro l'opposizione siriana. È questa la versione americana del colloquio telefonico che il presidente degli Stati Uniti ha avuto con il capo del Cremlino. Obama, spiega una nota della Casa Bianca, ha insistito sull'importanza che nelle aree assediate arrivino presto gli aiuti umanitari e sulla necessità che le ostilità abbiano fine. «In particolare - si legge - il presidente Obama ha enfatizzato l'importanza per la Russia di giocare ora un ruolo costruttivo ponendo fine alla campagna aerea contro le forze dell'opposizione moderata in Siria. I leader hanno concordato che gli Stati Uniti e la Russia manterranno le comunicazioni circa l'importante lavoro dell'Issg».

Terrorismo

Nel colloquio è stata sottolineata, rende noto ancora il Cremlino, l’importanza di stabilire stretti contatti fra gli organi di difesa dei due paesi: il leader russo è tornato «a sottolineare l’importanza di creare un fronte unito contro il terrorismo e di rinunciare alle politiche dei due pesi e delle due misure».

Fonte: qui

L'Arabia Saudita invade la Siria. Un progetto reale o un bluff per distrarre le masse?

Vladimir PutinPutin non ci sta. La guerra in Siria potrebbe presto degenerare nella terza guerra mondiale. Le grandi potenze, questa volta, stanno seriamente scaldando i motori: l’Arabia Saudita e i suoi alleati stanno per invadere la Siria. Scatenando un conflitto di portata inimmaginabile. Tutti i link e le dichiarazioni.

Solo un’esercitazione?

Nonostante gli avvertimenti di Putin e Assad, uno schieramento senza precedenti si sta radunando nel nord dell’Arabia Saudita, vicino ai confini con la Siria, per quella che i media chiamano “esercitazione militare“, in gergo North Thunder (il tuono del nord). 350 mila soldati, provenienti da almeno 21 paesi arabi che hanno firmato un patto lo scorso dicembre per “combattere il terrorismo”, tra cui quelli che si affacciano sul Golfo Persiano (gli Emirati), l’Egitto, il Sudan e il Pakistan, stanno per addensarsi nell’area saudita di Hafer al-Batin, cui secondo molti media sauditi – riportano molte fonti – si aggiungeranno qualcosa come 2.540 aerei da guerra, 20.000 carrarmati e 460 elicotteri, per una 18 giorni di manovre continuative che non ha precedenti nella storia.

La decisione dell’Arabia Saudita è “definitiva e irreversibile“, ha detto il Brig. Gen. Ahmed Al-Assiri durante una conferenza stampa lo scorso giovedì, aggiungendo che i dettagli sarebbero stati precisati dal capo della coalizione, gli Stati Uniti, e che lui rappresentava esclusivamente la decisione dell’Arabia Saudita.

Al-Assiri ha anche aggiunto che se l’Iran vuole unirsi alla coalizione per combattere l’Isis, deve prima “smettere di finanziare i terroristi in Iraq, nello Yemen e in Siria” (ma ci sono prove governative che a finanziare l’Isis siano stati proprio gli alleati USA come l’Arabia Saudita).

Le manovre giungono dopo le dichiarazioni dei regnanti sauditi sulla loro adesione a qualunque operazione di invasione di terra della Siria condotta dai membri della NATO. Questo, unitamente a un dispiego così massiccio di forze militari sul confine siriano, fa ritenere che una tale operazione sia molto vicina. È il primo ministro dell’Arabia Saudita infatti, Adel al-Jubeirad aver dichiarato martedì scorso che la proposta di inviare truppe di terra in Siria è stata approvata da Washington, e per la precisione dal Dipartimento di Stato, ovvero dal segretario di Stato John Kerry, che l’ha accolta definendola “naturale”.

Le reazioni della Siria e dell’amministrazione di Putin.

Il ministro degli esteri siriano Walid al-Moallem, sabato scorso, non appena la notizia si è diffusa ha replicato che “qualunque intervento di terra in Siria, senza il permesso del Governo siriano, sarà trattato alla stregua di un’aggressione cui si opporrà ogni cittadino siriano“.Mi dispiace dover dire che torneranno a casa in una bara di legno“, ha poi aggiunto, sottolineando che grazie alla progressiva riconquista di Aleppo, ottenuta con il supporto dell’aviazione russa e che sta tagliando le gambe ai ribelli e all’ISIS, e “in basi ai risultati delle nostre forze armate, siamo sulla strada buona per la conclusione del conflitto” e che “piaccia o no, le nostre conquiste sul campo di battaglia indicano che stiamo procedendo ormai verso la fine della crisi“. Da qui la necessità di un’invasione di terra per non consentire al legittimo governo siriano di tornare a controllare il suo territorio.

Pavel Krasheninnikov, un parlamentare della Duma, ha mandato un messaggio forte e chiaro all’Arabia Saudita: “Qualunque operazione militare di terra in Siria senza il consenso di Damasco, sarà considerata una dichiarazione di guerra“. Ma a fare veramente paura sono le parole del primo ministro russoDmitry Medvedev, al giornale tedesco Handelsblatt, commentando le esercitazioni programmate dall’Arabia Saudita: “tutte le parti devono obbligarsi a sedere al tavolo dei negoziati, invece di scatenare un’altra guerra sulla Terra. Qualunque tipo di operazioni di terra – è una regola – porta ad una guerra permanente. Guardate cosa è successo in Afghanistan e in molte altre zone. E non sto nemmeno a parlarvi della povera Libia. Gli americani e i nostri partner arabi devono pensarci bene: vogliono davvero una guerra permanente? Pensano sul serio che potrebbero vincerla rapidamente? È impossibile, specialmente nel mondo arabo, dove tutti combattono contro tutti“.

La terza guerra mondiale

Durante la Guerra Fredda, che recentemente il capo dell’intelligence americana, James Clapper, ha rievocato, alla minaccia di invasione russa dell’est europeo, la NATO discuteva dell’utilizzo di armi nucleari tattiche per fermare i 20.000 carrarmati russi. Allo stesso modo, è probabile che Putin decida di utilizzare armamenti simili per contrastare l’invasione di terra della Siria condotta dall’Arabia Saudita, con i 20.000 carrarmati predisposti sul fronte. Mosca ha del resto appena ricordato che i lanciamissili russi possono esser equipaggiati con testate nucleari, augurandosi che non ci fosse bisogno di usarli, ed è di questi giorni la notizia che la Russia e l’India hanno raggiunto un accordo per esportare ai loro alleati la tecnologia dei missili supersonici a corto raggio BrahMos, in grado di essere teleguidati e lanciati da sommergibili, da aerei, da navi o da postazioni al suolo.

Non appena le truppe di terra guidate dall’Arabia Saudita invaderanno la Siria, i missili russi S-300 e S-400 (quest’ultimo il sistema anti-aereo probabilmente più sofisticato al mondo) inizieranno ad abbattere i 2.450 velivoli militari NATO e i 460 elicotteri, ma l’unica soluzione per disfarsi delle truppe di terra e dei 20.000 carrarmati saranno le armi nucleari tattiche. Questo darà l’innesco all’escalation, che ai cittadini dei paesi membri della Nato verrà presentata più o meno così: “I russi, guidati da Putin, hanno attaccato i nostri alleati con armi nucleari: non abbiamo altra soluzione che invadere la Siria“.

In realtà, sebbene possa apparire cinico e amaro, quello che sta accadendo potrebbe essere un diversivo per distrarre l’opinione pubblica dalla crisi economica. Le banche europee stanno fallendo a causa dei debiti. Deutsche Bank ha perso il 50% del suo valore, di cui almeno il 40% dall’inizio dell’anno. Se Deutsche Bank fallisce, i 50 mila miliardi di titoli derivati che si porta dietro, venti volte il Pil della Germania, travolgeranno a catena le altre banche. Negli Usa, le banche “too big to fail” sono a rischio, perchè dopo i salvataggi governativi del 2008 hanno continuato a fare quello che facevano. E ora sono ancora più indebitate. Quindi una guerra nucleare leggermente depotenziata potrebbe certamente rappresentare una strategia diversiva per contenere la reazione dei risparmiatori al dissolversi dei loro conti correnti.

Autrice: Tiziana Geraci / Fonte: qui