9 dicembre forconi: 10/23/17

lunedì 23 ottobre 2017

The Endgame of Financialization: Stealth Nationalization

This is the new model of nationalization: central banks control the valuation of private-sector assets without actually having to own them lock, stock and barrel.
As you no doubt know, central banks don't actually print money and toss it out of helicopters; they create a digital liability and use this new currency to buy assets such as bonds and stocks. Central banks have found that they can take control of the stock and bond markets by buying up as much as these markets as is necessary to force price and yield to do the central banks' bidding.
Central Banks Have Purchased $2 Trillion In Assets In 2017. This increases their combined asset purchases above $15 trillion. A trillion here, a trillion there, and pretty soon you're talking real money--especially if you add in assets purchased by sovereign wealth funds, dark pools acting on behalf of monetary authorities, etc.
Gordon Long and I discuss this stealth nationalization in our latest video program, The Results of Financialization: "Nationalization" (35 min):
In the old model of nationalization, governments expropriated/seized privately owned assets lock, stock and barrel. When a central state nationalized an enterprise, it took total ownership of the asset.
1. The entire point of the dominant neoliberal / neofeudal /neocolonial model is to maintain private ownership as a means of transferring the wealth to the New Aristocracy, i.e. the financier class. Government ownership certainly conveys benefits to the some are more equal than others functionaries atop the state's wealth-power pyramid, but it doesn't transfer the assets' income streams to private hands.In today's globalized financial world, such crude expropriation is avoided for two reasons:
2. It sends the wrong message: central banks want private investors to do their bidding, i.e. to go along with the transfer of wealth and income from the many to the few (the New Aristocracy). Maintaining the system of private ownership enables the central banks to control the markets for these assets at the modest cost of a few handfuls of the loot being distributed to the small-fry owners of IRAs, 401K retirement accounts, etc.
In other words, what central banks want is not outright ownership, which is costly and troublesome; what central banks want is to control the markets on the cheap, with leveraged buying. In effect, central banks have been able to manage assets worth $150 trillion with a mere $15 trillion in well-timed (and loudly announced) asset purchases.
This is the new model of nationalization: central banks control the valuation of private-sector assets without actually having to own them lock, stock and barrel. Being the buyer of last resort--the Plunge Protection Team that buys every dip in whatever size is needed to stabilize valuations and then reverse the downturn into yet another rally to new highs--has worked for nine long years.
This success has bred a complacent faith in the central bank cargo-cult that there is no limit to central bank control of yields, valuations and market sentiment.
But as I've described here many times, financialization is a box canyon. Once you start down the path to the Dark Side of phantom wealth created by commoditized debt and leverage (i.e. financialization), there's no turning back to the real world.
The central bank aircraft is flying into a canyon with walls 2,000 feet high at an altitude of 300 feet. Everything seems to be going splendidly until the central bank aircraft rounds a bend in the canyon and discovers the canyon ends in a rock face 2,000 high.
In a desperate attempt to escape the box canyon, central banks will ramp up their assets purchases of bonds to keep yields near zero, and of stocks to keep the bubble valuations high enough to support all the debt and leverage that's been piled on the underlying collateral of the stock market: non-phantom net earnings.
Needless to say, attempting to control global markets via the issuance of trillions in new currency and using that currency to buy huge chunks of the stock and bond markets is an unprecedented experiment.
To continue the box canyon analogy: central bankers and their cargo-cult faithful are confident central banks are flying an F-18 with afterburners on max; climbing 1,700 feet in a near-vertical ascent should be no problem.
Those of us outside the cargo cult see the central bankers flying a Wright Flyer: innovative in its time, but inadequate to the task of controlling private-sector markets via stealth nationalization.
Fonte: qui

SGOMINATA A CATANIA UNA BANDA INTERNAZIONALE CHE RIVENDEVA GASOLIO RUBATO VICINO TRIPOLI

LA REFURTIVA VENIVA SCORTATA DA MILIZIE LIBICHE FINO IN SICILIA E POI IMMESSA NEL MERCATO ITALIANO E EUROPEO TRAMITE UNA SOCIETÀ MALTESE - VIDEO


Guardia di finanzaGUARDIA DI FINANZA
La guardia di finanza ha sgominato un’associazione a delinquere internazionale che riciclava gasolio libico rubato dalla raffineria libica di Zawyia, a 40 km ovest di Tripoli, trasportato via mare in Sicilia e successivamente immesso nel mercato italiano ed europeo.

Militari del comando provinciale di Catania, con la collaborazione del Scico, a conclusione di un’indagine coordinata dalla Procura Distrettuale etnea e dalk .

RAFFINERIARAFFINERIA
Il procuratore capo Carmelo Zuccaro, hanno eseguito un’ordinanza del Gip effettuando sei arresti (3 in carcere e 3 ai domiciliari), tra maltesi, libici e italiani. Altri tre libici sono ricercati. Uno è detenuto nel suo Paese.

Dopo il furto il gasolio veniva scortato da milizie libiche e portato in Sicilia e poi immesso nel mercato italiano e europeo mediante una società maltese. Il traffico è stato monitorato con mezzi del Comando operativo aeronavale della Gdf.

18 Ottobre 2017

Fonte: qui

Fosse solo “Concorsopoli”:la nostra università fa schifo


Alzi la mano chi ha alzato un sopracciglio di fronte a dialoghi in cui il vecchio professore Pasquale Russo dice al giovane aspirante tale Philip Laroma Jezzi che deve «smetterla di fare l’inglese», che «se fai ricorso ti giochi la carriera», che «qui non siamo sul piano del merito», che in questi casi conta «il vile criterio del commercio dei posti».
L’inchiesta farà il suo corso e credere alla presunzione d’innocenza dei professori coinvolti è il minimo. Le prediche alla Pasolini, gli «io so, ma non ho le prove» li lasciamo agli indignati di professione, però, che nemmeno serve. Che il sistema universitario italiano vada avanti a colpi di concorsi pilotati da qualche decennio almeno è uno dei segreti peggio custoditi d’Italia. Chiunque ancorché privo di esperienza diretta abbia un parente o un amico che ha avuto esperienza in merito lo può confermare. Giochiamo a carte scoperte, su.

Il problema è che mentre tutti gli altri sistemi universitari del mondo fanno a gara ad accaparrarsi i talenti migliori,noi chiediamo a chi «come intelligenza e laboriosità vale il doppio» – così il vecchi tributarista Pasquale Russo ha definito Jezzi, secondo le carte della procura – di farsi da parte a un concorso di abilitazione, per far passare i vincitori designati. Che mentre tutti gli altri sistemi promuovono la competizione leale e meritocratica come strumento di avanzamento professionale – o almeno ci provano – noi preferiamo la cooptazione e ne andiamo fieri. 

Che mentre tutti gli altri Paesi capiscono che avere un grande, prestigioso, dinamico sistema universitario è oggi la prima condizione per sperare in un futuro prospero, noi lo usiamo come mercato delle vacche per piazzare l’amico e il medico.

Il problema è che mentre tutti gli altri sistemi universitari del mondo facciano a gara ad accaparrarsi i talenti migliori, noi chiediamo a chi «come intelligenza e laboriosità vale il doppio» di farsi da parte. Che mentre tutti gli altri Paesi capiscono che avere un grande, prestigioso, dinamico sistema universitario è oggi la prima condizione per sperare in un futuro prospero, noi lo usiamo come mercato delle vacche per piazzare l’amico e il mediocre

Sono banalità? Sì, sono banalità. Se volete ne abbiamo altreChe il tasso di passaggio dalle scuole superiori alle università è calato in dieci anni (tra il 2005 e il 2015) di 24 punti percentuali (dal 73% al 49%). Che nello stesso periodo le immatricolazioni sono state 65mila in meno. Che a fronte di un obiettivo di avere il 40% di laureati tra i 30 e i 40 anni entro il 2020, siamo fermi a quota 22,4% (24,2% tra i 25 e i 34, solo la Turchia fa peggio) fanalino di coda dell’Europa a 28. 

Che per l’istruzione superiore spendiamo il 7,4% della spesa pubblica complessiva, quattro punti abbondanti sotto la media OcseChe abbiamo tasse universitarie tra le più alte in Europa sei volte più alte di quelle che paga un giovane francese, e che, sempre tra il 2005 e il 2015 sono lievitate del 45%. Che abbiamo il corpo docente più anziano d’Europa e ricercatori con un età media di quasi 44 anni. Che siamo un Paese da cui i giovani emigrano più che dal Messico o dall’Afghanistan.

Forse ha ragione l’amico Alberto Forchielli, che nell’incontro di ieri sera a Linkiesta ci ha ricordato che anche con tutta la buona volontà del caso ci vorranno generazioni per rifondare il sistema universitario italiano. E che nel frattempo la qualità e il denaro che i nuovi giganti dell’economia mondiale stanno investendo in formazione rischiano di rendere vano tale sforzo. 

Ma se le prossime generazioni vogliono sperare di vivere in un Paese che ha futuro, la battaglia per una scuola meritocratica, efficiente, competitiva, giovane, ricca (sì, ricca sfondata) è l’unica battaglia che conta. Altrimenti, non c’è problema: bandiera bianca e liberi tutti. Ma non dite che non lo sapevate, quando stavate zitti. E non date la colpa ad altri, grazie.
 

Fonte: qui
PUGLIA - TANGENTI E ESCORT IN CAMBIO DI APPALTI PER LA GESTIONE DEI RIFIUTI, DODICI ARRESTI TRA CUI DUE SINDACI, UN VICESINDACO E FUNZIONARI COMUNALI

CARABINIERICARABINIERI
Mazzette in cambio di appalti per la gestione dei rifiuti, con migliaia di euro che finivano anche sui conti di candidati in varie campagne elettorali e persino una escort, ingaggiata per allietare le serate dei componenti della cricca. E’ sfaccettato lo spaccato di illegalità emerso dall’inchiesta dei carabinieri di Brindisi, che hanno eseguito ordinanze di custodia cautelare nelle province di Bari, Brindisi, Foggia e Potenza.

Le manette sono scattate per 12 persone, fra cui il sindaco ed il vicesindaco di Torchiarolo, Nicola Serinelli e Maurizio Nicolardi; il sindaco di Villa Castelli, Vitantonio Caliandro;  il vicesindaco di Poggiorsini (Area metropolitana di Bari), Giovanbattista Selvaggi; il direttore generale dell’Azienda di Servizi Ecologici - Ase di Manfredonia (Foggia), Giuseppe Velluzzi  e vari altri incaricati di pubblico servizio.

L’inchiesta è nata nel 2014 da alcuni accertamenti, avviati dai carabinieri della compagnia di San Vito dei Normanni, su presunte irregolarità nell’assegnazione di appalti per la gestione dei rifiuti ed è stata coordinata dal sostituto procuratore di Brindisi Milto De Nozza. Negli stessi anni la stessa Procura condusse un’inchiesta parallela che, a febbraio 2016, fece finire agli arresti domiciliari l’allora sindaco di Brindisi, Cosimo Consales, accusato di avere preso tangenti per favorire un’altra società che coordinava la raccolta dei rifiuti in provincia.
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L’ipotesi dell’indagine che ha portato agli ulteriori arresti è che gli amministratori pubblici - in associazione tra loro - avrebbero alterato le gare dei rispettivi Comuni, per favorire una ditta di raccolta della spazzatura con sede a Carovigno.
In cambio i pubblici ufficiali corrotti (sindaci e dirigenti) avrebbero ottenuto cospicue mazzette.

Oltre ai reati immediatamente collegati all’ alterazione delle gare pubbliche, la Procura di Brindisi ha contestato agli indagati anche una serie di reati minori, tra i quali finanziamento illecito ai partiti, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, falso e addirittura favoreggiamento della prostituzione. 

Fonte: qui



Referendum autonomia, Veneto supera il quorum. Zaia: 'Chiederemo 9/10 delle tasse'

Caos dati e polemiche in Lombardia

Sottosegretario per gli Affari regionali: 'Governo pronto a trattativa'. Maroni: 'In Lombardia oltre 40% affluenza

Ansa - Vittoria del sì ai referendum per l'autonomia in Lombardia e Veneto. Un risultato che fa esultare la Lega Nord, nonostante i dati evidenzino una netta affermazione nella regione guidata da Luca Zaia rispetto alla Lombardia presieduta da Roberto Maroni, e da sempre 'cuore' del Carroccio (60% contro 40% sull'affluenza), L'affermazione dei sì rinsalda anche l'asse con Forza Italia e rafforza l'idea di Silvio Berlusconi che un centrodestra unito possa avere chance di vittoria. Un percorso però da costruire vista la contrarietà di Giorgia Meloni alla consultazione popolare appena conclusa. Esulta anche il Movimento Cinque Stelle da sempre sostenitore della democrazia diretta. Sul piede di guerra invece il Partito Democratico.

In Veneto infatti i Dem invitano Zaia a ricordare che il risultato è frutto anche del loro impegno mentre in Lombardia il Pd evidenzia la scarsa affluenza. Chi si chiama ovviamente fuori dalla polemiche è il governo che con il sottosegretario agli affari regionali Gian Claudio Bressa annuncia di essere "pronto ad aprire una trattativa per definire le condizioni e le forme di maggiore autonomia". In attesa di capire il timing delle due regioni (Zaia ha convocato la riunione della giunta per domani mattina), la vittoria del sì ha un evidente significato politico. Chi ne può beneficiare è sicuramente Matteo Salvini: "5 milioni di persone chiedono il cambiamento alla faccia di Renzi che invitava a stare a casa", esulta.

Il leader della Lega, partito che ha fatto dell'autonomia uno dei suoi cavalli di battaglia non a caso parla dunque di "occasione unica". Ma in 'casa' del Carroccio la vittoria del sì riporta sotto i riflettori Luca Zaia che, forte del successo nella sua regione, come uno dei possibili leader per la guida del centrodestra: "Non esiste il partito dell'autonomia, ma dei veneti che si esprimo su questo concetto", ci tiene a precisare lo stesso Zaia mentre informa che un attacco hacker sta colpendo i siti di raccolta dati. Al di là delle critiche, anche Roberto Maroni si definisce "pienamente soddisfatto per il risultato che arriva al 40%".

In attesa che il Carroccio faccia i conti con la competizione interna, Silvio Berlusconi incassa il ritrovato asse con la Lega e si prepara al prossimo appuntamento e cioè le elezioni siciliane, altro snodo fondamentale prima delle politiche. Anche gli azzurri, come dice Renato Brunetta, esprimono "grande soddisfazione per il risultato". Critico invece il partito di Giorgia Meloni. La leader di Fdi nel corso delle settimane passate non ha mancato occasione per prendere le distanze dalla consultazione popolare e dagli alleati: "In una nazione - ribadisce - le riforme costituzionali si fanno insieme e non a pezzi per l'interesse di tutti e non per assecondare l'interesse particolare".

In entrambe le regioni i cittadini sono stati chiamati a esprimersi sul cosiddetto "regionalismo differenziato", ossia la possibilità, per le Regioni a statuto ordinario di vedersi attribuite "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia" (come recita l'Articolo 116 della Costituzione) in alcune materie indicate nel successivo Articolo 117.

Il Sì è per chiedere la possibilità che le Regioni chiedano di intraprendere il percorso istituzionale per ottenere maggiori competenze dal Governo; il No è contrario all'iniziativa. In Lombardia non è previsto un quorum, ossia un numero minimo di votanti, mentre in Veneto sì: affinché la consultazione sia valida, nella regione governata da Luca Zaia era necessario il voto della metà più uno dei 4.068.558 aventi diritto, 2.034.280 elettori.

In Lombardia il quesito era: "Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell'unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all'articolo richiamato?".

Più stringata la domanda in Veneto: "Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?". Un'altra differenza tra le due Regioni è stata il sistema di voto: elettronico in Lombardia (è la prima volta in Italia), tradizionale con scheda di carta e matita in Veneto. Gli elettori lombardi hanno trovato nella cabina una "voting machine", un dispositivo simile a un tablet che sullo schermo touch screen riportava il testo integrale del quesito referendario.

I referendum non sono vincolanti. Con la vittoria del Sì, le Regioni potrebbero chiedere al governo centrale di avviare una trattativa per ottenere maggiori competenze nelle venti materie concorrenti (tra queste spiccano il coordinamento della finanza pubblica e tributario, lavoro, energia, infrastrutture e protezione civile) e in tre esclusive dello Stato: giustizia di pace, istruzione e tutela dell'ambiente e dei beni culturali. L'intesa tra lo Stato e la Regione interessata dovrà poi concretizzarsi in una proposta di legge che dovrà essere approvata a maggioranza assoluta da entrambe le Camere.

Referendum, in Veneto vince il sì: caos dati e polemiche in LombardiaAl referendum vince il "sì" all'autonomia: i dati parlano del 57,2% di cittadini al voto in Veneto e il sì è stato del 98,1% per cento. Per la Lombardia, il governatore Roberto Maroni ha invece delineato il dato del 40%, astensione record a Milano. Il sì è al 95,64% dopo il 60,4% dei voti elettronici scrutinati, ma fioccano le polemiche per il voto elettronico che ha causato rallentamenti nelle operazioni di scrutinio. 

«L'esito del referendum in Lombardia e Veneto conferma l'importante richiesta di maggiore autonomia per le rispettive regioni. Il governo, come ha sempre dichiarato anche prima del voto di oggi, è pronto ad avviare una trattativa», afferma Gianclaudio Bressa, sottosegretario per gli Affari regionali, alla chiusura dei seggi elettorali in Lombardia e Veneto. «Noi chiediamo tutte le 23 materie, lo dico subito, e i nove decimi delle tasse - ha spiegato il governatore del Veneto Zaia -Incontreremo il presidente del Consiglio - ha aggiunto - quando il nostro progetto sarà pronto».

Sull'onda di questi dati, dal voto in Veneto e Lombardia parte una nuova fase che sarà caratterizzata dalla trattativa fra le due Regioni e lo Stato, in base all'articolo 116 della Costituzione. Per chiedere poteri esclusivi in «tutte le materie concorrenti», hanno anticipato i governatori Luca Zaia e Roberto Maroni, ma anche più risorse. È stato proprio il governatore del Veneto, accompagnato dalla moglie, il primo ad andare a votare. Zaia, come promesso, si è presentato prima delle 7 davanti alla scuola elementare di San Vendemiano, il comune in provincia di Treviso dove vive. «È una pagina di storia che si scriverà - ha osservato -. Il Veneto non sarà più quello di prima. Sta poi ai veneti, e ai 'nuovi venetì, ai tanti che hanno scelto di avere qui un progetto di vita, approfittare di questa opportunità».

Se il ministro e vicesegretario Pd Maurizio Martina aveva ribadito la linea della «astensione consapevole al referendum della Lombardia, perché si è sprecato tempo e denaro per un quesito inutile», la Lega ha guardato la giornata di oggi con occhi diversi. «Se alcuni milioni di persone ci danno il mandato - ha promesso il segretario Matteo Salvini, votando a Milano - noi da subito trattiamo con il governo centrale. Io sarei andato a votare chiunque lo avesse proposto». Ultima parola a Bossi. Il presidente-fondatore del Carroccio si è presentato intorno alle 17 al seggio dell'istituto comprensivo di via Fabriano, a Milano, vicino alla sede di via Bellerio. Bossi ha detto che a lui piace ancora l'idea dell'indipendenza del Nord. I referendum non sono inutili, ma «sono l'unica possibilità di tamponare la crisi sociale che arriva: anche se l'autonomia blocca l'indipendenza».

Fonte: qui

.Referendum autonomia, trionfa il sì
Zaia: «Vogliamo i 9/10 delle tasse» Tutti i dati di Veneto e Lombardia
Maroni soddisfatto anche se l'affluenza si ferma al 40%: «Entro due settimane la nostra proposta al governo». Flop delle voting machine al loro debutto
Il governo pronto a trattare
In entrambi i casi, il risultato è stato come da previsione, con i sì attestati ovunque tra il 95 e il 98%. Il segnale politico, da qualunque parte la si guardi, c'è stato: l'affluenza è stata superiore rispetto a quanto i detrattori della consultazione si immaginavano fino alla vigilia. E lo stesso governo ne ha preso atto: il sottosegretario per gli Affari regionali, Gianclaudio Bressa, a meno di un'ora dalla chiusura dei seggi ha fatto sapere che l'esecutivo è pronto ad una trattativa. Il modello sarà probabilmente quello sperimentato nel rapporto con l'Emilia Romagna, che ha già avviato un confronto con Roma senza passare dalla tappa referendaria.

Il «big bang» delle riforme
Zaia ha già fatto sapere di non voler perdere tempo e di essere pronto ad andare all'incasso con il governo: «Vogliamo che i nove decimi delle tasse restino nella nostra regione - ha detto il presidente della giunta regionale del Veneto - Questo è il big bang delle riforme, è una vittoria dei veneti e dei nuovi veneti». Sulla stessa linea Roberto Maroni, che conta di presentare una proposta al governo entro due settimane e annuncia di voler coinvolgere una squadra aperta anche a esponenti di altre forze politiche, facendo espressamente il nome del sindaco pd di Bergamo, Giorgio Gori.

Chi ha votato di più
Se davvero sarà stata una «giornata storica» lo si capirà solo alla fine dell’iter, quando, dopo la trattativa con il governo, sarà chiaro quante e quali materie di competenza statale passeranno di mano. Ma la prima prova, quella referendaria, è stata superata. In Veneto, dove l’iniziativa referendaria era stata varata dal Consiglio regionale all’unanimità, la provincia che ha fatto registrare il maggior numero di votanti è stata quella di Vicenza (con punte vicino al 70 per cento), seguita da Padova e Treviso. In Lombardia, invece, la palma dei più sensibili al richiamo referendario è toccata ai bergamaschi (il sindaco del capoluogo, il pd Giorgio Gori, aveva invitato a votare Sì), seguiti da lecchesi e bresciani. In fondo alle rispettive classifiche, si trovano Venezia e Milano, come se il tema dell’autonomia faticasse a sfondare nelle città metropolitane.
L'altolà di Meloni
Al di là della Lega, che si intesta il successo avendo la primogenitura della battaglia, nel coro di politici che si dicono soddisfatti per l’affluenza ci sono Debora Serracchiani (Pd), Renato Brunetta (Forza Italia), Gaetano Quagliariello (Idea), Stefano Parisi (Energie per l’Italia), Giovanni Endrizzi (M5S). L’unica stecca nel coro è quella di Giorgia Meloni. Per la presidente di Fratelli d’Italia «i referendum non sono stati un plebiscito, le riforme si fanno tutti insieme e non a pezzi». La partita ora si sposta sul piano istituzionale. I referendum erano consultivi, servivano a Maroni e Zaia per avere maggiore forza nella trattativa che la Costituzione prevede con il governo. Nei prossimi giorni i rispettivi consigli regionali daranno mandato ai presidenti di procedere. I tempi sono stretti. Al più tardi tra fine gennaio e metà febbraio il confronto con Roma entrerà nel vivo.
Fonte: qui