L'EX COLONIA BRITANNICA È PARALIZZATA: METÀ DEI VOLI CANCELLATI, METROPOLITANE FERME E MIGLIAIA DI PERSONE IN STRADA OGNI GIORNO
LA POLIZIA INIZIA A USARE LA MANO PESANTE CON IL GAS LACRIMOGENO E PROIETTILI DI GOMMA, E LA CINA MINACCIA UN INTERVENTO MILITARE.
Michelangelo Cocco per “il Messaggero”
Centinaia di voli cancellati, metro bloccate, violenti scontri nelle strade del centro, 82 arresti, città in tilt. La crisi politica più grave di Hong Kong dal suo ritorno alla Cina nel 1997 ha vissuto ieri una giornata drammatica. Lo sciopero proclamato dopo due mesi di proteste contro il governo di Carrie Lam ha causato la cancellazione di metà dei voli dell'aeroporto internazionale Chek Lap Kok.
GLI ATTIVISTI
Gruppi di attivisti hanno impedito la partenza dei treni da stazioni chiave della metropolitana, mentre decine di migliaia di dimostranti sfilavano in sette cortei simultanei. In serata, come già accaduto nei giorni scorsi, i manifestanti sono stati aggrediti da gruppi di picchiatori armati di bastoni.
La polizia che finora si è limitata a contenere le sassaiole contro l'Ufficio di collegamento col governo della Repubblica popolare, il Parlamento locale e le caserme ieri ha riassunto il suo operato dall'inizio dei primi cortei, il 9 giugno scorso: mille candelotti lacrimogeni e 160 proiettili di gomma esplosi, 420 dimostranti arrestati e 139 agenti feriti.
Statistiche che fanno inorridire un centro finanziario internazionale come Hong Kong e che, nello stesso tempo, evidenziano il salto di qualità dal movimento degli ombrelli del 2014, quando i giovani contestatori si accamparono per 79 giorni tra i grattacieli del centro senza ottenere l'agognata riforma del sistema elettorale: gli attivisti oggi, al contrario, cercano lo scontro con le forze dell'ordine, ricorrono a una molteplicità di tattiche e avanzano rivendicazioni più popolari (ritiro del progetto di legge sull'estradizione di sospetti criminali in Cina, dimissioni della governatrice Carrie Lam, inchiesta sulle violenze delle forze dell'ordine). Ieri Lam che nelle scorse settimane aveva congelato la contestata norma e a cui Pechino ha formalmente rinnovato la fiducia ha chiarito che resterà al suo posto e accusato i dimostranti di aver reso «pericolosa e instabile» quella che era «la città più sicura del mondo» e di averla portata a «un punto di non ritorno».
Muro contro muro: «I dimostranti minacciano la sovranità nazionale - ha rincarato la dose Lam - il principio "Un paese due sistemi" (in base al quale a Hong Kong vigono un'amministrazione e libertà civili e politiche diverse dalla Cina continentale, ndr) e distruggeranno la prosperità e la stabilità della città». E per oggi è prevista una conferenza stampa nella quale il Consiglio di stato (il governo di Pechino) dovrebbe secondo quanto anticipato ieri annunciare novità su Hong Kong. Finora la leadership cinese si è limitata ad osservare l'evoluzione degli eventi, protestando ufficialmente contro le ingerenze degli Stati Uniti (l'Amministrazione Trump nei mesi scorsi ha incontrato alcuni leader della protesta e la speaker della Camera, Nancy Pelosi, ha espresso ufficialmente sostegno ai manifestanti).
IL VIDEO
La settimana scorsa, l'esercito popolare di liberazione, che nell'ex colonia britannica mantiene una guarnigione, ha pubblicato un video (intitolato Esercitazione anti-rivolta a Hong Kong) che mostra i militari che si addestrano a fronteggiare gruppi di violenti. I manifestanti hanno già attaccato l'Ufficio di collegamento col governo cinese e, sabato scorso, dissacrato (gettandola in mare) la bandiera rossa a cinque stelle.
Scene che sembrerebbero il preludio di uno scontro aperto, che tuttavia non gioverebbe né a Pechino né a Hong Kong. Se la Cina si decidesse a reprimere le manifestazioni, arriverebbe a una rottura totale con gli Stati Uniti, compromettendo quella che per Pechino resta la relazione bilaterale di gran lunga più importante. D'altro canto se l'instabilità continuerà, l'ex colonia britannica potrebbe diventare sempre più marginale nei piani di Xi Jinping e compagni. Nel 1997 il prodotto interno lordo di Hong Kong equivaleva al 20% di quello della Cina, oggi ammonta al 3%. Una città sempre meno ricca, più divisa e più periferica dell'impero cinese. È questo lo spauracchio che Pechino agita, nella speranza, finora vana, che i black bloc di Hong Kong incrocino le braccia.
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