9 dicembre forconi: 07/08/18

domenica 8 luglio 2018

LISTERIA - C'È UN BATTERIO KILLER NEI MINESTRONI: FINDUS E IN LIDL RICHIAMANO ALCUNI PRODOTTI IN VIA PRECAUZIONALE

LA FONTE DI UN FOCOLAIO DEL BATTERIO SAREBBE STATA INDIVIDUATA NEL MAIS E IN ALTRI ORTAGGI SURGELATI PRODOTTI DA UN' AZIENDA UNGHERESE. SU 47 CONTAGIATI, 9 MORTI. 

''NON RISULTANO FOCOLAI IN ITALIA'', DICE LA MINISTRA GRILLO

Valeria Arnaldi per ''Il Messaggero''

L' ALLARME
Rischio Listeria in Europa

Dal 2015 ad oggi, sono stati 47 i casi segnalati nell' uomo - 9 i decessi - in Austria, Danimarca, Finlandia, Svezia e Regno Unito. Il batterio si trasmette principalmente attraverso il cibo e ora i ritiri precauzionali di prodotti alimentari surgelati iniziano anche in Italia. Findus ha richiamato alcuni lotti di minestrone indicati sul sito dell' azienda.
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«La decisione, volontaria e in via del tutto precauzionale, di richiamare questi prodotti - dichiara - è stata presa a seguito della segnalazione del fornitore Greenyard, della potenziale contaminazione da Listeria di una partita di fagiolini, utilizzati in minima parte all' interno dei prodotti oggetto del richiamo». Lidl ha ritirato dei surgelati Freshona - mais e mix di verdure - in Sicilia.

LA FONTE

LISTERIA
Le decisioni fanno seguito all' allerta europeo proveniente dall' Ungheria. La probabile fonte di un focolaio del batterio sarebbe stata individuata, infatti, nel mais e in altri ortaggi surgelati prodotti da un' azienda nel Paese. «Nonostante il ritiro del prodotto ordinato dall' Ungheria», lo scorso 29 giugno, e il divieto di commercializzare tutte le verdure surgelate prodotte dall' azienda tra agosto 2016 e giugno 2018, specificano il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie e l' Autorità europea per la sicurezza alimentare «finché i prodotti contaminati sono sul mercato e nei congelatori dei consumatori possono ancora emergere nuovi casi». Da qui i ritiri.
LISTERIALISTERIA

«Al momento non risultano focolai di Listeria in Italia ed i ritiri dei prodotti sono effettuati in via precauzionale - afferma il ministro della Salute Giulia Grillo - Sto seguendo con la massima attenzione la vicenda del batterio Listeria. I miei uffici hanno subito predisposto tutti i controlli e le misure necessarie».

PRECAUZIONI
Non solo, come spiega l' Efsa, «La cottura a temperature superiori a 65 °C uccide i batteri». La Listeria monocytogenes causa la listeriosi, una malattia rara, spiega l' Efsa, ma «spesso grave, con elevati tassi di ricovero ospedaliero e mortalità. Nell' UE sono stati segnalati circa 1470 casi nell' uomo nel 2011, con un tasso di mortalità del 12,7 %».

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Nelle persone infette, le manifestazioni variano, «da lievi sintomi simil-influenzali, come nausea, vomito e diarrea, a infezioni più gravi, quali meningite e altre complicanze potenzialmente letali». Findus, a tranquillizzare ulteriormente i suoi consumatori, precisa che «la categoria dei prodotti oggetto del richiamo prevede il consumo solo previa cottura, come chiaramente indicato sulle confezioni. La cottura del prodotto annulla ogni potenziale rischio per la salute». Il ritiro si riferisce, inoltre, solo ai lotti menzionati.

Per Coldiretti, quello per la Listeria è «solo l' ultimo di una serie di allarmi alimentari. Dimostra l' importanza di una informazione corretta con l' obbligo di indicare in etichetta l' origine dei prodotti che va esteso a tutti gli alimenti, con la necessità di togliere il segreto sui flussi commerciali con l' indicazione pubblica delle aziende che importano i prodotti dall' estero per consentire interventi rapidi e mirati».

Fonte: qui

A TERNI RESIDENTI TAPPATI IN CASA: GLI OPERAI CHE HANNO RIESUMATO ALCUNI DEFUNTI E LASCIATO LE BARE APERTE BUTTATE ACCANTO AL CANCELLO DEL CIMITERO

CON IL CALDO L'ODORE DI CADAVERE È TALMENTE FORTE CHE NON CI SI PUÒ AVVICINARE

CIMITERO DI TERNICIMITERO DI TERNI

"Da questa mattina c'è una puzza di cadavere che ci costringe a restare tappati in casa. Il problema è che alla municipale ci hanno detto che quelle bare non potranno essere rimosse fino a lunedì e non so come riusciremo ad arrivarci".

A parlare è una famiglia che abita in strada del Monumento, a pochi passi dal muro di cinta del cimitero. Ieri mattina gli operai devono aver fatto dei lavori di riesumazione di alcuni defunti lasciando le bare aperte in terra accanto al cancello.

"Da stamattina abbiamo chiamato mille volte la municipale - racconta la donna che abita lì - e si sono degnati di rispondere solo nel pomeriggio. Ci hanno detto che dovremo sopportare questo odore nauseabondo fino a lunedì perché asm non ha portato i contenitori dove buttare le bare. Se ti avvicini muori soffocato - aggiunge la donna - e a noi non resta che chiuderci in casa e sperare che qualcuno venga a rimuovere la causa di questa situazione".

Quattro mesi fa era già successo: alcune bare aperte e rotte erano state lasciate lì ma oggi, con le temperature di queste ore, la situazione è diventata insopportabile.

Fonte: qui

Gli analisti prevedono un aumento dei prezzi del petrolio a $150 al barile

La riduzione degli investimenti in esplorazione potrebbe causare una carenza nel mercato delle materie prime e portare ad un balzo dei prezzi del petrolio a $150 al barile, riporta Bloomberg citando gli analisti di Sanford C. Bernstein & Co (SCB).

Come affermano gli esperti, negli ultimi anni le compagnie petrolifere hanno aumentato i loro pagamenti agli azionisti a causa dell'eccessiva offerta di carburante sul mercato a causa dei minori costi di ricerca di nuovi depositi. 
Di conseguenza, il volume delle riserve certe dei grandi produttori di petrolio è diminuito del 30% rispetto al 2000.
Così, come previsto nel SCB, nei prossimi due decenni, la popolazione urbana in Asia crescerà di più di un miliardo di persone che stimoleranno la domanda di auto, trasporto aereo e su strada, così come i prodotti di plastica, nella cui produzione è richiesto il petrolio.
"L'eventuale carenza di forniture porterà a una crescita dei prezzi, potenzialmente molto maggiore del balzo a $150 al barile osservato nel 2008", riportano gli analisti.
A maggio, una delle più grandi banche di investimento del mondo, Bank of America Merrill Lynch ha previsto che nel 2018 il deficit petrolifero sarà di 630.000 barili al giorno, e nel 2019 di 300.000 barili al giorno.
Il mercato è stato colpito dalla crisi in Venezuela, il rischio del blocco delle esportazioni di petrolio dall'Iran e l'accordo dell'OPEC con i maggiori produttori mondiali di ridurre la produzione. Così gli analisti sostengono che ci sono tutte le condizioni affinché il petrolio raggiunga il livello di $100 al barile già nel 2019.
A luglio 2008, il massimo storico dei prezzi del greggio Brent è stato rilevato quando il prezzo del barile ha raggiunto il livello di 147,5 dollari. Ora il Brent costa 77 dollari. 
Fonte: qui

S&P svela dei rischi di escalation della guerra commerciale tra USA e Cina

L’escalation della guerra commerciale tra USA e Cina può essere aggravata da rischi per gli investimenti e per la crescita economica, con la Russia meno esposta ad essa, ha detto a Sputnik l'economista senior della agenzia di rating internazionale S & P Tatiana Lysenko.

Il reciproco aumento dei dazi doganali tra gli Stati Uniti e la Cina è entrato in vigore il 6 luglio. Gli Stati Uniti hanno imposto un dazio del 25% sulle importazioni di 818 merci dalla Cina per un valore totale di $34 miliardi. Come contromisura, lo stesso giorno, la Cina ha introdotto un dazio del 25% sulle importazioni di una quantità equivalente per il valore delle merci americane.
"Nel giro di due settimane, sono apparsi piani statunitensi di imporre dazi addizionali, che riguardano l'importazione di merci per un importo di $16 miliardi. Così, le tariffe colpiranno l'import dalla  Cina per un importo di $50 miliardi. La risposta della Cina saranno dei dazi del 25% sulle importazioni statunitensi di prodotti agricoli, automobili e frutti di mare" ha ricordato Lysenko.
Dal punto di vista degli economisti, questo round di dazi non avrà un impatto significativo sull'economia americana e cinese, così come sul commercio mondiale. Tuttavia, v'è una minaccia di un ulteriore aggravamento della guerra commerciale: gli Stati Uniti stanno discutendo l'introduzione di una tariffa del 10% sulle importazioni di merci provenienti dalla Cina per un valore di $200 miliardi di dollari, ha detto.
"Una guerra commerciale su larga scala è associata a rischi notevoli: destabilizzazione di catene di produzione, impatto sulle imprese e la fiducia dei consumatori, che in ultima analisi, potrebbe avere un effetto negativo sugli investimenti e la crescita economica" avverte Lysenko.
"La Russia è stata già colpita da misure protezionistiche degli Stati Uniti (dazi di ingresso per alluminio e acciaio). Anche in questo caso, l'effetto diretto delle tariffe è poco significativo. Inoltre, la Russia, così come altri mercati emergenti, è stata colpita dalla reazione degli investitori stranieri, che rispondono alla maggiore incertezza ritirando il capitale da attività più rischiose" ha aggiunto l'interlocutore dell'agenzia.
Allo stesso tempo, secondo S&P, rispetto ad altri mercati emergenti, la Russia è meno esposta ai rischi associati a una guerra commerciale su vasta scala. "L'integrazione della Russia nelle catene di produzione internazionali è piuttosto limitato per quanto riguarda la reazione dei mercati finanziari; l'economia della Russia è meno dipendente dagli afflussi di capitali esteri, in quanto Mosca ha un surplus nel bilancio del commercio con un forte equilibrio esterno" ha detto.
Fonte: qui

Why The Coming Oil Crunch Will Shock The World

My years working in corporate strategy taught me that every strategic framework, no matter how complex (some I worked on were hundreds of pages long), boils down to just two things:
  1. Where do you want to go? (Vision)
  2. How are you going to get there? (Resources)
Vision is the easier one by far. You just dream up a grand idea about where you want the company to be at some target future date, Yes, there’s work in assuring that everybody on the management team truly shares and believes in the vision, but that’s a pretty stratightforward sales job for the CEO.
By the way, this same process applies at the individual level, too, for anyone who wants to achieve a major goal by some point in the future. The easy part of the strategy is deciding you want to be thinner, healthier, richer, or more famous.
But the much harder part, for companies and individuals alike, is figuring out 'How to get there'. There are always fewer resources than one would prefer.
Corporate strategists always wish for more employees to implement the vision, with better training with better skills. Budgets and useful data are always scarcer than desired, as well.
Similar constraints apply to us individuals. Who couldn't use more motivation, time and money to pursue their goals?
Put together, the right Vision coupled to a reasonably mapped set of Resources can deliver amazing results. Think of the Apollo Moon missions. You have to know where you're going and how you're going to get there to succeed. That’s pretty straightforward, right?
So, it should be little surprise that the opposite, a lack of Vision and/or Resources, leads to underperformance -- and, eventually, decline. Think Kodak or Xerox. Or third-generation family wealth that has dwindled away to nothing. In a changing world, refusing to change with it is a losing strategy.
A great strategy aligns people’s interests and motivations with the available resources. More importantly, it provides a meaningful framework for action, one that gives a sense of purpose that will motivate everyone through difficult or trying times.
The grand goal of defeating the Nazis provided sufficient motivation for people to buy war bonds, scrimp on consumption, plant victory gardens, and go without nylon. A large part of our national resources were dedicated to the larger strategy of winning the war. Because of the strategy everyone shared, practically nobody complained of this repurposing as a 'time of sacrifice’ or as an imposed burden.
Given the right framework and the means to achieve it, people will literally crawl through mud in freezing temperatures -- and find it deeply satisfying. But given zero context or insufficient resources, people quickly become demoralized or rebellious (just observe how quickly most folks get royally pissed off at having to sit on the tarmac for a few extra minutes before their airplane takes off.)
Strategy matters. A lot.

A Nation Adrift, A World In Denial

Here's why I'm harping so much on strategy: the US is operating without a viable one.
We neither have a compelling Vision of where we want to go, nor any sense of the Resources required to change with the many transitions underway around us.
The current ‘strategy' (if we can be so generous as to call it that), is nothing more than "business-as-usual" (BAU).
The US is assuming it is always going to have more cars and trucks on the road this year than last year, more goods sold, a larger economy, more jobs, and the world’s most powerful military. That’s the BAU model. And it has largely worked for the past century.
But it can't work going forward. And the longer we pursue it, the more of our future prosperity we ruin.
Why? Because the future of everything is dependent on energy. More specifically: net energy.
Having a powerful military consumes a tremendous annual quantity of energy. The US military eats up 100 million barrels of oil each year. By itself, America's Department of Defense is the 34th largest consumer of oil in the world.
In total, the US consumes over 7 billion barrels of oil each year. And that represents only 37% of the nearly 100 quadrillion of BTUs of America's annual energy consumption (the rest coming from natural gas, coal, and other sources). For comparisons sake, the rest of the world consumes another 450 quadrillion BTUs.
And world energy demand just keeps on insatiably growing year over year. The (notoriously conservative) EIA predicts it will jump by 28% over the next two decades.
Will our energy production be able to keep up? As I've been warning for years, it will be very challenged to do so -- or, to do so at prices anywhere near as low as today's.

Putting Our Plight Into Concrete Terms

Putting those staggering figures aside for a moment, let's focus on one -- just one! -- of the crises ahead of us when it comes to our future energy needs.
The nations of the world have made the truly regrettable decision to build so much of their infrastructure using concrete reinforced with steel (re-bar, mesh, etc.). As I've explained in detail in previous articles, because the steel rusts over time, the concrete is busy being destroyed from the inside out -- something we can detect easily enough by the cracks and spalling (sheets flaking off) so readily apparent on every bridge that’s more than a couple of decades old.
This has created a ticking time bomb. The world's crumbling concrete buildings, bridges and roadways will have to be entirely replaced in just 40 to 100 years of their original construction dates. Where will all of the energy come from for that?
Also, note that China has poured more steel-reinforced concrete over just the past few years than the US did in the entire 20th century(!). All of this, too, will need to be replaced later this century.
Given that the sand required for all of the world's *current* concrete projects is now in very short supply, where all the sand will come from for all that future concrete and cement work? Who ever thought we could run out of sand?
But such are the unpleasant surprises that crop up during the late stages when running an exponential economic paradigm (i.e., "Growth forever!").

Fooling Oursevles

And it certainly doesn't help that we're remaining willfully blind to our situation.
It’s probably safe to say that the majority of the population in the US is confident that the "shale revolution" has assured America's energy security for a long time to come. Heck, the governor of Texas recently tweeted this to the world:
This is wrong on so many levels.
Yes, Texas produces oil and natural gas. But the US is still a net oil importer to the tune of about 3 million barrels per day. The US is not independent with respect to oil. And it won’t be until it produces another 3 million barrels per day (and that's making the generous assumption that consumption remains flat).
Further, to claim that the US will NEVER AGAIN depend on foreign oil is beyond bizarre. As I've been explaining for years, shale fields deplete and decline ferociously. Even the hyper-bullish EIA thinks that the shale fields will peak out in 2025 (I think earlier) and then go into permanent decline.
In my world, NEVER AGAIN is a lot farther out into the future than 2025. But Mr. Abbott has apparently ingested one too many petroleum sales pitches and received a terribly inaccurate impression about the true state of the US' energy predicament.
Much more likely is that US shale production does not EVER exceed US consumption before peaking out. So it would be more accurate to tweet the US is now and will ALWAYS AND FOREVER be dependent on foreign oil.
Finally, even if the US were a net oil exporter (highly unlikely), we’d still be tied to the world price for oil. Should foreign cartels decided to limit production and spike the price, that would still effect the US. So we still wouldn't be "independent" of their influence.
But sadly, Mr. Abbott speaks for the nation in that tweet. We're "swimming in energy" and need not have any worries. The drum of our chest-thumping will scare them away.
In other word:, there’s no strategy beyond BAU.
There's no acknowledgement of the challenges we face in the coming decades, of declining net energy per capita. Of greater competition between the developed and developing nations for the remaining BTUs. 
There's no compelling Vision to marshall the public towards that fits the realities of the future. We could, and should, be working on solutions for entering a "post-growth" era with grace. Or at a minimum, aggressively using today's Resources to create a new energy infrastructure that plans for the inevitable decline of fossil fuels.
We could be doing so much better than this.

Getting Our Priorities Straight

What if we started by embracing these three facts?
  1. Fossil fuels have provided a supernova of surplus energy. One that has enabled literally everything and everyone you see around you to spring into existence.
  2. Fossil fuels are a very recent discovery for humans (barely 150-years-old). Half of our consumption of them has happened in just the last 25 years alone (due to exponentially increasing use).
  3. Fossil fuels will not last forever. They are finite and will someday peak and then decline, representing a once-in-a-species bonanza never to be repeated.
It's beyond dispute that fossil fuels are 4/5ths of the current total global energy mix, that our use and dependence on them has grown exponentially over time, and that they are a non-rewable resource.
Among the fossil fuels, oil is, by far, the most critically-important to sustaining both our current level of technology and the human population. It's how we move virtually everything from point A to point B and it’s a critical element for food production and distribution. It also remains absolutely essential to the manufacture and installation of alt-energy systems, like wind and solar.
Given the three facts above, it only makes sense that a responsible global society should have a credible and very publicly-stated energy strategy providing a road map for weaning itself from fossil fuels before they become prohibitively expensive/scarce.
But since we don't have one, the alternative path we're taking is to sleepwalk into the future with no plan for feeding 9 billion people or re-building a crumbled global infrastructure -- let alone facing the additional challenges of running out of critical minerals, dealing with destroyed ecosystems, and being unable to field the necessary fuel and economic complexity to install a brand-new energy infrastructure measuring in the hundreds of quadrillions of BTUs. This BAU path will be marked by the three D’s: despair, demoralization, and death. (Is it any wonder that young people aren't as inspired by BAU as their parents' generation?)
So if instead we want a future that’s prosperous, regenerative and abundant, then we have to begin doing things very differently from BAU. And fast. (The best time to have started on this was decades ago.)
For example, if we decide we want electric transportation powered by wind and solar to be anything more than a meaningless tiny percentage of the total BTU mix, then we’re going to have to use a lot of fossil fuels to make that happen. It takes an enormous amount of fossil fuels to manufacture, install, maintain and repair/replace every single alt-energy component.
The question then becomes: Where do we want to be when that future arrives? If we want to have livable cities and towns with nearby greenbelts and an alt-energy infrastructure delivering clean energy sustainably forever into the future, then an enormous amount of planning and building is going to be required to get anywhere near close to that.
It all comes back to strategy. We need a compelling Vision of this future to inspire society, and then dedicate the appropriate Resources to make it happen.
With an appropriate energy strategy that matches reality, we can engineer a reasonably bright future. Without one, we’ll just pursue BAU until it literally destroys us as well as the ecosystems we depend on.

An New Energy Strategy

So here’s one way to go about doing that.
First, identify all the energy demands that absolutely have to happen just to maintain systemic integrity. The DoD has needs, the current fleets of emergency vehicles and school busses have needs, as does maintaining the existing stock of bridges, roads, and buildings. This exercise will reveal to all that simply maintaining 'the way things are' is extraordinarily energy-expensive. But it has to be done if we want to avoid economic collapse and massive joblessness. It also bears mentioning that the energy required to keep things going is energy that cannot be dedicated to building the new future. It’s a sunk-cost of prior decisions.
Second, make a credible list of energy needs for building the future we want. How many solar panels will that be? How many wind farms? How many miles of electrified train track? How many fully-electric vehicles will have to be built? How many charging stations with the nationwide road system need? What sorts of improvements and modifications to existing cities and towns will have to be made? This is the Vision. It answers the question Where are we going?
Of course, these sorts of new activities and building projects will be very energy expensive. If we want them to happen, then we have to consciously budget an appropriate amount of energy to accomplish the Vision.
Next, develop the very best possible estimate of total economically recoverable fossil fuels. Do this by finally measuring the full-cycle energy returned on energy invested (EROEI) for the remaining deposits. After all, we’re going to build out the future with the surplus energy extraced, not the gross (surplus = Total BTUs extracted - BTUs expended during extraction). This estimate will represent the total principal balance of our national energy bank account.
Last, calculate if there will be any energy left over. If so, save it for future generations. They'll have their own sets of needs and desires that we can't possible know today. (Sadly, I'm willing to wager that there won’t be any excess fossil energy to pass along).

A Sample Scenario

By way of example, suppose that the US undergoes a thorough, exhaustive, peer-reviewed and thoroughly debated examination of all known remaining fossil fuel resources – coal, natural gas and oil – using the very best and well-funded EROEI methodologies (yet to be developed, by the way). If we arbitrarily say that there are “100 units” of net energy left, we might discover this:
  • 25 units will be required to simply maintain the economic system so it doesn’t crash and can support the build-out of the new Vision for the future.
  • 60 units will be required to build that future out.
  • 15 units are not yet assigned. We might decide to leave those to future generations because that would be conscientious and prudent. Or perhaps we discover that they shouldn’t be burned because of the environmental impact.
Results such as these yield important insights.
First, we’d understand that if we accidentally burned through, say, 45 units blindly pursuing BAU, that would steal 25 units from building out the future we want.
Next, we'd realize better that our chances of manifesting the Vision are improved by limiting the amount we spend on maintenance. That insight would help to spur better decisions around conservation and efficiencies -- such as not driving 6,000 pound private SUV/Truck vehicles to transport a single passenger to a desk job, or building homes with inadequate insulation to save a few thousand dollars on the front end of a 100-year capital investment.
Finally, we’d appreciate how our energy resources are finite and limited, and that how we choose to utilize them is quite possibly the single most important decision society can possibly make. Leaving the fate of our precious energy resources to the short-term interests of the markets and politicians would suddenly look too risky and nonsensical. We'd agitate for greater stewardship of them.
Were I in charge, the most well-funded institution in the land would be the Energy Institute. Our very best and brightest minds would be heavily incentivized to work there, applying their considerable gifts at science and mathematics towards matching our energy resources with our shared national goals. Gone would be the days of our top talent working for Wall Street and private money funds to move electronic abstractions of wealth hither and yon, skimming money while creating absolutely nothing of lasting value for their country or the world.

The Coming Oil Crunch Will Shock The World

However, we both know that no such strategic energy plan is forthcoming. There’s no strategy in the US (or Japan or Europe or China, or anywhere) that aligns finite resources with a well-defined, sustainable vision of the future.
BAU rules the roost.
It’s so powerfully embedded that Ford Motor Company recently decided to scrap selling sedans and small cars in America. It will only manufacture SUVs, trucks and commercial vehicles. You know when Ford will no longer make cars, you’ve got to have really chugged the shale oil Kool-Aid to make that decision.
Concrete is still poured with steel rebar every day. New homes and commercial buildings are built with expected lifetimes of only several decades and little attention to insulation. And the Federal Reserve focuses with manic precision on assuring that the credit markets continue to grow exponentially.
Each of these and a million other activities consumes finite, irreplaceable energy at the expense of a sustainable future. At some point, perhaps already passed us, that goal becomes no longer possible.
My point is we don’t know where that line in the sand is. We haven’t done the work, made the plans, and performed the necessary visioning to know one way or the other.
But what we can be sure of is that BAU is headed in the wrong direction and it has no long term future. One way or the other, endless growth on a finite planet will run its course and end. The only remaining question left to answer is: How painful will the reckoning be?
None of us know what will finally break the largest and most destructive credit cycle ever unleashed on the world (thanks central banks!) but we all know that The Everything Bubble has a bitter end. All self-destructive delusions do.
Our analysis concludes that the hard-stop for this credit bubble is resource-based. And I predict it will be a sudden spike in the price of oil that will be the pin that the central bank enabled bubbles absolutely cannot grow beyond.
They will encounter this pin and burst.
There will be plenty of time for tears and regrets then. But right now? You need to get ready.
In Part 2: How The Coming Oil Shock Will Impact Absolutely Everything we go deep into the data showing why a global oil supply shortfall is unavoidable by or before 2020. That's less than two years away.
If gas prices at today's $70/barrel price bother you, you ain't seen nothing yet. The spike in oil's price that will result from the coming crunch will shock the world.
As an increase in the price of oil feeds into the cost of everything, it acts like an interest rate increase in terms of depressing economic growth. If we haven't already entered one yet, this coming shock will absolutely throw the global economy into recession. And if we're already in one when it hits, heaven help us.
Fonte: qui

Executive Summary

  • The Inevitable Supply Crunch
  • Why The Central Planners Are Making This Worse
  • Why The US Shale Industry Will Implode (And Soon)
  • The Growing Geopolitical Risks To Oil Supply
  • The Shock Felt Round The World
If you have not yet read Part 1: Why The Coming Oil Crunch Will Shock The World available free to all readers, please click here to read it first.
As I’ve written extensively in the past, there are four entire years of missing upstream oil and gas investment (2014—2017) that will lead to an equivalent period of missing oil and gas supply sometime in the future. With the usual 5-7-year lag between discovery and production, my time frame for that was somewhere between the end of 2018 and 2022.
When -- not if -- that supply shock hits, there is no amount of fresh investment money that can rapidly bring new supply on line. Doing so just takes time -- measured in quarters or years:
As we enter into the second half of 2018, the supply/demand balance has already tipped into a slight deficit. I am clearly predicting that:
  1. this supply imbalance will only get worse, and that
  2. oil prices will have to rise to compensate.
The only development that could possibly prevent this from happening would be a rip-roaring recession, as only economic decline has proven to be able to reduce demand by as much as will needed to avoid this supply crunch.
As we can see from the below chart, the world has been...
Click here to read Part 2 of this report (free executive summary, enrollment required for full access)

Le Banche centrali salveranno ancora il mondo con la scusa della guerra commerciale. Ma poi?

“Putin è ok, andare d’accordo è un bene”, così Donald Trump ieri nel corso di un comizio in Montana, ennesima mossa di appeasement in vista dell’incontro con il presidente russo il 15 luglio prossimo a Helsinki. In compenso, quasi in contemporanea con l’ultima dichiarazione distensiva verso il Cremlino, partivano ufficialmente i dazi contro la Cina, immediatamente controbilanciati da una medesima mossa di Pechino verso le merci statunitensi. Guerra reale, a fronte dell’ennesimo dato (questa volta il Composite PMI) che pare confermare l’esito per ora autolesionistico delle prime mosse di protezionismo commerciale USA, stante la conferma di chiari segnali di stagflazione nei prezzi alla produzione? Questi due grafici


sembrano dirci di sì, visto che se il primo (il Global Purchasing Managers’ Index di JP Morgan) pare confermare un drammatico rallentamento del commercio globale nell’anno in corso, il secondo mostra come il mercato obbligazionario stia prezzando in anticipo un inasprimento della situazione, ovvero un muro contro muro sempre più netto fra Washington e Pechino, al netto anche del “no” dell’UE alla richiesta cinese di schierarsi al suo fianco nel denunciare le mosse statunitensi e agire di concerto per controbilanciarle. Certo, l’apertura di Angela Merkel a un’ipotesi di dialogo con Donald Trump che scongiuri la iattura (per la Germania) dei dazi sulle automobili, proprio nel giorno in cui a Berlino si è raggiunto ufficialmente un accordo sul tema migranti che ha depotenziato l’ipotesi di crisi di governo, parrebbe rimandare uno showdown ma c’è dell’altro che pare confermare la tesi di un allarme esagerato: peccato che questo qualcosa sia paradossalmente peggiore e più grave della malattia che pare chiamato a curare.

Questo grafico

parla più di mille parole: il cosiddetto quantitative tightning della FED relativamente al suo stato patrimoniale, sostanziato indirettamente anche dall’aumento dei tassi, sta drenando dollari dal sistema bancario, aumentando a dismisura la fame di biglietti verdi del soggetto globale più indebitato e quindi sensibile alle mosse della Federal Reserve, i mercati emergenti, con l’Asia che ci mostra la sua liability rispetto alla valuta statunitense in maniera ormai drammatica.

E proprio dall’Asia arrivano due conferme di quanto vi ho anticipato, ovvero la natura emergenziale della cura da porre in essere per placare i timori – mal riposti – di una guerra commerciale come base della debolezza che sta destrutturando nel suo complesso la crescita globale: il sistema bancario sta saltando un’altra volta, purtroppo su un carico di leverage ben maggiore di quello del 2008 e con le Banche centrali che hanno già sfoderato in questi ultimi anni quasi tutto il loro arsenale. 

In parole povere, la guerra commerciale è il detonatore chiamato a far deflagrare in maniera controllata e dissimulata una situazione che appare la replica di dieci anni fa, un qualcosa che era nell’aria da tempo e che adesso, stante le mosse della FED e l’impossibilità politica di andare forza quattro con i QE, stava cominciando ad emergere con sempre più evidenza, rischiando oltre al danno finanziario quello definitivo a livello reputazionale per regolatori e governi. Questo grafico

ci mostra le peggiori ratio a livello bancario globale rispetto agli NPL. Come vedete, prima dell’Italia c’è solo l’inaspettata India, ex enfant prodige di quella sbornia di crescita a debito chiamata BRICS e ora candidata al premio per la miglior performance di apnea nella merda. Non a caso, alcuni analisti l’hanno già ribattezzata la “Ground zero delle sofferenze”. Nessun finora ci aveva fatto caso, poiché la sobria ricapitalizzazione (leggi salvataggio) da 32 miliardi di dollari autorizzata l’anno scorso dal governo Modi aveva innescato un tale rally sull’indice Sensex, trainata ovviamente dal comparto bancario, da tramutare un potenziale disastro nell’ennesima prova della forza della ripresa globale. Balle. E una prima riprova è giunta lo scorso febbraio dallo scandalo della banca statale PNB, alcuni dipendenti di alto livello della quale aveva autorizzato dalla sede di Mumbai prestiti per 2 miliardi di dollari ad aziende rivelatesi inesistenti. Il più grande scandalo bancario della storia del Paese ma ora i nodi veri stanno venendo al pettine, come ci mostrano questi grafici,


dai quali si desume che la stragrande maggioranza delle sofferenze sono proprio in pancia a banche pubbliche o comunque a controllo statale, particolarità che si è immediatamente riverberata sulla credibilità della rupia sul mercato forex, spedendola al minimo storico. Il rischio principale? Dopo un rallentamento del PIL, attestatosi al 6,7% nell’anno fiscale 2018 contro il 7,1% di quello precedente, ora il rischio è che la crescita collassi, in caso il credito si congeli del tutto o quasi. E stiamo parlando di un settore bancario dal valore formale di 1,7 trilioni di dollari che, ad oggi, sconta qualcosa come 210 miliardi in sofferenze, quasi tutte concentrate appunto in istituti statali. E l’allarme indiano, forse anche a causa dei tremori sui mercati emergenti innescati dalla FED che ora rimandano scossoni a livello globale, ha fatto paura agli investitori e agli azionisti dei principali istituti bancari del mondo, come ci mostra questo grafico,

il quale però è solo prodromico a quest’altro,

il quale ci dimostra plasticamente come l’ultima volta che l’indice GSBI è crollato a questo ritmo e con questa magnitudo, le Banche centrali a livello globale hanno accelerato e non di poco il lavoro di stamperia per salvare la baracca. E ora, con la FED che addirittura contrae il credito e la BCE che sta per avviare il tapering del suo QE, come si fa? Salverà tutto la PBOC cinese, nel bel mezzo di una formale guerra commerciale che la vede potenzialmente senza alleati e attiva da settimane in una continua opera di svalutazione dello yuan e di taglio dei requisiti di riserva delle sue banche, tutto per liberare liquidità ma a mero uso interno di deleverage?

O ci penserà il Paese-laboratorio del grande esperimento espansivo, quel Giappone che non solo ha rinviato di un anno (aprile 2019) la discussione relativa all’inizio del tapering ma addirittura ormai detiene più del 40% dei bond sovrani nipponici ed è azionista de facto di metà delle aziende quotate al NIKKEI attraverso gli acquisti sempre più massicci di ETF? C’è un problema, legato proprio al fatto che negli anni della cosiddetta Abenomics, la Bank of Japan abbia comprato di tutto e di più, prendendo sempre più rischi potenziali poiché obbligata alla classica ricerca del rendimento per coprire i costi crescenti dell’hedging, stante il contemporaneo appiattimento della curva degli yields statunitensi di fine ciclo, come ci mostrano i grafici.


Dai quali desumiamo che la Banca centrale nipponica ha indugiato parecchio sui cosiddetti CLO (Collateralised Loan Obligations) statunitensi, tanto che Bloomberg ha recentemente notato come “la loro richiesta è letteralmente esplosa nell’ultimo trimestre proprio a causa di un’inusuale alta domanda da parte degli investitori giapponesi”. I CLO sono essenzialmente un paniere di prestiti a leverage riconducibili ad aziende con basso rating e dotati di protezione covenant praticamente nulla. Ma la cosa più allarmante è che gli emittenti statunitensi di queste securities hanno utilizzato questo debito per operare buybacks azionari di tale entità da vedere i loro stati patrimoniali addirittura con equity netta negativa. E questo grafico fresco fresco di Bank of America

ci dice come nella prima metà di quest’anno, proprio il riacquisto di azioni proprie da parte delle aziende sia stato il motore pressoché unico dei corsi di Wall Street. La stessa FED, poi, in un recente foglio di lavoro ha ammesso che i CLO sono niente più che ottimi veicoli per trasferire il rischio corporate fuori dalle banche statunitensi, immettendolo di fatto nel settore bancario ombra. Bene, la questione si aggrava quando si scopre che le istituzioni finanziarie giapponesi sono state le sottoscrittrici di molta parte di quel rischio implicito nella loro continua, disperata e sempre crescente ricerca di rendimento. Ma non basta, perché in ossequio a questa pratica suicida e tutta figlia proprio dell’operato schiaccia-tassi delle Banche centrali, gli operatori nipponici hanno fatto incetta di qualsiasi security rischiosa sul mercato, divenendo nel tempo grandi detentori di MBS residenziali australiani, obbligazioni dei mercati emergenti in quantità industriale e leases delle compagnie aeree. Insomma, come un cardiopatico con il colesterolo alle stelle che prende residenza in una salumeria.

E per finire, tanto per gettare qualche altro indizio rispetto all’ambivalenza della principale Banca centrale del mondo rispetto ai programmi di espansione, ecco che questi grafici




mettono in una prospettiva diversa l’operato della FED. La quale, stranamente, ha reso “discontinuo” il suo aggiornamento FRED rispetto allo stato patrimoniale, di fatto il tracciatore della contrazione e del deleverage, mentre il secondo e terzo grafico ci dimostrano rispettivamente che, a livello ufficiale, la normalizzazione dal prossimo trimestre crescerà da 30 miliardi a 50 miliardi di dollari, ponendo quindi ulteriore pressione sul mercato e, soprattutto, che la smart money è così smart da aver capito il giochino in anticipo, abbandonando bellamente il Titanic finché c’erano ancora scialuppe. Il quarto grafico? La dimostrazione che già ora la Banca centrale USA, nonostante la narrativa ufficiale, sta operando in entrambe le direzioni. Altro motivo per cui la FED di St. Louis, forse, ha trovato salutare scegliere la linea della discontinuità sui dati FRED piuttosto che quella della trasparenza.

Insomma, la pentola a pressione sta per scoppiare e appare chiaro che le Banche centrali si inventeranno qualcosa per tamponare e limitare al massimo i danni, coprendo il tutto con la scusa molto mediatica della guerra commerciale e dei dazi globali. Resta una domanda, da un trilione di dollari: se il reset globale eviterà per la seconda volta in dieci anni l’armageddon finanziario, poi cosa succederà? Helicopter money per tutti? Ma, soprattutto, chi prenderà in mano il timone? Forse, quello sarà il vero punto del redde rationem fra Cina e USA. Prima, però, c’è ancora una volta bisogno di travestirsi da supereroi e mettere in sicurezza il casinò globale.

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