La stampa che conta ha già emesso la sentenza secondo cui togliere la concessione ad Autostrade per l'Italia sarebbe un crimine contro l'umanità e sicuramente indegna di uno Stato serio. Noi crediamo che l'unica cosa indegna di uno Stato serio (e che confermerebbe giustamente l'idea che l'Italia sia una repubblica delle banane) sarebbe soprassedere sul crollo del ponte Morandi. Non riusciamo a familiarizzare con l'idea che un concessionario che ha moltiplicato per N volte l'investimento fatto sostanzialmente beneficiando di un monopolio pubblico, in costante ritardo sugli investimenti e mai sui dividendi, e che ha aveva un tale problema di generazione di cassa e sotto indebitamento da potersi/doversi lanciare in una mega opa per cassa sul principale operatore europeo, non abbia una responsabilità oggettiva del crollo dei ponti della rete che gestisce. Negli stessi giorni in cui leggiamo degli spagnoli che ci bagnano il naso e con i francesi che hanno il bond a due anni in territorio negativo dovremmo accettare l'idea che per una serie di ragioni incomprensibili il concessionario pubblico italiano abbia talmente tanti soldi da comprare pronta cassa la maggiore rete autostradale spagnola e una delle principali francesi (come noto la maggior parte del valore di Abertis sta nelle autostrade francesi) a un tale prezzo che nessun fondo infrastrutturale o sovrano si fa vivo per rilanciare. Possiamo dire che qualcosa è andato storto nelle privatizzazioni italiane? Oppure dobbiamo tacere se no il mercato si arrabbia?
Si è riusciti nell'impresa di usare come scudo umano i "risparmiatori italiani" contro qualsiasi danno ai concessionari. Nel caso di Atlantia si confrontano 5 miliardi scarsi di capitalizzazione in mano italiana contro gli oltre 3 miliardi di euro di pedaggi all'anno (3,3 miliardi per essere precisi nel 2017) al 70% di margine operativo. Nell'arco della concessione i ricavi pagati ad Autostrade supereranno tranquillamente i 100 miliardi di euro con un free cash cumulato che sull'arco della concessione (passato e presente) supera i 50 miliardi di euro. Se vogliamo fare i confronti confrontiamo elementi equiparabili, altrimenti o è malafede o è ignoranza colossale. L'interesse di tutti gli italiani che in quasi tre generazioni pagheranno questi importi varrà di più dei 5 miliardi dei cassettisti italiani… o no?
Ci domandiamo a fronte di quale rischio di impresa si garantiscano a un privato i rendimenti che sono stati garantiti negli ultimi anni e in futuro il 7% reale post tasse sui nuovi investimenti come nel caso della Gronda; il 7% reale post tasse su un'attività che a questo punto è a zero rischio è palesemente una follia e non serve essere statalisti per dirlo; per dirlo bisogna essere contro il mercato. Questi rendimenti sono chiaramente fuori scala per un business che a questo punto non ha rischi. Ha bassissimi rischi di traffico, essendo un monopolio, e nessun rischio operativo se si ammette il principio che non esista una responsabilità oggettiva nemmeno di fronte a crolli di ponte.
Teniamo presente che per molti anni Atlantia ha emesso bond sotto il costo del debito sovrano italiano. Ragioni? Qualsiasi cosa succeda all'economia italiana Atlantia continua a fare soldi e in più c'è una garanzia diretta e reale che sui bond statali italiani non c'è. Ci chiediamo: qual è il rischio di Atlantia se il rischio traffico è bassissimo, un monopolio naturale, e se non c'è responsabilità? Se il rischio è nullo, come si spiega un rendimento del 10% pre-tasse reale garantito per due decenni? Chi non si fa queste domande è contro il mercato.
Il ricatto assurdo di questi giorni è che chiunque si azzardi a sollevare evidenti problemi di remunerazione a fronte di rischi inesistenti è un pericoloso statalista che vuole ritornare all'età della pietra del rapporto Stato/privato. Si crea una bolla intorno ai concessionari privati che marca come "populista" chiunque provi a evidenziare la palese contraddizione tra rischio e rendimento nel caso delle concessioni autostradali italiane; neanche i cattolici riservano al Papa una tale devozione. Se il rendimento negli anni passati è stato quello che è stato, se un monopolio pubblico di un Paese in declino ha permesso ad Atlantia di diventare il maggior concessionario europeo, allora ci deve essere un rischio commisurato.
Quale società chimica, o quale acciaieria o quale fabbrica può difendersi da un rischio ambientale dicendo di aver svolto tutti i controlli? Ci sono quotidiani italiani, la Repubblica del 15 agosto per esempio, che sono riusciti a scrivere 14 pagine sul crollo del ponte senza mai nominare né Atlantia, né Benetton. Questa sarebbe informazione? Sarebbero questi i commenti "terzi" sulla vicenda? Questo sarebbe il servizio che si rende ai "piccoli risparmiatori"? Su quale base demonizziamo lo Stato imprenditore se il privato imprenditore è sollevato di qualsiasi responsabilità o rischio quando gestisce un monopolio naturale a rendimento garantito?
Citiamo le dichiarazioni rilasciate al Secolo XIX da Enrico Sterpi, attuale segretario dell'Ordine degli ingegneri liguri a riguardo del bando per i tiranti del ponte Morandi pubblicato da Autostrade per l'Italia il 3 maggio: "Questo bando significa due cose: Autostrade aveva focalizzato la criticità ed era disposta a prendersi una bella responsabilità, con una gara ristretta per un importo tanto elevato. È chiaro insomma che a un certo punto ci fosse necessità di accelerare la procedura". Citiamo sempre dal Secolo XIX: "Poiché il viadotto è stato realizzato nel 1967, il gestore non deve fornire un piano di manutenzione (il diktat vige per chi ha in carico le strutture nate dal '99 in poi). Non solo. Autostrade esegue per legge due tipi d'ispezione, certificate una volta compiute: trimestrale con personale proprio (controlli sostanzialmente visivi) e biennale con strumenti più approfonditi. In quest'ultimo frangente, al massimo, la ricognizione viene affidata a ingegneri esterni, ma alla fine sempre pagati da Autostrade. Né gli enti locali, né il ministero delle Infrastrutture intervengono con loro specialisti. E di fatto non esistono certificazioni di sicurezza recenti che non siano state redatte da tecnici retribuiti da Autostrade per l'Italia". Questo parrebbe dire che non c'era un piano specifico su cui eventualmente fare una diffida ad Autostrade per un suo eventuale non rispetto. In questo scenario, se confermato, la revoca della concessione diventerebbe una opzione dello Stato prevista dallo stesso schema unico.
Quale sarebbe lo scandalo di revocare la concessione se si provasse che per negligenza del concessionario o per una manutenzione insufficiente la rete autostradale è spezzata in due e 40 persone sono morte in una figura di palta mondiale senza precedenti? Sarebbe una repubblica delle banane lo Stato che eventualmente chiude due occhi o quello che riaffida la concessione a qualcuno, privato, più bravo? Se gli azionisti o i bond crollano pazienza. Investire in borsa è un rischio e il cigno nero fa parte del mestiere. Gli stessi che si lamentano di questa eventualità sono gli stessi che da anni rimproverano alla Fed di aver falsato per sempre il gioco dei mercati impedendo la "price discovery", ma i cigni neri ci sono e si pagano, altrimenti i soldi si mettono sotto il materasso ma almeno si dorme sereni.
Ma nel nuovo scenario in cui si corre al capezzale del concessionario si invoca il mercato contro lo Stato. Ma un concessionario che non risponde mai sarebbe mercato? Il mercato è rimettere, eventualmente, la concessione a un altro privato, non allungarla sine die e senza concorrenza a rendimenti da capogiro. Allungare la concessione al 2042 con un rendimento del 7% reale post tasse per 20 anni senza gara, ripetiamo senza gara, non è mercato e non è concorrenza. È lo Stato che abdica a qualsiasi ruolo di arbitro e di controllo e lascia le praterie sul controllo di monopoli naturali.
Mala tempora currunt.
Mala tempora currunt.
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