INVECE LA MISCELA ERA COMPOSTA DA PSICOTROPI CHE L’HANNO FATTA ANDARE IN TRANCE
COSÌ IL BRANCO HA POTUTO STUPRARLA PER ORE INDISTURBATO…
Da www.ansa.it
Le avevano assicurato che quel mix di sostanze composto anche di tranquillanti e pasticche non fosse altro che metadone. Dall'ordinanza con cui il gip ha disposto il carcere per i tre fermati per l'omicidio di Desirèe Mariottini - la sedicenne trovata senza vita in uno stabile abbandonato nel quartiere romano di San Lorenzo - emerge che la giovane, in crisi di astinenza, è stata indotta dagli arrestati ad assumere "tali sostanze facendole credere che si trattasse solo di metadone".
Ma la miscela, "rivelatasi mortale" era composta da psicotropi che hanno determinato la perdita "della sua capacità di reazione" consentendo agli indagati di poter mettere in atto lo stupro. Si attendono inoltre gli esiti degli esami del Dna per stabilire se ci sono anche altre persone responsabili di abusi sessuali. Le risposte degli accertamenti arriveranno nell'arco di qualche settimana.
Sono in corso indagini anche sulla rete di pusher che riforniva gli immigrati coinvolti per stabilire da dove arrivava la droga. Non è escluso che ci possa essere anche qualche italiano nella rete che approvvigionava gli spacciatori del palazzo di via dei Lucani. Come quello, ora ricercato, che potrebbe aver ceduto parte della droga.
Restano in carcere i tre indagati: hanno agito "con pervicacia, crudeltà e disinvoltura" mostrando una "elevatissima pericolosità e non avendo avuto alcuna remora”, scrive il gip Maria Paola Tomaselli nell' ordinanza di misura cautelare in carcere per i senegalesi Brian Minteh, Mamadou Gara e per il nigeriano Alinno Chima.
"Meglio che muore lei che noi in galera": è la frase choc, presente nell'ordinanza, che secondo alcuni testimoni avrebbero pronunciato tre dei quattro accusati. Gli indagati inoltre "impedirono di chiamare i soccorsi per aiutare" Desirée.
L'unico a rispondere alla domande del gip è stato il senegalese Mamadou Gara, mentre il suo connazionale Brian Minteh e il nigeriano Alinno Chima hanno deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere. Nei confronti dei tre, immigrati irregolari, la Procura contesta i reati di omicidio, violenza sessuale e cessione di stupefacenti. Stessi reati contestati al quarto fermato la cui posizione è al vaglio degli inquirenti per capire che ruolo abbia avuto nella vicenda. Ascoltate in Questura alcune persone informate dei fatti.
"Non mi sarei mai permesso neanche di sfiorare Desirée perché si vedeva che era una bambina", avrebbe riferito al suo avvocato Alinno Chima.
CHI SONO I TRE INDAGATI E IL QUARTO UOMO
I primi tre fermati sono due senegalesi, irregolari in Italia, Mamadou Gara di 26 anni e Brian Minteh di 43. Il terzo è un nigeriano di 40 anni. Hanno tutti e tre precedenti per spaccio di droga. I capi di imputazione sarebbero gli stessi: omicidio volontario, violenza sessuale di gruppo e cessione di stupefacenti.
Mamadou Gara aveva un permesso di soggiorno per richiesta d'asilo scaduto ed aveva ricevuto un provvedimento di espulsione. L'uomo si era reso irreperibile. Era stato poi rintracciato dal personale delle volanti a Roma il 22 luglio 2018 ed era stato richiesto nulla osta dell'autorità giudiziaria per reati pendenti a suo carico.
Yusif Galia, cittadino del Ghana sospettato di essere il quarto uomo e bloccato a Foggia, era in possesso di 11 chilogrammi di droga. Secondo fonti investigative, lo stupefacente era nella baracca dove è stato trovato l'uomo, nella baraccopoli che circonda il Cara - Centro richiedenti Asilo politico di Borgo Mezzanone. L'uomo è stato trovato in possesso anche di una pistola giocattolo, di metadone e di qualche grammo di hascisc. All'arrivo delle forze dell'ordine si è barricato nella baracca ed è stato necessario sfondare la porta per arrestarlo.
La giovane è stata drogata e poi abusata sessualmente quando era in uno stato di incoscienza. E spunta un testimone che all'ANSA racconta: "Quella notte ero nel palazzo. Ho visto Desirée stare male. Era per terra e aveva attorno 7-8 persone. Le davano dell'acqua per farla riprendere", racconta, dicendo di essere stato ascoltato in Questura. Il teste racconta anche che quella notte, attorno all'una, "qualcuno chiamò i soccorsi".
"Ora voglio giustizia per Desirée, voglio che questa tragedia non accada ad altre", dice Barbara Mariottini, la mamma della ragazza.
Fonte: qui
“MEGLIO LEI MORTA CHE NOI IN GALERA”
CI SONO ALTRI TRE RICERCATI PER LA MORTE DI DESIRÉE A SAN LORENZO: UNO È ITALIANO E RIFORNIVA IL GRUPPO DI PASTICCHE, QUELLE CHE HANNO RIDOTTO LA RAGAZZA A “MERO OGGETTO DI SODDISFAZIONE SESSUALE”
MENTRE ERA ORMAI INCOSCIENTE, STORDITA DA DROGHE E DA ORE DI AGONIA E VIOLENZA, I SUOI AGUZZINI HANNO IMPEDITO I SOCCORSI
LE TESTIMONIANZE CHOC DI TRE HABITUÉ DEL PALAZZO OCCUPATO DI SAN LORENZO
Fulvio Fiano e Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera”
Desirée poteva essere salvata. Mentre la giovane era ormai incosciente, stordita da un miscuglio di droghe e psicofarmaci, i suoi aguzzini hanno impedito i soccorsi: «Meglio lei morta che noi in galera», hanno gridato a chi voleva aiutarla. Tra loro anche tre donne, un' italiana e due straniere che frequentavano abitualmente il palazzo occupato di San Lorenzo. Le loro testimonianze, così come quelle degli altri pusher e tossici che trascorrono le giornate in quel luogo infernale, ricostruiscono quanto accaduto tra il 17 e il 19 ottobre. E dimostrano che l' indagine non è affatto chiusa. Ci sono altri tre ricercati.
Uno è italiano. Si chiama Marco, riforniva il gruppo di pasticche. Proprio quelle - antiepilettici e antipsicotici - utilizzate per «privare Desirée di capacità di reazione» e dunque ridurla «a un mero oggetto di soddisfazione sessuale», come scrive la giudice nell' ordinanza che lascia in galera i tre extracomunitari fermati a Roma con l' accusa di omicidio volontario e violenza sessuale pluriaggravate. Gli altri due stranieri - tuttora in fuga - potrebbero aver partecipato allo stupro.
È stato uno degli arrestati a fare i loro nomi e la polizia sta cercando di rintracciarli. Ma non è finita. Perché tra i testimoni c' è anche una straniera che ha ammesso di aver «rivestito e poi aiutato gli altri a spostare Desirée» quando era ormai in fin di vita o forse già morta.
Dettagli di un orrore che appare senza fine.
Si torna dunque al 18 ottobre quando la 16enne, che è arrivata nel palazzo già il giorno prima, è in cerca di droga. Non ha soldi, si rivolge ai tre stranieri che già conosce. I racconti di chi c' era ricostruiscono quanto accade. Narcisa «dice di essere giunta intorno alle 13,10 con due uomini e di aver visto la ragazza insieme a Ibrahim (Brian Minteh, ndr) steso su un giaciglio dove è stato poi rinvenuto il corpo della ragazza, nonché Youssef (Yusif Saila, fermato venerdì a Foggia, ndr) e Sisco (Chima Alinno, ndr). Quest' ultimo era intento a fumare, Desirée gli aveva chiesto eroina perché era in crisi di astinenza, ma lui aveva rifiutato». Poi riferisce quello che le ha detto Muriel, straniera di circa 35 anni.
Scrive la gip: «Muriel ha raccontato che a Desirée è stato somministrato un mix di gocce, metadone, tranquillanti e pasticche. Poi è stata violentata da Paco e Youssef, io li ho visti». Racconta ancora Narcisa: «Il giorno dopo ho incontrato Paco e gli ho detto "sei un pezzo di m..., hai dato i farmaci a Desirée per poterla stuprare. Lui ha ammesso che avevano fatto sesso, mi ha detto che le aveva dato solo pasticche».
È Muriel ad ammettere di aver rivestito Desirée quando non era più in grado di muoversi, probabilmente morta. Lo fa con una lucidità che lascia agghiacciati. Poi indica un altro componente del gruppo, ancora in fuga. Scrive la gip: «Muriel racconta di essere giunta nel palazzo alle ore 20 del 18 ottobre chiamata da un certo Hyten che le chiedeva di rivestire una ragazza mezza nuda all' interno del container. Aveva trovato Desirée nuda dalla vita in giù e aveva provveduto trovando nei pantaloni una boccetta di Tranquillit mezza vuota. Riferiva di aver ritenuto che fosse stata violentata in quanto aveva pensato che nel caso in cui avesse avuto un rapporto consenziente avrebbe provveduto a rivestirsi da sola e che prima dello stupro le erano stati fatti assumere Tranquillit e Metadone».
Muriel racconta anche di aver visto «il Tranquillit qualche giorno prima nella disponibilità di tale Marco, italiano frequentatore del palazzo. Marco le aveva riferito che i medicinali erano psicofarmaci per sua madre, sostitutivi del Seroquel».
A confermare le sue dichiarazioni è Giovanna, una ragazza che sta spesso in quel complesso di San Lorenzo «che - come è scritto nell' ordinanza - ha riferito come fosse possibile reperire qualsivoglia sostanza stupefacente o medicinale, precisando come gli psicofarmaci fossero procurati da Marco».
Sono gli stessi che impediscono a chiunque di aiutare la 16enne. Scrive la gip: «Sin dal pomeriggio del 18 ottobre, la ragazza manifesta lo stato di stordimento strumentalizzando il quale gli indagati abusano di lei. Ma esso si aggrava così da tramutarsi in una condizione di dormiveglia prima e incoscienza poi che viene immediatamente avvertita dai presenti allorché trasportano il corpo della ragazza dal container al capannone».
Fonte: qui
IN 10 HANNO VISTO MORIRE DESIRÉE MA NESSUNO HA DATO L' ALLARME: C' ERANO ANCHE DUE DONNE ITALIANE –UNA TESTIMONE: UN QUINTO UOMO, NORDAFRICANO, EBBE RAPPORTI CON LEI
IL PAPA’, IN PASSATO ARRESTATO PER SPACCIO, RIFERISCE DI AVERLA AFFRONTATA NEL PARCHEGGIO DEI BUS DI LATINA, DOVE QUASI FINIVA IN RISSA CON I PUSHER EXTRACOMUNITARI CHE ERANO CON LEI
QUELLA VOLTA CHE LA PRESE A SCHIAFFI PERCHE’ AVEVA...
Fulvio Fiano e Fiorenza Sarzanini per il Corriere della Sera
Mentre Desirée Mariottini moriva, nel palazzo di San Lorenzo c' erano almeno dieci persone. L' hanno vista, toccata, spogliata e rivestita, spostata. Ma nessuno ha fatto nulla per salvarla. Quattro erano donne, due italiane.
Nessuna di loro ha chiamato la polizia o i soccorsi. È questo l' agghiacciante dettaglio che ricorre nei verbali dei testimoni ascoltati in queste ore dalla polizia e dai magistrati.
Hanno lasciato che fosse imbottita di droga e stuprata fino a perdere la vita. E adesso tutti ne dovranno rispondere.
Anche perché in quello stabile occupato la giovane ci andava da oltre un mese e svariate volte ci aveva passato la notte. Aveva 16 anni, ma viveva da adulta, vittima della sua dipendenza dalla quale nessuno - nemmeno la sua famiglia - è riuscita evidentemente a salvarla.
Racconta Muriel 34 anni, congolese: «Si presentò come Desy ed era alla ricerca di qualunque sostanza che potesse attenuare la sua astinenza. Mi disse che sarebbe diventata maggiorenne la settimana dopo. Una volta mi chiese di iniettarle eroina, ma io risposi in maniera negativa. Era sprovvista di denaro e si approcciava in maniera troppo insistente e confidenziale con qualsiasi persona che avrebbe potuto offrirle droga. L' ho rivista una seconda volta in compagnia di una ragazza di colore che conosco con il nome di "Antonella". Entrambe assumevano crack attraverso un inalatore artigianale. Le ho redarguite entrambe, ma loro hanno continuato senza curarsene». Si arriva al giorno della tragedia: «Giovedì alle 19.50 ero lì per comprare cocaina e un tunisino di circa 40 anni, Hytem, mi invitava a seguirlo all' interno di un container dove vi era una ragazza sdraiata priva di conoscenza.
L' ho rivestita, anche se le scarpe non le ho trovate. La ragazza, seppur con affanno, respirava ma era in stato del tutto incosciente. Ma non mi sono resa conto che fosse in pericolo di vita, avendo visto altre persone appena "fatte" che poi si riprendono in pochi istanti. Alle 3 di notte Youssef (Yusif Saila, fermato a Foggia) mi disse che era morta».
Giovanna, 32 anni, italiana, incrocia Desirée intorno al 10 ottobre. «Mi disse che avrebbe compiuto presto i 18 anni.
La sua mi sembrò una presenza strana e inopportuna, in quanto oltre ad essere minorenne era fuori da quel contesto, depressa e sempre alla ricerca di una dose. Più volte ho cercato di dissuaderla, non tanto dal drogarsi, quanto dal frequentare quello stabile perché frequentato da tossici e spacciatori pericolosi».
Alle 7,30 di giovedì Giovanna vede Desirée entrare nel palazzo. «Io stavo uscendo da lì e l' ho incrociata mentre si dirigeva al tavolo di Sisko e Ibrahim (Chima Alinno e Brian Minteh, ndr). Lasciai anche la mia amica Noemi all' interno dell' edificio, seppure la avessi invitata più volte ed addirittura schiaffeggiata per convincerla a venire via con me proprio perché sapevo che quel posto era pericoloso soprattutto per una "non africana" o "bianca"».
Verso l' 1,30 di venerdì Giovanna incrocia Muriel. Ora racconta: «Inveiva contro Desirée, gridando testualmente "sta zo..., sta tr..., poi mi ha salutato come se nulla fosse». Giovanna entra: «Su un materasso c' era Desirée esanime, tanto da indurmi a verificare il battito del cuore prima sul petto e poi sul collo e sul polso ed a tentare di farle un accenno di massaggio cardiaco. Ma mi sembrò subito evidente che ormai fosse troppo tardi. Dal suo aspetto capii che era in quelle condizioni da molte ore e gridai di chiamare subito un' ambulanza».
Noemi, 26 anni, italiana, dice che va nello stabile per portare cibo e abiti puliti: «Ho notato Desirée intorno alle 12 di giovedì perché non l' avevo mai vista prima. Venni attirata dalla sua giovane età e le chiesi che cosa stesse facendo. Mi rispose che cercava eroina ma che non aveva denaro per pagarla. A questo punto, notando lo stato di astinenza e temendo per la sua incolumità, mi offrii di accompagnarla presso un Sert e le consigliai di andarsene da quel posto, non certo adeguato a una ragazza sola». Noemi dice di aver saputo che era morta dalla coinquilina Giovanna: «Mi svegliò bruscamente intorno alle 5 del mattino e disse che era da poco morta una ragazza giovanissima in via dei Lucani. Il mio pensiero andò subito a Desirée».
In questura sono stati ascoltati anche i genitori della ragazza, separati da tempo. Dice la madre: «Ad agosto ho trovato alcuni messaggi di una certa Chiara su messanger nei quali invitava Desirée a recarsi a Roma per passare la notte. Dal tono ho capito che Chiara facesse uso di droga e fosse amica dei pusher». La signora Barbara si affida all' ex compagno, noto pusher del pontino, per aiutare la figlia. L' uomo riferisce di averla affrontata una volta nel parcheggio degli autobus di Latina, dove quasi finiva in rissa con gli extracomunitari che erano con lei.
Un' altra volta la fa salire in auto, litigano e lui la schiaffeggia. Desirée sale a casa e dopo 40 minuti scende la mamma che invita il padre ad andare via «perché era delusa dal mio comportamento».
IL PAPA'
Valeria Pacelli per il Fatto Quotidiano
Il cerchio intorno alla terribile morte di Desirée Mariottini non è affatto chiuso. Oltre i quattro fermati, gli investigatori sono al lavoro per identificare altre persone che tra il 17 e il 19 ottobre scorso in un immobile in via dei Lucani, nel quartiere romano di San Lorenzo, hanno avuto contatti con la 16enne, abusando di lei, cedendole sostanze o anche solo non chiamando i soccorsi quando già stava male.
Per ora quattro sono accusati di omicidio volontario aggravato e violenza sessuale.
Per Gara Mamadou, detto Paco, il più giovane, un senegalese di 27 anni, il connazionale Brian Minteh (detto Ibrahin) di 43 anni e il nigeriano, Chima Alinno di 46 anni, detto Sisco, il gip ha già convalidato la misura cautelare in carcere. E poi c' è un quarto uomo, fermato a Foggia, il ghanese Yusuf Salia, detto Youssef.
Secondo la ricostruzione dei pm Maria Monteleone e Stefano Pizza alla ragazza è stato somministrato un mix di metadone e benzodiazepine. Poi sono arrivate le violenze.
Adesso però gli investigatori stanno cercando un italiano, un tale Marco, che qualcuno racconta essere amico di Desirée. Come pure un nordafricano di nome Samir: secondo un informatore anche lui avrebbe avuto rapporti con la ragazza tra il 17 e il 18 ottobre scorso. Ma su queste e altre circostanze i testimoni forniscono versioni contrastanti.
Sentito dagli agenti della Squadra Mobile, guidata da Luigi Silipo, un bulgaro di 32 anni racconta: "Quando l' ho vista si bucava da sola, nessuno l' aiutava". La circostanza viene contraddetta da un' altra testimone, una congolese di 34 anni: "Quando la vidi la prima volta mi è rimasto impresso che la stessa, che si era già procurata un piccolo quantitativo di eroina, era alla ricerca di una persona che le iniettasse la sostanza".
Lei non l' aiutò, ma il sospetto è che qualcun altro dei frequentatori dello stabile possa aver fatto diversamente.
Al bulgaro gli investigatori chiedono anche di un tale Koffy, che pure stanno cercando di identificare: "Era colui che vendeva la cocaina, era quello che mentre Desirée si trovava all' interno con Sisko mi diceva di non entrare. () Youssef era quello che diceva di non chiamare la polizia o aiuto perché sarebbe successo un casino".
Dell' italiano, Marco, invece dice: "Marco o Mirko, l' ho visto solo quel giorno". Era presente nello stabile, chiedono quindi gli agenti. "Non ricordo - risponde - l' ultima volta che l' ho visto lì dentro era tre o qualche giorno prima della sua morte. () Non è stato Marco a dare il metadone a Desirée".
Poi però precisa di conoscere due persone, entrambe che si chiamano Marco.
Di un nordafricano di nome Samir invece il bulgaro è sicuro: "Quel giorno non c' era. Con lui poi ho commentato ciò che è successo. So che in questi giorni due italiani lo hanno menato".
Eppure un altro testimone fa proprio il nome di Samir tra coloro che tra il 17 e il 18 ebbero rapporti con la 16enne: "Ho saputo, - racconta una napoletana - che anche un uomo nordafricano, Samir, la mattina del 17 o 18, ha avuto rapporti sessuali con Desirée in cambio di droga". Le versioni fornite saranno vagliate dagli investigatori. Come pure le posizioni dei testimoni: c' è il rischio di un' accusa di favoreggiamento o omissione di soccorso.
Tra i frequentatori dello stabile c' era anche un ghanese di 35 anni. In passato ha visto Desirée dormire in quell' immobile abbandonato, dove lui stesso si era appisolato la sera della tragedia. Racconta: "Esortavo tutti a chiamare l' ambulanza, () Youssef mi bloccava dicendomi che la ragazza stava bene. () Nel frattempo Desirée era stata posta con le spalle appoggiate a una parete, Youssef ci stava parlando, scuotendola. Desirée faceva qualche verso con la bocca, non riuscendo a parlare bene.
() In ragione del fatto che la ragazza si era mossa () non insistevo a chiamare l' ambulanza, anche perché avevo paura che Youssef mi picchiasse, come già accaduto alcuni mesi addietro".
Che nella vita di Desirée fosse entrata la droga sembrano averlo capito anche i genitori. Agli agenti la madre fornisce i nomi della amiche, compresa una tale Giulia dove la figlia aveva detto di rimanere a dormire la sera della scomparsa.
Poi spiega anche di aver letto, ad agosto, dei messaggi di una tale Chiara. Invitava Desirée a Roma.
"Ho maturato la convinzione - dice la madre - che Chiara facesse uso di stupefacenti ed era ben addentrata nell' ambiente degli spacciatori".
Il papà invece non vedeva la figlia dal 17 agosto scorso. Quel giorno finisce ai domiciliari, perchè, racconta agli agenti il 23 ottobre scorso, ha violato l' ordine del giudice di stare a distanza dalla moglie.
L' uomo racconta anche di aver visto Desirée un giorno con in mano una bottiglia di vino: "Le toglievo di mano la bottiglia e la invitavo a seguirmi.
() In quel momento un gruppo di stranieri mi venivano contro allo scopo di trattenere con loro mia figlia. Io rompevo la bottiglia di vino per difendermi dal gruppo di giovani.
() Nell' infrangere la bottiglia mi procuravo una vistosa lesione alla mano destra".
E ancora: "La madre mi ha riferito di aver trovato in casa residui di carta stagnola combusta, probabilmente utilizzata per inalare o sciogliere la sostanza stupefacente".
"Una volta - continua il verbale - alle autolinee di Latina notavo Desirée avvicinarsi a un cittadino di colore, probabilmente intenta ad acquistare stupefacenti. () Anche in quella occasione riuscii a portarla a casa mia".
Quando poi trova un' altra bottiglia di vino, volano "con due schiaffi". La madre così lo manda via perchè, riferisce l' uomo, la figlia era rimasta delusa dal suo comportamento. "Visto che non mi rassegnavo, temendo peggiori conseguenze per mia figlia, allo scopo di intimorirmi chiamava il 113 che giungeva sul posto. Gli operatori sapendo che avevo il divieto di avvicinamento alla madre di Desirée inoltravano una segnalazione per aver contravvenuto alla disposizione del giudice e pochi giorni dopo venivo ristretto ai domiciliari". Da quel giorno, della figlia non ha avuto più notizie, fino a quando la figlia scompare da Cisterna di Latina.
DESIRÉE, LO STRAZIO DEL PAPÀ: «SFIDAI I PUSHER PER SALVARLA»
Alessia Marani e Camilla Mozzetti per “il Messaggero”
Aveva provato a strapparla a quel giro di droga e tossici già «due, tre mesi fa», lui che nel 2002 venne arrestato nell' operazione Bassotti perché ritenuto uno dei capi-bastone dello spaccio a Latina. Gianluca Zuncheddu, 38 anni, il papà di Desirée Mariottini, la sedicenne stuprata e lasciata morire dal branco di pusher nel covo di via dei Lucani, a San Lorenzo, si dispera di fronte ai poliziotti che lo ricevono negli uffici del commissariato San Lorenzo.
«Mi sono sempre interessato del mantenimento di mia figlia pur non avendola riconosciuta alla sua nascita», si sfoga l' uomo che racconta di come Desirée fosse «cambiata» all' improvviso. Di come la ragazza prima avesse regolarmente frequentato la scuola media «senza alcun tipo di problema» e come poi i guai fossero iniziati alle superiori.
I PRIMI GUAI
«Durante il primo anno all' Istituto agrario di Latina spiega il padre aveva letteralmente mutato il suo comportamento in famiglia e le sue abitudini di vita» tanto «da abbandonare gli studi» dopo essere stata bocciata. «Durante la sua frequenza a scuola aggiunge sono venuto a sapere che Desirée incontrava dei cittadini stranieri nella zona delle autolinee di Latina, luogo abituale di ritrovo per tossicodipendenti e spacciatori».
A quel punto Zuncheddu passa all' azione, deciso ad allontanarla a tutti i costi da quell' ambiente che lui conosceva fin troppo bene. «Due o tre mesi fa ricorda sono andato lì per vedere coi miei occhi chi frequentava mia figlia e per due volte l' ho trovata in compagnia di coetanei intenti a bivaccare e, in una di queste, l' ho sorpresa con una bottiglia di vino». Zuncheddu prova a portarla via, togliendole la bottiglia dalle mani.
Ma il gruppo di stranieri gli va incontro per riprendersi Desirée. Ne nasce un' accesa discussione: «Rompevo la bottiglia di vino per difendermi da quei giovani che forse erano tre o quattro». Ferito a una mano, Zuncheddu va a medicarsi, mentre la figlia spaventata per l' accaduto torna a casa della madre. Ed è proprio la mamma, Barbara, che confida all' ex compagno il timore che Desirée si drogasse.
«La madre racconta ancora l' uomo mi disse di avere trovato in casa residui di carta stagnola bruciata, probabilmente utilizzata per inalare o sciogliere la droga. Io stesso una volta tornando sempre alle autolinee di Latina avevo visto Desirée avvicinarsi a un cittadino di colore probabilmente per acquistare droga: in quella occasione mia figlia stringeva in mano 15 euro. Allora riuscii a portarla via con la forza». Episodi simili si sono ripetuti fino allo scorso agosto.
«Sempre Barbara si lamentava dei comportamenti di Desirée e della sua necessità di andare Latina a ogni costo», aggiunge Zuncheddu che, la sera del 17 agosto, decise di aspettarla al ritorno alla stazione di Cisterna di Latina.
GLI SCHIAFFI
Quella sera la sedicenne sarebbe dovuta rimanere a dormire a casa del padre e della compagna, per questo una volta scesa dall' autobus e salita in macchina, i tre vanno a casa di Barbara per prendere dei vestiti. «Mi ero accordato con la madre che mi sarei occupato per un po' di tempo di mia figlia».
Ma nello zainetto della ragazza Zuncheddu trova un' altra bottiglia di vino. Motivo per cui, dice agli agenti, «la colpivo al volto con due schiaffi». Giunti sotto casa di Barbara, la ragazza sale a prendere gli abiti ma il padre non la vede tornare. «Insospettito dal ritardo dice contattavo la madre chiedendole di convincere Desirée». Ma la donna non era in casa in quel momento. Arriva solo qualche minuto più tardi e, saputo dalla figlia che il padre l' aveva picchiata, gli dice di andare via.
«Visto però che non mi rassegnavo a lasciarla, Desirée per intimorirmi chiamò il 113 che arrivò subito. Poiché mi era vietato avvicinarmi alla madre di Desirée per un altro procedimento penale, dopo qualche giorno mi notificarono gli arresti domiciliari. Da quel momento conclude il padre non ho avuto più notizie di mia figlia». Fino a quando, la sera di venerdì 19 ottobre, Zuncheddu viene informato dalla polizia che la sedicenne era stata rinvenuta cadavere a Roma.
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