9 dicembre forconi: 10/27/16

giovedì 27 ottobre 2016

Italia, la resa dei conti pronta dal 9 dicembre

Fino al referendum del 4 dicembre, Bruxelles non prenderà provvedimenti contro l'Italia. L'8 dicembre, poi, è previsto un board della Bce

State pure tranquilli: fino al 5 dicembre, l'Europa non dirà nulla. Starà lì, rigida e severa come una maestra d'altri tempi, ma non c'è rischio che utilizzi la matita rossa: non può permetterselo. E non tanto perché Renzi pensa di aver stipulato la propria assicurazione sulla vita durante il viaggio negli Usa da Obama, ma per il semplice fatto che l'impalcatura stessa dell'Unione ormai è un fragile insieme di legni marci che sta in piedi soltanto grazie all'immobilità delle istituzioni: alla prima mossa, crolla tutto. 
La notizia davvero importante è arrivata venerdì scorso, quando l'agenzia di rating canadese Dbrs ha confermato l'investment grade al rating per il credito del Portogallo: l'avesse tolto, la Bce non avrebbe più potuto comprare carta di Lisbona e l'accelerazione della fase finale della crisi europea sarebbe stata devastante. Ma anche ieri è arrivato un segnale chiaro dello stato dell'arte del Vecchio Continente: dopo aver fatto la faccia dura per un paio di settimane, il board dei direttori dell'Esm, lo European stability mechanism, ha autorizzato il versamento di 2,8 miliardi al governo greco, fondi che costituiscono la seconda tranche della prima parte del terzo prestito dell'eurozona. «La decisione di oggi è la dimostrazione che il popolo greco sta facendo costanti progressi nel riformare il Paese: il governo ha completato le misure fondamentali nel settore delle pensioni, della governance delle banche, dell'energia e nella raccolta delle imposte», ha commentato il direttore dell'Esm, Klaus Regling. 

Balle, i conti greci sono a pezzi e non passa giorno che le strade di Atene non siano invase di manifestanti: ma basta che le telecamere restino spente e il gioco è fatto. L'esborso di 2,8 miliardi consiste in due tranche: un miliardo è stato approvato in seguito all'attuazione delle 15 misure considerate "pietre miliari" del programma di riforma concordato per ottenere il terzo prestito dai creditori eurozona e sarà usato per pagare gli oneri del debito. Il resto, 1,8 miliardi, può essere sborsato, indica l'Esm, dopo la valutazione positiva della soluzione degli arretrati netti da parte della Grecia. Questa seconda tranche del versamento sarà trasferita in un conto speciale per la regolazione degli arretrati. All'economia ellenica - e quindi ai cittadini - non arriverà niente, è la solita partita di giro: io do i soldi ad Atene, la quale così può ripagarmi di quanto mi deve. Ipocrisia allo stato puro. 
Klaus Regling ha inoltre indicato che ci sono le condizioni per il completamento della seconda verifica del programma di riforme nei tempi previsti: l'Eurogruppo aveva dato l'ok già l'11 ottobre, ma la seconda tranche, 1,7 miliardi, era stata congelata in attesa di verifiche sugli arretrati dello Stato con i privati. E la verifica ha dato esito positivo, guarda caso anche perché, giova ripeterlo, tutti i soldi, come sempre, torneranno a stretto giro di posta ai creditori. Dopo l'esborso di ieri, l'assistenza finanziaria dell'Esm ha raggiunto i 31,7 miliardi su un totale previsto fino a 86 miliardi: a oggi, Esm e Efsf (il primo fondo salva-stati istituito dalla zona euro per i salvataggi dei Paesi) hanno sborsato 173,5 miliardi alla Grecia. 

Ma non essendo veri fondi per il governo, bensì denaro che tornerà a stretto giro di posta a Bruxelles, i guai per Atene non sono affatto finiti: il governo Tsipras, per stare agli impegni, dovrà liberalizzare il mercato del lavoro e rimettere mano a fisco e tasse, come chiede il Fmi, con l'obiettivo di arrivare a un'intesa tra novembre e marzo, per avviare poi i negoziati sul taglio al debito di 320 miliardi. Anche qui, come con il Portogallo, si calcia avanti il barattolo, ma la Grecia è fallita nei fatti: o le si condona la gran parte del debito, dandole la possibilità di ripartire o è inutile prendere in giro la gente. 

E l'Italia? Voci di corridoio dicevano che nella serata di ieri era in partenza una lettera della Commissione in merito alla legge di Bilancio, presentata nove giorni fa ma in maniera assolutamente informale e incompleta. I rappresentanti della Commissione sono già al lavoro nelle stanze del ministero dell'Economia, dove sono arrivati domenica, ma non per spulciare i conti della manovra (ancora sconosciuti a tutti, di fatto) e suggerire aggiustamenti da fare in corsa, bensì nell'ambito di una visita che il governo definisce «di rito» legata agli "squilibri macroeconomici" del nostro Paese. Anche in questo caso, il patto è chiaro: Bruxelles non romperà le uova nel paniere a Renzi prima del 4 dicembre, ma dopo, piaccia o meno, il conto presentato dall'Europa andrà pagato. 

E non pensiate che la questione si limiti al decimale di deficit da tagliare di cui si vocifera in queste ore, ovvero portandolo dal 2,3% al 2,2% o al disavanzo strutturale da ridurre e portare dall'attuale più 0,6% ad almeno a più 0,5%. L'Europa non lo fa perché ama particolarmente Renzi, soprattutto la Germania dopo il blitz al Consiglio europeo contro nuove sanzioni verso la Russia, ma perché sa che in caso di vittoria del "Sì", il premier sarà in grado di reggere una manovra di aggiustamento, magari facendo marcia indietro su alcune scelte messe nella legge di Bilancio: leggi, parte delle mance a pioggia presentate con scopo unicamente elettoralistico. In caso di vittoria dei "No" e crisi di governo, toccherà ai tecnici mettere mano ai conti dello Stato, dando la colpa al predecessore: in ogni caso, Bruxelles avrà vita facile a imporre la sua ricetta. Roba da troika, per capirci. 

La Germania non può infatti permettersi di affrontare le elezioni politiche con Bruxelles che si mostra debole con gli Stati che non rispettano i patti e si caricano di debito, ma per ora nessuno ha interesse a tenere alta la polemica. Di fatto, l'esame vero e proprio dei Documenti programmatici di bilancio avviene entro il 30 novembre: a quel punto, la Commissione potrà decidere, magari non di bocciare ma di esprimere un parere negativo e invitare il governo a rivedere i conti. Il tutto, però, a referendum passato. E, magari, vinto. 
A confermare questo do ut des ci ha pensato lunedì anche il Corriere della Sera, a detta del quale Roma e Bruxelles avrebbero siglato una sorta di accordo per portare a casa il "Sì" al referendum del 4 dicembre. Stando a fonti vicine al dossier, infatti, i tecnici dell'Unione europea aspetteranno il 5 dicembre per esprimere le proprie opinioni sulle leggi di Stabilità, quella italiana inclusa. Prima di allora, insomma, a Roma non arriverà nessuna procedura di infrazione. «In concreto - si leggeva sul Corriere della Sera - una procedura per deficit eccessivo non comporterebbe la rinuncia alla sovranità come accaduto alla Grecia. Parigi, Madrid o Lisbona sono da anni sotto procedura, senza che in superficie ciò trasformi la loro vita politica». 

L'8 dicembre, poi, il Consiglio direttivo della Bce sarà chiamato a decidere come e per quanto continuare gli acquisti di titoli di Stato e questa volta Draghi non potrà prendere altro tempo: Il combinato disposto di referendum, ballottaggio alle presidenziali austriache e scelte della Bce sul Qe non permette alcun tipo di innalzamento della tensione. 

Fino all'8 dicembre sarà tutto conciliabile e gestibile: dopo arriverà il redde rationem

E per noi potrebbe rappresentare davvero un conto molto salato da dover pagare. 

Mercoledì 26 ottobre 2016

Fonte: qui

PUTIN VUOLE PRENDERE ALEPPO PRIMA DELLE ELEZIONI USA

HILLARY, SE ELETTA, PRONTA AD ALZARE LO SCONTRO CON LA RUSSIA: HA LA CIA DALLA SUA PARTE, A PARTIRE DA JAMES CLAPPER 

L’UOMO FORTE DELL’AMBASCIATA USA A ROMA NON E' JOHN PHILLIPS, MA LA SUA VICE KELLY DEGNAN


PUTIN A DRESDA NEL 2006PUTIN A DRESDA NEL 2006
Vladimir Putin vuole conquistare Aleppo prima delle presidenziali americane. 

Sa che Aleppo vuol dire Siria, e Siria vuol dire estendere il potere della Russia nel Mediterraneo. 

Sa anche che può farlo finché alla Casa Bianca c’è Barak Obama: sta chiudendo il mandato e non si mette troppo di traverso.

Ben diversa sarebbe la situazione se vincesse Hillary la corsa presidenziale. 

La Clinton sarebbe pronta ad andare allo scontro con il Cremlino. 

E sa che potrebbe contare sul pieno appoggio dell’intelligence americana.

Hillary Clinton a bocca apertaHILLARY CLINTON A BOCCA APERTA
Indicative, in tal senso, le interviste concesse da James Clapper, direttore del National Intelligence. “Vladimir Putin sta tornando indietro ai tempi degli zar. Vuole la Grande Russia, e che sia trattata come una superpotenza globale”. E di fronte al rischio che Putin possa condizionare, con attacchi cyber, il voto americano ha risposto: “non credo. E comunque se risponderemo lo faremo al momento e nei modi che sceglieremo noi. Non sarò io a scoprire il nostro gioco”.

al smith dinner donald trump hillary clinton 16AL SMITH DINNER DONALD TRUMP HILLARY CLINTON 16
Ma è sulle presidenziali Usa che Clapper ha dato il meglio. “Se Dio vuole fra due settimane sarà finita: Paul Ryan (presidente della Camera dei Rappresentanti di Washington) ci ha chiesto non dire nulla alla Clinton, altri non volevano che parlassimo con Donald Trump”.

Ed ha aggiunto: “Per noi è un dovere istituzionale. Non una legge: una consuetudine consolidata da quando Truman, appena arrivato alla Casa Bianca senza nemmeno sapere cosa fosse il Progetto Manhattan, dovette decidere sull’uso dell’arma nucleare. Non parlo degli incontri coi candidati, non ne sa nulla nemmeno la Casa Bianca. Dico solo che se non credono nel nostro lavoro, è affar loro: noi riferiamo”.
james clapperJAMES CLAPPER

Trump, che in quanto candidato presidenziale ha avuto accesso a vertici top secret dell’intelligence, ha in queste settimane criticato le analisi della Difesa americana, perché troppo contrarie alla Russia. 

Hillary, invece, ha taciuto. Ma anche lei è a conoscenza di tutti i dossier top secret. E se sono vere le posizioni di Trump (la Difesa è troppo anti Mosca), vuol dire che le condivide e le sostiene. Da qui, il link con l’intelligence.
Kelly Degnan vice ambasciatore usa romaKELLY DEGNAN VICE AMBASCIATORE USA ROMA

A proposito di americani, sembra che la figura forte dell’ambasciata Usa non sia John Phillips, ma la sua vice Kelly Degnan. 

INCENDI NELLA BIDONVILLE DI CALAIS, GIÀ 4MILA SGOMBERATI

IL DIRETTORE DELL'UFFICIO PER L'IMMIGRAZIONE DIDIER LESCHI: "SITUAZIONE SERIA E PREOCCUPANTE"

26 Ottobre 2016 - Da “ansa.it”

Contrariamente a quanto annunciato in precedenza dal prefetto di Calais, Fabienne Buccio, lo sgombero della cosiddetta 'Giungla' di Calais non è ancora finito. Dopo gli incendi delle ultime ore, che avevano condotto all'allontanamento di tanti migranti anche per lasciare spazio ai vigili del fuoco, molti di loro stanno progressivamente rientrando nella bidonville: è quanto riferisce un giornalista di BFM-TV presente sul posto. 

Secondo la prefettura, dall'inizio dello sgombero, sono circa 4.000 i migranti trasferiti nei centri di accoglienza e orientamento (Cao) ai quattro angoli della Francia, 1.200 i minori isolati. Ma nella 'Giungla', spiegano i reporter presenti sul posto, ci sono ancora "diverse decine" di esiliati. "Dopo gli incendi, alcuni sono rientrati solo per recuperare i loro effetti personali ma altri intendono restare. Non hanno nessuna intenzione di farsi trasferire nei Cao. Vogliono rimanere nel campo con la speranza di raggiungere la Gran Bretagna". Inoltre, continua un giornalista citando una Ong locale, circa "2.000 migranti" si sarebbero sottratti all'assistenza statale e sarebbero attualmente sparpagliati tra il centro e l'hinterland di Calais. Per intercettarli la polizia francese ha attivato speciali ronde "anti-squatter".
Nella bidonville in smantellamento sono entrati i servizi di ripulitura, per togliere tutto quello che resta di tende, baracche, bivacchi, bagagli e rifiuti, ma nella bidonville già dalla scorsa notte sono divampate più volte le fiamme. Il fuoco ha fatto esplodere almeno due bombole a gas e un siriano è rimasto leggermente ferito al timpano. I primi fuochi sono cominciati in prima serata ma tra mezzanotte e le 3 si sono intensificati. 

GIUNGLA CALAIS 3GIUNGLA CALAIS 3
La situazione sembrava tornata sotto controllo, ma si è fatta acora pericolosa nella tarda mattinata. Le immagini diffuse in diretta dai canali all news francesi sono impressionanti e mostrano fiamme e fumo. Secondo le autorità transalpine gli incendi volontari rientrano nel quadro di una tradizione dei migranti. Il fuoco sarebbe infatti un modo per "dire addio" alle loro capanne. "E' il segno che se ne vogliono andare per davvero", commenta un giornalista sul posto. 

Didier Leschi, direttore generale dell'ufficio francese per l'immigrazione e l'integrazione, intervistato in diretta da BFM-TV ha invece lanciato l'allarme: "Quello che sta succedendo è preoccupante", qualcosa di "molto più serio" di quanto si pensi", ha spiegato aggiungendo che "i pompieri stanno intervenendo per domare il fuoco che può essere pericoloso".

GIUNGLA CALAISGIUNGLA CALAIS
Le operazioni per lo sgombero di quella che da molti è stata definita "vergogna d'Europa" dureranno almeno una settimana e della bidonville non dovrà rimanere nulla. "In totale 4.014 persone sono state 'messe al riparo' in due giorni", ha annunciato ieri sera in un comunicato il ministero dell'Interno transalpino. Una trentina sono arrivati a Marsiglia, nuovo centro d'accoglienza dove non piove come a Calais, ci sono letti e docce. Cinquanta sono sbarcati dal bus in Gironda, la regione di Bordeaux, ed hanno preso posto nei bungalow allestiti attorno al castello di un vecchio liceo.
In genere, sono state facilitate le scelte di gruppi etnici di rimanere insieme, 30 sudanesi sono andati nella Charente-Maritime, nelle Lande oltre 80 etiopi, e così via. Nel comunicato di ieri, gli Interni annunciano anche che 1.000 minorenni senza genitori sono stati messi "in sicurezza", mentre 217 che si trovavano a Calais e per i quali sono stati appurati i legami familiari con persone residenti in Gran Bretagna sono già dal 17 ottobre nel Regno Unito.
Ed è proprio da Londra che arrivano le preoccupazioni più forti in queste ore, con i britannici sempre più convinti che i migranti non rinunceranno mai al loro proposito di recarsi Oltremanica. E' l'opinione del Daily Mail, al quale diversi abitanti della "giungla" hanno detto che avrebbero "moltiplicato gli sforzi per attraversare la Manica con qualsiasi mezzo". "Nonostante tutti gli sforzi delle autorità - commenta il Guardian - non c'è alcuna garanzia che non si formerà un altro campo nella regione".
Intanto, si assottiglia la pattuglia di quelli che dal campo non sono ancora usciti, e fra questi ce ne sono forse un migliaio che vengono considerati "irriducibili" e rifuggono dall'esodo spontaneo. Ieri pomeriggio, una cinquantina di donne hanno manifestato rumorosamente chiedendo di poter "lasciare la giungla" ma per "andare in Inghilterra".
Fino ad ieri la situazione generale si era mantenuta tranquilla, l'arrivo dei temuti "no borders" non c'è stato e tutto si è svolto con ordine. Ma c'è un nocciolo duro che non uscirà volontariamente dalla bidonville.

GIUNGLA CALAISGIUNGLA CALAISGIUNGLA CALAISGIUNGLA CALAIS

OBAMA PINOCCHIO DICE DI NON SAPERE NULLA DI QUELLE MAIL DIETRO PSEUDONIMO INVIATE ALLA CLINTON E FATTE SPARIRE DALL'INCHIESTA DELL'FBI

LA VERITA' E' CHE SE HILLARY VINCE LE ELEZIONI, LO SCANDALO DELLE EMAIL POTREBBE SCOPPIARE UNA SETTIMANA DOPO, VISTO IL TENORE DELLE ULTIME RIVELAZIONI.

IGNORATE DAI MEDIA, CHE PENSANO SOLO A PORNOSTAR PALPEGGIATE

Maria Giovanna Maglie per Dagospia

Mai saputo di quelle mail, dice Obama Pinocchio, e gli cresce il naso, visto che non solo le conosceva, le usava pure, chissà per dirsi che cosa con il suo allora segretario di Stato, a campagna disastrosa della Libia appena finita. Contano solo culi tastati di pornostar suscettibili e di aspiranti Miss Universo che in realtà avevano la vocazione da suora, oppure nella corsa al nuovo presidente americano la plateale bugia del presidente in carica in combutta col candidato democratico, rivelata senza tema di dubbi e smentite a 13 giorni dal voto, può finalmente diventare uno scandalo?

Se non è questa una smoking gun vuol dire che può succedere qualunque cosa, ma forse la verità è che le elezioni del 2016 sono piene di scandali, imbrogli, conflitti di interesse e menzogna, soprattutto menzogne, che gli hackers hanno provveduto a rivelare, chiunque sia il loro datore di lavoro, e che i conti si faranno dopo l'8 novembre, quando sarà tardi.
OBAMA HILLARY 3OBAMA HILLARY 3

Gli articoli che andiamo pubblicando su questo sito da più di un anno sulle elezioni americane la storia l'hanno già annunciata più di una volta, il presidente non solo sapeva ma come testimoniato dietro garanzia di immunità da stretti collaboratori della Clinton come Huma Abedin, usava uno pseudonimo per comunicare con lei; però le ultime mail rivelate da Wikileaks non lasciano spazio a interpretazioni di comodo.

Prendiamo la notizia dal New York Times che si è speso fino alla isteria in favore di Hillary Clinton e contro Donald Trump, arricchendola con un articolo inchiesta di The Wall Street Journal, giornale certamente di proprietà di Rupert Murdoch, che sta con Trump, ma soprattutto giornale della finanza che ha scelto fin dall'inizio la candidata democratica.

Questi democratici si scrivono come dei forsennati e hanno il vizio di parlare fin troppo chiaro di cose fin troppo sporche. 

Nelle mail dei dirigenti che riguardano la Clinton due sono gli elementi dominanti: come favorirla sfacciatamente nella gara interna delle primarie azzoppando Bernie Sanders, e come coprire lo scandalo della corrispondenza durante il periodo da segretario di Stato, illegalmente transitata dai server ufficiali a server privati e non sicuri, poi in parte distrutta in parte con ritardo consegnata alle autorità, infine oggetto di inchieste del Congresso e del Federal Bureau of Investigation.

hillary libia obamaHILLARY LIBIA OBAMA
Durante l'intera indagine Hillary Clinton si è comportata alternando una straordinaria leggerezza a una arrogante sicumera, moltiplicando il non ricordo, non so, credevo di poterlo fare, mentendo sul grado di riservatezza delle mail stornate e poi distrutte, insomma facendo un gigantesco pasticcio certo non degno di un candidato a presidente degli Stati Uniti.

Solo leggerezza e inaffidabilità sia pur gravissime ha infine riscontrato il Federal Bureau of Investigation. Barack Obama, in una intervista alla Cbs News del marzo 2015, quando la vicenda delle mail era stata appena scoperta, a domanda rispose di aver saputo dell'intera faccenda come chiunque altro dai giornali e dalle tv. Non era vero, tanto che gli uomini della candidata democratica si scambiano mail sulla necessità di ripulire il tutto; e viene anche fuori che il numero due dell' FBI, colui che ha condotto l'inchiesta, è stato ricompensato con una importante candidatura a vice governatore della sua signora.
john podesta hillary clintonJOHN PODESTA HILLARY CLINTON

Quelle mail non sono solo piene di giudizi personali anche molto imbarazzanti sui personaggi più in vista del Paese, contengono anche informazioni rilevanti su finanziamenti disinvolti alla Fondazione Clinton e alla campagna della candidata, rivelano una notevole disinvoltura i metodi e mezzi ampiamente utilizzata ai dirigenti del partito dallo staff della candidata, ma soprattutto sono le mail che mancano, come un buco in una trama, a spaventare i protagonisti.

Sono le mail dei giorni della strage di Bengasi in Libia, quando furono ignorate 600 richieste di aiuto dell'ambasciatore Chris Stevens e delle sue guardie del corpo, poi massacrati dai terroristi e trascinati per le vie della città come macabre marionette in trionfo. 

Il segretario di Stato conosceva perfettamente la situazione e sapeva che per mantenere il controllo della zona era necessario inviare truppe dell'Esercito a rinforzo, ma nel settembre del 2012 la rielezione di Barack Obama non era così sicura, e non andava sporcata l'immagine fasulla del trionfo in Libia.

Che cosa sapeva Barack Obama? 

Intanto sapeva dell'esistenza del server privato e ha mentito spudoratamente. 

Il giornalista della CBS, Bill Plante, che gli faceva la domanda rispose: “La politica della mia Amministrazione è incoraggiare la trasparenza, ed è per questo che le mie mail nel Blackberry che mi porto dietro sono tutte disponibili e archiviate”.
hillary clinton chief of staff john podestaHILLARY CLINTON CHIEF OF STAFF JOHN PODESTA

Più che archiviate le mail tra Obama e la Clinton sono nascoste. Il Dipartimento di Stato citando i privilegi di comunicazione del presidente si è rifiutato di consegnarle. Scrive Cherry Mills, un top aide, a John Podesta, manager capo della campagna Clinton, e vecchio collaboratore di famiglia: "dobbiamo assolutamente ripulire le lettere che ha scritto Obama non sono lettere fra Stato e Governo”.

In un'altra mail Podestà dice a Mills: “dobbiamo mettere da parte le mail al e dal Presidente? E’ il cuore dei suoi privilegi esecutivi, ma si potrebbe arrivare al punto che le chiedano, potrebbero non preoccuparsene ma potrebbero anche farlo”. La risposta di Mills non c’è.

Finora l'unica reazione della Casa Bianca sono alcune frasi stizzite del portavoce su un tentativo insensato di tirare in una polemica il presidente. Certo è che per sciogliere qualsiasi nodo sarebbe sufficiente che il Dipartimento di Stato rivelasse che cosa si sono detti il presidente, la Clinton, e suoi collaboratori. Certo se il FBI si fosse comportato così con Richard Nixon, non ci sarebbe stato alcun Watergate né dimissioni presidenziali ma in questo caso il Federal Bureau of Investigation aveva degli interessi del genere tengo famiglia a giustificare il double standard platealmente utilizzato.

Lo scrive il Wall Street Journal che decreta che Hillary Clinton potrà anche vincere le elezioni nel giro di due settimane ma il modo in cui avrà vinto la perseguiterà alla Casa Bianca, perché sempre più emergono prove che l'inchiesta dell' FBI sulle sue mail sia stata influenzata da un comportamento scorretto e da favoritismi politici.

hillary clinton e bernie sandersHILLARY CLINTON E BERNIE SANDERS
Succede che il governatore della Virginia Terry McAuliffe, vecchio amico di Hillary e Bill, ha messo un sacco di soldi nella campagna della moglie del numero 2 dell' FBI, Andrew Mc Cabe, per l'esattezza 675000 dollari, un terzo di quanto ha speso in tutto la signora Jill per una campagna di elezione del 2015 al Senato; è andata male, ha vinto il repubblicano, ma certo il finanziamento è arrivato due mesi dopo che il marito aveva preso in mano l'inchiesta sulle mail.

Non che la gente avesse mai pensato a un'inchiesta pulita; venerdì scorso Rasmussen report ha fatto proprio su questo un sondaggio la cui risposta è che il 39% dei probabili elettori era d'accordo con la decisione del Fbi di non incriminare Hillary Clinton ma il 53% no. Conta qualcosa tutto ciò? Probabilmente no, il cattivo è Trump, che attraversa imperversando lo Stato chiave della Florida.

HILLARY CLINTON SERVER EMAILHILLARY CLINTON SERVER EMAIL
La media dei sondaggi di Realclearpolitics oggi dà la Clinton al 45,1 e Trump al 40, 4, una differenza di 4, 7, con il libertario Johnson al 5,8 e la verde Stein al 2 . Non c'è grande omogeneità nei sondaggi: per Rasmussen c'è solo 1 punto di differenza, per la Reuters 4,per CNN 5, per ABC News 9.

Fonte: qui