9 dicembre forconi: 10/08/17

domenica 8 ottobre 2017

LA PREVISIONE NERA DEL CAPO DELLA CIA SULLE PROSSIME PROVOCAZIONI DI KIM JONG UN: “10 OTTOBRE, I GIORNI DELL’APOCALISSE NUCLEARE”

Da settimane, il 10 ottobre viene segnalato come un giorno decisivo e spaventoso: in Corea del Nord sarà l’anniversario della fondazione del Partito dei lavoratori. Il timore è che Kim Jong-un possa ordinare un nuovo test missilistico: secondo il ministro della Difesa giapponese Itsunori Onodera, le possibilità di una nuova provocazione bellica sono elevatissime.
Tra l’altro, nello stesso giorno, in Giappone partirà la campagna elettorale: quale migliore occasione, per Pyongyang, per provocare nuovamente il mondo? I timori di Tokyo, per inciso, sono stati confermati in toto anche dalla Cia, nella persona di Yong Suk Lee, l’uomo a capo della Korea Mission Center. Lee aggiunge che, oltre al 10 ottobre, anche il Columbus Day è un giorno da considerare a rischio.
Ma non è solo questione di date. Anche di strategie. E su come affrontare, e definire, Kim Jong-un, mister Yong Suk Lee mostra di avere idee differenti rispetto a Donald Trump, che continua a bollare il dittatore come “un pazzo”. “Tendiamo a sottovalutare il loro conservatorismo – afferma l’esponente della Cia in un incontro alla George Washington University -.
Come gli altri vuole governare per tanto tempo: morire nel suo letto”. Il punto, aggiunge, è che “la Corea del Nord è un organismo politico che prospera in questo tipo di confronto”. Insomma, “alzarsi una mattina e lanciare una bomba nucleare su Los Angeles – conclude Lee – non è nel suo interesse”.

Il piano di sterminio

Nero su bianco: in caso di attacco nucleare da parte della Corea del Nord di Kim Jong-un a Seul e a Tokyo, il numero di morti potrebbero aggirarsi intorno ai 2,1 milioni di persone, mentre i feriti potrebbero toccare i 7,7 milioni. È quanto sostiene un report di Web 38 North, che mette nero su bianco quanto potrebbe essere catastrofico un conflitto.
Le stime sono state elaborate da Michael J. Zagurek Jr, un consulente specializzato in banche dati e modellazione computerizzata. Le stime sono state effettuate considerando lo stato attuale della tecnologia delle armi e delle capacità atomiche in Corea del Nord. Nel dettaglio, le previsioni derivano dall’ipotesi che Pyongyang abbia un arsenale di base di 20-25 testate nucleari e la capacità di lanciare bombe con missili balistici.

Ciao Italia, siamo il Paese con più emigranti


Nel 2016 sono stati 114.512 gli italiani che si sono trasferiti all’estero: è record di italiani che se ne vanno, più di spagnoli e tedeschi, mai successo prima. In media chi parte ha tra i 25 e i 34 anni ma dal 2011 sono aumentati del 225% i giovanissimi, tra i 20- 24 anni


Sembrava dovesse essere uno dei tanti luoghi comuni esagerati dai media. La “fuga dei cervelli” a guardare le cifre di pochi anni fa, (quando Caparezza cantava “Da qui se ne vanno tutti”, per intenderci) appariva essere inferiore a quella sofferta da altri Paesi anche più prosperi. Pareva essere semplicemente l’ingresso dell’Italia nell’era della mobilità internazionale, inevitabile con la globalizzazione, più che un segno di allarme.
E invece no, a guardare i dati degli ultimissimi anni, il problema c’è, e si è aggravato. E, cosa molto indicativa, si è aggravato proprio mentre l’economia europea ed italiana usciva dalla crisi e si registrava altrove un’inversione del trend dell’emigrazione.

Nel 2016 sono stati 114.512 gli italiani che si sono trasferiti all’estero. Erano 84.560 nel 2015, 73.415 nel 2014, e solo 37.129 nel 2009. Una crescita di 3 volte, dunque, accelerata nell’ultimo anno. Attenzione, si tratta qui solo degli italiani nati in Italia, non sono inclusi gli stranieri. Per questo il dato è ancora più significativo.Non vi sono grandi Paesi che abbiano vissuto una crescita del fenomeno paragonabile all’Italia.Anzi, in gran parte dei casi con la fine della crisi economica vi è stato anche un calo del numero di emigrati. Un caso peculiare è quello spagnolo. Si è passati da 75.765 a 67.738 tra il 2015 e il 2016, nello stesso lasso di tempo in cui in Italia sono cresciuti di 30 mila. Uno dei tanti segni della differenza tra la ripresa spagnola, che viaggia a ritmi per noi inarrivabili, e la nostra. Oggi gli italiani emigrano, in proporzione agli abitanti, più di spagnoli e tedeschi, cosa mai accaduta prima. Se non fosse per l’improvvisa crescita di “cervelli in fuga” britannici nel 2016 (dovuta alla Brexit?) anche il Regno unito sarebbe superato.
Anche volendo allargare il confronto a tutti i Paesi europei, anche quelli minori. l’Italia si è piazzata tra il 2015 e il 2011, gli anni i cui dati sono disponibili su Eurostat, al quarto posto quanto ad aumento dell’emigrazione degli autoctoni, con un +104,3%. Con il balzo del 2016 l’Italia sarebbe prima, davanti anche a Croazia, Ungheria, Slovenia.

Da notare che nello stesso periodo il deflusso di stranieri dal nostro Paese è stato appena del 18,8%.
Chi se ne va? Certo, in gran parte sono i giovani tra i 25 e i 34 anni, che componevano nel 2015 più del 45% del totale degli emigranti. E tuttavia dal 2011 sono cresciuti più di tutti i giovanissimi, tra i 20 e i 24 anni, +225%.

C’è un piccolo picco, +109,6%, anche tra i 50-54enni. La crescita dell’esodo di italiani in generale non trascura nessuna età.

Provengono però in maggioranza dal Nord. In particolare nel 2016, l’anno del grande aumento dell’emigrazione.

C’è una proporzione sugli abitanti del 0,29% e del 0,26% in Trentino Alto Adige e in Friuli Venezia Giulia, terre di confine, ma seconda a pari merito è la Lombardia, la regione più ricca d’Italia. E all’ultimo posto vi sono Puglia, Campania, Basilicata, con una densità di emigranti della metà.

Dunque, se i lombardi emigrano il doppio dei campani cosa significa?

Se volessimo essere ottimisti potremmo dire che in fondo è la globalizzazione. Che dalle regioni con più connessioni con l’economia mondiale i giovani vadano a lavorare all’estero è cosa buona e giusta, fisiologica, e non c’è da preoccuparsi, anzi.

Tuttavia perchè proprio in quei Paesi con una crescita maggiore della nostra, più aperti al mondo, è in atto un calo di questo fenomeno? In primis in quella Spagna che ha vissuto tanto una crisi quanto una ripresa più intense delle nostre.

Qualcosa non va, l’aumento dell’esodo tra 2015 e 2016 è veramente importante, non sono certo tutti giovani che vanno a fare i rappresentanti esteri di floride aziende italiane. Il sospetto è che questa ripresa fatta dalla spalmatura del lavoro su moltissimi soggetti, ognuno pagato poco e contrattualizzato a termine, in settori a bassissimo valore aggiunto, c’entri qualcosa.

Che il calo degli inattivi produca sempre più giovani che vogliono impiegarsi, e che sempre più decidano di non accontentarsi delle opportunità offerte, anche quando, come al Nord, queste ci sono, ma si rivelano essere un contratto di 6 mesi, uno strapuntino in qualche angolo del settore dei servizi la cui esistenza futura è totalmente imprevedibile.

Fonte: qui

Turismo, vocazione senza innovazione.




Sono in giro per la Francia e comincio a capire perché, al di là delle chiacchiere, questo é il paese con il maggior numero di presenze turistiche. Qui ci sono  offerte per tutte le tasche e l’offerta contempla anche le nuove frontiere del turismo. 

Ad esempio qui trovate gli apart.hotel, hotel appunto in cui per ogni camera é prevista una microcucina e una microlavatrice. In un totale di 25 metri quadrati ottimamente organizzati due persone per 65-75 euro a notte (la camera) possono tranquillamente vivere. 
Bella differenza con le nostre offerte per mezza pensione in cui si va, come minimo ad una cifra che é circa il doppio. Una nuova frontiera quindi per chi vuole visitare le città senza svenarsi ed avere anche un minimo di comodità. In molte città poi ci sono biglietti speciali per i mezzi pubblici (tutti compresi) e più é lungo il periodo  meno si paga

A Lione ad esempio per 5,4 euro si può, per una giornata, prendere  tutti i metro, tram e autobus che si vuole. Altro aspetto interessante sono i musei. Quelli tradizionali non sono “affollati” di opere come i nostri, sono ben tenuti e i controlli sono discreti e fatti con molto meno personale. Molto, per la sicurezza, viene fatto all’ingresso e poi dall’elettronica. 

Certo hanno anche, tranne il Louvre, molto meno da esporre, ma poi chi, tranne gli specialisti, ha mai guardato tutti i quadri degli Uffizi?  Si investe, per la parte nuova frontiera museale, anche molto in nuove strutture,  in architettura, per cui il primo oggetto da vedere è  la costruzione. 

Il museo, come catalogazione del sapere, cambia, diventa sempre più interattivo e quindi la catalogazione fisica tende a sparire. Si danno i “nodi” delle conoscenze e le reti sono quindi virtuali. 

Si investe molto anche in guide che ognuno si scarica sullo smartphone e segue il percorso senza doversi attrezzare, con relativi investimenti per le attrezzature e il personale che consegna e ritira. 

Il mondo cambia e l’importante é adeguarsi in fretta. Se qui da noi si continua a chiacchierare, si piange perché abbiamo troppo, perché non riusciamo a gestire tutto, perché i soldi dedicati, pochi, se li mangiano i dipendenti, allora siamo morti viventi e i turisti che, pervicacemente, continuano a voler venire da noi sono solo gonzi da rapinare, trattare male e prendere a schiaffi.


Se volete un chiaro esempio pensate alla riviera ligure e a quella romagnola. La seconda, pur con un mare da schifo,al confronto, é sempre stata all’avanguardia e ha sempre fatto il pieno. 

Per contro la riviera ligure che ha una gestione da schifo  perde sempre più turisti, gli alberghi sono sempre più cadenti e sempre più cari. 

Tutti si lamentano ma nessuno fa mai niente. 

Certo molte colpe e molti meriti sono dei singoli, ma moltissimo dipende dal manico, da chi comanda, che non dà indirizzi chiari, che non permette investimenti rapidi e quindi il risultato é sotto gli occhi di tutti: turismo caro, in calo e abusivismo selvaggio.

Fonte: qui

Suicidio demografico: l’Europa perderà 1/3 dei suoi abitanti

Civiltà fantasma globalizzata. In Giappone le scuole elementari chiudono, dato che il numero dei bambini è sceso a meno del 10% della popolazione. Il governo sta convertendo queste strutture in ospizi: il 40% della popolazione è di età superiore ai 65 anni. In Giappone, «la nazione più vecchia e più sterile del mondo», l’espressione “civiltà fantasma” è diventata ormai di uso comune, scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”. Secondo stime ufficiali, entro il 2040 la maggior parte delle città più piccole del paese vedrà un drammatico calo della popolazione, dal 30 al 50%. I consigli dei villaggi spariscono, insieme ai ristoranti: nel ‘90 erano 850.000, ora si sono ridotti a 350.000. «Le previsioni suggeriscono che in 15 anni il Giappone avrà 20 milioni di case vuote. È forse anche questo il futuro dell’Europa? Probabile, perché tra gli esperti di demografia c’è una tendenza a definire l’Europa il nuovo Giappone». Da parte sua, il paese del Sol Levante sta affrontando questa catastrofe demografica con le proprie risorse e vietando l’immigrazione musulmana. Ma «anche l’Europa sta subendo una sorta di suicidio demografico», che lo storico britannico Niall Ferguson definisce «la più grande riduzione sostenuta della popolazione europea dopo la peste nera del XIV secolo».
Un segnale sintomatico del nuovo trend socioculturale, per esempio, secondo Spadini sta nel fatto che gli esponenti europei del grande esclusivo club globale, il G7, sono privi di figli: Angela Merkel, Theresa May, Paolo Gentiloni e Emmanuel Macron, L'Europa verso il suicidio demograficocui aggiungiamo il primo ministro olandese Mark Rutte e il primo ministro gay del Lussemburgo, Xavier Bettel. I musulmani europei sembrano sognare di colmare questo vuoto? L’arcivescovo di Strasburgo, Luc Ravel, nominato da Papa Francesco lo scorso febbraio, ha di recente dichiarato che i fedeli musulmani sono ben consapevoli del fatto che la loro fertilità è tale che oggi chiamano “Grand Remplacement” il loro inserimento nella società europea. Quanto all’Italia, il Centro Machiavelli rileva che, se l’attuale tendenza dovesse continuare, «entro il 2065 la quota di immigrati di prima e seconda generazione supererà i 22 milioni di persone, ossia sarà più del 40% della popolazione totale». Il tasso di fertilità dell’Italia è inferiore della metà di quello che era nel 1964, spiega il centro studi, attraverso un dossier firmato da Daniele Scalea (“Come l’immigrazione sta cambiando la demografia italiana”).
L’Europa (e l’Italia in particolare) stanno affrontando un periodo di flussi migratori in entrata senza precedenti, osserva Rosanna Spadini. «Ciò dipende in primis dalla concomitanza tra declino demografico europeo (dal 22% della popolazione mondiale nel 1950 al 7% nel 2050) ed esplosione demografica africana (dal 9% al 25% della popolazione mondiale in cento anni). Il tasso di natalità è sceso da 2,7 bambini per donna a appena 1,5 bambini per donna, un tasso ben al di sotto del minimo consentito per una rigenerazione sana della popolazione». Inoltre, aggiunge l’analista di “Come Don Chisciotte” citando una recente relazione di “Zerohedge”, si assiste a una maggiore omogeneità dell’immigrazione: le prime dieci nazionalità rappresentano oggi il 64% degli immigrati totali, mentre negli anni ‘70 erano appena il 13%. Tutto ciò non si Niall Fergusondiscosta da quanto sta accadendo in diversi paesi dell’Europa occidentale. «Intorno al 2065 in Gran Bretagna l’etnia britannica dovrebbe perdere la maggioranza assoluta nel proprio paese. Oggi in Germania i minori di 5 anni sono al 36% figli di immigrati, lasciando presagire un grande mutamento nella composizione etnica della prossima generazione».
A partire dal 2017, l’Italia ha registrato oltre 5 milioni di stranieri che vivono come residenti: «Una crescita del 25% rispetto al 2012 e un enorme 270% rispetto al 2002. All’epoca, gli stranieri costituivano solo il 2,38% della popolazione. Quindici anni dopo la percentuale è quasi triplicata fino all’8,33% della popolazione». Inoltre, la natalità degli immigrati è notevolmente superiore a quella degli italiani nativi: «Non è quindi sorprendente che le regioni italiane con i tassi di fertilità più alti non siano più nel sud, come è sempre accaduto, ma nel nord italiano e nella regione del Lazio, dove c’è una concentrazione maggiore di immigrati». In confronto, solo nel 2001 la percentuale degli stranieri che vivevano in Italia aveva  attraversato la soglia dell’1%, cosa che rivela la velocità e l’entità delle trasformazioni demografiche che si stanno verificando in Italia, un fenomeno senza precedenti. Un’ulteriore preoccupazione avanzata dalla relazione di Scalea è «l’elevata concentrazione delle Daniele Scaleapopolazioni immigrate da pochi paesi d’origine, che spesso produce fenomeni di ghettizzazione».
Lo scorso anno, in 13 dei 28 paesi membri dell’Unione Europea, il saldo tra nascite e decessi è stato negativo: senza i flussi migratori, le popolazioni di Germania e Italia dovrebbero diminuire rispettivamente del 18% e del 16%. «L’impatto della situazione demografica in caduta libera è più visibile nei paesi dell’ex blocco sovietico, come Polonia, Ungheria e Slovacchia, per distinguerli da quelli della cosiddetta “vecchia Europa”, come Francia e Germania». Questi paesi dell’Est, continua Spadini, sono ora quelli più esposti al fenomeno dello spopolamento e al «devastante crollo del tasso di natalità» che il giornalista e scrittore Mark Steyn ha definito «il principale problema del nostro tempo». Alla fine del secolo, «l’Europa potrebbe ritrovarsi come colpita da una bomba al neutrone: gli edifici in piedi, ma senza bambini», si legge in “America Alone”, un pamphlet su crollo demografico, islamismo, sindrome di Stoccolma, solitudine americana e disastri del multiculturalismo. «Se gli occidentali vogliono godere delle benedizioni della vita in una società libera devono capire che la vita che abbiamo vissuto dal 1945 è stato un momento rarissimo nella storia dell’umanità».
La distanza fra Usa ed Europa sta crescendo: «L’America è l’ultima nazione a sostenere un tasso di crescita riproduttivo, l’ultima grande società religiosa in Occidente, l’ultima a mantenere un esercito in grado di difenderla in qualunque parte del Mark Steynmondo e l’ultima a conservare una tradizione attiva di libertà individuale, incluso il diritto di portare armi». Per una popolazione stabile, si calcola che serva un tasso di crescita del 2,1%, cioè il tasso dell’America, contro l’1,38 dell’Europa, l’1,32 del Giappone e l’1,14 del Canada. A preoccupare sono, ancora, i giapponesi: «Non c’è precedente nella storia per questa crescita economica e crollo del capitale umano: per la prima volta, nel 2005 in Giappone ci sono state più morti che nascite». E’ un paese «di geriatri, senza immigrazione, né minoranze e senza desiderio di niente: solo invecchiare e affievolirsi». Per Steyn, anche l’Europa alla fine del secolo sarà come un continente dopo lo scoppio di una bomba al neutrone: «Ci saranno ancora edifici in piedi, ma la popolazione sarà scomparsa. Il tedesco sarà parlato giusto da Hitler, Himmler e Göring durante la seratina di poker all’inferno».
«Una parte del pianeta sta optando per il suicidio di fronte al surriscaldamento», aggiunge Steyn. «L’Europa sarà semi-islamica nel carattere politico e culturale entro due generazioni, forse una. Nel XV secolo la Morte Nera fece fuori un terzo della popolazione. Nel XXI scomparirà per scelta. Stiamo assistendo alla lenta estinzione della civiltà in cui viviamo». Il “New York Times” si è chiesto perché «nonostante la popolazione diminuisca, i paesi dell’Europa orientale non vogliono accettare i migranti». Inoltre, gran parte dell’Europa orientale ha già vissuto l’esperienza dell’occupazione musulmana per centinaia di anni sotto l’Impero Ottomano, «e questi paesi sono tutti consapevoli che ciò potrebbe accadere di nuovo». Ma anche l’Africa sta esercitando pressioni sull’Europa, «come una bomba demografica a tempo». Per il nazionalista olandese Geert Wilders, «nei prossimi trent’anni l’Africa avrà un miliardo di persone in più, cioè il doppio della popolazione dell’intera Unione Migranti sbarcati in ItaliaEuropea». Al che, la pressione demografica sarà enorme: «Un terzo degli africani vuole spostarsi all’estero e molti vogliono venire in Europa. Lo scorso anno più di 180.000 persone sono partite dalla Libia a bordo di imbarcazioni fatiscenti. E questo è solo l’inizio».
Secondo l’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, solo al 2,65% dei migranti arrivati in Italia (4.808) è stato riconosciuto il diritto di asilo, «mentre 90.334 migranti non hanno chiesto l’asilo ma sono scomparsi nell’economia del mercato nero». Secondo il greco Dimitris Avramopoulos, responsabile per le migrazioni in seno alla Commissione Europea, «in questo periodo tre milioni di africani pianificano di entrare in Europa». Michael Moller, direttore dell’ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, avverte che il processo di migrazione «sta accelerando». I giovani hanno tutti i cellulari e possono vedere sul web che cosa sta succedendo in altre parti del mondo. «Infatti – annota Rosanna Spadini – possono vedere sui loro telefoni che, mentre meno Michael Mollerdel 3% degli immigrati dello scorso anno erano legittimi richiedenti asilo, quasi nessuno viene rispedito indietro», dal momento che i migranti «sono accolti con generosi benefici sociali, alloggi sovvenzionati e sistemi sanitari pubblici».
Anche l’Europa orientale si sta assottigliando sempre più, e la demografia è diventata un problema per la sicurezza, aggiunge “Come Don Chisciotte”. «Diminuisce il numero delle persone che prestano servizio nell’esercito e operano nell’assistenza sociale: un tempo i paesi dell’Europa orientale temevano i carri armati sovietici, ora temono le culle vuote». Le Nazioni Unite stimano che nel 2016 l’Est Europa fosse abitata da circa 292 milioni di persone, 18 milioni in meno rispetto agli inizi degli anni Novanta. «Questa cifra equivale alla scomparsa dell’intera popolazione dei Paesi Bassi». Il “Financial Times” definisce la situazione est-europea come «la perdita più importante di popolazione della storia moderna». Neppure la Seconda Guerra Mondiale, con i suoi massacri, le deportazioni e i suoi esodi di massa, era giunta a tanto. Entro il 2050, la Romania perderà il 22% della sua popolazione, seguita da Moldavia (20%), Lettonia (19%), Lituania (17%), Croazia (16%) e Ungheria (16%). Dimitris Avramopoulos«Romania, Bulgaria e Ucraina sono i paesi in cui il calo demografico sarà più drastico. Si stima che nel 2050 la popolazione della Polonia conterà 32 milioni di abitanti rispetto ai 38 milioni attuali. Circa 200 scuole sono state chiuse».
In Europa centrale, la proporzione della popolazione “over 65” è aumentata di un terzo tra il 1990 e il 2010, continua Spadini. La popolazione ungherese ha toccato il punto più basso degli ultimi cinquant’anni. Il numero degli abitanti è sceso dai 10 milioni e 709.000 del 1980 agli attuali 9 milioni e 986.000. «Nel 2050, in Ungheria, ci saranno 8 milioni di abitanti e uno su tre avrà più di 65 anni. L’Ungheria oggi ha un tasso di fecondità di 1,5 figli per donna. Se si esclude la popolazione Rom, questa cifra scende a 0,8, la più bassa del mondo, il motivo per il quale il premier Orbán ha annunciato nuove misure per risolvere la crisi demografica». In Bulgaria, addirittura, «tra il 2015 e il 2050 si registrerà il più veloce calo demografico del mondo». La popolazione bulgara è tra quelle che dovrebbero diminuire di oltre il 15%, insieme a Bosnia Erzegovina, Croazia, Ungheria, Giappone, Lettonia e Lituania, imsieme a Moldavia, Romania, Serbia e Ucraina. «Si stima che la popolazione bulgara, che ammonta a circa 7,15 milioni di abitanti, scenderà a 5,15 milioni Viktor Orbanentro 30 anni – un calo del 27,9% per cento».
Secondo dati ufficiali, in Romania sono nati 178.000 bambini. «A titolo di confronto, nel 1990, il primo anno dopo la caduta del regime comunista, ci furono 315.000 nascite. Lo scorso anno in Croazia si sono registrate 32.000 nascite, un calo del 20% rispetto al 2015. Lo spopolamento della Croazia potrebbe portare alla perdita di 50.000 abitanti l’anno». Quando la Repubblica Ceca faceva ancora parte del blocco sovietico (come Cecoslovacchia), il suo tasso di fecondità era opportunamente prossimo al tasso di sostituzione (2,1%). «Oggi è il quinto paese più sterile del mondo». Analoga la situazione della Slovenia: ha il Pil pro capite più alto dell’Europa orientale, ma un tasso di fecondità molto basso. «Alla fine – conclude Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte” – l’immigrazione di massa probabilmente riempirà le culle vuote, ma poi anche l’Europa diventerà una “civiltà fantasma”». Sembra sia solo questione di tempo: «Uno strano tipo di suicidio programmato».
Fonte: qui

PUTIN PLAYMAKER


VEDE MADURO E GLI PROMETTE PETROLIO, VEDE IL SAUDITA SALMAN (PRIMA VOLTA AL CREMLINO) E LO CONVINCE A LASCIARE IN SELLA ASSAD IN SIRIA IN CAMBIO DI RIDIMENSIONARE L’IRAN  

LO ZAR DI MOSCA GIOCA A TUTTO CAMPO (BUSINESS E NON SOLO) A FRONTE DEI CASINI INTERNI DELL’AMERICA DI TRUMP

5 Ottobre 2017

Giuseppe Agliastro per la Stampa

MADURO PUTINMADURO PUTIN
Ieri un «amico» di vecchia data come il presidente venezuelano Nicolas Maduro. Oggi un alleato decisamente più recente come il re saudita Salman bin Abdulaziz. Nel giro di 48 ore Vladimir Putin apre le porte del Cremlino ai leader di due Paesi lontani i cui interessi si intrecciano però sempre più strettamente con quelli della Russia. Sia il Venezuela sia l' Arabia Saudita sono grandi produttori di petrolio, e proprio il futuro del mercato mondiale del greggio è uno dei temi più importanti tra quelli al centro dei colloqui tra il presidente russo e gli altri due capi di Stato.

VENEZUELAVENEZUELA
Ma non è di certo l' unico. Sul tavolo ci sono anche la rivolta in Venezuela, la profonda crisi economica del Paese sudamericano, il conflitto in Siria e il ruolo dell' Iran in Medio Oriente. Intervenendo a un forum sull' energia, Putin ha dichiarato che l' accordo sul taglio della produzione petrolifera tra Paesi Opec e non Opec può essere prolungato «come minimo fino alla fine del 2018».

Anche Venezuela e Arabia Saudita - le cui economie si basano largamente sull' oro nero - dovrebbero essere dello stesso parere: l' intesa ha infatti mantenuto a galla i prezzi del greggio, letteralmente crollati negli ultimi anni. Non per niente, appena messo piede a Mosca, Maduro ha sottolineato che «è necessario» continuare a rispettare il patto «con un alto livello di disciplina».

SCONTRI IN VENEZUELASCONTRI IN VENEZUELA
Il Cremlino sostiene il governo venezuelano dai tempi di Hugo Chavez. E continua a farlo adesso che migliaia e migliaia di persone scendono in piazza contro Maduro e il chavismo contestando l' annullamento di fatto dei poteri del parlamento, dove l' opposizione aveva conquistato la maggioranza nelle elezioni del 2015. Le forze dell' ordine reprimono le manifestazioni con la violenza. In quattro mesi, i morti sono stati 120. E con la crisi economica la popolazione è ormai allo stremo, senza cibo né medicinali. Una boccata d' ossigeno per il governo venezuelano arriva proprio da Mosca. Mentre gli Usa sanzionano Caracas, il Cremlino aiuta Maduro a restare in sella.

PUTIN SALMANPUTIN SALMAN
«Grazie per il sostegno politico e diplomatico in questo momento difficile», ha detto il presidente venezuelano a Putin, che si è congratulato per «i contatti con le forze d' opposizione». Maduro ha affermato che l' incontro è stato «un successo» e ha ringraziato la Russia per l' invio di cereali.

PUTIN SALMANPUTIN SALMAN
Ma il Cremlino aiuta il governo di Caracas anche finanziariamente: la Rosneft ha pagato in anticipo 6 miliardi di dollari alla Petroleos de Venezuela per le forniture di greggio, e - secondo fonti della Reuters - Maduro dipende sempre più dal denaro della Russia, che intanto negozia con Caracas la partecipazione nei progetti petroliferi più remunerativi del Paese. Maduro in cambio spera di ristrutturare un vecchio debito da 2,8 miliardi di dollari con Mosca per l' acquisto di carri armati e missili in modo da non trovarsi con l' acqua alla gola e si aspetta nuove armi dalla Russia.

SIRIANI IN FUGA DALLA GUERRASIRIANI IN FUGA DALLA GUERRA
Anche sul fronte saudita il petrolio è solo una parte della posta in gioco. L' incontro tra Putin e re Salman è molto atteso a Mosca, dove la strada tra l' aeroporto di Vnukovo e il centro della capitale è stato tappezzato di cartelli in russo e in arabo per dare il benvenuto al sovrano che ieri ha iniziato la sua prima visita in Russia. Mosca e Riad - due colossi mondiali degli idrocarburi - firmeranno oggi accordi per tre miliardi di dollari, e ciò dimostra come siano sempre più vicine.
assad putinASSAD PUTIN

Ma un nodo gordiano della loro relazione è rappresentato dall' Iran, acerrimo rivale dei sauditi ma alleato della Russia e di Assad nel conflitto in Siria, dove invece Riad appoggia dei gruppi ribelli. Re Salman teme che l' intervento dei pasdaran iraniani dia a Teheran un ruolo primario nella Siria del futuro. E cerca un compromesso con Putin. «La mia sensazione - spiega Mark Katz, politologo della George Mason University - è che i sauditi siano disposti a permettere che Assad resti al potere a patto che Mosca si adoperi per contenere l' influenza iraniana in Siria».

Fonte: qui

LA GUARDIA DI FINANZA CERCA LE MANI CHE HANNO RASTRELLATO MEDIASET

L'IRRUZIONE NELLA SEDE VIVENDI DI PARIGI PER SCOPRIRE CHI SOSTENNE BOLLORE’ NELLA SCALATA AL BISCIONE 

L’OPERAZIONE RIENTRA NELL’INCHIESTA PREMIUM E IN QUELLA DEI PM MILANESI SULLA MANIPOLAZIONE DI MERCATO
Andrea Ducci per il Corriere della Sera

impero BolloreIMPERO BOLLORE
I finanzieri italiani si sono spinti fino a Parigi ad Avenue de Friedland, a due passi dall' Arco di Trionfo. La strada ospita la sede di Vivendi, e in quegli uffici la gendarmeria francese ha affiancato gli uomini del nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza, intenzionati ad acquisire documenti e dati utili a ricostruire l' acquisto di azioni Mediaset da parte di Vivendi. Una vicenda che ha innescato una lotta giudiziaria tra il colosso francese e il gruppo controllato dalla famiglia Berlusconi, con tanto di rogatoria internazionale.

Lo scontro muove da un esposto di Mediaset, che accusa Vivendi di non avere onorato il contratto di acquisto della pay tv Premium, causando così una flessione del titolo Mediaset, creando dunque le condizioni più vantaggiose a Vivendi per predisporre il successivo acquisto di azioni Mediaset. Una guerra di carte bollate con una tappa ieri nella strada parigina, vicino agli Champs Elysées, che prende il nome da una battaglia, tra russi e francesi, tanto dura da indurre lo Zar Alessandro I a interrompere la guerra e a concludere una pace con Napoleone Bonaparte.
mediaset vivendiMEDIASET VIVENDI

Esito che appare prematuro nella partita tra Mediaset e Vivendi, alla luce anche dell' interesse degli inquirenti a verificare quali soggetti e intermediari si siano mossi, tra i mesi di novembre e dicembre dello scorso anno, dietro le quinte di una escalation che ha visto il titolo Mediaset schizzare da 2,23 euro a 4,57 euro. Un balzo del 105%, nell' arco del quale Vivendi si è portata a ridosso di una quota del 30% nel gruppo di Cologno Monzese.

BOLLORE CANALBOLLORE CANAL
Una tentata scalata ostile, con il sospetto, tra l' altro, di reato di aggiotaggio, che merita una ricostruzione. La genesi è l' accordo dell' aprile 2016, quando Mediaset e Vivendi siglano l' accordo per scambiare il 3,5% delle rispettive azioni e per trasferire in mani francesi la pay tv Premium. Alla fine di luglio 2016 Vivendi comunica che non onorerà il contratto. Al massimo c' è la disponibilità ad acquisire il 20% di Premium. In quelle settimane il titolo Mediaset, complice l' effetto Brexit, inizia una lunga discesa che si ferma a quota 2,23 euro il 28 novembre. È il minimo storico da aprile 2013.
bollore sarkozyBOLLORE SARKOZY

Nei giorni seguenti parte la corsa: Vivendi o qualcun altro per conto dei francesi avvia l' acquisto di azioni Mediaset, ma niente viene ufficializzato. Le azioni salgono a 2,75 euro (+22%) in pochi giorni, e il 12 dicembre Vivendi rende noto di avere superato la soglia del 3% in Mediaset. La mossa è ritenuta ostile.

mediaset vivendi 2MEDIASET VIVENDI 
Ma l' innesco è dato. Il 13 dicembre il titolo vola, malgrado le sospensioni in asta di volatilità, e si ferma a 3,58 euro. Il 14 dicembre la procura di Milano apre un fascicolo per manipolazione del mercato. Il 21 dicembre Mediaset quota 4,57 euro, nel frattempo Vivendi è ormai al 28,8% del capitale. Il dado è tratto.

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DOPO 40 ANNI D’ATTESA RIAPRONO IL QUARTO E QUINTO ANELLO DEL COLOSSEO, I PIU’ ALTI DELL’ANFITEATRO FLAVIO

“QUI DOBBIAMO IMMAGINARE GLI SPALTI IN LEGNO DOVE SEDEVANO I PLEBEI”

A BREVE COMINCERANNO I LAVORI DI RESTAURO DEI SOTTERRANEI - FOTO E VIDEO


Laura Larcan per Messaggero.it

COLOSSEOCOLOSSEO
Il Colosseo svela l'affaccio della plebe. Ad un'altezza di oltre 42 metri dal livello stradale, il pubblico vede l'arena (e tutta Roma) così come la vedevano i plebei che duemila anni fa affollavano l'ultimo livello, il V, che corrisponde all'Attico. È questo il traguardo del nuovo percorso di visita dell'Anfiteatro Flavio che è stato inaugurato oggi alla presenza del ministro della Cultura Dario Franceschini. Ci son voluti quarant'anni di attesa, lavori di messa in sicurezza e restauri, andati avanti gradualmente per tranche di fondi (il grosso nel 2010 con 800 mila euro e nel 2015 con 500mila), per arrivare all'apertura di tutto il IV e V livello del Colosseo (le prenotazioni da oggi sono aperte, ma l'ingresso è previsto dal primo novembre).
 
«La zona è sempre rimasta chiusa per motivi di sicurezza», spiega la responsabile del monumento Rossella Rea. Lo spettacolo panoramico è mozzafiato: «Qui dobbiamo immaginare gli spalti in legno dove sedevano i plebei, posti coperti da una struttura porticata - spiega la Rea - Non a caso sono state messe in luce le basi in marmo delle colonne che scandivano l'affaccio». Il percorso nuovo parte dalla galleria del III livello, in parte già accessibile al pubblico fin dal 2010, per scalare il IV livello, dove sedevano i commercianti (ossia gli esponenti della piccola borghesia), e conquistare il V. «Siamo nell'ultimo livello della cavea, il più scomodo da raggiungere per i gradini più alti, e quello che aveva una visibilità ridotta della massa di gladiatori che combattevano sull'arena - spiega la Rea- La plebe qui aveva una visibilità complessiva, ma non analitica».

COLOSSEO RIAPRE L ATTICO 2COLOSSEO RIAPRE L'ATTICO 
Ma certo ora regala un panorama da vertigine. Passaggio chiave, l'apertura del IV e V livello della cavea del Colosseo. Ora i riflettori sono puntati sull'imminente cantiere di restauro dei sotterranei. «La gara è stata aggiudicata finalmente e il contratto è in via di stipula. A breve cominceranno i lavori che dureranno un anno e mezzo», annuncia la Rea. Nel dettaglio, si tratta di un intervento da complessivi 5 milioni (che in parte rientrano nella convenzione con la società Tod's di Diego Della Valle) che prevedono il restauro e i lavori propedeutici alla progettazione della futura arena come copertura degli ipogei.

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Italia: un Paese da G7, uno Stato da terzo mondo

Il Global Competitiveness Report del World Economic Forum certifica lo stato terrificante del nostro apparato pubblico, la vera zavorra di un sistema economico che potrebbe volare, se non fosse per le tasse, la giustizia, la burocrazia (e pure il suo sistema finanziario)


Appunti per la prossima campagna elettorale, per la prossima legislatura, per i prossimi cinque, dieci, cento anni: la riforma radicale dello Stato italiano, di quel pachiderma pubblico che governa la nostra economia e i nostri rapporti sociali è la cosa più importante da fare, forse l’unica che conta. Non bastasse l’esperienza diretta con la burocrazia, con la giustizia, con il fisco, potete rafforzare le vostre convinzioni leggendo i numeri del Global Competitiveness Report 2017-2018 del World Economic Forum, pubblicato qualche giorno fa.
Per i meno avvezzi: si tratta di un rapporto che mette in fila 137 Paesi del mondo sulla base di 12 macro categorie, dalle istituzioni alle infrastrutture, dalle efficienza del mercato ai dati macroeconomici, sino al sistema finanziario, a quello educativo, all’ecosistema dell’innovazione. 

Risultato finale? Siamo 43esimi su 137, una posizione avanti rispetto allo scorso anno, sei avanti rispetto al 2015, una indietro rispetto al Portogallo, l’ultimo Paese dell’Europa occidentale ad averci superato. Per gli ottimisti, un segnale di ripresa. Per i pessimisti, la prova maestra che stiamo arretrando rispetto al resto del Vecchio Continente.

Fate voi. Indipendentemente da come vanno gli altri, a noi interessa capire perché andiamo così noi. Perché una delle prime dieci economie del mondo ha un indice di competitività inferiore a quello di Cile, Thailandia, Polonia e Azerbaijan. Ci limitiamo agli highlight: siamo 134esimi (su 137, non dimenticatelo: in classifica ci sono pure mamma Africa e tutto il cosiddetto Terzo Mondo) come fardello della regolazione governativa e come efficienza della cornice legale nelle dispute civili. Ancora: 126esimi come trasparenza nel policymaking e nell’efficienza nella spesa pubblica. Il tutto, ci costa una tassazione che è la 126esima più salata del mondo (anche se stiamo migliorando un po’, pare), la quale a sua volta è la terzultima sul pianeta (135esima, se vi piace leggerla dritta) per quanto disincentiva gli investimenti. E ovviamente un debito pubblico in rapporto al Pil superato (in negativo) solo da quattro Paesi.

Al cocktail, se volete, possiamo aggiungere un sistema finanziario che complessivamente si posiziona al 126esimo posto, soprattutto per una disponibilità di venture capital che vede al 127esimo posto, per un accesso al credito che si piazza al 120esimo e una solidità bancaria - quelle banche che “erano le più solide di tutte” nel 2008: come cambiano le cose - che ci posiziona al 116esimo posto. E un mercato del lavoro che è leggermente migliorato, ma che nonostante il Jobs Act è ancora uno dei meno efficienti del pianeta (116esimo).

E dire che abbiamo un sistema d’imprese sofisticato e con un livello di specializzazione altissimo, che abbiamo distretti sviluppati (ottavi al mondo) e catene del valore lunghe e solide (undicesimi). Non bastasse, abbiamo pure il dodicesimo Pil pro-capite al mondo e pure il dodicesimo mercato interno. Perle ai porci, fino a quando ci porteremo dietro zavorre come quelle attuali, fino a quando non capiremo che un pezzo alla volta, il brutto Stato che ci rallenta e ostacola, va smontato pezzo per pezzo e ricostruito ex novo. Non un lavoro semplice, né breve. Ma abbiamo la terza aspettativa di vita al mondo. Possiamo aspettare, purché cominciate.

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