LA RABBIA DEGLI OCCUPANTI: PIETRE CONTRO I VIGILI E AGENTI FERITI
BORSE LOUIS VUITTON E AUTO DI LUSSO, ECCO COME SI VIVEVA ALL’INTERNO DEL CAMPO ROM PIÙ GRANDE DI ROMA
ROM, LO STRAPPO DI SALVINI HA IL VIA LIBERA DALL' EUROPA
Lorenzo De Cicco per “il Messaggero”
Le famose ruspe in realtà arriveranno solo oggi, per sbaraccare i container di cartonato e metallo, ma già ieri, prima di mezzogiorno, Matteo Salvini ha potuto cinguettare su Twitter: «Legalità, ordine e rispetto prima di tutto».
Duecento uomini della Municipale, affiancati da poliziotti e carabinieri arrivati con camionette e blindati in questa stradina di Roma Nord, via della Tenuta Piccirilli, avevano appena portato a termine lo sgombero del Camping River, il più grande insediamento abusivo della Capitale.
E in serata il numero uno del Viminale ha potuto festeggiare doppio, perché anche la Corte europea dei diritti dell' uomo, che martedì aveva sospeso lo sfratto su ricorso di tre occupanti, ha dato il suo avallo all' operazione.
IL VERDETTO DELLE TOGHE
Le toghe di Strasburgo hanno spiegato che la decisione di ieri è «frutto delle informazioni ricevute dal governo e dal legale dei tre ricorrenti circa l' offerta di alloggio presso le strutture della Croce Rossa, offerta che è stata accettata».
Va detto che la stessa Corte ha precisato all' Ansa che il caso resta aperto perché «non si può escludere che i tre nomadi possano proseguire la loro azione legale e chiedere di condannare l' Italia».
Ma è una postilla che sull' asse Viminale-Campidoglio non ha destato particolare preoccupazione. Del resto il blitz di ieri mattina è scattato prima che i giudici ritirassero la sospensiva, motivato dal rischio di una «emergenza igienico-sanitaria».
Anche la sindaca Virginia Raggi, che l' altro ieri ha incontrato Salvini al Viminale per mettere a punto l' operazione, ha cantato vittoria: «La Corte Europea ci dà ragione, lo sgombero al River è corretto».
La «terza via» del M5S, dice Raggi, «è quella giusta per superare i campi rom».
E l' altro vicepremier, il leader grillino Luigi Di Maio le fa eco parlando di «uno sgombero pacifico e legittimo».
L' AGGUATO SOTTO LA PIOGGIA
Pacifico, in effetti, lo sfratto è sembrato fino a sera. Poi quando le luci si sono smorzate e sulla Città eterna ha cominciato a piovere, è montata la rabbia degli sgomberati. Un gruppo di romeni e bosniaci che si era accampato fuori dal River ha preso a scagliare pietre contro i vigili rimasti di guardia all' ingresso. Il cancello, serrato con un lucchetto, è stato divelto e buttato giù.
Un agente della Polizia locale è stato ferito in pieno volto e trasportato in ospedale con l' ambulanza. Un rigurgito rissoso che ha convinto il Campidoglio ha sposare la linea dura. Come a dire: ora serve la forza.
«I violenti devono essere allontanati», ha detto ieri notte il comandante della Polizia locale, Antonio Di Maggio, esprimendo solidarietà all' agente colpito. Dopo l' agguato è intervenuta la Polizia, che ha ricacciato fuori gli occupanti e tutti i presidi intorno alla baraccopoli sono stati rafforzati.
RISPUNTA LA TENDOPOLI
La tensione resta alta in questo spicchio di Roma e non solo. Perché i rom allontanati dal River sono 220 e meno di 50 finora hanno trovato una sistemazione, sparpagliati in qualche casa famiglia gestita dal Comune, oppure spediti in una tendopoli a via Ramazzini, Monteverde, una zona molto più centrale della città.
Una struttura gestita dalla Croce Rossa che il Campidoglio ha riaperto lunedì ufficialmente per l'«emergenza caldo» e che ora rischia di diventare la tappa finale degli sgomberati, un nuovo accampamento a due passi da un ospedale, il Forlanini, mal tollerato dai residenti che già l' anno scorso avevano protestato per la presenza dei migranti che qui erano stati alloggiati.
Il Comune rassicura: «Sarà una soluzione provvisoria». Chi abita da queste parti si fida poco. E forse ripensa a Flaiano, quando diceva: nulla è più definitivo del provvisorio.
PISTOLE FINTE, MACCHINE DI LUSSO E REFURTIVA NELLE ROULOTTE SCASSATE GLI UFFICI DEI CAPI CLAN
Lorenzo De Cicco per “il Messaggero”
«Bum... ora bruciamo tutto», si sentono dire gli agenti della Municipale quando alle 7.28 di mattina fanno irruzione tra le baracche del River, il villaggione che sbuca sulla Tiberina, dopo una successione di vivai tutti uguali, pompe di benzina, un magazzino di lapidi all' aperto, neanche un bar nel raggio di chilometri.
Undicimila metri quadri, forse qualcosa di più, a Nord di Roma. Ma alla fine non brucia niente. Spunta una pistola, durante lo sgombero, ma è finta, di quelle che si usano per gioco o per le rapine. Gli schiamazzi ci sono, durante il trasloco forzato, gli spintoni pure. Ma niente di più. Almeno fino a sera.
«Hanno usato gli spray al peperoncino», dice una signora, borsa Louis Vuitton in un braccio e bimba nell' altro, ma neanche una delle cento dirette Facebook che gli occupanti riversano sui social lo dimostra. E anche il capo dei vigili lo dice: «Ma quale spray, non abbiamo usato niente se non le parole per convincerli ad andare via».
Alla fine, in tre ore, escono tutti.
La resa e il trasloco. E per portare via valigie, poltrone, passeggini, fornelli, tra i container si assiste a una sfilata di auto di gran marca: Bmw, Mercedes, Audi. Manca solo la Porsche che si è vista l' altro giorno, per chi si era portato avanti con gli scatoloni. Alle undici il River è liberato.
DA BOSNIA E ROMANIA
Finisce così la storia di quello che era diventato il più grande campo abusivo di Roma. I primi rom, della Bosnia e della Romania, erano arrivati nel 2005, col placet del Campidoglio.
Tutti gli altri traslocano quattro anni dopo, nel 2009, quando viene smantellato il Casilino 900, fino a quel momento il villaggio nomadi più popoloso d' Europa. Le due comunità, quella di chi veniva da Bucarest e dintorni e quella degli ex jugoslavi, riescono a trovare un equilibrio per convivere senza gli sgarri che altri accampamenti hanno conosciuto, con tanto di coltellate e sparatorie tra le roulotte.
Un equilibrio, quello del River, che secondo gli investigatori si è innestato anche sul giro di affari sporchi dei vari clan famigliari.
Furti, fenomeni di spaccio, traffico e incendio di rifiuti.
Come sa bene chi abita da queste parti e che ieri, a ragione, festeggiava per lo sgombero annunciato mille volte e ora finalmente portato a dama. Una festa a bassa voce, però, col timore che nei prossimi giorni possano esserci ritorsioni.
UN ROM SU DIECI
Al River vivevano in 420, praticamente un rom su dieci di quelli alloggiati nelle grandi baraccopoli della Capitale. Negli ultimi giorni, quando lo sfratto è diventato imminente dopo una batteria di annunci, ritardi e rinvii, metà degli occupanti aveva già levato le tende.
Erano rimasti in 220 ieri mattina, quando è scattato il blitz. Il Campidoglio del resto era stato chiaro: toccava partire da qui. Nel piano originario del M5S, in realtà, i primi due insediamenti da smobilitare erano quelli della Monachina (115 residenti) e della Barbuta (586 abitanti).
Ma un pasticcio della burocrazia - una vecchia proroga non più rinnovabile - ha cambiato i piani di Raggi. La prima deadline per la chiusura era fissata per luglio del 2017, poi settembre, poi la settimana scorsa. E si arriva all' ultimatum di pochi giorni fa, con l' ordinanza di sgombero firmata dalla sindaca, poi congelata dalla Corte di Strasburgo.
Ma con i casotti sfasciati, senza servizi, il River per l' amministrazione era diventato ormai una bomba sanitaria, si rischiava un' epidemia. Tutti fuori, quindi.
Sgasando in supercar.
Fonte: qui