IL RESPONSABILE DELL'ANTIRICICLAGGIO DI UBI BANCA RIVELA AI MAGISTRATI TUTTE LE PORCHERIE NELLA GESTIONE DELLA BANCA, TRA EVASIONI, CAPITALI ALL'ESTERO, FILIALI IN PARADISI FISCALI CHE FINISCONO NEI PANAMA PAPERS E TRATTAMENTI SPECIALI PER CLIENTI ''SOSPETTI''
Maurizio Tortorella per La Verità
L’annotazione di servizio dei carabinieri è di sole 10 cartellette, quasi una goccia in un mare di oltre 46.000 pagine, depositate lo scorso 17 novembre dalla Procura di Bergamo alla chiusura delle indagini contro 39 indagati per una serie di presunti, gravi illeciti nella gestione di Ubi Banca.
Ma quelle 10 cartellette contengono accuse durissime nei confronti dei vertici del quarto gruppo creditizio italiano: accuse quasi incredibili, ma tutte molto circostanziate e provenienti da una fonte decisamente autorevole, visto che ad affidarle agli investigatori nel maggio 2014 fu Roberto Peroni, all’epoca responsabile dell’Ufficio rischi di riciclaggio, finanziamento al terrorismo, segnalazioni operazioni sospette e indagini penali di Ubi Banca, cioè uno dei principali organi di controllo interni all’istituto.
Ora la denuncia di Peroni, di cui La Verità è entrata in possesso, dovrà ovviamente essere verificata e confermata in un giudizio che dev’essere ancora richiesto dalla Procura: ma rischia di aprire un nuovo fronte giudiziario particolarmente gravoso per alcuni dei 39 indagati di Bergamo. Le 10 paginette riguardano soprattutto l’industriale bresciano dell’acciaio Franco Polotti, al momento della denuncia (e fino al 14 aprile 2016) presidente del consiglio di gestione di Ubi Banca.
Dopo una serie di segnalazioni interne, a suo dire frustrate dai vertici dell’istituto, il 23 maggio 2014 Peroni si decide a raccontare ai carabinieri quel che sostiene di aver visto. Chiede così un contatto via email con il comando dell’Arma, a Roma, e viene interrogato quattro giorni dopo, a Brescia. A due marescialli e un appuntato, che registrano le sue parole, il manager denuncia i collegamenti tra Polotti e Mariliano Mazzoleni, imprenditore dei rottami ferrosi e cliente della banca.
Su di lui, Peroni racconta parecchie cose: che la Popolare di Bergamo avrebbe già segnalato all’Ufficio italiano cambi nel 2005 per «movimentazioni milionarie della società rottami Cmps, poi liquidata», e che l’uomo sarebbe stato anche indagato per inquinamento ambientale. Ma quel che più conta è quel che Peroni dichiara di aver visto con i suoi occhi, come responsabile dell’antiriciclaggio di Ubi Banca: «Ci arriva una se- gnalazione di operazione sospetta », racconta, «per un rimpatrio di ingenti quantità di denaro dalla Svizzera: stiamo parlando di 3,7 milioni di euro su un conto scudato, tramite una fiduciaria che abbiamo più volte segnalato per attività sospette e alla quale abbiamo chiuso tutti i rapporti perché evidentemente “scudava”, cosa che non potevamo accettare » .
Peroni consegna ai militari copia delle segnalazioni che il suo ufficio ha fatto all’Unità di informazione finanziaria, cioè l’Uif, che dal 2008 è subentrata all’Ufficio italiano dei cambi come autorità centrale antiriciclaggio. Poi continua nella sua denuncia e racconta che contro Mazzoleni era stato addirittura disposto il sequestro di un’azienda, la Aom rottami: «Questa, però, è stata poi esclusa dall’indagine in quanto non controllata direttamente dal soggetto (cioè Mazzoleni, ndr), ma solo indirettamente. Perché c’era anche un altro socio. Allora noi facciamo gli approfondimenti e si scopre che l’altro socio di questa Aom rottami, al 50 per cento, è la Ori Martin, acciaierie e ferriera di Brescia: riconducibile come proprietà al presidente del consiglio di gestione di Ubi Banca».
Insomma, le indagini del responsabile dell’antiriciclaggio di Ubi gli fanno comprendere, a sorpresa, che l’uomo su cui sta indagando è in affari proprio con Polotti, cioè con il numero uno della sua banca. E sul punto, oltre alla denuncia, Peroni sembra voler consegnare ai carabinieri anche il suo personale scandalo:
«Che un’azienda come la Ori Martin, con l’immagine e lo standing che ha su questa piazza, veda il suo presidente mettersi in società al 50 per cento con un soggetto che, stante il ruolo che Polotti ha in questo gruppo, sicuramente lo portava a conoscenza del fatto che (Mazzoleni ,ndr) è già stato inquisito in passato per queste cose e che grazie a queste attività ha portato notevolissime disponibilità economiche anche all’estero, che in parte ha scudato e fatto ritornare in Italia, e che quindi si è messo in società, mi si permetta di dire, con un disonesto…».
Dice proprio così, Peroni: usa il termine «disonesto», e l’aggettivo introduce una categoria moralistica, in quanto tale opinabile e certamente non condivisibile, nei confronti di chi non abbia subìto finora condanne definitive. Ma ben più grave è la sequenza di accuse che segue. Perché Peroni sostiene che Mazzoleni avrebbe fatto rientrare in Italia «notevoli capitali» tramite la fiduciaria Ser-Fid «che era quella che gli ha scudato alcuni rapporti che ha in Lussemburgo». E qui parte la denuncia più grave: «La Ubi Banca International in Lussemburgo», dichiara Peroni, «è in pratica la banca utilizzata dagli amici degli amici per fare le peggio schifezze ».
Va ricordato, a questo punto, che la Ubi Banca international del Lussemburgo, di cui nel maggio 2014 era presidente l’industriale bresciano delle armi Piero Gussalli Beretta, è comparsa anche nei cosiddetti «Panama papers»: una massa di 2,5 terabyte di dati, pubblicati nell’aprile scorso e provenienti da una fonte anonima interna allo studio legale panamense Mossack- Fonseca, che avrebbe curato gli interessi di centinaia e centinaia di soggetti (anche italiani) desiderosi di sottrarsi al fisco.
Quell’immensa massa d’informazioni è stata minuziosamente analizzata, elaborata e pubblicata dai giornalisti dell’International consortium of investigative journalists, un circuito internazionale di cui in Italia fa parte l’Espresso . Quando ai primi dell’aprile 2016 l’Espresso aveva rivelato l’esistenza «di 40 sigle offshore, registrate a Panama e alle isole Seychelles, che appaiono legate a Ubi» attraverso la sua controllata lussemburghese, la banca prima aveva negato tutto.
Poi il 28 aprile, in meno di un mese, aveva velocemente ceduto Ubi International a una banca di Zurigo, la Efg International. E Beretta aveva lasciato la sua presidenza per diventare vicepresidente vicario nel consiglio di sorveglianza del gruppo Ubi. Ma torniamo a Peroni e alla sua denuncia.
Sulla filiale di Ubi in Lussemburgo, nel 2014 il capo dell’antiriciclaggio racconta ai carabinieri di essersi scontrato con un vero muro di gomma, all’interno del suo stesso istituto: «C’erano cose», sostiene, «che non si voleva fare emergere.
(…) Mi è stato inibito di farlo, e le inibizioni arrivavano anche sulle cose più allucinanti. Faccio due esempi pratici. Sono riuscito a ottenere che la (nostra , ndr) banca lussemburghese sottoponesse ogni nuovo potenziale cliente a un’analisi preliminare per verificare se c’erano pregiudiziali: se aveva avuto indagini penali, se aveva un rischio di riciclaggio, se fosse stato oggetto di segnalazione di operazione sospetta.
(…) Inizio a ottenere queste evidenze, e ogni settimana c’è qualche nostro cliente italiano che apre rapporti in Lussemburgo. Sono tutte persone che in Italia hanno basso rischio. Allora ai miei superiori faccio un ragionamento: scusate, ma se io voglio fare investimenti all’estero e sono a rischio basso o irrilevante, posso farlo tramite la mia filiale italiana; nel momento in cui invece voglio aprire un conto in Lussemburgo è perché ho qualcosa da movimentare o da gestire che in Italia non verrebbe accettato come lecito».
Peroni propone quindi ai suoi superiori di elevare per tutti quei clienti «anomali» il livello di rischio riciclaggio. È una misura forte, probabilmente eccessiva in certi casi. Ma la risposta che gli arriva dalla banca è, a sua volta, eccessivamente garantista: «La risposta è stata: dimentica di aver fatto questa proposta». Infine, Peroni passa a un altro capitolo che definisce «allucinante », quello delle nomine.
E ai carabinieri racconta che nel marzo 2014 Ubi ha provveduto al rinnovo del consiglio d’amministrazione. Tra i premiati sono due figli di ex presidenti del consiglio di sorveglianza di Ubi Banca: Cristina Faissola, figlia di Corrado, l’avvocato che dal 2006 al 2010 è stato anche presidente dell’Associazione bancaria italiana (è poi deceduto nel dicembre 2012); e Matteo Zanetti, figlio di Emilio. «Hanno trovato entrambi un posto», dice Peroni, «uno nel consiglio d’amministrazione della Popolare di Bergamo, l’altro nel consiglio della Banca Regionale Europea. Non hanno alcuna competenza specifica, se non il fatto di essere della famiglia».
La famiglia, già. E proprio sui Faissola, Peroni aggiunge un altro carico da 90: «Mesi fa», dice ai carabinieri, «ho avuto evidenza che il fratello di Corrado Faissola avesse fatto arrivare dalla Svizzera 350.000 euro in tranche da 50.000. Ho detto (ai miei superiori, ndr): questa è importazione di capitali, dobbiamo segnalarla all’Uif. No, non puoi segnalarla. E perché non posso? Vedi, mi hanno detto: l’ordinante è il figlio, un alto dirigente della Deutsche Bank a Londra, quindi guadagna molto, e può mandare soldi al padre. Ma io replico: i soldi arrivano dal Credit Suisse di Basilea, che cosa ha a che fare con la Deutsche Bank di Londra? Questi sono soldi che l’avvocato Faissola (Corrado , ndr) aveva illecitamente in Svizzera, e che dopo la sua morte il fratello sta facendo rientrare». Sospetti motivati o eccessivi, quelli di Peroni? Al momento non è dato saperlo.
Contattata dalla Verità , Ubi Banca oggi risponde alle dure accuse del suo manager sottolineando che la stessa Procura di Bergamo non deve avere trovato particolari riscontri alle sue parole, se è vero che nessuno dei capi d’accusa elevati nei confronti degli indagati contempla quel tipo d’ipotesi di reato.
Nel verbale del maggio 2014 il manager si lamentava anche dell’eccessivo carico di lavoro, sostenendo fosse «una delle tecniche» per distrarlo dai suoi compiti: «Il fatto di ammazzarmi di lavoro è per impedirmi di avere tempo per fare altri approfondimenti », spiegava.
È un dato di fatto che dal suo ufficio all’antiriciclaggio, dove due anni fa gestiva 45 persone, Peroni è stato poi trasferito a un’altra società del gruppo. Oggi ha molti dipendenti in meno. E si occupa di factoring.
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