Il più spagnolo e insieme più universale degli intellettuali spagnoli del Novecento fu José Ortega y Gasset. Autore della Ribellione delle masse, delle Meditazioni del Chisciotte e di tanti altri testi filosofici, storici e sociologici, spiegò la sua idea di Spagna in un libro dal titolo definitivo, Spagna invertebrata. Sulle tracce del declino della sua patria dopo le sconfitte politiche e militari di fine Ottocento, tratteggiò il quadro di una nazione destinata al disfacimento. Chissà che cosa penserebbe don José se potesse vedere la Spagna d’inizio XXI secolo. Forse, sulle tracce di un altro grande pensatore della sua epoca, Miguel de Unamuno, scriverebbe qualcosa di simile a Nebbia o al Sentimento Tragico della Vita, i capolavori del professore di Bilbao.
La Spagna contemporanea è lo specchio del tramonto dell’Europa e fa impressione che ne rappresenti geograficamente l’estremo occidente. Un tramonto che sbigottisce. Anni fa, discutendo con un colto conoscente di origine spagnola, affermammo che difficilmente la vecchia nazione di Cervantes e dei Re Cattolici sarebbe sopravvissuta al 2020. Temiamo che sia così. E’ buona regola per chi osserva il paese nostro vicino apparentemente simile ma tanto diverso, parlare di Spagne al plurale. Non solo per l’esistenza delle diverse particolarità regionali, catalana, basca, galiziana, ma soprattutto per la sfida secolare tra due modi opposti di essere Spagna. Uno è quello della tradizione cattolica, monarchica, nazionale e universale di ascendenza castigliana, l’altro è quello del suo contrario speculare. La Spagna ferocemente antireligiosa, nemica di se stessa, massonica e poi filobolscevica, ipermodernista, separatista nelle modalità diverse del nazionalismo etnico basco e di quello economico catalano.
La lotta tra le due Spagne è in corso da almeno tre secoli, ma per la prima volta l’esito pare definitivo a favore dell’anti Spagna. La democrazia post franchista ha diffuso benessere, promosso una modernizzazione rapidissima, il cambio accelerato di tutti i paradigmi sociali, culturali, civili vigenti da molte generazioni, un laboratorio di ingegneria antropologica che ha anticipato molti paesi. Fu la Spagna del socialista Zapatero la prima a legalizzare il matrimonio omosessuale, estendere la legislazione sull’aborto alle minorenni e perfino a promulgare una legge a difesa dei primati superiori, le scimmie, equiparate in parte agli esseri umani.
Autentiche rivoluzioni culturali promosse senza vere opposizioni dai governi di un partito che si fa chiamare socialista, operaio e spagnolo, ma che nega nei fatti il suo stesso nome. Il PSOE è un partito liberale progressista, indifferente alla dissoluzione nazionale e allineato con le prescrizioni liberiste delle oligarchie europee. La Spagna mantiene, insieme al poco invidiabile record della disoccupazione, quello del precariato e del lavoro a tempo determinato. La sua struttura industriale resta debole, in compenso la finanziarizzazione dell’economia e del potere è più avanzata di quella italiana. Ha abolito prima di noi il servizio militare obbligatorio, stanca di rincorrere la renitenza diffusa di molti giovani, specie baschi e catalani. Nell’opera di smantellamento progressivo delle strutture dello Stato nazionale, ha ceduto sovranità verso l’alto- le prescrizioni dell’Unione Europea sono seguite dai governi senza fiatare, a costo dell’impopolarità – e verso il basso – con uno “Stato delle autonomie”, questo è il nome del regionalismo spagnolo, che ha pressoché cancellato la presenza dello Stato nazionale in Catalogna e nel Paese Basco, rapidamente imitate dalle altre regioni.
A governi locali – si chiamano proprio governi – di impronta separatista e antinazionale è stato consentito di controllare in termini esclusivi la sanità, la scuola, il welfare e addirittura dotarsi di polizie autonome. Il risultato è che alcune decine di migliaia di uomini armati della basca Ertzainza e dei Mossos de Esquadra catalani non rispondono, di fatto, al ministero degli interni, ma alla sua caricatura locale. L’unico argine alla dissoluzione è la monarchia, ma gli sforzi di Felipe VI, salito al trono alcuni anni fa per l’abdicazione del padre Juan Carlos, si infrangono contro le malversazioni e il discredito della casata. Una delle sue sorelle, Cristina, allontanata dalla Spagna e dalla vita istituzionale, ha il marito il carcere. La sua assoluzione nel processo è risultata assai dubbia. Il vecchio sovrano Juan Carlos, circondato da amanti, è accusato da una di esse di possedere conti milionari in Svizzera frutto di tangenti per affari. E’ nota la sua antica familiarità con il politico che ha costruito l’impianto istituzionale e l’humus civile antispagnolo in Catalogna, Jordi Pujol.
Il Partito Popolare, di centro destra, non ha mai contrastato le derive socialiste sui temi etici e tanto meno ha mantenuto il ruolo di equilibrio nazionale avverso ai cedimenti separatisti, i quali hanno raggiunto ormai numerose regioni, dalla Navarra filo basca al Levante di Valencia sino alle Isole Baleari e persino le Asturie, culla della patria spagnola. Piagato da una corruzione impressionante, il PP ha mal governato la nazione nonostante il larghissimo mandato ottenuto dopo il fallimento di Zapatero, senza risolvere, anzi aggravando, i problemi lasciati dal governo precedente.
Investito dalla crisi del 2007/2008, l’esplosione della bolla finanziaria immobiliare dell’apparente boom economico spagnolo, il PP del grigio Rajoy ha obbedito a tutte le prescrizioni dell’UE e del sistema finanziario. L’esito è stato un diffuso impoverimento unito alla crescita esponenziale di movimenti neocomunisti, periodico rigurgito dell’anti Spagna dagli anni 20 del secolo scorso, e all’aumento dell’influenza del separatismo catalano e basco. A Barcellona sono convinti di pagare per tutti, ed è questa una delle ragioni dell’auge nazionalista, mentre a Bilbao da anni ottengono privilegi fiscali, fino all’assurdo di trattenere in loco attraverso l’agenzia fiscale regionalizzata tutte le imposte, negoziando di anno in anno le somme da destinare allo Stato.
La fine ingloriosa di Rajoy, travolto dall’incapacità di affrontare la sfida catalana (non è riuscito neppure a ottenere l’estradizione di Puigdemont, simbolo del golpe catalano, riparato in Belgio e Germania) azzoppato da scandali di corruzione del suo partito, ha riportato al governo, con una manovra di palazzo rimasta oscura, un indebolito Partito Socialista, guidato da un mediocre uomo d’apparato, Pedro Sànchez. Tutte le anti Spagne si sono coalizzate dietro di lui, a capo di un esecutivo sostenuto dal forte partito para comunista Podemos (una sorta di Liberi e Uguali più estremista), nonché dall’intero separatismo basco e catalano, di destra e di sinistra. Il risultato dei primi cento giorni di governo è il rafforzamento dei nazionalismi, lo stallo economico e un provvedimento incredibile chiamato legge della memoria storica.
La salma di Francisco Franco, morto nel novembre 1975, sarà esumata e verrà smantellata la Valle de Los Caìdos, il grande mausoleo in cui il generale galiziano volle seppellire insieme i caduti falangisti e repubblicani della guerra civile del 1936/39. Il Partito Popolare, passato nelle mani di un giovane cattolico, Pablo Casado, non ha avuto il coraggio politico del voto contrario, limitandosi a un’imbarazzata astensione sgradita a militanti ed elettori. La nuova Spagna, paradigma dell’Europa, ignora la storia, ha paura dei morti, nega la pacificazione che fu carta vincente del dopo Franco, in un’oscena battaglia funeraria in ritardo di 40 anni. Soprattutto, è ansiosa di abbattere l’immensa croce che Franco fece erigere in cima al sacrario, simbolo di una fede antica rigettata con odio impressionante.
Il governo vuole a ogni costo abolire la trasmissione televisiva della messa domenicale. Sono note le polemiche di Sànchez contro l’Italia in materia di immigrazione, pur nel pugno durissimo contro le infiltrazioni africane attraverso i muri elettronici di Ceuta e Melilla, enclave spagnole in Africa. La Spagna, peraltro, si è riempita di immigrati prima e più dell’Italia, nonostante i drammatici problemi di occupazione, in un disegno di denazionalizzazione chiarissimo, specie in Catalogna. Contemporaneamente, non riesce a contenere il potere delle narco mafie, in grado di controllare capillarmente il territorio della zona prospiciente Gibilterra e Algeciras, di fronte al Marocco.
Sànchez ha ora un ulteriore problema, quello della sua tesi di laurea, che qualcuno ritiene taroccata, dopo aver imposto le dimissioni a uno dei ministri chiave del governo, Carmen Montòn, ministra della sanità; il femminile è un obbligo grammaticale della lingua castigliana. La piacevole signora, uno dei nuovi simboli del progressismo madrileno, è accusata di plagio del master universitario e ha dovuto lasciare la carica. Il punto, tuttavia, non è il merito della questione, ma l’impressionante contenuto della tesi dell’onorevole signora ministra, simbolo della deriva spagnola, europea, occidentale.
L’elaborato si centra nella descrizione della tecniche di procreazione assistita, considerate come “un chiaro elemento del patriarcato”. Per Carmen Montòn, medico, accesa sostenitrice della teoria del genere, a causa dei complicati trattamenti a cui la donna deve sottoporsi “la medicina e le tecniche di riproduzione assistita contengono chiaramente parametri sessisti” Per questa esponente di vertice della classe dirigente di un grande paese europeo, tali tecniche simbolizzano l’oppressione verso la donna. La prova? “La complessità che implica estrarre un ovulo rispetto alla facilità di ottenere il seme.“ Tombola. Da medico, non la sfiora il sospetto che la ragione stia nella diversa fisiologia maschile e femminile. No, è tutta colpa del patriarcato. Non potendo prendersela direttamente con il Creatore o con la natura, ha però smascherato il colpevole, il maschio della specie umana.
E’ solo l’inizio, giacché l’ineffabile ex ministra se la prende con la famiglia e le madri, anch’ esse eterodiette dall’eteropatriarcato. La famiglia, sostiene, “è la sconfitta storica del sesso femminile, la rovina di ciascuna donna.” Nonne, madri e figlie di ogni tempo sono delle “fallite” e delle “sconfitte” per essersi sposate e aver avuto figli, anzi “procreato”. Forse è per questo che nel breve periodo di gestione del ministero ha legiferato a favore della procreazione assistita di donne sole. Altra sconcertante citazione della tesi è “tutte sono figlie orfane, senza madre”, uno sproposito tratto da un testo di un’altra femminista, la scrittrice Victoria Sau, autrice de La Maternità Vuota. L’ispiratrice ideologica le ha suggerito quest’altra perla: “la maternità è stata fagocitata dalla paternità, semplice ruolo assegnato alle donne assoggettate al suo servizio. Per questo, la condizione di figlie orfane è comune a tutte le donne.“ Dopo aver pensato, scritto e pubblicato quanto sopra, le nominano al governo. Nessuna meraviglia per la dissoluzione incipiente e l’abisso in cui precipitiamo.
Non basta, poiché l’elaborato così prosegue: “il patriarcato, come sistema economico, politico e sociale che opprime e subordina la donna, si sostenta e riproduce attraverso istituzioni che operano in maniera costante. Due delle istituzioni più importanti del sistema patriarcale sono la maternità e la famiglia.” Una nota umoristica in un quadro raggelante: non avevamo mai immaginato la maternità come un’istituzione! Lei medico “non capisce perché tutto il peso dei trattamenti riproduttivi ricada sulla donna”, cosa che “nella prospettiva del genere, non accadrebbe nella medicina”. Una scienza nuova altamente innovativa, indifferente alla circostanza (istituzionale?) che è la donna a partorire. Segue un’accusa alla ginecologia, colpevole di alleanza con l’aborrito patriarcato.
La conclusione è contundente: “la maternità è schiavitù, la maternità è servitù, anche se è desiderata e volontaria. Le donne si vedono obbligate a generare e partorire dal patriarcato. (Un attacco a Dio, o a “madre” Natura? N. d. R.) Bisogna estirpare l’idea che la maternità sia qualcosa di naturale. La maternità è una costruzione sociale, una posizione, un ruolo”. Nessuno si stupisca più per la deriva delle nostre società, dal momento che sciocchezze come quelle citate formano parte integrante di tesi di laurea, convinzioni culturali di gruppi dirigenti che conquistano il potere accademico, politico, della comunicazione.
Tale è lo stato dell’arte in Spagna, antico bastione dell’Europa cattolica, evangelizzatrice del Nuovo Mondo, nata nel segno di San Giacomo Apostolo, Santiago, terra di Teresa d’Avila, Velàzquez, Goya, Cervantes, culla della scuola di Salamanca, agonizzante come l’Europa a lungo respinta oltre i Pirenei. Il tramonto è davvero ad occidente.
Tocca citare una volta di più Gilbert K. Chesterton. “La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. È una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. È una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l’erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto.”
ROBERTO PECCHIOLI