9 dicembre forconi: 02/10/17

venerdì 10 febbraio 2017

Le economie più forti del mondo nel 2050: cattive notizie per l’Italia


Le economie più forti del mondo nel 2050? Il panorama globale cambierà e l’Italia sarà piuttosto penalizzata. Lo studio Pwc.


Quali saranno le economie più forti del mondo nel 2050, e soprattutto che fine farà l’Italia tra poco più di 30 anni?
È stato uno studio di Pwc, intitolato “Come cambierà l’ordine economico globale entro il 2050? a rivelare l’aspetto che avrà il mondo e ad evidenziare quali saranno le economie più forti. Dove sarà l’Italia?
Innanzitutto vale la pena di sottolineare come lo studio sulle economie più forti del mondo nel 2050 si sia basato sulle previsioni relative al Pil - a parità di potere d’acquisto - di ciascun paese analizzato. Le proiezioni di crescita da qui al 2050 non si sono mostrate clementi con l’Italia.
Il nostro paese infatti perderà diverse posizioni nel ranking delle economie più forti del mondo e sarà scalzato da altri stati che mostreranno di avere un’economia molto più forte rispetto a quella dell’Italia. Tutto questo perché lo Stivale sarà penalizzato da fattori come l’invecchiamento della popolazione e la bassa produttività che andranno ad influire sulla crescita della economica.

Vediamo allora di seguito che cosa è emerso dallo studio Pwc sul mondo del 2050 e quali saranno le economie più e meno forti rispetto all’Italia.

Economie più forti del mondo nel 2050: dov’è l’Italia?

Come già accennato l’Italia perderà svariate posizioni nella classifica delle economie più forti del mondo nel 2050. Saranno esattamente 9 i gradini che l’Italia dovrà percorrere a ritroso passando dalla 12esima alla 21esima posizione. Secondo quanto riportato dallo studio, infatti, a parità di potere d’acquisto il Pil del Belpaese passerà dai 2.221 miliardi di dollari del 2015 ai 2.541 miliardi del 2050, dati questi, che comporteranno la retrocessione dell’Italia fino al 21° posto. L’economia del paese potrebbe anche venir superata dalla Turchia nel 2050.

Economie più forti del mondo, Italia al 21°. La forza dei mercati emergenti

Lo studio Pwc ha rivelato un altro dettaglio interessante. La classifica delle economie più forti del mondo nel 2050 si sposterà a tutto favore dei paesi emergenti, grazie ad una forte e rapida crescita della popolazione, ad un’elevata domanda interna e alla crescita della forza lavoro. In realtà tali economie emergenti non riusciranno a raggiungere il livello di reddito delle economie più avanzate.
I dati hanno parlato di come entro il 2050 l’economia globale registrerà un tasso medio di crescita del 2,5%, ma questo aumento sarà determinato più dalle economie emergenti che dalle altre, tra cui l’Italia.
Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico, Russia e Turchia: le 7 più forti economie emergenti cresceranno ad un tasso medio del 3,5% annuo, mentre i paesi del G7, ossia Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti cresceranno dell’1,6% annuo. Ecco come cambierà la classifica delle economie più forti del mondo nel 2050. Insomma, entro il 2050 i paesi emergenti potrebbero rappresentare il 50% del Pil mondiale, mentre i G7 solo il 20%.
Secondo l’analisi Pwc 6 dei 7 paesi emergenti rappresenteranno le economie più forti del mondo nel 2050. Fra 30 anni la Cina sarà l’economia numero uno al mondo seguita dagli USA, ma anche l’India potrebbe raggiungere le prime posizioni nonostante ora il paese sia nel pieno di una crisi monetaria. Sempre nel 2050 tra le economie più forti del mondo ci saranno anche Vietnam, India e Bangladesh, mentre Indonesia e Messico faranno meglio di Germania, Francia, Regno Unito e Giappone. Anche l’economia della Nigeria entrerà in classifica e si assesterà al 14° posto. Ecco, insomma, come cambierà il panorama delle economie più forti del mondo nel 2050.


Fonte: qui

UNICREDIT SULLA CESSIONE DELLE SOFFERENZE – POTEVA RECUPERARE 8 MILIARDI, NE INCASSERA’ SOLO 2,5 DAGLI AMERICANI FORTRESS

E CHI, IN ASSEMBLEA, CHIEDE SPIEGAZIONI, OTTIENE COME RISPOSTA: “LE CONDIZIONI SONO RISERVATE”

Giorgio Meletti per il Fatto Quotidiano - ESTRATTO

sportelli bancariSPORTELLI BANCARI
Una mente semplice fatica a capire il noioso garbuglio dei crediti deteriorati, in gergo Npl. E pur bisogna andare, perché sono 356 miliardi di euro. Le banche italiane li hanno prestati e non sanno se li rivedranno mai indietro. Una specie di setticemia che si diffonde nel sistema circolatorio dell' economia e potrebbe anche ucciderla. La partita è gestita dalle menti raffinatissime dei banchieri ma i soldi sono delle menti semplici…

....Unicredit detiene ben un quarto delle sofferenze lorde del sistema bancario italiano. I crediti deteriorati sono quelli sul cui recupero ci sono dubbi…Nel bilancio Unicredit al 30 giugno scorso le sofferenze lorde sono 51 miliardi, quelle nette 20. Mustier ha scritto nel bilancio che spera di recuperare 20 miliardi dei 51 che ha prestato agli insolventi. Quindi le sofferenze di Unicredit valgono il 38 per cento…
JEAN PIERRE MUSTIERJEAN PIERRE MUSTIER

Mentre chiedeva al mercato 13 miliardi di denaro fresco per l' aumento di capitale con cui tappare i buchi scavati nei conti dalle sofferenze, Mustier ha annunciato la vendita di 17,7 miliardi di sofferenze lorde (circa un terzo del totale) a due grandi gruppi americani, Fortress e Pimco. Il prezzo è pari al 14 per cento, quindi 2,5 miliardi che Unicredit incassa subito. I compratori ottengono crediti per 17,7 miliardi nominali, che Unicredit ha in bilancio al 38 per cento, quindi 6,8 miliardi.

Nella cessione a 2,5 miliardi Mustier perde seccamente 4,3 miliardi. La valutazione del bilancio era ottimistica? Forse. Il manager francese, presentando la cura da cavallo, ha detto: "Stiamo attuando misure incisive per affrontare problemi ereditati dal passato". Da qui si entra nel mistero. All' assemblea del 12 gennaio scorso un azionista ha chiesto lumi e ha ottenuto questa risposta: "Le condizioni commerciali degli accordi quadro conclusi con Fortress e Pimco sono riservate". E più non dimandare.
PIMCOPIMCO

Se tutte le banche italiane prezzassero le sofferenze al 14 per cento anziché al 44 che risulta dai loro bilanci, si aprirebbe una voragine da 60 miliardi... Il 28 gennaio scorso, parlando a Modena, Ignazio Visco ha detto: "Gran parte delle sofferenze fa capo a banche in buone condizioni finanziarie, che non hanno, quindi, necessità di cederle immediatamente sul mercato".

LOGO FORTRESSLOGO FORTRESS
Negli ultimi due anni considerati, 2014-2015, il valore si è abbassato al 35 per cento perché è aumentato il ricorso alle vendite in blocco a operatori specializzati, ciò che sta facendo Unicredit, "per le quali nel decennio considerato il tasso medio di recupero è stato del 23 per cento". Nota lo stesso Visco che chi fa il recupero crediti in proprio realizza il 47 per cento. Siccome il 47 per cento di 17,7 miliardi è 8,3, Fortress e Pimco potrebbero recuperare almeno 8 miliardi da crediti che hanno pagato 2,5 miliardi.

NPLNPL
Un guadagno del 220 per cento, niente male, e per Unicredit 6 miliardi buttati. A questo punto gli interrogativi si affastellano numerosi. Che cosa farà Unicredit con gli altri 33 miliardi di sofferenze lorde? Questo lo sappiamo. Infatti nel novembre 2015, quando ancora regnava Federico Ghizzoni, quello che diceva che andava tutto bene e non c' era bisogno di aumenti di capitale, Unicredit ha venduto a Fortress una sua piccola banca controllata, chiamata Uccmb, con soli 600 dipendenti.
GHIZZONI PALENZONAGHIZZONI PALENZONA

Uccmb di mestiere fa il recupero crediti. Fortress l' ha pagata 300 milioni e nel pacchetto c' è anche un contratto con Unicredit per la gestione delle sue sofferenze per dieci anni. Quella vendita, secondo autorevoli indiscrezioni, fu molto contrastata all' interno del consiglio d' amministrazione. Certo qualche dubbio viene.

GIANNI CASTELLANETAGIANNI CASTELLANETA
Dentro Uccmb - che adesso ha cambiato nome in doBank, ed è presieduta da Gianni Castellaneta, passato agilmente dal ruolo di ambasciatore italiano a Washington a quello di ambasciatore di Fortress a Roma - ci sono 619 mila posizioni debitorie da lavorare attraverso una rete di 3400 professionisti esterni… Quindi Mustier non poteva fare altro che svendere le sofferenze a Fortress, dopo che le è stata consegnata la macchina per il recupero crediti.

Le menti semplici si chiedono perché vendere per 300 milioni un' azienda che avrebbe consentito di recuperare dalle sofferenze 8 miliardi anziché 2,5. Le menti complesse tacciono perché queste notizie sono "riservate".

Fonte: qui

Torna l'incubo spread. E adesso tremano anche i nostri conti pubblici

Il differenziale Btp-Bund a 201. Il costo sugli interessi potrebbe crescere fino a 50 miliardi

Lo spread sfonda quota 200 punti e noi dovremo abituarci. Negli uffici del ministero dell'Economia da giorni si stanno facendo le stime su quanto peseranno gli interessi sul debito a fine anno.
Ieri i timori per i conti pubblici si sono meterializzati in un aumento del differenziale tra il Btp e il bund tedesco che lascia poco spazio ai dubbi.
Per la prima volta in tre anni lo spread ha sfondato il muro dei 200 punti base, chiudendo la seduta di ieri a 201. Pesano le vendite dei Btp e il conseguente aumento dei rendimenti. Quelli del Btp decennale sono arrivati al 2,39% dal 2,24%, percentuale di chiusura della settimana scorsa.
Questa volta le ragioni dell'impennata non sono (solo) interne. I mercati si muovono sulle difficoltà dell'Ue dopo gli attacchi del presidente statunitense Trump e sulle incertezze che arrivano anche dagli stati forti dell'Europa. Dalla Germania, alle prese con elezioni incerte.
Poi, soprattutto, dalla Francia, dove il Fronte Nazionale di Marine Le Pen guadagna consensi su un programma che, se realizzato, metterebbe a serio rischio l'esistenza dell'Unione europea. Non sono bastate nemmeno le parole del governatore della Banca centrale europea sull'Euro irreversibile a invertire la tendenza. A rimetterci sono stati in primo luogo titoli degli stati più deboli. Oltre ai nostri Btp, i Bonos spagnoli che hanno chiuso la giornata con un differenziale rispetto ai Bund a 141 punti base (+20 punti rispetto a venerdì) e un rendimento salito all'1,79% dall'1,64%.
Questa volta anche la Francia ha risentito dell'ondata di vendite e lo spread con i Bund è arrivato a 77 punti, il massimo da quattro anni. Una tempesta perfetta completata con i mercati finanziari che hanno chiuso tutti in perdita. In particolare Piazza Affari, a meno 2,21%, a causa dei bancari e di Unicredit.
L'Italia è destinata comunque a pagare il conto più salato. I tassi di interesse stanno aumentando in tutto il mondo per ragioni diverse. L'Italia accentua questa tendenza per ragioni interne. L'aumento del costo del debito fa diminuire a sua volta la fiducia dei mercati sul Belpaese, già minata dalla prospettiva di una Banca centrale europea meno interventista e, viste le pressioni tedesche sempre più forti, sempre meno disposta ad acquistare titoli di stato, quindi a tenere bassi i tassi di interesse.
Questo significa che dovremo abituarci a spread più alti di quelli degli ultimi due anni. Forse più alti anche rispetto a quelli di ieri.
Se gli interessi sul debito italiano aumenteranno ancora ne risentiranno i conti pubblici. La preoccupazione emerge da qualche dichiarazione del ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan e da studi della direzione debito del dicastero di via XX settembre. Difficile sapere ora quanto peserà la voce interessi sul deficit del 2017, ma «se si riproponesse una crisi dello spread come quella del 2011 costerebbe sui 50 miliardi», spiega Emanuele Canegrati, analista di BlackPearlFX.
Sulla stessa linea Unimpresa che calcola cosa succederebbe se il livello dello spread, e quindi degli interessi sul debito italiano, dovessero semplicemente rimanere sullo stesso livello: di ieri «si potrebbe ottenere un aggravio tra i 12 e i 20 miliardi».
Un costo extra da aggiungere all'extradeficit da 3,4 miliardi che il governo si appresta a correggere nelle prossime settimane con una manovra che sarà quasi esclusivamente concentrata sulle entrate, cioè sulle tasse. In prospettiva, nel 2018, ci sono altri 20 miliardi da coprire per le clausole di salvaguardia ed evitare un aumento dell'Iva. Impresa quasi impossibile.
 Mar, 07/02/2017
Fonte: qui

P.S. lo spread aumenta perchè molti italiani, per salvaguardarsi dalla rottura dell'Euro, preferiscono disinvestire dai titoli di Stato del nostro paese e comprare quelli di paesi ritenuti più solidi.

La classifica dei paesi con il debito pubblico(in assoluto) più alto del mondo. Dov’è l’Italia?

La classifica dei paesi con il debito pubblico più alto secondo il Fondo Monetario Internazionale. In che posizione è l’Italia?

Debito pubblico più alto: la classifica dei paesi peggiori - È del FMI la classifica dei paesi con il debito pubblico più elevato.
L’esame del Fondo Monetario Internazionale non si è concentrato solo sul continente europeo, ma ha guardato ad un panorama più ampio, quello mondiale, per ottenere la classifica dei paesi che hanno un debito pubblico più alto.
Ovviamente la classifica dei paesi peggiori dal punto di vista del debito pubblico deve essere letta con la dovuta cautela, visto che gli stati citati sono molto diversi soprattutto dal punto di vista delle dimensioni e di conseguenza delle spese sostenute.
Prima di mostrare la classifica dei paesi con il debito pubblico più elevato, redatta dal del Fondo Monetario Internazionale, occorre però aver bene chiara la nozione di debito pubblico, ossia quel debito che direttamente o indirettamente appartiene allo Stato.
Come rilevato dal FMI l’Italia si posiziona sul podio della classifica dei paesi con il debito pubblico più alto, ma nonostante questo non è la peggiore in assoluto. Chi viene prima e chi dopo di noi? Ecco di seguito la classifica dei paesi con il più alto debito pubblico al mondo.

FMI: la classifica dei paesi con il debito pubblico maggiore

La classifica seguente è stata redatta dal Fondo Monetario Internazionale che per un’analisi comparativa più efficace e veloce ha riportato tutte le cifre di ogni singolo debito pubblico in dollari americani.
  1. Stati Uniti: 18.237 miliardi
  2. Giappone: 10.557 miliardi
  3. Italia: 2.407 miliardi
  4. Regno Unito: 2.345 miliardi
  5. Francia: 2.173 miliardi
  6. Cina: 1.684 miliardi
  7. Germania: 1.544 miliardi
  8. Olanda: 475 miliardi
  9. Belgio: 435 miliardi
  10. Austria: 305 miliardi
  11. Svezia: 221 miliardi
Ecco qual è la classifica dei paesi con il debito pubblico maggiore. Vale la pena di notare, tuttavia, che i dati sul debito pubblico tedesco e cinese escludono i costi legati alle amministrazioni locali - si stima che calcolando anche queste ultime il debito pubblico della Cina schizzerebbe a più di 5.000 miliardi di dollari.

Debito pubblico/PIL: come cambia la classifica dei paesi peggiori

Come già accennato, la precedente classifica si basa solo ed esclusivamente sul debito pubblico di ciascun paese. Ciò spiega perché siano assenti ad esempio la Grecia e Cipro, due stati altamente indebitati ma dalle dimensioni piuttosto ridotte. Se andassimo a considerare il rapporto debito pubblico-PIL, la classifica dei paesi peggiori al mondo avrebbe tutta un’altra conformazione e il podio sarebbe così costituito:
  1. Giappone: 200%
  2. Italia: 132%
  3. Stati Uniti: 115%

Debito pubblico Italia: a quanto ammonta e chi lo detiene


Come già accennato il debito pubblico dell’Italia è pari a circa 2.400 miliardi di dollari, ma chi detiene il nostro indebitamento? Se volessimo stilare una classifica, al primo posto ci sarebbero gli investitori stranieri con il 30% del debito pubblico italiano nelle tasche. Medaglia d’argento per le banche con il 29% del debito. Un grandino più in basso le assicurazioni italiane con il 21% del debito e la Banca d’Italia con il 15%. Ultimo posto invece per le famiglie con il 5% del debito pubblico d’Italia.

Fonte: qui

La Germania è la prima potenza commerciale del mondo

In un recente studio del CESifo Institute di Monaco di Baviera, si legge che la Germania è diventata, nel corso del 2016, la prima potenza commerciale del mondo. Infatti, secondo i dati forniti, la Germania ha superato il surplus della bilancia commerciale della Cina. 
La stima è di un positivo di 297 miliardi di dollari, rispetto ai 245 miliardi registrati in Cina. Nel 2015, la condizione era inversa, con la Germania al secondo posto. Il Giappone, invece, mantiene la terza posizione.
È stato calcolato che circa il 44% del surplus tedesco è ottenuto attraverso le vendite agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. 
Sebbene la maggior parte dei guadagni (225 miliardi) provenga dalla vendita delle merci, anche il settore tedesco dei servizi rappresenta una porzione fondamentale del commercio estero. Bisogna notare, in tal senso, che la Germania è uno dei pochi paesi al mondo che riesce a mantenere (insieme a Italia e India) la bilancia dei servizi in attivo verso gli Stati Uniti. Tuttavia, il netto positivo dei servizi venduti a Washington è in calo ed è passato da oltre 5 miliardi nel 2013 a 1,9 miliardi nel 2015 (dati US Census Bureau – i dati precisi relativi al 2016 usciranno dopo il 7 febbraio 2017). La bilancia commerciale fra Germania e Stati Uniti è in positivo di circa 60 miliardi di dollari, ma il calcolo è relativo al mese di novembre 2016, quindi provvisorio.
I dati aiutano a comprendere la posizione assunta dalla nuova amministrazione Trump nei confronti della Germania riguardo alle accuse di manipolazione della valuta europea al fine di mantenere la capacità di esportazione. Chiaramente, l’euro non è una moneta solo tedesca. Fra gli equilibri da ristabilire vi è anche l’Italia, il cui surplus verso gli Usa è di circa 25 miliardi di dollari. La bilancia commerciale degli Stati Uniti con la Zona euro è in deficit di oltre 115 miliardi; con l’intera Unione Europea, di circa 135 miliardi (dati calcolati su base annua a novembre 2016, servizi esclusi – US Census Bureau).
Fonte: qui