9 dicembre forconi: 05/06/18

domenica 6 maggio 2018

SIETE SICURI DI AVERE DAVVERO LA CASA PULITA?

GUARDATEVI DALLA SPUGNETTA PER LAVARE I PIATTI E CAMBIATE SPESSO GLI ASCIUGAMANI DEL BAGNO 

LE LENZUOLA VANNO SOSTITUITE ALMENO UNA VOLTA A SETTIMANA 

LA TASTIERA DEL COMPUTER È SPESSO PIÙ SPORCO DELL'ASSE DEL WC E ANDREBBE QUINDI PULITA ALMENO OGNI DUE GIORNI…

Simona Marchetti per www.corriere.it

LA SPUGNA DEI PIATTI
LA SPUGNA DEI PIATTILA SPUGNA DEI PIATTI
È stato calcolato che ci siano all'incirca 7.000 specie diverse di batteri che girano per casa, quindi è bene tenere i livelli di microbi sotto controllo. Il modo migliore per farlo è pulire regolarmente gli oggetti con cui si viene a contatto più spesso e se alcuni necessitano di una passata giornaliera, altri hanno bisogno di essere disinfettati ogni settimana o mese, come pure di essere sostituiti in toto. E la spugna dei piatti rientra in quest'ultimo gruppo, perché l'ambiente umido e caldo la rende il terreno più adatto per la proliferazione dei batteri: da qui il consiglio dei microbiologi di cambiarla ogni settimana, mentre la soluzione di metterla nel microonde o di bollirla non è efficace come metodo di sterilizzazione, perché così facendo si uccide solo il 60% dei germi.

LO SMARTPHONE
SMARTPHONESMARTPHONE
Seguendoci in ogni momento (a volte persino in bagno), non stupisce che lo smartphone possa presentare tracce di E.coli e streptococco, diventando così più sporco dell'asse del wc. Ecco perché Philip Tierno, microbiologo e patologo alla New York University School of Medicine, suggerisce di dargli una pulita alla fine dei ogni giornata, usando un panno umido o un panno in microfibra. E se si vuole aumentare la forza disinfettante, si può ricorrere ad una soluzione di acqua e aceto.

LE LENZUOLA
A letto si passa circa un terzo della vita e fra cellule epiteliali, creme, polvere e oli, per non parlare di eventuali residui di cibo, le lenzuola danno ospitalità ad una colonia microbica che aumenta ogni notte. Non a caso sempre Tierno suggerisce di cambiare la biancheria da letto almeno una volta alla settimana, per tenere sotto controllo i germi.

IL WC
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l'asse del wc è una delle cose meno sporche con le quali si viene in contatto. Il che però non significa che non si debba pulire regolarmente, ovvero una volta alla settimana. Altro suggerimento importante è di chiudere il coperchio quando si attiva lo sciacquone, per evitare che le spore si sollevino nell'aria.
LENZUOLALENZUOLA

IL BAGNO
Oltre all'asse del wc, una volta alla settimana è bene pulire anche il resto del bagno, ricordandosi anche le pareti della doccia e della vasca.

LA TENDA DELLA DOCCIA
Uno studio del 2004 sosteneva che la tenda plastificata della doccia potesse essere pericolosamente patogena per le persone con un sistema immunitario già compromesso. Ecco perché viene suggerito di lavarla in lavatrice ogni una o due settimane per eliminare i residui di bagnoschiuma e shampoo e di lasciarla poi asciugare all'aria aperta.

GLI ASCIUGAMANI DI SPUGNA
TENDA DELLA DOCCIATENDA DELLA DOCCIA
Il problema con gli asciugamani è che spesso non vengono fatti asciugare completamente prima di essere riutilizzati, il che li rende terreno fertile per i batteri. «Ogni tre utilizzi vanno lavati, a maggior ragione se hanno odori di qualunque tipo», avverte ancora il dottor Tierno.

GLI STROFINACCI DELLA CUCINA
Come per gli asciugamani di spugna, anche gli strofinacci della cucina vanno cambiati regolarmente: l'ideale sarebbe ogni paio di giorni, per evitare le spore potenzialmente pericolose di E.Coli.

IL LAVELLO
Dopo le spugne dei piatti, il lavello è il secondo posto della cucina con la più elevata concentrazione di germi. Non stupisce dunque che venga consigliato di disinfettarlo una o due volte a settimana (ma nel caso in cui lo si sia usato per la carne cruda va lavato immediatamente), usando un detersivo disinfettante o una soluzione di acqua e candeggina, risciacquando poi abbondantemente.
ASCIUGAMANIASCIUGAMANI

I JEANS
Sebbene alcune case produttrici sostengano il contrario, i jeans hanno bisogno di essere lavati con l'acqua per eliminare i cattivi odori. In altre parole, il trucchetto di metterli in freezer non serve a nulla, perché i batteri continuano a vivere lo stesso, visto che nel congelatore non fa abbastanza freddo. Non a caso, il microbiologo Steven Craig Cary consiglia di lavarli in lavatrice ogni 4-6 giorni di utilizzo.

IL FRIGORIFERO
Ogni tre o quattro mesi il frigorifero va scollegato e pulito, lavando ripiani e cassetti con acqua calda saponata: questo permetterà all'elettrodomestico di rimanere non solo privo di microbi ma anche in perfetta efficienza

IL PAVIMENTO
LAVELLOLAVELLO
A seconda di quanto affollata sia la casa, è bene spolverare e spazzare i pavimenti delle stanze una o due volte alla settimana, «ma quello della cucina andrebbe pulito più spesso, perché lì le briciole e i residui di cibo sono più numerosi», rileva il microbiologo Jason Tetro.

IL CANE
Gli esperti raccomandano di fare il bagnetto al cane almeno una volta al mese (ma non più di una volta a settimana, avverte Cesar Millan) e per svolgere egregiamente il lavoro, senza creare problemi al cucciolo, vanno bene sia lo shampoo per cani che un prodotto per bambini.

I TAPPETI
I tappeti andrebbero generalmente aspirati almeno una volta a settimana, «ma se in casa ci sono animali domestici o i tappeti sono in aree ad alto passaggio, sarebbe opportuno usare l'aspirapolvere più spesso», suggerisce ancora il dottor Tetro.

LA TASTIERA DEL COMPUTER
Come ha scoperto uno studio australiano, la tastiera del computer è un altro oggetto domestico che è spesso più sporco dell'asse del wc e che andrebbe quindi pulita almeno ogni paio di giorni. E oltre ad essa, analoga sorte dovrebbe toccare al mouse e al monitor, come pure alla scrivania.

LE MANIGLIE
TASTIERA DEL COMPUTERTASTIERA DEL COMPUTER
Le maniglie delle porte possono facilmente velocizzare la trasmissione dei batteri, perché vengono toccate ripetutamente e da più persone. Ecco perché sarebbe opportuno pulirle ogni settimana (al massimo ogni due), ma se in casa c'è qualcuno malato, andrebbero pulite più frequentemente.

IL VISO
Quando si tratta di detergere il corpo, è meglio non essere troppo aggressivi, per evitare che i lipidi protettivi naturalmente presenti sulla pelle vengano lavati via insieme alla sporcizia. Non a caso il dermatologo Terrence Keaney raccomanda di non lavare il viso più di due volte al giorno e di andarci piano anche con lo scrub.

LE MANI
Secondo i medici, lavarsi frequentemente le mani è il modo migliore per non ammalarsi e visto che con le mani facciamo tutto, è un consiglio che vale davvero la pena di seguire.

Fonte: qui

PUBBLICATE LE SPESE DELL’EX BANCHIERE ROTSCHILD PER DIVENTARE PRESIDENTE: L’ELISEO È COSTATO 17 MILIONI DI EURO, 30MILA SOLO PER TRUCCO ...


DAL COACH VOCALE ALLE CARAMELLE, ECCO COME HA FATTO MACRON A VINCERE LE ELEZIONI UN ANNO FA...

Francesca Pierantozzi per il Messaggero

macron truccoMACRON TRUCCO
Vincere la corsa per l' Eliseo è costato a Emmanuel Macron quasi 17 milioni di euro, incluso il conto del barbiere. Le spese sono state verificate e approvate dalla Commissione per i conti di campagna e i finanziamenti pubblici, a un anno dal secondo turno delle presidenziali: su 16.698.320 euro di fatture presentate da Macron (il più spendaccione dei candidati) solo 119.539 euro (lo 0,72 per cento) non sono stati approvati dalla Commissione.

TRASPARENZA
Niente per En marche, il partito del presidente, che ha salutato la campagna elettorale più trasparente di sempre, e sottolineato come i conti dell' estrema destra di Marine Le Pen e dell' estrema sinistra di Jean-Luc Mélénchon siano risultati molto meno corretti: 874mila euro per Le Pen e 435 mila per Mélenchon sono stati infatti giudicati non legittimi.

macron village peopleMACRON VILLAGE PEOPLE
Spulciando tra le migliaia di fatture e donazioni del candidato diventato presidente, il quotidiano le Monde ha però rilevato alcuni modi di fare che suscitano qualche dubbio, in particolare i numerosi sconti di cui avrebbe beneficiato Macron (per esempio nell' organizzazione dei meeting).

I dossier della Commissione rivelano che per sedurre piccoli e grandi donatori, l' equipe di Macron ha rubato idee sia a Obama (il metodo nudge per influenzare le scelte) sia a Trump (i più prosaici versamenti tramite Sms). Secondo il quotidiano francese, meriterebbero anche approfondimento ma la Commissione non si è mostrata d' accordo gli aiutini organizzativi (non contabilizzati) arrivati dal municipio di Lione e dall' ex sindaco Gerard Collomb, oggi ministro dell' Interno.
macron ceroneMACRON CERONE

CURIOSITÀ
Dalle fatture di Macron spuntano però anche diverse curiosità: per esempio l' importanza delle caramelle. Soltanto per sostenere la distribuzione di volantini a Tolosa sono stati necessari 17,8 chili di fragoline Haribo Tagada.
brigitte macronBRIGITTE MACRON

Impegnativa anche la nota spese per trucco e messa in piega: 29.042 euro per trentacinque acconciature e incipriature. La Commissione ha sospettato che la cosa potesse finire sotto la voce spese personali (non attribuibile a un candidato) ma alla fine l' équipe di campagna di Macron l' ha avuta vinta. A suo tempo Sarkozy aveva dichiarato addirittura 34 mila di spese per la sua mise en beauté: la Commissione gliene aveva riconosciuti 11 mila.

AIUTINI
brigitte con emmanuel macronBRIGITTE CON EMMANUEL MACRON
Di sicuro Macron è rimasto soddisfatto del look, visto che ha assunto all' Eliseo (come responsabile eventi) il direttore della società che gestiva la sua immagine. Non sono invece stati catalogati come spese elettorali i compensi a Jean-Philippe Lafont, cantante lirico e allenatore vocale, che per un totale di 7mila euro ha insegnato al candidato a non sgolarsi durante i meeting.

Macron aveva deciso di chiedere aiuto a un professionista dopo un famoso comizio del dicembre 2016 in cui per gridare più volte è il nostro progetto! era finito totalmente senza voce sul palco.

macron sulla copertina di garconMACRON SULLA COPERTINA DI GARCON
I conti della campagna presidenziale rivelano anche che Macron meditava da lungo tempo di conquistare l' Eliseo, già da quando, ancora ministro dell' Economia, negava al suo presidente Hollande qualsiasi intenzione di prendere il suo posto. Già nel maggio 2016 (sei mesi prima della candidatura) aveva commissionato sondaggi: suggerivano a Macron di non presentarsi assolutamente alle primarie socialiste, che Hollande fosse o meno presente ( Hollande non ci sarà).

Il presidente fuori dai partiti ascoltò il consiglio. E se oggi Macron resta né di destra né di sinistra i nuovi sondaggi indicano che è comunque un po' più di destra. L' ultimo barometro realizzato da Elabe per Les Echos indica un aumento di popolarità di due punti: il 41 % dei francesi gli dà fiducia, nonostante gli scioperi dei ferrovieri e le manifestazioni contro le sue riforme. Per la prima volta, però, il presidente ha la maggioranza a destra: il 51% dei conservatori dichiara un' opinione favorevole. In un anno Macron ha perso 4 punti di gradimento. Nello stesso periodo, Hollande ne aveva persi 28. Fonte: qui

Il pollo allo spiedo

Prima cucinato da Salvini, poi caduto nel trappolone del Pd. Ora Di Maio si dispera
Prima, come un pollo, si è fatto cucinare a fuoco lento da Matteo Salvini che, ovviamente, non ha mai avuto intenzione di andare a fare la sua stampella mollando il centrodestra.

Poi è caduto mani e piedi nel trappolone che gli ha teso il Pd, abboccando come un pesce all'amo teso di un possibile «contratto di governo». E ora, rimasto a bocca asciutta, piange e si dispera come un bambino a cui i genitori, secondo lui cattivi, hanno tolto di mano il giocattolo. Questo è Luigi Di Maio, il grande sconfitto del dopo elezioni. Sono bastati sessanta giorni per misurarne le capacità e il risultato è un disastro.
In queste ore di disperazione per aver perso Palazzo Chigi, Di Maio parla di «traditori» e di «complotto», riferendosi alla legge elettorale e ai mancati accordi a destra e sinistra. È vero che la legge elettorale è una schifezza, ma è la stessa per tutti e non è piovuta in busta chiusa da Marte, bensì è stata (purtroppo) approvata dal Parlamento, che è luogo poco frequentabile per tanti versi, ma comunque di democrazia. In quanto alle mancate alleanze, non si capisce dove starebbe il «tradimento». Semmai Salvini e Renzi sono stati più furbi di lui: non ci vuole molto, ma è altra cosa.
Del resto, per vincere la sua scommessa, a Di Maio sarebbe bastato non mettere veti in casa d'altri e cestinare la buffonata del «contratto». I «contratti» si stipulano tra privati, in politica esistono alleanze politiche e programmatiche tra pari che presumono un accordo e la divisione, proporzionale alla forza di ognuno, di oneri e onori (questi ultimi intesi come poltrone, seggiole e sgabelli).
Di Maio voleva la botte piena e la moglie ubriaca, situazione interessante ma irrealizzabile. Ha preso il gol decisivo, dal Pd, allo scadere e ora, manco fosse Buffon, dice che gli avversari non hanno cuore e che la partita va rigiocata. O si torna a votare subito - come e quando lo decide lui - o porta via il pallone. È proprio vero che i fessi sono tali perché non fanno tesoro delle esperienze. Di Maio è stato sì tradito, ma solo dalla sua arroganza e dalla sua inesperienza. Anche perché nessuno, ma proprio nessuno, gli ha mai giurato fedeltà.
Fonte: qui

Dieci ragioni per non consegnarsi a Di Maio

Di Maio ha dato prova dei suoi grandi limiti. Dai rapporti internazionali all’economia, ecco i pericoli di un governo M5S
Da oltre due mesi il capo politico dei Cinque stelle Luigi Di Maio cerca di mettere le mani sul joystick del potere, cercando un partner debole che gli possa garantire il governo dell’Italia, senza relegarlo in una posizione di secondo piano.
Palazzo Chigi, però, non è un videogioco ed è lunga la lista di ombre e pericoli che stanno dietro a questa scommessa. La transizione da forza anti-sistema e forza di governo non è un’impresa facile. Non lo è neppure per Luigi Di Maio che da sempre cerca di incarnare l’anima presentabile e istituzionale del Movimento Cinque stelle. E così l’azzardo pentastellato si traduce in una sorta di sport estremo che rischia di proiettare a livello nazionale i fallimenti già sperimentati in alcune grandi città. L’inesperienza, la carenza di classe dirigente, le ombre nel rapporto con la Piattaforma Rousseau, la nebbia che avvolge la politica estera, ma soprattutto il messaggio e l’enorme potenziale di rischio contenuto nel reddito di cittadinanza sono solo alcuni dei punti deboli di una avventura che si annuncia decisamente pericolosa.

1. L’insulto dietro il (finto) dialogo

Non è facile parlare alla testa dopo aver costruito un movimento politico solleticando soprattutto la pancia dell’elettorato. E così dopo aver fatto dell’insulto la cifra comunicativa del Movimento Cinquestelle, Luigi Di Maio si trova a dover compiere l’acrobazia più spericolata: costruire un dialogo con gli storici bersagli suoi e dei suoi colleghi. Al netto dell’odio e del turpiloquio verso Renzi e Berlusconi nell’ottobre del 2017, il blog M5s definiva Salvini «un traditore che fa più schifo di Renzi e Berlusconi messi insieme».

2. Classe dirigente? Inesistente

Non è facile per un partito anti-sistema individuare una classe dirigente all’altezza. I Cinquestelle sono in grado di governare un Paese complesso e difficile come l’Italia? Sono disponibili a mobilitare reali eccellenze oppure sono prigionieri della propria ideologia, dell’ «uno vale uno» e del mito della purezza del militante a Cinquestelle? Finora le prove di governo locale dei grillini hanno fornito segnali tutt’altro che positivi. È chiaro che la proiezione nazionale di quelle esperienze avrebbe effetti potenzialmente devastanti.

3. Inesperto per fare il premier

Giustificare gli errori come frutto di inesperienza, ingenuità e poca familiarità con istituzioni e «potere» può essere una scorciatoia vagamente tollerabile quando si governa un Comune (anche se questo va comunque a danno dei cittadini). Ma il governo di un Paese da 60 milioni di abitanti dovrebbe essere un traguardo raggiungibile soltanto dopo un percorso graduale in cui mettere e frutto competenze provenienti anche dalla propria storia professionale. A meno di non voler elevare l’inesperienza a manifesto politico.

4. Il grande flop nei Comuni

Ci sono molti cittadini che stanno vivendo in prima persona la trasformazione del Movimento Cinquestelle da forza antisistema in forza di governo. Sono gli abitanti di Roma, Torino e Livorno. E non sembra un caso che l’onda gialla delle ultime Politiche si sia infranta proprio in alcune di queste città. A Torino dove governa Chiara Appendino in due anni i pentastellati perdono cinque punti rispetto alle amministrative del 2016. A Roma il calo è attorno al 4% (e nel Lazio una candidata forte come Roberta Lombardi si è piazzata al terzo posto)

5. Ue, pro o contro a giorni alterni

Non è facile tracciare un quadro organico di quella che sarà la politica estera del Movimento una volta al governo. In campagna elettorale il programmma è stato rivoluzionato. Niente più accenti filorussi o filo-Hamas. Piuttosto una rassicurante linea atlantica ed europeista. «L’Ue non è un tema di politica estera, ma la casa naturale del nostro Paese. E anche del Movimento 5 stelle». Parola di Luigi Di Maio. Smentito da Beppe Grillo pochi giorni fa: «Ho proposto un referendum per la zona Euro. Voglio che il popolo si esprima».

6. Calpesta la volontà popolare

C’è una verità, un dato che spesso in alcune analisi politiche o nelle dichiarazioni dei leader pentastellati sparisce quasi magicamente. Il risultato delle elezioni dello scorso 4 marzo dice una cosa molto semplice: le elezioni le ha vinte il centrodestra con il 37% dei voti e il 42% dei seggi. Dividere o scomporre il centrodestra non va contro i singoli leader del centrodestra, ma rappresenta semplicemente un sovvertimento della volontà popolare. Tanto più alla luce delle Regionali in Molise e Friuli (vinte anche queste dal centrodestra unito).

7. Questo o quel Matteo pari sono

«Indifferentemente» non è solo una canzone della tradizione napoletana più recente. È anche un avverbio che dipinge l’approccio avuto da Luigi Di Maio verso i possibili partner di governo. In una estremizzazione della politica dei due forni abbiamo assistito alla prima trattativa basata su una sorta di contratto politico «universale», potabile sia per Matteo Salvini che per Matteo Renzi, almeno nell’ottica grillina. Una disinvoltura che finora non ha prodotto il «pane» sperato, ma solo fumate nere.

8. Il legame con la Casaleggio

Uno dei nodi più intricati di un Movimento Cinquestelle di governo risiede sicuramente nel groviglio di relazioni con la Casaleggio Associati e la Piattaforma Rousseau. Votazioni e comunicazioni ufficiali del Movimento avvengono tramite la Piattaforma Rousseau, controllata dall’Associazione Rousseau. La piattaforma è parte integrante del Movimento, in un certo senso è il Movimento (e ad essa i 338 parlamentari eletti versano 300 euro al mese). Una situazione anomala su cui da sempre si invoca chiarezza e trasparenza

9. Quell’istigazione a non lavorare

La proposta-bandiera, l’idea simbolo del Movimento Cinquestelle è indubbiamente il reddito di cittadinanza. Al netto dell’individuazione delle (impossibili) coperture, il rischio è quello di creare uno schema che spinge gli individui a non lavorare. La domanda che sorge naturale è: perché sforzarsi di cercare un’occupazione se puoi incassare 780 euro al mese magari aggiungendo qualche lavoro in nero? Oppure: se guadagni una cifra di poco superiore chi te lo fa fare di faticare e non posizionarti in una zona «grigia»?

10. Mette in pericolo i conti pubblici

Realizzare il reddito di cittadinanza, abbassando le tasse e diminuendo al contempo il debito pubblico. È questo il mix decisamente estremo di promesse messe in campo dal Movimento Cinquestelle. Uscendo dalle suggestioni propagandistiche è chiaro che se davvero le proposte pentastellate venissero realizzate - due economisti come Massimo Baldini e Francesco Daveri hanno fatto notare su «Lavoce.info» come il reddito di cittadinanza non costerebbe 15 miliardi ma 29 - l’esplosione dei nostri conti pubblici sarebbe una granitica certezza.
Fonte: qui

Distruzione sociale attraverso l'abuso del denaro fiat


Una delle storie più conosciute a New York è il divorzio dei Macklowe. Harry, il marito, ha avuto un'amante francese per due anni prima di chiedere il divorzio alla moglie di 58 anni. Fin qui si tratterebbe solo di una divisione coniugale, ma ciò che l'ha resa oggetto di pettegolezzi è lo stile di vita dei Macklowe, il fango che si tirano addosso e le aspettative della moglie che chiede un miliardo o giù di lì per mantenere il proprio stile di vita.
Ecco che una delle coppie più ricche di New York lava i propri panni in pubblico, ed è emerso che Harry non ha pagato le tasse dal 1983. L'avvocato di Harry ha dichiarato apertamente in tribunale che "le persone nel settore immobiliare non pagano le tasse", facendo eco alla citazione di Leona Hemsley emersa durante il suo processo trent'anni fa, quando la regina dei media disse: "Noi non paghiamo le tasse, solo i pesci piccoli le pagano".

Questa affermazione sorprende ancora molti di noi piccoli, ma dobbiamo credere ad un avvocato di New York quando fa una dichiarazione in un tribunale. La fonte di immense ricchezze personali in una città come New York è spesso dovuta allo sviluppo di proprietà, e se si tratta di un'attività esentasse, si fa beffe dello stato che ridistribuisce il denaro dagli abbienti ai non abbienti.

E poi i sociologi si chiedono perché ci sia così tanto malcontento nei confronti dell'establishment! Questo malcontento trova espressione nel socialismo: in quello guidato dalla moralità piuttosto che dalla versione marxista. Sembra ovvio per le masse che lo stato non riesca a riscuotere le tasse visto che non ci sta provando abbastanza. Ma tutto ciò che prova il divorzio dei Macklowe è una delle grandi verità della vita: i ricchi sono molto bravi a trovare vie legali per non pagare le tasse.

Distruzione della ricchezza e lo stato

Le promesse del welfare statale non sono mai finanziate dai ricchi. Ad ogni modo, ce ne sono troppo pochi affinché possano sopperire all'enorme scala delle entrate fiscali richieste dallo stato. Le tasse rappresentano un onere enorme imposto ai creatori di ricchezza di successo. In Gran Bretagna il cosiddetto 1% paga oltre un quarto di tutte le imposte sul reddito raccolte, e mentre i residenti britannici super-ricchi forse non hanno le agevolazioni fiscali di cui godono i Macklowe, la maggior parte del carico ricade su avvocati, banchieri, società dirigenti e proprietari di imprese private di successo. E così dovrebbe essere, dicono i collettivisti.

Ma quando guardiamo allo scaglione successivo dei percettori di reddito, quelli che guadagnano poco più il salario medio, vediamo che le tasse dello stato hanno causato le peggiori distorsioni economiche. Ci riferiamo alle tasse sulle retribuzioni degli operai qualificati. Sono persone comuni con aspirazioni a fare meglio per sé stessi e le loro famiglie. Queste sono le persone che pagano la maggior parte del restante 75% dell'imposta sul reddito e delle imposte sulle vendite riscosse dallo stato. Queste sono le persone che, se hanno il permesso di mantenere i loro guadagni, sarebbero incentivate a diventare più produttive a beneficio di tutti. Queste sono le persone che ridurrebbero il carico di welfare dello stato, se avessero scelta, essendo in grado di risparmiare per l'assistenza sanitaria privata e di pagare l'istruzione dei loro figli.

Invece sono costrette a sovvenzionare un sistema statale molto più costoso. Di recente mi è stato detto da una fonte attendibile che l'unica forma di chirurgia negli Stati Uniti scesa di prezzo negli ultimi anni è quella non coperta da Medicare e Medicaid: la chirurgia plastica. Qualche tempo fa ho fatto un calcolo approssimativo sul costo dell'istruzione di un bambino in età scolare in Gran Bretagna, e ho scoperto che il sistema statale "gratuito" costa circa il doppio di quello privato. Mantenere un detenuto di sesso maschile rinchiuso in Gran Bretagna costa £85,975 all'anno, mentre costa meno di £40,000 istruire un ragazzo della stessa età ad Eton. E non è che i borghesi britannici siano costellati da costose strutture di classe superiore.

Mi vengono in mente pochissimi genitori che preferiscono affidare i loro figli al sistema statale piuttosto che all'istruzione privata. Nel Regno Unito persino i politici laburisti di sinistra mandano i loro figli in scuole private. I sindacati offrono assistenza sanitaria privata al proprio personale piuttosto che affrontare le code del Servizio Sanitario Nazionale, mentre sanzionano pubblicamente l'assistenza sanitaria privata per aver sottratto risorse al sistema statale.

Il denaro deviato dalle tasse dall'uso produttivo per sostenere la spesa statale è un enorme freno invisibile all'economia. Distrugge la ricchezza personale e produce in cambio servizi inferiori o indesiderati. E mentre possiamo discutere dei benefici per i percettori di reddito più basso nella società e per i disoccupati di lungo periodo, non dovremmo ignorare la ricchezza che altrimenti sarebbe stata accumulata e sulla quale dipende in ultima analisi il tenore di vita dei più poveri nella società.

Gli stili di vita sono ora basati sul debito

L'intervento statale è diventato così esteso e costoso, che coloro che hanno l'ambizione di migliorare sé stessi e migliorare le condizioni per le loro famiglie non sono stati in grado di farlo per molto tempo. Invece ricorrono al prestito. Una tipica coppia giovane che compra una casa di nuova costruzione in un complesso residenziale, parcheggia due auto nel vialetto d'accesso, ben vestita e con figli a carico, rappresenta le aspirazioni future all'interno del proprio Paese.

Ma quanta di questa ricchezza visibile possiede la coppia modello? Le ipoteche che vengono accese col creditore ipotecario rappresentano la maggior parte del valore della casa. Le auto non sono le loro fino alla fine del contratto di prestito, e poi devono rinunciarvi, comprarle o scambiarle per un'altra macchina finanziata a rate. E le carte di credito sono prestiti costosi che per molte persone sono un ponte finanziario necessario per il prossimo giorno di paga. È un fatto triste che la maggior parte delle persone stipendiate non abbia affatto un buffer finanziario, e se la prossima retribuzione non arriva, rischiano di perdere il loro rating e forse anche la loro casa.

I mutui, i prestiti per le auto e i debiti delle carte di credito hanno sostituito i guadagni tolti dalle tasse statali e i risparmi che altrimenti sarebbero stati accumulati. I nuovi quartieri residenziali sono venduti quasi interamente mediante il credito ipotecario, con il 90% dei prestiti mutuati come valore normale. Anche il boom delle vendite di automobili si basa sulla finanza al consumo. I prestiti al consumo hanno ormai superato di gran lunga il debito industriale per gli investimenti nella produzione.

Gli attuali stili di vita della maggior parte delle persone è fondata sulle instabili sabbie del debito. L'assenza di ricchezza personale, che altrimenti sarebbe una garanzia per il futuro, è sostituita da una crescente dipendenza dai valori delle case per spazzare via il debito ipotecario attraverso l'inflazione, in genere il più grande investimento e responsabilità della famiglia. La lotta per l'acquisto di immobili fa salire i prezzi al di sopra di dove sarebbero altrimenti stati in un mercato non distorto. Il popolo ordinario diventa speculatore orientato dai prezzi della propria casa, diventando schiavo degli alti e bassi del ciclo del credito.

Forse l'effetto collaterale più insidioso del debito è la dislocazione sociale. Quando le persone risparmiano, lo fanno per il proprio bene e per le loro famiglie. Le persone con un risparmio da proteggere sono socialmente e politicamente più stabili. Aspirazioni per il miglioramento includono dare un migliore inizio di vita ai propri figli ed accettare la responsabilità dei propri genitori, che potrebbero aver bisogno di aiuto quotidiano e sostegno finanziario nella loro vecchiaia. Ecco perché il risparmio è compatibile con la coesione sociale. Questi obiettivi sono incompatibili con uno stile di vita basato sul debito e conseguentemente le responsabilità familiari vengono erose. Dopotutto, se il patto con lo stato è che lo stato provvederà ai miei figli e ai miei genitori anziani con i miei pagamenti fiscali, la mia responsabilità nei loro confronti diminuirà.

Inoltre è quasi scomparsa l'ampia disponibilità di strutture da parte di benefattori locali, un'importante fonte di servizi per la comunità in passato. Lo stato dice a questi angeli che sarà esso stesso a provvedere alla comunità, costringendola a pagare le tasse per farlo. L'interesse per la comunità locale e la compassione per i propri vicini sono stati sostituiti dall'intervento statale.

Lo stato non sostituisce la compassione umana

L'aiuto statale non può sostituire l'auto-aiuto. Lo stato non è idoneo a riciclare le tasse nel welfare. Il processo è per forza di cose goffo, costoso e burocratico. La prima cosa di cui lo stato ha bisogno è un indirizzo. Se siete un senzatetto e non avete un conto in banca, potreste avere difficoltà a qualificarvi per il welfare. Le forme e le procedure, anche se si dispone di un indirizzo, sono complicate, quindi solo i furbacchioni conoscono il modo per aggirarle, mentre i meritevoli spesso non riescono a ottenere i loro diritti.

I cittadini caritatevoli, che favoriscono la ridistribuzione della ricchezza ai poveri, sono principalmente motivati ​​dalla compassione che esibirebbero se potessero farlo personalmente. Ma non riescono a vedere che la mente burocratica non è adatta a tal compito. Se qualcuno nel bisogno si presentasse davanti la porta di una chiesa, di una moschea, di una sinagoga o di un qualsiasi tempio, i suoi bisogni sarebbero evidenti e verrebbe assistito da un qualsiasi tipo di carità religiosa. Gli scrocconi verrebbero identificati rapidamente ed allontanati. L'organizzazione benefica locale fornita da organizzazioni religiose è estremamente efficiente. Confrontatela con lo stato, il quale richiede la compilazione di un modulo, la successiva elaborazione e poi la consegna entro quindici giorni (senza contare i tempi della risposta). Tuttavia i sostenitori ben intenzionati dell'intervento statale sembrano ciechi di fronte alle spaventose inadeguatezze ed inefficienze costose del welfare statale.

Spesso si tende a dare la colpa alla democrazia per questo stato di cose, perché un numero crescente di elettori beneficia delle erogazioni statali. Ciò manca il punto: è possibile avere una democrazia funzionante e un elettorato intriso di etica del lavoro e antipatia per la dipendenza dal welfare. Se le tasse fossero limitate ad un'aliquota forfettaria dell'imposta sul reddito non superiore al 20%, con una generosa indennità personale per i redditi più bassi, l'intera popolazione verrebbe incentivata a coltivare il proprio orticello ed i salariati a badare alle proprie famiglie. L'evasione fiscale cesserebbe quasi del tutto, con i percettori di reddito più alti felici di contribuire al benessere comune.

Uno stato più snello potrebbe quindi permettersi di pagare una pensione statale di base e fornire gratuitamente le basi dell'assistenza sanitaria e dell'istruzione. Non sarebbe necessario guardare oltre stati insulari come Jersey e Guernsey per dimostrare che la democrazia a basso costo fiscale è accompagnata da opere di welfare civilizzate. La chiave è non tassare i guadagni e le spese delle persone ordinarie al punto in cui devono accendere prestiti per far quadrare i conti.[1]

Distruggendo la ricchezza gli stati stanno banchettando con i semi della società. Non solo costringono i loro cittadini ad indebitarsi, ma scoraggiano attivamente anche il risparmio. I risparmi sono messi da parte dal reddito tassato, e quindi le plusvalenze sul risparmio sono tassate una seconda volta. È possibile investire i risparmi in un fondo pensione, ma la maggior parte dei salariati non ha una parte attiva nel contribuire ai regimi pensionistici e non vede i soldi fino all'età pensionabile. Anche in questo caso, le pensioni sono soggette all'imposta sul reddito quando vengono incassate. E con i bassi rendimenti obbligazionari manipolati dalle banche centrali, è improbabile che anche le pensioni offrano i rendimenti promessi.

I costi futuri non finanziati di tutte le passività future degli stati sono ormai multipli delle loro entrate fiscali. I servizi forniti dallo stato e la distruzione della ricchezza, se presi insieme, sono entrambi finanziariamente e socialmente mortali.

Il debito è diventato una trappola da cui non c'è via di scampo, sia per gli stati che per i loro elettori. La nostra tipica coppia di giovani di cui sopra non vuole più tenere sotto controllo la propria spesa. Né lo stato vuole vedere alcuna diminuzione della domanda alimentata dal credito. Le persone comuni sono diventate vittime inconsapevoli del ciclo del credito. E allo stesso modo gli stati sono intrappolati, perché non c'è abbastanza ricchezza privata per sostenere le responsabilità che hanno assunto.


[*] traduzione di Francesco Simoncellihttps://francescosimoncelli.blogspot.it/


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Note

[1] Un equivoco comune è che gli stati insulari, come quelli nelle Channel Islands, siano considerati solo dei paradisi fiscali. Non è così; hanno riscosso successo molto prima che le tasse elevate spingessero le persone e le imprese a cercare giurisdizioni a bassa tassazione. Nel corso degli anni gli imprenditori leader nelle isole sono diventati esperti sia nella produzione di beni che nell'offerta di servizi in modo opportunistico, sfruttando opportunità commerciali di ogni tipo.

Un Governo democristiano travestito da rivoluzione: ecco l’accordo di programma dei Cinque Stelle

Manca solo l’avvertenza di non uscire nelle ore più calde e di bere tanta acqua, nella bozza di contratto di governo stesa dal professor Giacinto della Cananea a uso e consumo del Movimento Cinque Stelle e della loro spasmodica ricerca di un alleato di governo. Tredici pagine di ovvietà che sembrano prodotte da un generatore automatico di programmi democristiani:una gestione ordinata e balneare dell’esistente che tradisce clamorosamente l’afflato rivoluzionario del Movimento Cinque Stelle, né il senso d’urgenza sulla necessità di cambiare, per salvare il Paese. Soprattutto, mostra che i programmi sono fuffa purissima, supercazzole che forse nemmeno dovremmo più prenderci la briga di leggerli, per togliere loro quel brandello di legittimità rimasta.

Così, testuale, per costruire un futuro per giovani e famiglie bisogna prima di tutto prevenire la violenza contro donne e bambini e promuovere i valori della convivenza civile e non guardare più a formazione e istruzione universitaria come percorsi ordinati in modo gerarchico, qualunque cosa voglia dire. E ancora, sorpresa, per contrastare la povertà si parla esplicitazione di “potenziamento degli attuali strumenti di sostegno al reddito” e alla “necessità di associare il sostegno al reddito a programmi di attivazione”. In altre parole, ciao ciao reddito di cittadinanza, qualunque cosa tu fossi. E già che ci siamo, ciao ciao pure a Nino Di Matteo e alle sue idee da Torquemada per riformare la giustizia: qui si parla, al più, di migliorare l’organizzazione della giustizia penale. E ciao ciao pure al taglio delle tasse, che diventa “ricalibrazione della pressione fiscale”. De Mita non avrebbe potuto dire di meglio.

Tredici pagine di ovvietà che sembrano prodotte da un generatore automatico di programmi democristiani: una gestione ordinata e balneare dell’esistente che tradisce clamorosamente l’afflato rivoluzionario del Movimento Cinque Stelle.
Un po’ di ovvietà populiste ci sono, sia chiaro, se no non staremmo parlando di un documento redatto dal Movimento Cinque Stelle. Il bello è che pure su quelle si è cercata una convergenza, scegliendo con cura quelle che dicono tutti: ad esempio, la necessità di fare un disegno di legge per le Pmi, perché “la piccole e medie imprese costituiscono una risorsa preziosa per il futuro dell’Italia”, tutte, indistintamente, in quanto piccole e medie. Ok. E ancora, ecco “l’energica difesa dei prodotti di qualità dell’economia italiana”, dei Dop e degli Igp, nella più trita tradizione della retorica sul made in Italy. E, immancabile, l’investimento nella banda larga – della Cananea le chiama “infrastrutture elettroniche”, come avrebbe sicuramente fatto Fanfani – e nelle infrastrutture ferroviarie, che suona un po’ anacronistico nell’era della automobili elettriche e che si guidano da sole. Ma tant’è, viva il treno, spina dorsale del Paese.

Tocca accontentarsi, allora, di un paio di sviste. Ad esempio, stentiamo a credere che il Movimento Cinque Stelle, che tanto si era coccolato i No Tap, si svegli improvvisamente dal torpore richiamando alla necessità di potenziare “le infrastrutture relative al gas, relativamente al quale (testuale, ndr) è essenziale la sicurezza degli approvvigionamenti”. Nessun cenno agli ulivi secolari. Qualcosa non torna. 

E non torna pure il fatto che da nessuna parte si faccia parola di una controriforma pensionistica, che abroghi la tanto odiata legge Fornero. E, infine, suona strano sentir parlare di politiche di razionalizzazione della spesa pubblica, senza accenno alcuno allo sforamento dei parametri di Maastricht. 

D’altra parte, il governo “forte e duraturo” per il cambiamento dell’Italia i trattati europei non li vuole toccare nemmeno con un bastone da pollo. Tutti, tranne il Regolamento di Dublino sui richiedenti asilo: l’unico contro la cui riforma il Movimento Cinque Stelle ha votato contro. Standing ovation.


Renzi-Di Maio, era quasi accordo. Ma la Boschi ha fatto saltare tutto


Renzi stava lavorando da giorni a un'intesa con i 5Stelle. Le cose sembravano fatte, ma la vittima sacrificale dell'accordo, Maria Elena Boschi, ha fatto saltare la trattativa. Mandando su tutte le furie Di Maio, i big del Pd e Mattarella

VINCENZO PINTO / AFP

Alla fine il Pd ha deciso di non decidere. Almeno per il momento è stata sventata l'ipotesi di una conta interna che avrebbe lasciato sul campo un partito spaccato a metà. La mediazione è coincisa con il rinnovo a tempo (molto determinato) della fiducia nei confronti del reggente Maurizio Martina e l'impegno a convocare l'Assemblea nazionale quanto prima (nel mese di maggio). Questa assise, a sua volta, darà il via al percorso congressuale che, situazione politica permettendo, terminerà con l'elezione del nuovo segretario nelle prime settimane dell'autunno di quest'anno. A quel punto, la conta ci sarà eccome.

Ma come si è arrivati a questo punto d'incontro dopo una vigilia tanto minacciosa? 

Può sembrare un paradosso ma l'artefice principale della (momentanea) riappacificazione in casa dem è quel Matteo Renzi che fino a poche ore fa veniva considerato il più deciso ad andare fino in fondo. I minuti immediatamente precedenti alla riunione sono stati decisivi, quando in una stanza del Nazareno si sono incontrati l'ex leader e il suo successore. «Io ti voto la fiducia perché non voglio spaccature, ma solo fino all'Assemblea perché ora abbiamo bisogno di un congresso»: sono state più meno queste le parole dette da Renzi a Martina. Il quale, durante la sua relazione, non ha risparmiato alcuni fendenti nei confronti della gestione precedente del partito. Ma in questa fase per l'ex rottamatore era necessario ricucire.

Ricucire una frattura che porta la sua firma, soprattutto per quanto è successo nei giorni scorsi. Secondo fonti ben informate e molto vicine al Giglio Magico, infatti, Renzi, a dispetto di quanto dichiarato pubblicamente, stava lavorando eccome ad un'intesa con i Cinque Stelle

Tanto che la ormai famosa lettera di Di Maio al Corriere della Sera, uscita domenica scorsa, sarebbe addirittura stata concordata con lo stesso Renzi, prima della sua ospitata da Fazio. Il "senatore semplice di Scandicci" aveva l'appoggio di quasi tutti i big del partito e, soprattutto della stragrande maggioranza degli amministratori locali, allarmati dal crollo del Pd e molto ben disposti ad allargare il loro margine d'azione insieme al M5s.

Su questa linea, comunicata anche a Mattarella (il quale non avrebbe mai accettato alla cieca le rassicurazioni di Fico che parlava sommariamente di "esito positivo" del suo incarico esplorativo della scorsa settimana), Renzi aveva posizionato un po' tutti nel Pd. Da Delrio al recalcitrante Marcucci, da Lotti (uno dei Gigliati che si è speso di più per l'accordo), a Gentiloni, allo stesso Martina che spingeva per l'intesa. La strategia era quella di far sudare sette camicie ai Cinque Stelle, affidando le trattative a Minniti e Franceschini, ma di arrivare comunque ad un esito positivo. Prendendosi tutto il tempo che ci voleva e cercando di convincere anche i pasdaran più dubbiosi.

Qualcosa, però, è cambiato in maniera repentina, tanto che l'intervista a 'Che tempo che fa', che doveva segnare la definitiva svolta, si è trasformata in un attacco diretto al Movimento Cinque Stelle, cui ha fatto seguito la dura reazione di Martina e lo scontro che si è registrato nei giorni successivi fino a ieri.

Ma perché Renzi ha cambiato idea così in fretta e così violentemente? Secondo la nostra fonte un ruolo decisivo è stato giocato, come sempre, da Maria Elena BoschiErano i giorni in cui lei andava in giro dicendo che «ormai contro l'accordo con i Cinque Stelle siamo rimaste io, io e io'. Lei sapeva benissimo che sarebbe stata la vittima sacrificale di un'intesa con Di Maio e soci, indisponibili ad inserire il suo nome in qualsiasi tipo di trattativa. E così ha agito sull'ego del capo, facendogli cambiare idea e ribaltare il tavolo, convincendolo a far saltare tutto. Una decisione che ha mandato Di Maio su tutte le furie, ma soprattutto in tilt il partito e in confusione lo stesso Renzi, intimorito dalla reazione dei dirigenti dem e dalla prospettiva di una conta in Direzione.
«Ancora fino a ieri mattina - dice il nostro informatore - Matteo ha provato a mettersi in contatto con Franceschini per provare a ricomporre la rottura, ma Dario si è sempre negato al telefono. Questa volta ha veramente esagerato». La stessa idea se la deve essere fatta il presidente della Repubblica, che è rimasto completamente spiazzato dal voltafaccia di Renzi. A cui non è sfuggito che nella nota in cui convocava nuove consultazioni per lunedì, il Capo dello Stato dichiarava chiusa la possibilità di un governo Pd-M5s, poche ore prima della Direzione che, in teoria, era stata convocata esattamente per esprimersi su questo.

Ad una prima lettura questa presa di posizione sarebbe potuta sembrare un'apertura di credito verso Renzi, in realtà è esattamente il contrario. Con la chiusura del forno Pd-M5s, Mattarella ha sgombrato il campo della Direzione dall'alibi di spaccarsi sulla possibilità o meno di aprire ad un'intesa con i Cinque Stelle, spostando il focus della discussione proprio sul futuro del Pd, sul ruolo di Renzi e quello di Martina. Esattamente ciò che l'ex rottamatore non voleva e che ha provato ad arginare fin da subito, nei giorni scorsi, con il documento scritto da Guerini e firmato dalla maggioranza dei parlamentari dem in cui si chiedeva di "evitare conte dannose". Un documento che ha avuto il merito di fare chiarezza sulle posizioni dello stesso Renzi, che temeva l'effetto "scacco matto".

Fonte: qui