9 dicembre forconi: 07/20/19

sabato 20 luglio 2019

I NIGERIANI SANNO MIMETIZZARSI SUI BARCONI E STRINGONO ALLEANZE CON LA MAFIA


IL CAPO DELLA SQUADRA MOBILE DI TORINO, MARTINO: “HANNO CODICI CRIMINALI TRAMANDATI DA CAPO A SOTTOPOSTO IN VIA PIRAMIDALE. GLI AFFILIATI RIESCONO A MIMETIZZARSI TRA LA POPOLAZIONE COMUNE, ALCUNI DI LORO HANNO ANCHE UN LAVORO STABILE E CONDUCONO UNA VITA NORMALE”

“LA FURIA DELLA MAFIA NIGERIANA E’ NELLA LORO ‘BIBBIA VERDE’” 

L'INTERVISTA MARCO MARTINO «LA FURIA DEI CLAN NIGERIANI NELLA LORO BIBBIA»
Fabio Amendolara per “la Verità”
MARCO MARTINOMARCO MARTINO

Quando l'uomo del clan ha dettato l'indirizzo, gli investigatori hanno capito subito che poteva trattarsi di roba seria. Hanno intercettato il pacco partito dalla Nigeria e hanno fatto quella che definiscono «una scoperta preziosissima per l' inchiesta».

Un libro. La Green Bible, la bibbia verde della mafia nigeriana, con i suoi comandamenti, le sue regole e la scala gerarchica. E, così, gli investigatori della Squadra mobile di Torino che l' altro giorno, insieme ai colleghi di Bologna, hanno smantellato un clan che si era ben radicato all' ombra della Mole, hanno scoperto che in molti casi i codici sono identici a quelli delle mafie tradizionali italiane.

«Hanno capi che chiamano don, proprio come da noi. E codici criminali che abbiamo trovato scritti in quel libro e tramandati da capo a sottoposto in via piramidale». Il primo dirigente della polizia di Stato Marco Martino guida la Squadra mobile di Torino, una delle prime città che ha fatto i conti con la mafia nigeriana. Quello di giovedì scorso, infatti, non è che l' ultimo blitz. Qui è da tempo che gli investigatori tengono d' occhio i nigeriani. Seguono le loro mosse. E hanno anche ottenuto la collaborazione di un pentito che, esattamente come in una inchiesta siciliana, li ha accompagnati nel mondo oscuro del clan dei Maphite, che a Torino era anche spaccato in due: da un lato c' era la Famiglia latina e dall' altro la Famiglia vaticana.
mafia nigerianaMAFIA NIGERIANA

Dottor Martino, che livello di infiltrazione avete riscontrato nel tessuto sociale?
«A volte gli affiliati riescono a mimetizzarsi tra la popolazione comune, alcuni di loro hanno anche un lavoro stabile e conducono una vita assolutamente normale».

Ciò non toglie che siano molto pericolosi e, come sottolineato negli atti dell'inchiesta, sono anche aumentati numericamente dopo gli sbarchi a Lampedusa.
«Sono pericolosi e molto violenti. Già nei riti di affiliazione si denota una crudeltà fuori dal comune, con prove durissime da superare prima di riuscire a ottenere la fiducia del gruppo e dei capi. Noi siamo intervenuti in un momento di crisi, proprio mentre i rapporti all' esterno del gruppo si stavano surriscaldando e la situazione poteva diventare esplosiva».

arresti mafia nigeriana a palermoARRESTI MAFIA NIGERIANA A PALERMO
C'erano problemi con qualche mafioso locale?
«No, anzi, con uomini della criminalità organizzata italiana abbiamo riscontrato qualche contatto che stiamo approfondendo e buone relazioni collaborative».

Allora cominciavano a dar fastidio ad altri nigeriani?
«Uno dei gruppi non riconosceva all' altro la possibilità di affiliare nuovi uomini e non accettava la presenza di un altro capo sul territorio».

Litigavano, insomma.
«Non esattamente. In realtà le questioni si consumavano nel gruppo di appartenenza, ma gli animi cominciavano a surriscaldarsi. E mentre li ascoltavamo con i più potenti mezzi che la normativa antimafia ci mette a disposizione abbiamo scoperto fitti collegamenti con cellule estere»

Erano eterodiretti?
arresti mafia nigeriana a palermoARRESTI MAFIA NIGERIANA A PALERMO
«Più che altro erano controllati, ma questo è un po' ciò che accade anche con altre cellule sparse sul territorio italiano».

E magari finivano proprio all'estero i flussi finanziari.
«Esatto. E senza lasciare traccia. Niente conti corrente, niente carte di credito. E neanche money transfer. Usavano il classico metodo degli spalloni con la 24 ore. Abbiamo monitorato una partenza in aereo prenotata solo poche ore prima, proprio perché rendendola improvvisa diventava meno verificabile».

Era l'incasso della droga?
«È una delle attività prevalenti, insieme allo sfruttamento della prostituzione. C'erano aree della città completamente nelle loro mani. Tanto che, in un caso, cominciavano a innervosirsi gruppi di cittadini pachistani che in un quartiere gestiscono dei negozi. Ma i nigeriani sono violenti anche al loro interno. Abbiamo scoperto una notevole capacità d' intimidazione e ai capi veniva riconosciuta molta autorevolezza».
mafia nigerianaMAFIA NIGERIANA

Torniamo ai codici.
«Per indicare la città di Torino, ad esempio, veniva usato un codice numerico. E per rendersi riconoscibili ai loro connazionali, gli affiliati Maphite indossavano baschi o abiti di colore verde. Una forma di comunicazione non verbale, diretta ad altri rappresentanti della comunità nigeriana che, riconoscendo quei simboli sapeva esattamente con chi aveva a che fare. È stato possibile capirci qualcosa proprio grazie alla bibbia verde che abbiamo intercettato. Ogni gesto è ben catalogato nel libro ed è riconosciuto da tutta la comunità».

E poi c'è un collaboratore di giustizia.
«Che ha dato un altro importante contributo non senza correre dei rischi. Nel gruppo, infatti, cominciavano a sospettare qualcosa ed erano diventati diffidenti».

Avete trovato armi?
mafia nigerianaMAFIA NIGERIANA
«I nigeriani, è risaputo, prediligono le armi bianche, coltelli, machete, roncole. A Bologna, durante, le perquisizioni è saltato fuori qualcosa. Ma questo non vuol dire che sia una mafia meno pericolosa. Per fortuna è ancora molto rozza e, pur presentando tutte le caratteristiche dei clan, è ancora a livello embrionale, ossia il momento giusto per intervenire e provare a debellarla».

SANNO MIMETIZZARSI SUI BARCONI E STRINGONO ALLEANZE CON LA MAFIA
F. Ame. per “la Verità”

La mafia nigeriana è oggi diffusa in tutta Italia. Dal mercato palermitano di Ballarò, ormai controllato dai nigeriani con il placet di Cosa nostra, alla Mole torinese, dove non manca la 'ndrangheta, che a volte lavora con gli africani. E per la prima volta il fenomeno trova consacrazione in un capitolo a sé della relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia.

AFFILIATI ALLA MAFIA NIGERIANAAFFILIATI ALLA MAFIA NIGERIANA
I nigeriani, al di là delle pratiche primitive e tribali, come i riti voodoo, «declinano in maniera sorprendente grandi capacità nell' impiego di tecnologie avanzate e nella realizzazione di sistemi finanziari paralleli, grazie ai quali fanno affluire, verso la terra di origine, ingenti somme di denaro acquisite con le attività illegali».

È una delle valutazioni della Dia. Fa affari con la droga e la tratta di persone ridotte in schiavitù e «non di rado», si legge nella relazione, «mimetizzate fra i flussi di immigrati clandestini». La Dia ricorda che anche in Nigeria, dove Boko Haram continua a diffondersi, esistono posizioni estremiste filo islamiche e invita per questo motivo a riservare la massima attenzione verso i nostri istituti di pena «per evitare che si alimentino percorsi di radicalizzazione».

Con la magistratura nigeriana c' è da tempo un costante scambio di dati e informazioni», sottolinea la Dia, «nell' auspicio che tutto ciò porti a investigazioni più mirate e maggiormente efficaci». La cooperazione giudiziaria, però, che deve cominciare anzitutto dall' Unione europea. E quando le sinergie funzionano il contrasto riesce al meglio.
MAFIA NIGERIANAMAFIA NIGERIANA
D' altra parte, quello dell' infiltrazione della mala africana non è un fenomeno isolato.

«Si è inserita perfettamente nel territorio italiano, avviando importanti sinergie criminali con le organizzazioni mafiose del Paese, diventando anch' essa un' associazione di stampo mafioso e, a volte, impressionando persino la criminalità locale», scrivono gli analisti dell' antimafia. Come a Castel Volturno (Caserta), «luogo legato a membri dell' organizzazione Eiye per dimora, transito, legami familiari, episodi delittuosi e altro».

L' area, fortemente inquinata dalla presenza del clan dei Casalesi, «può essere sicuramente considerata, da almeno tre decenni», valuta la Dia, proprio l' espressione della coesistenza tra gruppi camorristici e criminalità nigeriana. Quest' ultima è riuscita a imprimere a quel territorio l' immagine, anche a livello mediatico, di una sorta di free zone, punto nevralgico dei traffici internazionali di droga e della massiva gestione della prostituzione su strada, favorita anche dalla disponibilità alloggiativa, talvolta abusiva, da parte di proprietari del posto senza scrupoli».
AFFILIATI ALLA MAFIA NIGERIANAAFFILIATI ALLA MAFIA NIGERIANA

La coesistenza tra la mafia locale e quella africana non è mai stata indolore.
Già nel 1990 le conflittualità culminarono nella cosiddetta strage di Pescopagano, frazione di Castel Volturno, quando, sotto i colpi della camorra, rimasero uccise cinque persone, un italiano e quattro stranieri, nel corso di un assalto armato eseguito all' interno di un bar. «L' obiettivo della camorra casertana era eliminare la presenza di extracomunitari dediti allo spaccio sul litorale domitio», ricorda la Dia. Ma alla fine non c' è riuscita. I nigeriani sono ancora lì, più forti di prima.

La Corte di Cassazione ne aveva già sottolineato i tratti tipici della mafiosità, rappresentati dal vincolo associativo, dalla forza di intimidazione, dal controllo di parti del territorio e dalla realizzazione di profitti illeciti. Il tutto, sommato a una componente mistico religiosa, a codici di comportamento ancestrali. Che restano sempre collegati alla madre patria. Fontequi

L'IRAN SEQUESTRA UNA PETROLIERA BRITANNICA, LA “STENA IMPERO”, NELLO STRETTO DI HORMUTZ

L’IMBARCAZIONE E’ STATA BLOCCATA DA ALCUNE PICCOLE IMBARCAZIONI E DA UN ELICOTTERO NON IDENTIFICATI 
INTERROTTI I CONTATTI CON L'EQUIPAGGIO, COMPOSTO DAL 23 PERSONE 
LA NAVE CISTERNA BRITANNICA È STATA SEQUESTRATA PER ESSERSI SCONTRATA CON UN PESCHERECCIO E PER NON AVER RISPOSTO ALLA RICHIESTA DI SPIEGAZIONI
IRAN, PETROLIERA BRITANNICA ARRIVATA A BANDAR ABBAS
 (ANSA) - La petroliera britannica Stena Impero, sequestrata dai Pasdaran ieri, è arrivata nel porto di Bandar Abbas, nella provincia iraniana di Hormozgan. Lo ha annunciato il direttore generale dell'autorità portuale Allahmorad Afifipour precisando che il cargo è stato fermato "per essersi scontrato con un peschereccio e per non aver risposto alla richiesta di spiegazioni". Ieri, indicando le ragioni del sequestro, le autorità di Teheran avevano parlato di una generica violazione delle leggi della navigazione.

LA STENA IMPERO - PETROLIERA BRITANNICA SEQUESTRATA DALL IRANLA STENA IMPERO - PETROLIERA BRITANNICA SEQUESTRATA DALL'IRAN
"Dopo che la petroliera britannica non ha risposto alle nostre chiamate, abbiamo allertato le forze militari iraniane che si sono mosse in direzione del tanker per indagare sull'incidente", ha spiegato il direttore dell'autorità portuale della provincia di Hormozgan sottolineando di aver chiesto all'equipaggio della Stena Impero - 22 persone per la maggior parte indiane, incluso il capitano - di rimanere a bordo per motivi di sicurezza. Gli altri componenti dell'equipaggio sono un russo, un filippino e un lituano.


I guardiani della Rivoluzione iraniana hanno annunciato di aver "sequestrato" una petroliera britannica, la Stena Impero,  nello stretto di Hormuz. La società armatrice Stena Bulk, proprietaria della petroliera, ha poi confermato che la nave è stata bloccata da alcune "piccole imbarcazioni e da un elicottero non identificati". La società ha aggiunto che da quel momento si sono interrotti i contatti con l'equipaggio, composto dal 23 persone. "Non abbiamo notizie di feriti", è scritto ancora nella nota della Stena Bulk, e al momento "la priorità è la sicurezza dell'equipaggio".
ali khameneiALI KHAMENEI

Inoltre è stata sequestrata e poi rilasciata la seconda petroliera, MV Mesdar battente bandiera liberiana, ma di proprietà della società armatrice britannica Norbulk Shipping, basata a Glasgow. Lo ha fatto sapere la stessa Norbulk Shipping, precisando di aver ripreso i contatti con il comandante e di aver appreso che l'equipaggio "è al sicuro e sta bene". La nave era stata bloccata attorno alle 17,30, ma dopo i controlli a bordo ha già potuto riprendere la navigazione.

La notizia viene denunciata a Londra come un segnale di "escalation", emerge dai primi commenti politici e da quelli del numero uno dello UK Chamber of Shipping, Bob Sanguinetti, secondo il quale i mercantili stranieri hanno diritto di transitare nello Stretto "per il loro legittimo business" e l'azione iraniana rappresenta "una violazione delle regole internazionali" della navigazione. Sanguinetti lancia poi un appello al governo di Londra a fare "tutto quanto sia necessario" per garantire la sicurezza dell'equipaggio e un rapido rilascio della petroliera.

LA STENA IMPERO - PETROLIERA BRITANNICA SEQUESTRATA DALL IRANLA STENA IMPERO - PETROLIERA BRITANNICA SEQUESTRATA DALL'IRAN
La nave cisterna britannica è stata sequestrata per essere andata fuori rotta, sostengono fonti militari informate di Teheran, citate dall'agenzia ufficiale Irna, secondo cui la petroliera non ha ricevuto i segnali di avvertimento delle autorità iraniane perché avevo spento il suo radar. In base a questa versione, la "violazione delle normative marittime internazionali" denunciata dai Pasdaran sarebbe di lieve entità.

La Stena Impero è una nave relativamente moderna, secondo quanto riporta il Guardian online, e ha una stazza di 30.000 tonnellate. Appartiene alla società Stena Bulk. La vicenda segue di pochi giorni il sequestro a Gibilterra, territorio britannico d'oltremare, di una petroliera iraniana, la Grace 1, bloccata da unità dei Royal Marines e che secondo Londra era destinata a trasportare petrolio verso la Siria a dispetto delle sanzioni Ue. Un sequestro denunciato fin da subito come "atto di pirateria" da Teheran, che aveva minacciato ritorsioni in caso di mancato rilascio. Proprio oggi le autorità di Gibilterra hanno viceversa esteso il provvedimento di stop della Grace 1 per 30 giorni.  

Gli Usa parleranno con Londra per il sequestro, ha annunciato Donald Trump. Anche gli Usa hanno denunciato "l'escalation della violenza" da parte dell'Iran. "E' la seconda volta in poco piu' di una sola settimana che il Regno Unito e' preso come obiettivo dall'escalation della violenza del regime iraniano", ha detto in una nota Garett Marquis, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Usa.


20 Luglio 2019

Fonte: qui

HORMUZ, IL CONFINE PIÙ CALDO DEL MONDO 
LO STRETTO E’ UN OLEODOTTO MARINO ATTRAVERSO CUI PASSA IL 90 PER CENTO DEL PETROLIO PRODOTTO NEL GOLFO, OVVERO IL 20 PER CENTO DELLA PRODUZIONE CHE OGNI GIORNO VIENE MESSA IN MOVIMENTO PER IL PIANETA 
E’ L’AREA SU CUI SI AFFACCIANO IRAN, PER CUI LO STRETTO E’ VITALE, E I PAESI DEL GOLFO CHE…

Vincenzo Nigro per “la Repubblica”

STRETTO DI HORMUZSTRETTO DI HORMUZ
Lo Stretto di Hormuz è una frontiera di guerra, oggi di sicuro è il confine più caldo del mondo. Non soltanto perché oltre ad essere una linea di divisione "politica" è anche una arteria, un oleodotto marino attraverso cui passa il 90 per cento del petrolio prodotto nel Golfo. Ovvero il 20 per cento della produzione che quotidianamente viene messa in movimento per il pianeta.

Ma anche perché lo Stretto è il punto di contatto/non contatto più vicino fra gli attori del Golfo Persico. Da sempre questo vasto mare "interno" è l' area del mondo su cui si affacciano due civiltà in perenne conflitto, quella persiana e quella dei Paesi arabi della sponda occidentale. Due mondi al fianco dei quali si sono schierati alleati potenti, a partire da Usa e Israele contro Russia e Cina.

petroliere sullo stretto di hormuzPETROLIERE SULLO STRETTO DI HORMUZ
A Nord il territorio iraniano fronteggia la punta omanita del Musandam, una piccola regione controllata dall' Oman, che gli ex colonialisti britannici ritagliarono nella penisola arabica lasciandola al controllo del sultanato, spingendo più a Sud i territori degli Emirati Arabi Uniti. Dalle coste dell' Oman il profilo delle montagne iraniane è chiaro: nell' umidità, nel caldo, nel vento infuocato che ustiona i marinai, gli equipaggi delle petroliere che attraversano lo Stretto di rado escono all' aperto abbandonando la protezione della loro aria condizionata. Ma se si affacciano sulle alette di plancia, lungo i 120 chilometri dello stretto, riescono praticamente sempre a vedere le coste dei due mondi sfilare a destra e sinistra. La costa persiana da un lato, quella araba all' altro.

ESERCITAZIONI MILITARI IRANIANE NELLO STRETTO DI HORMUZESERCITAZIONI MILITARI IRANIANE NELLO STRETTO DI HORMUZ
Nicola Pedde, lo studioso italiano di questioni iraniane, ha svolto la sua tesi di laurea sullo Stretto di Hormuz: «Hormuz ha un' importanza strategica per tutti, ma per qualcuno è ancora più strategico. E sono gli iraniani. L' Arabia Saudita per esempio da anni ha iniziato a costruire oleodotti che attraversano il deserto e arrivano al Mar Rosso, permettono di scaricare il petrolio aggirando Hormuz ».

Per l' Iran non è così facile: praticamente tutto il suo petrolio esce da Hormuz, e per loro quindi la partita è davvero vitale. Anche gli iraniani hanno costruito un porto fuori da Hormuz, Chabahar, ma trasferire il petrolio dai pozzi all' interno del Golfo fino a Chabahar è un' operazione complessa, che comunque l' Iran non riesce a compiere.

Tutti sanno che per gli Stati Uniti, diventati esportatori di petrolio e soprattutto di shale-gas, il Medio Oriente non è più strategico come una volta da un punto di vista energetico.
STRETTO DI HORMUZSTRETTO DI HORMUZ
Ma il Golfo Persico e l' Iran rimangono una sfida politica centrale per qualsiasi amministrazione americana. Soprattutto perché questa contesa, questa possibile nuova guerra del Golfo, non si combatte (solo) per il petrolio.

Ma per il dominio politico nell' area, perché gli americani vogliono rimanere in prima linea a difendere i loro interessi e i loro alleati (a partire da Israele e Arabia Saudita) e per far questo devono fermare l' Iran.

A partire dagli Anni Ottanta gli americani hanno agito più volte lungo lo stretto di Hormuz. Nel 1984/1988 ci fu una prima "guerra delle petroliere", con una flotta multinazionale a cui contribuii anche l' Italia. La Marina schierò un gruppo navale guidato dall' ammiraglio Angelo Mariani. Una "protezione della libertà del traffico marittimo" che in sostanza era già allora un contenimento dell' Iran nella guerra del tempo con l' Iraq, allora alleato di fatto dell' Occidente.

STRETTO DI HORMUZSTRETTO DI HORMUZ
Oggi l' Iran, colpito da sanzioni americane durissime che stanno strangolando la sua economia, combatte nel Golfo e quindi lungo Hormuz una partita vitale. Deve di continuo alzare la posta, rilanciare con i piccoli attacchi, gli abbattimenti di droni americani, deve rischiare il più possibile. Deve correre il rischio di una guerra generalizzata (che Teheran non vuole) perché lontano da Hormuz, nelle città di quello che fu l' impero persiano, l' economia è in ginocchio. Gli Stati Uniti vogliono continuare con questa pressione, per portare l' Iran ad abbassare la testa. Ecco perché quindi la dimensione militare di questa partita si giocherà soprattutto in un punto. Il nome del gioco è "Hormuz".

Fonte: qui

La coalizione navale degli Stati Uniti nel Golfo - una provocazione troppo lontana

Il principale generale dell'America, Joseph Dunford, questa settimana ha annunciato piani per una coalizione navale guidata dagli Stati Uniti per pattugliare il Golfo Persico al fine di "proteggere le spedizioni" dal presunto sabotaggio iraniano.
La mossa è solo l'ultima di una serie di tentativi da parte dell'amministrazione Trump di mobilitare gli alleati arabi in una posizione militare più aggressiva nei confronti dell'Iran. Segue le recenti visite alla regione da parte del Segretario di Stato Mike Pompeo e del Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, che hanno entrambi sollecitato un fronte militare più organizzato guidato dagli Stati Uniti per affrontare l'Iran.
L'ultima coalizione navale  proposta  dal generale Dunford sarà incaricata di scortare le petroliere mentre attraversano lo stretto di Hormuz in uscita dal Golfo Persico verso l'Oceano Indiano, e anche attraverso l'ingresso di Bab al Mandab sul Mar Rosso, sul lato occidentale del Penisola arabica L'ex conduit serve l'approvvigionamento di petrolio in Asia, mentre l'ultima posizione tra Yemen ed Eritrea conduce le spedizioni verso il canale di Suez sulla strada per il Mediterraneo e l'Europa.
Entrambi gli stretti passaggi di mare sono punti di snodo strategici nel commercio mondiale del petrolio, con circa il 20-30% di tutto il greggio giornaliero spedito che li attraversa.
I motivi apparentemente cavallereschi degli Stati Uniti per "garantire la libertà di navigazione" sembrano sospettosamente un pretesto per Washington per affermare un controllo militare cruciale sul commercio internazionale di petrolio. Questo è uno dei motivi principali per opporsi a questa proposta americana.
In secondo luogo, l'idea di inviare più navi militari nel Golfo Persico sotto il comando del Pentagono in questo momento di tensioni incendiarie tra Stati Uniti e Iran è una provocazione spericolata troppo lontano.
Nella stessa settimana in cui il Pentagono aveva chiesto una coalizione navale, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna accusavano le forze iraniane di aver tentato di bloccare una petroliera britannica vicino allo Stretto di Hormuz. L'Iran ha respinto le accuse secondo le quali le sue navi da guerra hanno interferito in qualsiasi modo con la nave cisterna britannica. Sia Londra che Washington hanno affermato che una fregata della Royal Navy britannica ha dovuto intervenire per allontanare le navi iraniane. Il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha respinto le accuse come "senza valore".
L'ultimo incidente segue una serie di attacchi di sabotaggio contro petroliere nel Golfo Persico da parte di assalitori non identificati. Gli Stati Uniti hanno accusato l'Iran. L'Iran ha negato con veemenza ogni coinvolgimento. Teheran ha replicato affermando che le tensioni sono state accese da "cospirazioni malevole".
Si può facilmente prevedere in questo contesto geopolitico già sovralimentato nel Golfo Persico e nella regione più ampia come qualsiasi altra forza militare sarebbe potenzialmente disastrosa, a causa di errori di calcolo, incomprensioni o motivazioni più maligne.
Inoltre, i resoconti dei media indicano una maggiore diffidenza tra alcuni stati arabi del Golfo di essere spinti a confrontarsi con il loro vicino Iran. La politica americana sta fomentando incessantemente le tensioni regionali contro il giudizio migliore dei paesi vicini.
Il Washington Post ha  riferito  questa settimana:
Le crescenti tensioni nel Golfo Persico hanno messo in luce le differenze tra gli Stati Uniti e i loro alleati regionali, in parte su quanto aggressivamente l'amministrazione Trump dovrebbe affrontare l'Iran ...
Con questi paesi che potrebbero trovarsi in prima linea in ogni conflitto militare con l'Iran, alcuni degli stati più piccoli sono riluttanti a sostenere la posizione più combattiva degli Stati Uniti e dei pesi massimi regionali dell'Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti. "
Il rapporto continua:
"L'approccio più assertivo sostenuto dall'Arabia Saudita - e in particolare dal principe ereditario Mohammed bin Salman - mette il regno in contrasto con alcuni dei più piccoli alleati degli Stati Uniti nella regione, che vogliono vedere la crisi risolta attraverso i negoziati Kuwait e Oman , che hanno perseguito relazioni bilaterali con l'Iran, hanno da tempo risentito i tentativi sauditi di spingerli ad adottare una politica estera più conflittuale, dicono gli analisti ".
Il Qatar è un altro importante giocatore regionale che è destinato a nutrire dubbi sulle crescenti tensioni. L'emirato ricco di gas è stato malmenato dall'Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti con un blocco di due anni sui legami commerciali e politici. Mentre il Qatar è un alleato degli Stati Uniti e un vicino arabo sunnita tradizionalmente allineato con l'Arabia Saudita, il paese condivide anche i legami commerciali storici stretti della regione con l'Iran sciita a nord. Secoli di legami culturali sovrapposti celano il tentativo degli Stati Uniti e dei suoi alleati sauditi e degli Emirati Arabi Uniti di cercare di polarizzare la regione in un asse anti-Iran.
Consapevoli del pericolo di una catastrofica guerra in corso, diversi stati regionali hanno ragione ad essere ancora più allarmati dall'ultima proposta di una coalizione navale guidata dagli Stati Uniti. Washington sta arrogantemente oltrepassando la sua presunzione per controllare il commercio globale di petrolio, e sta spingendo le tensioni nella regione con una provocazione troppo lontana. Si spera che il temerario antagonismo guidato dagli Stati Uniti venga respinto dagli stati regionali più saggi che stanno per perdere molto più dei generali e dei guerrafondai che siedono comodamente a Washington.
Inoltre, il modo corretto per calmare e risolvere le tensioni nella regione è che l'amministrazione Trump interrompa la sua aggressione nei confronti dell'Iran e rispetti l'accordo nucleare internazionale del 2015, che ha distrutto unilateralmente l'anno scorso. Rimuovere le sanzioni e le navi da guerra dalla regione e - per un cambiamento fondamentale - rispettare il diritto internazionale, la diplomazia e le trattative pacifiche.