9 dicembre forconi: 06/12/16

domenica 12 giugno 2016

Da dove arriverà il nuovo collasso dell’economia

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COLLASSO ECONOMICO - «C’è una supernova pronta a esplodere», ha avvertito Bill Gross, numero uno di Janus Capital. Si riferiva ai 10 trilioni di bond con tassi negativi. Ma in giro ci sono molte altre micce: il petrolio che non risalirà, Trump, la Brexit. Senza dimenticare, sullo sfondo, la Cina e i Paesi emergenti

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Arriverà la Supernova?

Ci sarà un nuovo 2008?

Una nuova era di fallimenti a catena è più dietro l’angolo di quanto non pensiamo?

La sfera di cristallo non è ancora in commercio, ma il nervosismo si sta impossessando dei mercati. I sondaggi favorevoi ala Brexit hanno affondato le borse europee, venerdì 10 giugno, e i rendimenti ai minimi storici del Bund decennale tedesco (arrivati allo 0,01%) fanno temere nuove bolle, come hanno avvertito venerdì, in Germania, il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble e il governatore della Bundesbank, Jens Wiedmann. Che di rischi all’orizzonte ci sia abbondanza è facile capirlo. Sono di origine finanziaria, ma oggi in larga parte anche politica. Vediamoli, in ordine di pericolosità.

Petrolio

Se ne parla meno di qualche mese fa, perché i livelli sono risaliti da 30 a 50 dollari al barile. Ma l’Opec tra aprile e giugno non ha trovato un accordo sulla riduzione della produzione e l’aumento sembra più derivare dagli incendi in Alberta (Canada) e da vari scioperi che hanno interessato il settore. Stimare il prossimo andamento dei prezzi è diventato un esercizio quanto mai aleatorio, come ha sottolineato anche un recentissimo paper di McKinsey. Ci, in ogni caso, molte ragioni per pensare che il prezzo del petrolio non risalga nei prossimi cinque anni. Come ha sottolineato un “guru” dell’energia come Leonardo Maugeri, professore di Harvard, a parte le crisi politiche tra Arabia e Iran, tutto lascia pensare che non ci sarà una risalita.
Questo è un problema innanzitutto per i produttori indipendenti di shale oil, che hanno costi di produzione elevati. I loro debiti, tuttavia, non stanno aumentando, perché le banche hanno tagliato di un terzo le loro linee di credito. Continuano invece a crescere i debiti delle grandi compagnie. Il meccanismo è spiegato daun’analisi pubblicata dall’economista Giorgio Arfaras sul sito del Centro Einaudi. Le società hanno in questo momento un “clash flow” insufficiente. Se possono tagliare investimenti futuri (come l’esplorazione nell’Artico), non possono tagliare investimenti correnti, come quelli per le manutenzioni. Non solo: hanno la necessità di distribuire comunque i dividendi, perché tra i loro azionisti figurano tipicamente fondi pensione o Stati. Con quali conseguenze? Non di tipo sistemico, spiega Arfaras, soprattutto per i produttori indipendenti. «Gli effetti ci sarebbero sulle obbligazioni delle azioni collegate alle aziende, ma non sulle banche». Uno scenario quindi diverso dalla crisi dei mutui subprime del 2008.
E allora perché mettere il petrolio al primo posto tra i rischi mondiali? La risposta va cercata in Russia, Iran e Venezuela. Tutti posti dove, con tutte le limitazioni del caso, si tengono delle elezioni. E, quindi, un sistema sociale va tenuto in piedi. Bene. In Russia questo sistema sociale ha bisogno di un petrolio a 80 dollari al barile. Se il tappo salta, le conseguenze sono imprevedibili. Dei rischi di tensioni geopolitiche legati all’instabilità sociale dell’Iran è appena il caso di parlare. Sarebbero maggiori di quelli che ha di fronte l’Arabia Saudita. Anche il suo sistema sociale è messo in crisi, ma Riad ha abbastanza riserve da poter resistere qualche anno. Il suo piano di sviluppo, i cui primi punti sono stati appena presentati, può poggiarsi sulla privatizzazione di una parte dell’Aramco, il più grande fondo sovrano al mondo.

Trump

I sondaggi non lasciano tranquilli. Uno scandalo in grande stile che coinvolgesse Hillary Clinton potrebbe mettere Donald Trump nelle condizioni di vincere la gara della presidenza. I sondaggi cambiano e andranno visti quelli effettuati con la nomination in manno alla Clinton. Tuttavia il rischio c’è. C’è quello di una guerra commerciale con la Cina e, in misura minore, con la Russia. «Si tornerebbe a un clima da Guerra Fredda», dice a Linkiesta l’economista dell’Università di Bologna Paolo Manasse. Ma soprattutto c’è il rischio di un’esplosione del debito pubblico, se fossero attuate le riforme fiscali promesse, a partire dalla “flat tax” e dai tagli alle tasse per 10mila miliardi di dollari. «Il Congresso probabilmente lo impallinerebbe, ma se realizzasse le sue promesse, Trump incrementerebbe il debito del 38% rispetto a uno scenario base», aggiunge Giorgio Arfaras. La conseguenza? Una debolezza dell’economia Usa che si riverberebbe sul resto del mondo.
Un economista di parte ma autorevole come Larry Summers (già segretario al Tesoro durante la presidenza Clinton e rettore di Harvard) è andato già durissimo. «I rischi di un’elezione di Trump per l’economia statunitense e l’economia mondiale sono di gran lunga maggiori (della Brexit, ndr) - ha scritto in un articolo del Financial Times ripreso dal Sole 24 Ore -. Se venisse eletto, prevedo l’inizio di una recessione prolungata nel giro di 18 mesi. Le ripercussioni si farebbero sentire ben oltre i confini degli Stati Uniti». Non solo. «Non c’è bisogno dell’approvazione del Congresso per revocare un trattato commerciale - continuato Summers -. Se Trump facesse anche solo la metà di quello che ha promesso, scatenerebbe senza alcun dubbio la peggiore guerra commerciale dai tempi della Grande Depressione». Problemi che sarebbero aumentati dalle tensioni geopolitiche e dalla discesa della fiducia delle imprese.
«I rischi di un’elezione di Trump per l’economia statunitense e l’economia mondiale sono di gran lunga maggiori (della Brexit, ndr). Se venisse eletto, prevedo l’inizio di una recessione prolungata nel giro di 18 mesi»
Larry Summers

Banche e assicurazioni europee

I tassi a zero della Bce danno respiro agli Stati, e in particolare a Stati come l’Italia che sono molto indebitati. Tuttavia stanno creando sempre più problemi alle banche, assicurazioni e fondi pensione. La sfilza di risultati negativi in tutta Europa è stata ricordata, tra gli altri, dal presidente del fondo Atlante Alessandro Penati, al Festival dell’economia di Trento. Le banche in difficoltà sono un campanello d’allarme da non sottostimare. Per quelle italiane la difficoltà a fare utili significa, in primo luogo, l’impossibilità di togliersi di dosso il macigno di incagli e sofferenze, anche per l’impossibilità di una bad bank di sistema e il limitato effetto delle Gacs (Garanzia Cartolarizzazione Sofferenze), le mini-bad bank locali dove il prezzo di garanzia deve essere a valori di mercato.
C‘è anche un altro risvolto dei tassi bassi: il basso costo del debito (con l’Euribor negativo) spinge gli operatori di private equity a tornare a usare in modo aggressivo l’effetto leva. Il risultato: acquisti di aziende a costi stratosferici per lo più a debito. Come faceva Lehman Brothers. A mettere in guardia dai rischi di tassi troppo bassi è stato tra gli altri il governatore della Banca di Francia, François Villeroy de Galhau. E poi c’è l’arci-nemico di Draghi, il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble, che al G7 di Sendai di fine maggio è stato chiarissimo. «Dobbiamo stare attenti, in modo che i progressi che abbiamo raggiunto dalla crisi finanziaria del 2008 non siano sprecati a causa della troppa liquidità nei mercati a seguito di prese di rischio crescenti».
E se economisti e politici non fossero sufficienti, meglio dare retta a chi i soldi li muove, e tanti. Come Larry Fink, Ceo di BlackRock. O Bill Gross, ex numero uno e co-fondatore di Pimco, che ha lasciato da un anno e mezzo per Janus Capital Group. «I rendimenti globali sono al loro punto più basso in 500 anni di storia. 10 trilioni di dollari (10mila miliardi, ndr) di bond con tassi negativi. Questa è una supernova che un giorno esploderà», ha scritto Gross in un commento su Twitter che ha messo in agitazione il mondo della finanza globale.
 


«Dobbiamo stare attenti, in modo che i progressi che abbiamo raggiunto dalla crisi finanziaria del 2008 non siano sprecati a causa della troppa liquidità nei mercati a seguito di prese di rischio crescenti»
Wolfgang Schäuble

Brexit

Quali sarebbero gli effetti di un’uscita del Regno Unito dall’Unione europea? Lo si scoprirà dopo il 23 giugno, se dovessero vincere i favorevoli alla Brexit. Le conseguenze sarebbero negative innanzitutto per la Gran Bretagna: una serie di studi, da quelli del Tesoro a quelli degli industriali, hanno ipotizzato discese del Pil, aumento del debito pubblico e conseguenti tagli sociali. L’Ocse ha quantificato in una diminuzione della crescita del 3% entro il 2020 e del 6% entro il 2030. Ma per il resto d’Europa che cambierebbe? «Se la seconda economia del continente entra in recessione, l’impatto non può che farsi sentire anche sugli altri Paesi», prevede Manasse. Di certo nel breve periodo si spalancherebbero le porte ai ribassisti. «Sarebbe un’ottima scusa per imbastire politiche al ribasso in Europa» da parte degli investitori, prevede Arfaras. L’azione di acquisto di bond da parte della Bce, attraverso il Quantitative Easing, dovrebbe porre al riparo i titoli di Stato e non fare impennare, in Italia, lo spread tra Btp e Bund tedeschi. Tuttavia le conseguenze si farebbero sentire fortemente sui mercati azionari. Dove, se guardiamo a Piazza Affari, i primi mesi dell’anno sono già stati funesti, soprattutto per il fragile e cruciale settore bancario.
E nel lungo periodo? Tutto dipenderà dalle conseguenze politiche sugli altri Paesi. La Brexit potrebbe rinvigorire i partiti anti-europeisti, in Francia e nei Paesi dell’Est. Qualcuno dei quali potrebbe essere tentato di seguire la via inglese.

Cina

«China, China, China». L’ossessione di Donald Trump è stata tra lo scorso luglio e lo scorso gennaio lo spauracchio delle economie mondiali, a causa delle brusche discese della Borsa di Shanghai dopo anni di crescita elevatissima. Ma in seguito abbiamo capito che le banche cinesi, almeno per ora, vedono una partecipazione molto ridotta da parte di investitori occidentali. L‘effetto sistemico non c’è stato.
La situazione cinese resta comunque di difficile lettura: da una parte ci sono i segnali positivi di una transizione in atto senza troppi scossoni da un’economia basata su investimenti pubblici ed export a una di servizi e consumi, accompagnata da una rinnovata spinta agli investimenti esteri. Dall‘altra tornano in maniera carsica le preoccupazioni su due spine cinesi: la situazione delle “shadow bank” e il rischio di una bolla immobiliare. «La verità è che non sappiamo molto della vera situazione delle banche cinesi. Sospettiamo che sia un pasticcio e che abbiano problemi di riscossione dei debiti» spiega Arfaras. «La Cina diventerà importante se, saltando il suo sistema finanziario, le aziende si trovassero costrette ad abbassare i prezzi per vendere i beni all’estero. Questo creerebbe un problema di deflazione generale nel mondo».

Paesi emergenti

In genere ce ne preoccupiamo solo per i riflessi sull’export italiano. Ma che rischi comporta il rallentamento dei Paesi emergenti, a partire da Brasile e Russia, colpiti dal calo dei prezzi delle materie prime? Il vero problema è il loro indebitamento e in particolare la loro esposizione in dollari. Per questo una politica di rialzo dei tassi da parte della Fed (la banca centrale statunitense), con il probabile aumento del valore del dollaro, aggraverebbe la situazione degli emergenti e metterebbe il mondo di fronte a un rischio sistemico. Questo, però, è noto da tempo e l’estrema prudenza e gradualità nell’aumento dei tassi da parte di Janet Yellen ha lo scopo di evitare passaggi traumatici.
Fonte: qui

Massimo Fini e il flop della democrazia: «In Italia non siamo cittadini, siamo sudditi»

arton37126-7572A più di dieci anni dall'uscita del suo "Sudditi", Massimo Fini torna a parlare del fallimento della Democrazia, che doveve essere "il migliore dei sistemi possibili", ma si sta rivelando l'antitesi di se stessa

Nel nostro sistema di valori occidentale, costruito sui valori del razionalismo, del positivismo e del relativismo, ci sono poche parole che sono ancora intoccabili e sacre. Una di queste è senz'altro la parola Democrazia, ammantata da decenni dell'aura leibniziana del «migliore dei sistemi possibili» e considerato praticamente all'unanimità come il punto di arrivo della storia politica dell'Umanità.
Tanto ne siamo convinti di questa certezza, che, come altre certezze più antiche, è sventolando il suo vessillo che abbiamo seminato il caos in mezzo mondo. Per tentare di esportarla, dicevamo. Per regalare, in nome della nostra infinita bontà e magnificenza, la libertà e il benessere a tutto il mondo.
Eppure, in questo modello di società, qualcosa non va. La democrazia doveva essere un tavolo attorno al quale far sedere le parti opposte, quelle da sempre in conflitto all'interno della società, per arrivare a dei compromessi. Ma è diventato tutto il contrario. E la dialettica tra maggioranza e minoranza si è trasformata in dittatura della maggioranza in nome della governabilità e della velocità decisionale.
Svuotata del suo senso, la democrazia si avvia al fallimento? Il più titolato, almeno in Italia, per rispondere a questa domanda è Massimo Fini, giornalista, polemista, intellettuale disallineato e perennemente fedele a se stesso, autore, nel lontano 2004, di un attacco durissimo sotto forma di pamphlet e sotto il titolo di Sudditi, Manifesto contro la Democrazia, edito da Marsilio.
«La democrazia, in Italia, non c'entra niente con la democrazia», dice Fini. «La nostra più che una democrazia è una partitocrazia, ovvero una superstizione con, come protagonisti assoluti, soggetti di diritto privato, i partiti, che come tali non hanno più valore di una bocciofila. È una spartizione di potere tra queste lobby che utilizzano metodi mafiosi, in senso lato del termine. Questa non è democrazia».

Perché?


Perché la democrazia nasce dal pensiero liberale, e il pensiero liberale voleva valorizzare capacità meriti e potenzialità del singolo individuo. Questo invece non è avvenuto. L'ha detto bene la scuola elitista italiana dell'inizio del Novecento, considerata chissà perché di destra, Vilfredo Pareto, Gaetano Mosca e Roberto Michels. Dice giustamente Mosca che, quando cento persone agiscono di concerto contro mille che sono disperse, i cento vincono e vinceranno sempre. La minoranza organizzata sconfiggerà sempre le moltitudini disorganizzate.
«La nostra più che una democrazia è una partitocrazia, ovvero una superstizione con protagonisti assoluti soggetti di diritto privato, quali sono i partiti, che come tali non hanno più valore di una bocciofila»

Cosa vuol dire questo?


Vuol dire che il cittadino che non vuole piegarsi a umilianti infeudamenti — cittadino che sarebbe il cittadino ideale di una democrazia se solo questa esistesse davvero — invece che il protagonista della democrazia ne è la vittima designata. Questo, per la verità, è un discorso che si potrebbe allungare anche nel tempo passato. Pensa che l'ha detto già Catilina, intorno al 64 prima di Cristo. «Noi siamo schiavi di coloro a cui faremmo paura se la Repubblica esistesse davvero», diceva. Siamo sudditi, non siamo cittadini liberi. I cittadini liberi sono i poveracci che si ritrovano accerchiati dalle forze soverchianti delle lobby e dei partiti, che delle lobby sono le manifestazioni più evidenti. La lotta è impari.

Può esistere una vera democrazia?


In via teorica sì, ma l'unica vera democrazia possibile è la democrazia diretta, che però può esercitarsi solo in ambiti molto limitati. La democrazia esisteva quando non sapeva di essere democrazia: nella comunità di villaggio, oppure in quella industriale, c'era l'assemblea dei capi famiglia che decideva tutto ciò che riguardava la comunità. Decideva del suo e sul suo. Una democrazia diretta in senso planetario, però, come ipotizzava Casaleggio, non ha senso.

Perché?


Perché le persone si troverebbero a decidere su cose di cui non sanno nulla. Quel che penso io è che ci vorrebbe una frantumazione delle strutture politiche globali, i cui vertici ormai prendono decisioni in luoghi che sono lontanissimi dalla nostra capacità di incidere.

Come dobbiamo interpretare la montante astensione?


L'astensione in realtà è un voto. È il segnale di una disaffezione, ma anche una protesta contro un sistema a cui non si crede più. Può anche esserci una persona per bene nel parlamento o nel consiglio regionale, ma il problema è di sistema. Anche perché ormai quasi il 40 per cento della popolazione non crede più al sistema. In un certo senso, è proprio il Movimento 5 Stelle che in questo momento sta tenendo in vita la pseudo democrazia in questo paese, perché quel 30 per cento di elettori che votano Grillo non andrebbero a votare se non ci fosse. Senza i 5 Stelle l'astensione arriverebbe quasi al 60 per cento.
«Gli italiani sono troppo fiacchi, indeboliti, qualunquisti e menefreghisti. Eppure una rivolta organizzata, violenta ma non armata, butterebbe giù questo sistema in due mesi»

Cosa succederebbe se questa tendenza dovesse continuare e aggravarsi?


Se il 70 per cento dei cittadini non andasse a votare certamente al 30 per cento non fregherebbe nulla e cercherebbe di andare avanti autolegittimandosi. Però, in un contesto in cui 7 persone su 10 non votano vien da pensare che succederebbe qualcosa.

Che cosa ti aspetteresti?


Che ne so, una rivolta, una ribellione, una reazione violenta. Soprattutto se la situazione economica dovesse continuare a peggiorare. Il problema è che credo che in Italia non avverrà proprio nulla.

Perché?


Gli italiani sono troppo fiacchi, indeboliti, qualunquisti e menefreghisti. Eppure una rivolta organizzata, violenta ma non armata, butterebbe giù questo sistema in due mesi.

È possibile che l'istanza per il ritorno di regimi più assolutisti venga, paradossalmente, dal basso? È possibile che dopo 70 anni i cittadini rinuncino ai propri diritti politici perché, semplicemente, non gli interessano più?


Sì, sembra assurdo, ma è possibile. Viviamo da circa settanta anni in questo sistema, gli ultimi 40 sono stati veramente inguardabili e si sa che le democrazie sono i sistemi più corrotti del mondo. In questo contesto è chiaro che è possibile che venga a galla la tentazione autoritaria, sia da parte del potere, sia in chiave contraria, da parte del popolo che, disaffezionato e impotente, potrebbe decidere di abdicare e tornare a farsi governare da tiranni e da regimi assoluti. Potremmo iniziare presto a pensare che, in fondo, se dobbiamo essere sudditi, allora tanto vale esserlo veramente, senza l'illusione di essere liberi.

La pretesa necessità di velocità anche nella vita politica è un nemico della democrazia?


Sì, senza dubbio, anche se questo è un problema che la democrazia avrebbe anche se esistesse davvero. È ovvio che, in un contesto politico di mediazione, come quello tipicamente democratico, i tempi di decisione sono molto più lunghi di quelli della tirannia, che, per definizione, non ha il problema della mediazione tra parti sociali diverse. Il problema vero però è il fatto che questa nostra democrazia è diventata una pura spartizione del potere tra attori che non ne hanno il minimo diritto.
«L'Impero Romano era uno sputo nel vasto mondo di allora rispetto a quel che è ora il Mondo Globale. E quando crollerà questo Mondo Globale saranno lacrime e sangue»

Credi che siamo arrivati alla frutta o che la democrazia abbia ancora delle cartucce da sparare?


Dal punto di vista globale in realtà questo è un non problema, perché prima o poi questo sistema che noi definiamo occidentale, ma che ormai ha coinvolto tutto il mondo, collasserà. Perché come al solito non saremo noi a cambiare le cose, saranno le cose a cambiare noi. Il collasso è sicuro, perché un sistema che si basa sulle crescite progressive esponenziali — cose che al limite esistono soltanto in matematica — non ha che il collasso come orizzonte davanti a sé. Solo i tempi non possiamo prevederli, ma la strada è segnata.

Come diresti che andrà, alla fine?


Credo che uno dei futuri possibili sarà simile a quello che ha vissuto l'Impero Romano alla fine della sua storia, quando il suo processo di dissoluzione diede l'avvio al feudalesimo. Ma conta che l'Impero Romano era uno sputo nel vasto mondo di allora rispetto a quel che è ora il Mondo Globale. E quando crollerà questo Mondo Globale saranno lacrime e sangue.

Un'ultima domanda, da quando hai scritto Sudditi, più di dieci anni fa, che cosa è cambiato?


È cambiato molto, ed è peggiorato tutto e di molto. Prendi per esempio la corruzione, che prima aveva infettato tutte le alte sfere e che oggi è scesa ai gangli più bassi della società, arrivando dappertutto. Ma la cosa peggiore di tutti è che ha inquinato la gente comune. Per essere corretti e onesti in Italia devi essere un eroe, perché in questo paese, come si suol dire, il più sano ha la rogna.

Fonte: qui