9 dicembre forconi: 03/27/18

martedì 27 marzo 2018

L’India, Moro, Renzi: tracce di presente


«Tutte queste pippe sul ceto medio impoverito che si ribella contro la globalizzazione hanno un buco nero, però», mi dice Marco, amico da una vita e orientalista, di ritorno dal millesimo viaggio in India, che studia e frequenta da trent’anni.
E mi racconta appunto di quel Paese, che certo dalla globalizzazione ha avuto più benefici che danni: quasi un miliardo di persone liberate dalla paura di morire di fame, duecento milioni delle quali ormai con un livello di vita da borghesia occidentale, auto, vestiti, tecnologie, viaggi all’estero e tutto il resto.
Com’è che anche in un contesto del genere – arricchimento generale, non impoverimento generale – la politica vive una fase così simile a quella europea e americana, insomma perché stanno sparendo anche lí gli attori storici della democrazia (a iniziare dal Congress Party) a tutto vantaggio delle forze ipernazionaliste, tradizionaliste, ultrainduiste, sovraniste, attaccate come patelle al passato glorioso del Paese e alla sua identità religiosa? Com’è che Narendra Modi somiglia così tanto a Trump, a Salvini, a Le Pen e a Orban, e stravince un’elezione dopo l’altra proclamando l’anticosmopolitismo proprio come i suoi colleghi occidentali?
Com’è che tutto questo avviene in un Paese che tutto è stato fuori che danneggiato dalla globalizzazione?

Non ho una risposta certa, io indologo non sono e mi limito a ipotizzare che pure lì le ragioni siano tante e intrecciate, proprio come da noi. Suppongo che anche in India, come in Occidente, sia riduttivo cercare una spiegazione “monoeziologica”, insomma una sola causa.
Certo, anche lì hanno i loro “forgotten”, i tagliati fuori dall’arricchimento, a cui si aggiungono le masse di “displaced”, i contadini cacciati dalle loro terre per far posto a miniere di bauxite o fabbriche della Tata.
Ma questo non basta a spiegare il successo dell’ultrà nazionalista Modi.
Piuttosto viene da pensare che la reazione al globalismo, in India, abbia tra le sue ragioni anche alcune concause simili a quelle che hanno contribuito al successo dei nazionalismi reazionari nostrani, ai Trump e ai Salvini insomma.
Ad esempio, il disastro provocato dall’eccesso di velocità.

Non sono indologo, dicevo, ma quel Paese un po’ lo conosco e l’ho studiato anch’io, e su alcuni effetti della globalizzazione laggiù qualche anno fa scrissi un libro, seppur da semplice cronista.
E insomma ho visto come sono stati incredibilmente rapidi e tumultuosi i cambiamenti, da quelle.parti.
Anche quelli visibili a occhio nudo, paesaggistici e urbanistici. E quelli sociali, culturali, tecnologici eccetera.
Ho visto le vacche che erano sacre da millenni buttate fuori dalle metropoli perché ostacolavano il traffico.
Ho visto i McDonalds sfrattare templi indú secolari.
Ho visto Facebook sostituire la Bhagavadgītā nelle letture mattutine.
Ho visto bambine nei villaggi piu sperduti del Chhattisgarh guardare la sera lo stesso cartone animato che guarda mia figlia a Roma.
E cosí via.
E il tutto è avvenuto in vent’anni, forse meno.
Una centrifuga incontrollata, velocissima, impazzita.

L’essere umano ha per sua natura una capacità limitata di adattamento ai cambiamenti.
Il primo limite è dato dal tempo: abbiamo bisogno di un certo lasso di tempo per adattarci a ogni novità, qualsiasi novità.
Vale per il lavoro – quando cambia il capo o quando più semplicemente quando ci spostano d’ufficio; nella vita quotidiana, nelle abitudini, nel bar sotto casa che diventa un ristorante cinese, perfino quando “cambia il tempo” nel banale senso meteorologico; ancor più quando, per un lutto familiare, cambia il contesto affettivo attorno a noi.
A proposito, è noto che il terzo lutto psicologico per gravità – dopo la morte di una persona cara e la fine di una relazione sentimentale – è un trasloco. Un cambiamento quasi sempre deciso e non subíto, eppure comunque traumatico per la nostra stabilità.
Dopo un po’ di tempo però ci abituiamo anche al trasloco, restauriamo una “comfort zone” fatta di nuove abitudini, il trauma iniziale è superato.

Ma ci vuole un po’ di tempo, appunto. Un po’ di tempo per elaborare l’accaduto e mettere in funzione le nostre capacità di adattamento.


La capacità di adattamento, si sa, è la chiave della sopravvivenza. Le specie che non si adattano, si estinguono.
La migliore capacità di adattamento consiste nella resilienza, nello sfruttare ogni cambiamento – anche in negativo – per trarne un miglioramento più avanti, nel medio termine.
All’opposto della resilienza c’è la resistenza rigida e non flessibile, la negazione di quanto ormai è avvenuto, il rinchiudersi nel passato.
Eppure la reazione di resistenza e rifiuto è profondamente umana. Ed è del tutto comprensibile quando i cambiamenti sono troppo rapidi, improvvisi, tumultuosi, sconvolgenti.
Per maturare processi positivi di adattamento e di resilienza abbiamo bisogno di tempo.
Siamo umani, non software.

Siamo umani, non software. Quindi abbiamo bisogno di un po’ di tempo.
Lo racconta benissimo “Sully”, il penultimo film di Clint Eastwood.
Sully è il pilota di un aereo di linea a cui si spengono improvvisamente i motori, subito dopo il decollo. Lui atterra sul fiume Hudson, salva tutti ma lo mettono sotto indagine: i simulatori dimostrano che poteva portare l’apparecchio all’aeroporto piú vicino, se avesse virato in quella direzione appena i motori erano andati in avaria.
Ma Sully (spoiler) spiega in aula che i simulatori non sono rimasti immobilizzati venti secondi sotto shock com’era invece accaduto a lui, essere umano. E passati quei venti secondi, virare verso l’aeroporto avrebbe significato schiantarsi sulle case di New York.
La commissione allora ritarda il simulatore di quei venti secondi – beneficio concesso all’imperfezione dell’essere umano – e così scopre che aveva ragione Sully: dopo venti secondi non c’era alternativa all’Hudson.
Siamo umani, non robot, e per adattarci al cambiamento (i motori improvvisamente in avaria, in questo caso) abbiamo bisogno di tempo.

Ho finito di leggere ieri il libro di Marco Damilano su Aldo Moro. Si intitola “Un atomo di verità”. Tra le altre cose, è uno spaccato di storia contemporanea pieno di spunti per capire il presente.
Ad esempio, il valore immenso del tempo per chi fa politica. La comprensione di quando occorre velocità e quando invece riflessione, ponderatezza e quindi maggiore lentezza.
Ma attenzione: fondamentale è anche la distinzione tra l’immobilismo plumbeo e peloso dei conservatori e l’illuminata, “progressista”, necessità di far depositare le polveri per vedere meglio le cose. E per non farle precipitare.
Nel caso di Moro, ci si riferisce in particolare al suo obiettivo di una vita: superare in Italia il muro di Yalta e far incontrare le masse popolari cattoliche con quelle socialiste e comuniste. Un obiettivo che passava prima attraverso la creazione del Centrosinistra Dc-Psi poi con la visionaria ma graduale apertura al Pci di Berlinguer, ostacolatissima dagli americani (Kissinger in testa) ma anche da tanti poteri italiani, nella Chiesa, nella destra, nel padronato industriale, nei servizi, nella P2 e in Gladio, nella stessa Dc.
Il libro di Damilano contrappone l’illuminata gradualità di Moro alla famelica velocità di Berlusconi, che infatti considerava lo statista democristiano “un intralcio sulla porta” e che molto rapidamente, tre lustri dopo via Fani, avrebbe incassato i frutti politici del fallimento della Prima Repubblica, fallimento non sconnesso dalla sanguinosa interruzione del disegno di Moro.

Viene da chiedersi se la deliberata gradualità di Moro non rappresenti un modo di far politica opposto anche a quello di Renzi: che ha fatto della velocità un valore in sé, assoluto, indipendente dai suoi effetti. Così come valore assoluto e indipendente dai suoi effetti sono per Renzi il nuovo e il cambiamento, contrapposti alla palude, alla stagnazione, al vecchio.
Abbiamo visto che fine ha fatto – per umana reazione – questa totemizzazione del nuovo in sé e soprattutto questa mitizzazione della iper velocità. Una reazione di rifiuto irritato, se non furioso.
E anche nella stessa area politica il leader con più consenso è oggi il moroteo Gentiloni. Detto “er Moviola”. Quindi lento per definizione, di fronte ai turbolenti cambiamenti oggettivi intorno a noi.
Perché siamo umani, abbiamo bisogno di tempo.

Non so se dopo tutta questa lunga argomentazione, lenta anche da leggere, ho risposto un po’ alla domanda sull’India che mi poneva il mio amico orientalista.
Non so cioè se è chiaro il filo rosso che unisce Trump, Salvini, Le Pen, Orban e Narendra Modi.
Non so se sono riuscito a intravedere e proporre elementi comuni tra situazioni così lontane e diverse: il nuovo che è andato troppo in fretta, incontrollato e ingovernato; la politica che non ha voluto o saputo gestirlo, né renderlo coerente con i tempi di adattamento umani – anzi, in qualche sciagurato caso mitizzandolo e liberandolo da tutte le redini. E poi, inevitabili, le reazioni umane a tutto questo, dal Kentucky alla Bretagna, dall’Italia al Madhya Pradesh.
“La Storia ultimamente ha preso ad andare molto più in fretta di una volta”, ci insegnava all’università il grande Enrico Decleva. Lo diceva nel 1980: poi la Storia ha solo accelerato – e parecchio.
Oltre la nostra capacità di adattamento.
Serve quindi un sacco di politica – di buona, forte e saggia politica – per governare questa centrifuga impazzita.
Per liberarci dalla tenaglia di selvaggia innovazione e cieca controreazione.
Per far sì che, come il sabato di Gesú, il nuovo sia per l’uomo – e non sia l’uomo sacrificato al nuovo.

Fonte: qui

LA NUOVA DIRETTIVA DELLA COMMISSIONE EUROPEA TRASFORMA I COMMERCIALISTI IN “SPIE” DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

IN CHE MODO? OBBLIGANDOLI PER LEGGE A COMUNICARE GLI “SCHEMI DI PIANIFICAZIONE FISCALE AGGRESSIVA” PREDISPOSTI PER I LORO CLIENTI 

ECCO COSA PUO’ ACCADERE…

Andrea Bassi per “il Messaggero”

EVASIONE FISCALEEVASIONE FISCALE
Il grido di allarme è arrivato, per ora inascoltato, anche al Tesoro. I commercialisti rischiano di trasformarsi in sceriffi del Fisco. Questo potrebbe essere l'effetto della direttiva della Commissione europea approvata qualche giorno fa, il 13 marzo scorso, dall'Ecofin. Lo scopo delle nuove norme europee è nobile: impedire le evasioni fiscali transfrontaliere, quelle, per intendersi, che hanno reso famosi alcuni schemi messi in atto per esempio dalle multinazionali del web come il «double irish», che ha permesso a società come Apple di pagare pochi spiccioli di tasse a fronte di fatturati miliardari.

Solo che per raggiungere lo scopo, l'Europa ha deciso di trasformare tutti i consulenti fiscali, commercialisti in testa, in spie delle Agenzie delle Entrate dei vari paesi. In che modo? Obbligandoli per legge a comunicare gli «schemi di pianificazione fiscale aggressiva» predisposti per i loro clienti.
evasione-fiscaleEVASIONE-FISCALE

LE CONTRADDIZIONI
Il primo problema è che la definizione di pianificazione fiscale aggressiva è molto lasca, e dunque i commercialisti, ma anche gli altri consulenti fiscali, come gli avvocati tributaristi, si potrebbero trovare nelle condizioni di dover comunicare molte operazioni messe a punto per i loro clienti.

Nel documento inviato prima dell'approvazione della direttiva al ministero del Tesoro, il Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti, ha sottolineato, per esempio, come l'Ace, l'aiuto alla crescita economica, una misura per incentivare gli investimenti voluta dal governo italiano, venga considerata dalla Commissione europea una pratica aggressiva.
EVASIONE FISCALEEVASIONE FISCALE

Ma il punto sostanziale è un altro. «Obbligare le persone a comunicare alle pubbliche autorità l'esistenza di atti o fatti illegali», si legge nel documento del Consiglio Nazionale dei commercialisti, «è il sogno di ogni governo». Se da un lato è vero che «informatori volontari» sono normalmente previsti dalla legge, e anche protetti, come nel caso dei whistleblowers, dall'altro l'obbligo di denuncia, soggetto a sanzioni penali in caso di violazione, «non è frequente anche in relazione a situazioni che sono chiaramente particolarmente gravi». Nemmeno in caso di rapina a mano armata o di rapimento esiste un obbligo di denuncia, ricorda il documento del Consiglio nazionale.

«Sul fine della proposta di direttiva», spiega Alessandro Solidoro, consigliere nazionale dei commercialisti con delega alle attività internazionali, «siamo tutti d'accordo. Che le tasse vadano pagate dove il reddito viene prodotto», sottolinea, «è un principio fondamentale». Il problema, secondo Solidoro, è un altro.

Agenzia delle entrateAGENZIA DELLE ENTRATE
«Il legislatore», spiega, «ha scritto la normativa avendo in testa le grandi società di consulenza, che spesso giocano su due tavoli: quello di consulenti dei governi per scrivere le legislazioni fiscali, e quello di consulenti delle multinazionali». In alcuni, anche clamorosi, si legge ancora nel documento del Consiglio Nazionale dei commercialisti, gli schemi elusivi derivavano da aiuti di Stato, e quindi già noti all'autorità competente alla quale dovrebbero essere comunicati.

LE CONSEGUENZE
Ma quali sono concretamente le controindicazioni per i commercialisti di questo obbligo di delazione? Innanzitutto, spiegano, i loro clienti potrebbero essere preoccupati di confidare la loro situazione complessiva effettiva, così inducendoli in errore. Cosa accadrebbe poi, se la segnalazione fosse considerata falsa o inutile? Ci potrebbero essere delle ritorsioni legali da parte degli stessi clienti.
logo agenzia delle entrateLOGO AGENZIA DELLE ENTRATE

Qualcuno rischierebbe di finire a processo senza aver violato la legge. Insomma, «un obbligo di comunicazione soggetto a sanzione», spiegano, «trasformerebbe un privato e onesto cittadino in un pubblico ufficiale, col rischio che molti (in buona o cattiva fede) potrebbero denunciare altri per il solo fatto di non averne ricevuto una buona impressione, o per limitare le proprie responsabilità». Senza contare che i clienti potrebbero rivolgersi a studi di Paesi extracomunitari che non hanno lo stesso obbligo di segnalazione. «La Svizzera», osserva Solidoro, «dista solo 74 chilometri dal mio ufficio». Molto a questo punto dipenderà da come l'Italia recepirà la direttiva, che dovrà diventare legge entro il 2019.

Fonte: qui

La Russia continua a comprare oro

Oggi vi sveliamo che anche l’Oro Fisico ha un chiaro e innegabile legame col Cremlino e fa parte del complotto russo per dominare il mondo.
Pare che anche a febbraio 2018 la Banca Centrale Russa (BCR) abbia incrementato le riserve di metallo giallo di 800.000 once, ovvero 24.88 tonnellate portando il totale a 1882 tonnellate.
“Siamo di fronte ad un devastante attacco ai valori dell’occidente” questo il commento che serpeggia fra le banche centrali occidentali.
In questo grafico possiamo apprezzare il sottile piano di Vladimir Putin per screditare i sistemi monetari occidentali basati sulla buona fede nella indiscutibile onestà nella moneta stampata a mentula canis per il bene dell’umanità.
Il piano Russo è appoggiato, inoltre, anche dalla banca centrale del Kazakhstan che ogni mese aggiunge circa 3 tonnellate di metallo giallo alle sue riserve ormai da 3 anni consecutivi (bastardi!).
Persino la Turchia ormai ex alleato continua nella sua opera di accumulo del metallo giallo.
Siate Consapevoli, Siate Preparati.
P.S. tra 6 anni, quando zio Vladimir avrà esaurito questo mandato la Russia potrebbe avere 3000 tonnellate di oro.
Fonte: qui

CAPITALISTI COI CAPITALI DEGLI ALTRI - LUIGI ABETE: LA GUARDIA DI FINANZA INDAGA SUL FINANZIAMENTO DA PARTE DI BNL (DI CUI È PRESIDENTE) DEI CINECITTÀ STUDIOS (DI CUI È AZIONISTA)

IN PARTICOLARE, UN PRESTITO DA 15 MILIONI CONCESSO IN SOLE 7 ORE 

UN DIRIGENTE AL TELEFONO: ‘TI RENDI CONTO? HO FATTO DELIBERARE TUTTO IN 7 ORE. CIOÈ, NON ESISTE, DI SOLITO CI VOGLIONO 7 MESI…’


Luigi Abete e le pressioni per far finanziare da BNL, di cui è presidente, l'acquisto di una sua azienda, Cinecittà Studios. A raccontare la vicenda è un'inchiesta della Guardia di Finanza (Abete non è indagato) coordinata dalla Procura di Bari. E' possibile ottenere da una banca un prestito da 15 milioni di euro in 7 ore? Sì, soprattutto se si è i presidenti di quella banca, scrive Repubblica. L'indagine nasce per caso ascoltando al telefono un dirigente della banca Giuseppe Pignataro, ora interdetto dai magistrati pugliesi per il suo comportamento nella questione delle Ferrovie Sud Est.

luigi abete diego della valle alessandro profumo andrea della valleLUIGI ABETE DIEGO DELLA VALLE ALESSANDRO PROFUMO ANDREA DELLA VALLE
Il 30 giugno 2017 Pignataro riceve una telefonata di Luigi Abete: si parla della vendita all'Istituto Luce di un ramo di azienda di Cinecittà Studios, società partecipata da Italian Entertainment Group Spa, riconducibile ad Abete. Per procedere al finanziamento, che è previsto dal decreto milleproroghe, l'Istituto Luce ha chiesto un anticipo alla BNL, proprio la banca che ha in pegno il capitale sociale di Cinecittà Studios. Come spiega ancora Repubblica, la società di Abete, infatti, è in crisi ed è esposta proprio con la banca BNL. In sostanza, quindi, BNL dovrebbe finanziare Istituto Luce per rientrare di un proprio credito con l'azienda del suo presidente.

diego della valle luigi abeteDIEGO DELLA VALLE LUIGI ABETE
Un pasticcio, tanto che fino alla mattina del 30 giugno la burocrazia della banca fa resistenza, non procedendo a deliberare il finanziamento. Si vuole procedere con prudenza per un potenziale conflitto di interessi. Esiste poi anche un secondo problema sulla natura dell'operazione, visto che il finanziamento c'è, ma manca il decreto attuativo che di fatto lo concede. Pignataro inizia però una serie di telefonate con i dirigenti della banca, una trentina almeno, fatte tutte in un pomeriggio, per cercare di sbloccare l'operazione. Cosa che alla fine gli riesce.

"Ti rendi conto? In sette ore ho fatto deliberare tutto", dice la sera al telefono con un amico. "E tu sai cosa significa da noi deliberare in 7 ore, no? cioè, non esiste ci vogliono sette mesi anche per pratiche semplici. Un'operazione da quindici milioni, eh! (...) Praticamente ho smosso mezza banca, per non dire tutta la banca. Se andava a Parigi erano cazzi!". Bnp Paribas ha acquisito la banca nel 2006, spiega Repubblica. Quando l'a.d. di Bnl Andrea Munari viene a conoscenza dell'operazione non la prende bene e chiede una relazione dettagliatissima. "Le procedure interne sono state regolari e sono stati rispettati tutti i nostri protocolli interni", fanno sapere ora da Bnl.

Fonte: qui

Meanwhile: Congress Has Quietly Formed A Committee To Bail Out 200 Pension Funds

“The US pension system is beyond repair. And if you’re depending on pension income to carry you through retirement, it’s…”
The US pension system has gotten so bad, Congress is actually planning for its failure.
As the government was working on the recent, new budget deal and subsequent boost in government spending, Congress quietly snuck in a provision that forms a committee which would use federal funds to bail out as many as 200 “multiemployer” pension plans – where employers and labor unions jointly provide retirement benefits to employees.
As is often the case, this rescue “plan” is too little too late. The US pension system is beyond repair. And if you’re depending on pension income to carry you through retirement, it’s time to consider a Plan B.
Before explaining how dire the situation actually is, let’s take a step back…
Pensions are simply giant pools of capital used to pay out retirement benefits to workers.
Typically, employers and employees contribute a percentage of the employees’ salary to a pension throughout his or her career. Then, upon retirement, the pension is supposed to pay a fixed, monthly amount to the retiree.
There are both government and corporate pension plans.
Boston College estimates the nation’s 1,400 multiemployer plans (corporate) are facing a $553 billion shortfall. And around one-quarter of those are in the “red zone,” meaning they’ll likely go broke in the next decade or so.
But Congress’ committee, assuming it works, wouldn’t even rescue the red zone plans, much less the remaining 1,200.
And it doesn’t even begin to address the real problem – the $7 trillion funding gap faced by the government’s own pensions.
Congress is stepping in because the Pension Benefit Guaranty Corporation (PBGC) – the pension equivalent to the Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) – is completely insolvent.
Like the FDIC, the PBGC is an insurance program funded by premiums paid by its participating members (pensions). Its entire income is made up of premiums collected and the investment income it earns on those premiums.
So, as the markets crash, not only will the PBGC’s portfolio get slaughtered… so will those of the pensions it guarantees (which will then require more funds). And as these pensions fail, the PBGC will collect less in premiums. It’s a vicious circle.
But things are plenty bad already.
The PBGC, which only covers corporate pensions, had a $76 billion deficit in 2017. It has total assets of $108 billion on its books compared to potential loss exposure of more than $250 billion.
By its own estimation, its fund to cover multiemployer pensions (which makes up $65 billion of the deficit) will be insolvent by 2025.
Pensions are in such bad shape today for the simple reason that investment returns are too low. And pensions can’t cover their future obligations.
Pension fund managers invest in assets like stocks, bonds and real estate in hopes of generating a safe return.
Most funds require a 7%-8% return in order to meet their future liabilities.
But with interest rates near record lows, these funds are having to take on more risk in order to meet their minimum return requirements. They’ve reduced their bond allocations and started buying more stocks, private equity and other riskier assets.
Some funds, like Hawaii’s pension fund, went even further and dabbled in the incredibly risky strategy of selling put options. By selling a put, you collect a small premium if markets stay calm or rise. But you’re exposed to unlimited losses if markets crash – like they did when the Dow fell 2,400 points in a week last month.
At the end of last year, equities made up nearly 54% of public pension fund portfolios. The $209 billion New York State Common Retirement Fund has over 58% of its assets in stocks. Kentucky’s $20 billion pension for teachers is 62% in stocks.
These giant funds, which are supposed to pay for public and private employees in retirement, are piling into stocks at record high valuations. And when the volatility hits, it will be devastating.
Consider that America’s largest pension fund, The California Public Employees’ Retirement System (CalPERS), lost 5% of its assets ($18.5 billion) in just 10 trading days leading up to February 9.
Pension funds should never experience that kind of volatility. But the current macro environment is forcing them to make dumb decisions in hopes of generating a minimum return.
Luckily, if you’re a smaller investor, you still have plenty of solid investment options available – even if you’re investing with tens of millions of dollars.
I’ve told our Sovereign Man: Confidential readers about an asset-backed loan earning 13% a year. And they’ve already safely earned millions of dollars in interest.
You can also invest in super-safe stocks trading below their net cash, like Sovereign Man’s Chief Investment Strategist, Tim Staermose, does in his service, The 4th Pillar.
But these strategies get more difficult if you have hundreds of billions of dollars.
So these pension funds are forced to buy stocks and real estate at all-time highs. It stretches valuations and creates huge risk.
Still, pension fund allocations to equities are near all-time highs.
So, ask yourself, what will happen to your retirement if the stock market falls just 20%? What about 50%?
There’s zero chance these funds will be able to pay out retirement benefits. They’re taking huge risks at all-time highs and they have zero downside protection (the PGBC is broke).

Fonte: qui

FONDI MUTUALISTICI: E’ ESPLOSA UNA BOMBA NUCLEARE!

Nel 2006 e all’inizio del 2007, abbiamo cercato di costruire una rete di consapevolezza, il più efficace possibile, mettendo in guardia dall’arrivo della grande recessione come la chiamano loro, anche se in realtà per una moltitudine è stata più una depressione.
Siamo stati i primi in Italia a mettere in guardia dal rischio dei fondi monetari, ribadisco, fondi monetari, di liquidità nel 2007 e puntualmente…
Anche nel mio ambiente, come ora peraltro, ero visto come una marziano, uno che scendeva da Marte e non capiva che in realtà era solo una crisi come tante altre, che esagerava, deriso e insultato quotidianamente. Molti di Voi non hanno la più pallida idea di cosa significa andare controcorrente nel nostro ambiente dove molti si muovono come un gregge, come un branco, senza ragionare.
All’inizio dell’anno Machiavelli, nel suo tradizionale outlook 2018, vi ha messo in guardia dagli rischi esplosivi nascosti dietro la finanza passiva, fondi, etf, algoritmi ed amenità varie. Nell’ultimo manoscritto di sabato vi abbiamo raccontato di cosa è successo in America, ora ve lo racconta anche il Sole24Ore…

Fondo Usa imploso in due giorni (-80%), migliaia di risparmiatori sul lastrico

Si chiama tuttora “Preservation and Growth”, “Preservazione (del capitale) e Crescita”, e fino a poco più di un mese fa negli Stati Uniti era uno dei fondi mutualistici con la reputazione più solida. Il prospetto informativo lo descrive come una specie di pietra angolare della prudenza, poiché ha l’obiettivo di cercare di “preservare e far crescere il capitale grazie a una bassa correlazione con le Borse statunitensi”. In che modo? “Facendo della volatilità il tuo asset”, spiegava ancora con malcelato ottimismo il prospetto: “gli investitori di solito vedono la volatilità come un fattore di instabilità e incertezza, ma la volatilità si può imbrigliare per ottenere ritorni economici stabili e slegati dall’andamento di azioni e obbligazioni”, ammiccava ai risparmiatori la brochure online. Peccato che nel mondo reale la volatilità non si possa imbrigliare: quando esplode diventa una bestia impazzita e distrugge tutto quello che incontra sulla sua strada. Compresi i fondi mutualistici.
Una bomba nucleare. Il fondo “Preservation and Growth”, con i suoi quasi 800 milioni di dollari di asset gestiti, era insomma una specie di bomba nucleare costruita speculando sulla volatilità, ma veniva venduto agli investitori come un innocuo strumento di risparmio per il buon padre di famiglia, che vuol veder crescere il capitale senza correre alcun rischio. Questo accadeva non sulle famigerate piattaforme Forex delle Cayman ma su uno strumento regolarmente approvato e quotato sui mercati dei civilissimi Stati Uniti, peraltro oggi ansiosi di deregolamentare un sistema finanziario che – in questo caso specifico – già somiglia pericolosamente a un film western.
Chi si è preso la briga di controllare su internet ha avuto un tuffo al cuore: -55,9%. Crollo seguito il giorno successivo un altro -54,6%. In appena quarantott’ore gli investitori del fondo “Preservation and Growth” hanno insomma perso oltre l’80% dei loro risparmi. Senza alcuna speranza di riaverli indietro.
Spiace dirlo ma questo è solo un antipasto in un mondo nel quale tutti suggeriscono che è sotto controllo, che le banche hanno tutto sotto controllo.
Sarà da dire a pensare alla faccia dei gestori del fondo sovrano norvegese o della banca centrale svizzera quando esploderà la bolla dei titoli tecnologici o dei social media, tra l’altro vere e proprie associazioni a delinquere che giocano con i dati privati.
Noi come sempre non abbiamo alcuna fretta, la verità è figlia del tempo!
Nel frattempo il pollo che si credeva un’aquila, ha deciso che l’America non è in gran forma e il falchetto si è trasformato in una colomba.
La Federal Reserve ha ritoccato al rialzo le stime sulla crescita dell’anno in corso e quelle dei prossimi due anni, mentre l’andamento del mercato del lavoro sarà migliore del previsto.(…)
Per il 2018, il Pil è atteso al 2,6%, contro il 2,5% delle stime del dicembre 2017. Quest’anno il tasso di disoccupazione dovrebbe attestarsi al 3,8%, contro il 3,9% di dicembre.
L’inflazione si dovrebbe attestare all’1,9%, come a dicembre. La componente “core”, quella epurata dalle componenti più volatili come i prezzi di energia e generi alimentari, è stimato un 1,9%, invariato rispetto a quanto previsto in precedenza.
Per il 2019, la crescita è attesa al 2,4% (più del 2,1% di dicembre), è previsto un tasso di inflazione “core” all’2,1% (sopra la stima precedente) e un tasso di disoccupazione al 3,6%, contro il 3,9% di dicembre. America 24
A parte tutte queste fesserie, Powell sa bene che deve disperatamente portare i tassi ad un livello ben più alto di quello attuale perché alla prossima recessione sarà costretto a portarli in area negativa.
Per non smentirsi, ha esordito con la battuta dell’anno…
“…le vulnerabilità nel sistema finanziario sono moderate”.
L’unica cosa giusta che ha detto è che dell’inflazione non c’è traccia è ha invitato tutti a rilassarsi, mercato obbligazionario compreso…
Jerome Powell è tornato a tranquillizzare sull’andamento dell’inflazione(…) Il neo governatore della banca centrale Usa ha detto che “dai dati non sta emergendo che siamo sull’orlo di vedere un’accelerazione dell’inflazione”.
Il successore di Janet Yellen ha aggiunto che lui e i suoi colleghi “siamo in allerta ma non è qualcosa che stiamo attualmente osservando”. Secondo il neo governatore della Federal Reserve, “ha senso” che i salari orari americani stiano salendo lentamente viste la produttività e l’inflazione basse.
Più o meno come dire che per quanto riguarda i salari, scordatevi qualunque beneficio, la festa è finita da tempo, la tempesta dietro l’angolo.

Fonte: qui

Chi è Jens Weidmann, il tedesco anti-Draghi (possibile) nuovo presidente BCE

Jens Weidmann potrebbe diventare il prossimo presidente della Banca Centrale Europea. Tedesco, al momento è a capo della Bundesbank ed è considerato l’anti-Draghi.

Chi è Jens Weidmann, il tedesco anti-Draghi (possibile) nuovo presidente BCE
L’anno prossimo è previsto un cambio vertice alla Banca centrale europea(BCE) e già monta speculazione su chi sarà successore di Mario Draghi. Tra tutti c’è il nome di un personaggio controverso che appare in continuazione: quello di Jens Weidmann, l’attuale presidente della Bundesbank, la banca centrale tedesca.
Non sarebbe una sorpresa se la nuova guida della BCE andasse alla Germania.
Dopo la nomina del ministro delle finanze spagnolo Luis de Guindos al ruolo di vicepresidente, in molti credono che ci siano maggiori probabilità che il prossimo presidente venga da un paese dell’Europa settentrionale per questioni di equilibrio. E se fosse così, la nomina di Weidmann è praticamente scontata
Questo porta gli analisti a parlare di una prospettiva più aggressiva per la politica monetaria europea rispetto a quella portata avanti attualmente da Mario Draghi.

Chi è Jens Weidmann? Carriera e idee di politica monetaria

Jens Weidmann può vantare un curriculum impressionante. Nel 2011 è diventato il presidente più giovane che la Bundesbank abbia mai avuto. In quanto tale, è membro del Consiglio direttivo della BCE da allora. Dal 2015 dirige anche il Consiglio di amministrazione della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) a Basilea.
Durante sua carriera è passato anche per la Cancelleria federale tedesca e il Fondo Monetario Internazionale.
È quasi impossibile mettere in campo una politica monetaria adatta a tutti, in un’unione monetaria così eterogenea come quella della zona euro. Gli interessi di Germania e Italia, ad esempio, non potrebbero essere più divergenti sulle questioni relative al controllo dei tassi di interesse o all’acquisto di obbligazioni corporate o pubbliche.
Dall’introduzione dell’euro, gli interessi tedeschi sono stati per lo più dominanti, perché l’insieme di regole su cui la BCE si orienta corrisponde in sostanza alle regole secondo le quali la Bundesbank stava già lavorando ai tempi del marco tedesco. 
Nell’Europa meridionale, tuttavia, questa politica è stata capace di esacerbare la crisi.
Sotto Mario Draghi, la BCE ha esteso le sue vedute, in parte violando le volontà tedesche. Il tasso di interesse di riferimento è ai minimi pluriennali e la BCE immette 60 miliardi di euro nel settore finanziario ogni mese tramite il cosiddetto Quantitative Easing. Con il suo leggendario «whatever it takes», Draghi non ha lasciato dubbi sul fatto che in caso di emergenza avrebbe comunque salvato ogni stato in fallimento all’interno dell’unione monetaria.

Le critiche alla BCE mosse da Weidmann

In Germania, questa politica ha portato ad una serie di critiche da più fronti: la destra ha criticato il fatto che in questo modo si sia allentata la pressione a varare nuove riforme nell’Europa meridionale, la sinistra crede che i tassi di interesse bassi siano svantaggiosi per i pensionati e i piccoli risparmiatori.
All’unanimità, molti democratici criticano il fatto che il «whatever it takes» sia praticamente incompatibile con il principio della sovranità di bilancio dei parlamenti nazionali.
Nonostante le critiche, solo alcune delle élite economiche tedesche sono interessate al crollo dell’euro, proprio perché la politica monetaria della zona euro è fondamentalmente orientata verso gli interessi tedeschi.
Weidmann appartiene ai critici più accaniti della politica monetaria non convenzionale di Draghi. Già nel settembre 2011 ha preso le distanze dagli acquisti di obbligazioni della BCE. Inoltre ha criticato i prestiti di salvataggio dell’EFSF e dell’ESM. Nel settembre 2012 è stato responsabile dell’unico «no» del Consiglio direttivo della BCE all’acquisto illimitato di titoli di Stato.

Il futuro della BCE con Jens Weidmann presidente

In termini di politica monetaria, può essere visto come una specie di anti-Draghi, per anni in opposizione alla maggioranza del Consiglio e al presidente. Da sempre vuole mantenere più alta possibile la pressione sull’Europa periferica.
Può essere messo in dubbio il fatto che Jens Weidmann sia adatto alla carica di presidente della BCE: è quantomeno discutibile pensare che l’euro sarebbe ancora in piedi nella sua forma attuale qualora Weidmann fosse diventato presidente della BCE al posto di Draghi nel 2011.
D’altro canto, la situazione di oggi è diversa da quella del 2011. Anche con Draghi, la politica monetaria espansiva si sta gradualmente riducendo stiamo passando sempre più velocemente dalla modalità crisi alla modalità normale. I prossimi mesi mostreranno se le cose funzionano o meno.

PARLA UNA DELLE BABY ESCORT CHE FA TREMARE LA TORINO PERBENE

“SE VAI CON I RAGAZZINI IL GIORNO DOPO QUELLI TI SPUTANO. SE VAI COI GRANDI PAGANO E SI FANNO I FATTI LORO”.

“HO INIZIATO A 17 ANNI, PER SOLDI. VIVO CON I MIEI NONNI, CHE HANNO UNA PENSIONE MINIMA”

“NEI LOCALI C'ERANO VASCHE IDROMASSAGGIO E SALETTE PER I PRIVÉ. PER OGNI RAPPORTO SI PAGAVA 130 EURO. MA MOLTE RAGAZZE ANDAVANO CON I CLIENTI FUORI: ERA LÌ CHE…"

TRA GLI INDAGATI C’E’ MARIO GINATTA, IL FIGLIO 36ENNE DELL’IMPRENDITORE ROBERTO GINATTA SOCIO DI ANDREA AGNELLI NELLA "INVESTIMENTI INDUSTRIALI". 

GINATTA JR, EX SOCIO DI LAPO ELKANN, ERA GIÀ FINITO NEI GUAI CON LA GIUSTIZIA NEL 2015 PER DETENZIONE ILLEGALE DI ANIMALI ESOTICI: TENEVA DUE CUCCIOLI DI PUMA NEL PARCO DELLA VILLA DI FAMIGLIA...

LE MINORENNI DAL LICEO AI NIGHT "LA VITA È UNA, BISOGNA VIVERLA"
Lodovico Poletto per “la Stampa”


Le ragazze cresciute troppo in fretta avevano gli iPhone 5 quando il 3 ancora era uno status symbol. Avevano il corpo da bambine ma i vestiti attillati, i tacchi alti, le pose da chi la sa lunga. E soldi. Le guardi nelle foto dell' istituto alberghiero e vedi donne già grandi, tra bamboccioni brufolosi.

«La chiamano attrazione fisica perché "ti sbatterei al muro ogni volta che mi guardi anche per sbaglio" era troppo diretto» scrivevano sui social. Le ragazze cresciute in fretta andavano a scuola in città e in provincia: erano in otto. Fotocopie l'una dell'altra. Belle, ma bambine. Finite a fare le ragazze immagine nelle discoteche, scaraventate - consenzienti - nei letti, nei privé e sui sedili posteriori delle Bmw e dei suv di chi pagava: da 100 a 700 euro.


Una parte per loro e una per chi procacciava l'affare. Baby squillo le hanno chiamate nell'inchiesta della Squadra Mobile di Torino. Che racconta storie di due anni fa. Ora sono maggiorenni. Chi all'epoca ha pagato per andare con loro è finito nei guai. Chi organizzava e consentiva il tutto nei locali per scambi di coppie, nei night è in galera. E le ragazze? Sono rimaste le «femme fatale» di allora: un po' più grandi, un po' più accorte, ma senza pentimenti.

Guardi le carte e trovi il solito mondo di certa gioventù bruciata troppo in fretta. Qualcuna aveva un amore nel 2015: «Sei una persona fantastica, e te lo dico con il cuore, sei una di quelle persone che se non c' e ne senti la mancanza» ma chiusa la porta, e spento l'iPhone c'era l'altra vita nei privè. C'era per la ragazza che sognava di diventare chef. E c'era per le sue amiche.

La marocchina, la romena, le altre italiane. «Non sono una brava ragazza, del mondo me ne fotto e la libertà è il mio unico vizio, mi innamoro di chi é come me ma riesce a tenermi testa, dei cattivi ragazzi insomma, quelli che non sono d'accordo con le regole perché la vita è una e bisogna viverla».

C'era quella che ascoltava Justin Biber e metteva i cuoricini e a scuola già l'avevano bollata. Certe voci corrono e quando arrivano i soldi dove prima ce n'erano pochi, si notavano. E sui social qualcuno attaccava: «Mettiti anche nuda se puoi troia già a questa età, sei penosa vai a battere va!!!» Bambine che sognavano il mondo dei ricchi. Come quel'uomo importante figlio di imprenditori che andava con loro e ora il suo nome è sulla bocca di tutti. Rampollo di una famiglia che lavora nel mondo dell' automotive: Mario Ginatta. Il suo avvocato: «Un solo episodio lo riguarda. Staremo a vedere dopo aver consultato le carte». Lo hanno denunciato.

E qualcuno dice che la Torino bene trema. Poi vai a vedere e scopri che nell' elenco c'è poco: un avvocato, pare, un architetto, forse un consulente. Un commerciante. Pagavano per portarle in auto e nei privé. Un po' di sesso e senza sapere - hanno detto - che le ragazze erano minorenni. Che tornate a casa si toglievano il tacco alto, s' infilavano le sneakers e andavano al professionale.

Con gli occhi truccati, le maglie vedo-non vedo, le frasi strong sui social: «Quanto mi piace scopare». Il giro è finito quando è arrivata la polizia. Qualcuno ha parlato. Sono rimaste le macerie di vite in frantumi. O di vite che sono cambiate. Una continua a fare la ragazza immagine. «Ho voglia di altro inchiostro sul mio corpo» si sfoga la modella con il corpo coperto di disegni. «Non me ne parlare» replica la sua amica di night, sempre più nuda sulle immagini sui social. Qualcuna è tornata alla vita normale. Un fidanzato.

Le vacanze in Grecia, i cuoricini i vestiti da ragazzina. Fin troppo banale. Qualcuna è sparita dai radar. ha parlato con la polizia poi ha cancellato tutto. È stata una parentesi di soldi e di vita: «Se vai con i ragazzini il giorno dopo quelli ti sputano. Se vai coi grandi pagano e si fanno i fatti loro» diceva una baby squillo due anni fa a Cuneo. Ecco, anche qui era così.

"COSÌ CI VENDEVANO NEI NIGHT CHI DICEVA NO PERDEVA IL LAVORO"
Estratto dell’articolo di Federica Cravero per “la Repubblica”

[…]
Come si entra nel giro?
«Per soldi. Ma non per le borse o gli abiti firmati. Io vivo con i miei nonni, che hanno una pensione minima. Io lo vedevo che per loro tante volte era un problema anche fare la spesa e volevo contribuire».

Quanti anni aveva?
«Ho iniziato tre anni fa, ne avevo 17 […]».

Non era un problema che lei fosse minorenne?
«Se me lo avessero chiesto, avrei dovuto dire che ero maggiorenne. Ma lui diceva che i titolari non mi avrebbero chiesto i documenti perché si fidavano. E comunque a me mancava solo un mese ai 18 anni. Invece a una ragazza più piccola, di 16 anni, hanno proposto di trattenerle i soldi che le dovevano per procurarle dei documenti falsi».

[…] «una persona mi ha chiesto se volevo lavorare come ragazza immagine in un locale. […] dovevo solo ballare con top e pantaloncini […] vedevo le altre ragazze che si sedevano sulle gambe dei clienti. […] e mi dicevano che ero troppo vestita. Molte di loro facevano uso di droghe, anche pesantemente. […]

[…] Prendevo 200 euro a settimana, […] c'erano vasche idromassaggio e salette per i privé. È stato chiaro che avrei dovuto avere rapporti con i clienti, […] Per ogni rapporto erano 130 euro, ma 30 andavano all' intermediario che mi aveva portato. […] molte ragazze andavano con i clienti fuori: era lì che venivano pagate tantissimo, anche 4 mila euro per un fine settimana in barca a Montecarlo».

Chi erano i clienti?
«C'era di tutto, ma io non andavo con chiunque. Piuttosto non guadagnavo tanto ma non andavo per esempio con quelli di una certa età. Ma ho subito capito che c' era anche un giro di persone importanti che però non passavano dal locale. […] ».

MARIO GINATTAMARIO GINATTA
3 - BABY SQUILLO, INDAGATO IL FIGLIO DEL PATRON DI BLUTEC E SOCIO DI ANDREA AGNELLI. “600 EURO PER UN POMERIGGIO DI SESSO”

Venivano assunte come ragazze immagine nei locali e nei club e poi venivano fatte prostituire. La squadra mobile di Torino ha smantellato un giro di prostituzione di giovani e giovanissime gestito da quattro persone, già note alle forze dell’ordine, che si occupavano di procacciare i clienti. Devono rispondere di sfruttamento della prostituzione, anche minorile.

Nella stessa inchiesta, nome in codice “Tacco 12”, sono indagate altre quattro persone tra cui Mario Ginatta, il figlio 36enne dell’imprenditore Roberto Ginatta, socio di Andrea Agnelli nella Investimenti Industriali e patron della Blutec. Ovvero l’azienda del gruppo piemontese del settore automotive Metec Sola che ha rilevato l’ex impianto Fiat di Termini Imerese ma è in ritardo sull’attuazione del piano di rilancio. Ginatta, ex socio di Lapo Elkann in LA Holding, era già finito nei guai con la giustizia nel 2015 per detenzione illegale di animali esotici: teneva due cuccioli di puma nel parco della villa di famiglia, all’interno della Mandria di Venaria.
roberto ginattaROBERTO GINATTA

Secondo il Corriere della Sera il pm di Torino Fabiola D’Errico accusa ora Ginatta di aver avuto rapporti con squillo minorenni. Il prezzo per un rapporto in un locale “ordinario” era di 100 euro, 250 euro era la tariffa per il “solo guardare”, mentre saliva a 600 euro il costo di un intero pomeriggio di sesso con il giovane imprenditore e altri clienti vip.

Il compito di organizzare gli incontri, da quanto si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, sarebbe stato affidato a Vincenzo Lillo (dipendente di Ginatta e anche lui indagato) che doveva anche curare “gli spostamenti delle minorenni” procurate dall’organizzazione. Lillo, secondo la Procura, aveva il compito di capire e interpretare i “gusti di Ginatta” in fatto di donne. Una terza persona, Ignazio D’Angelo, “eseguiva i trasporti con un taxi”. Il prezzo pagato per la corsa dal centro di Torino a Venaria era di ben 450 euro.

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Ai vertici dell’organizzazione c’era secondo gli inquirenti Enrico Marchesi, detto “The King”, che selezionava le ragazze, quasi tutte tra i 15 e i 17 anni. E’ finito in carcere insieme a Felice Iammola e Angela Tuffariello, gestori di locali, che avrebbero organizzato festini a sfondo sessuale anche in night club frequentati da scambisti.

Ai domiciliari, invece, è finita una quarta persona. Indagati anche i clienti, per ora quattro, che avrebbero fatto sesso a pagamento con le ragazzine, tra cui appunto Ginatta. Nessun dubbio, per i pm, sul fatto che i clienti sapessero che le ragazze non avevano ancora compiuto 18 anni. “I documenti venivano falsificati – ha fatto mettere a verbale un testimone – ma Marchesi sapeva benissimo quanti anni avevano”.

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