 C’era  una volta (e c’è ancora) l’“economia lineare”, nata dalla Rivoluzione  industriale tra Settecento e Ottocento. Un modello forgiato all’insegna  del “prendere, fare e smaltire”.
C’era  una volta (e c’è ancora) l’“economia lineare”, nata dalla Rivoluzione  industriale tra Settecento e Ottocento. Un modello forgiato all’insegna  del “prendere, fare e smaltire”.
Ma la storia insegna come l’economia lineare abbia creato vaste conseguenze sia sul piano ambientale che sociale. Il  consumo di massa, l’utilizzo di combustibili fossili, l’urbanizzazione e  il trasporto globale hanno contributo a produrre pesanti effetti.
Per questo il futuro sarà invece dell’“economia circolare”: «Per sua natura, un’economia di recupero - come spiegano sull’Harvard Business Review i docenti universitari Mark Esposito, Terence Tse e Khaled Soufani - in cui non si tratta tanto di “fare di più con meno” ma, piuttosto, di fare di più con ciò di cui già disponiamo».
Capitale naturale in via di esaurimento
Un’utopia?  Macché, una necessità reale, spiegano gli autori del saggio,  consapevoli del rapido esaurimento del capitale naturale esistente, o  almeno di quello di facile reperibilità . Dagli anni Settanta  del secolo scorso, l’incremento della produttività delle colture di  cereali ha infatti subito una diminuzione del 66%, nonostante i  progressi delle tecniche di fertilizzazione e di irrigazione. Lo  sfruttamento minerario sta diventando più costoso: le percentuali medie  dei metalli ricavati dalle estrazioni sotterranee sono in netto calo,  sia in termini di concentrazione che di qualità. Allo stesso tempo, secondo l’Ocse, la classe media globale raddoppierà entro il 2030. «Queste  cifre servono da monito sul fatto che non possiamo continuare a  crescere come specie continuando a godere di un’elevata qualità della  vita senza cambiare il nostro modo di fare le cose», spiega  Mark Esposito, docente di Strategia economica presso la Harvard  University Extension e la Grenoble School of Management.
 Per fortuna  le attuali politiche messe in atto dalla Commissione Europea, in  particolare dal vicepresidente Katainen, sembrano muoversi davvero a  favore di una rivoluzione in termini di economia circolare, che sta anzi  diventando uno dei punti cardini dell’agenda politica dell'Unione.
I benefici economici
In  Europa un sistema circolare creato grazie a nuove tecnologie e nuovi  materiali sarebbe in grado di aumentare fino al 3% la produttività delle  risorse, stima lo studio Growth within: a circular economy vision for a competitive Europe, realizzato dal McKinsey Center for Business and Environment in collaborazione con la Ellen MacArthur Foundation e il Sun (Stiftungsfonds für Umweltökonomie und Nachhaltigkeit). Questo modello - che pone al centro la sostenibilità del sistema, in cui non ci sono  prodotti di scarto e nel quale le risorse vengono costantemente  riutilizzate - genererebbe per le economie del Vecchio  Continente un risparmio in termini di costi di produzione e utilizzo  delle risorse di base pari a 1.800 miliardi di euro l’anno entro il  2030, che si tradurrebbe in una crescita del Pil fino a 7 punti  percentuali e in più alti livelli di occupazione. Con il reddito  disponibile delle famiglie europee che potrebbe risultare superiore di  ben l’11% rispetto al percorso di sviluppo attuale.
Le inefficienze attuali
L’economia  europea di oggi si fonda infatti su un sistema di creazione di valore  molto inefficiente e continua a operare secondo il modello lineare  “estrazione, produzione, consumo, smaltimento”, spiega ancora lo studio  uscito sull’Harvard Business Review.
Nel  2012, in Europa, sono state utilizzate in media 16 tonnellate di  materiali per abitante: il 60% degli scarti è finito nelle discariche o  negli inceneritori, mentre solo il 40% è stato riciclato o riutilizzato.
Un’auto  in Europa resta parcheggiata in media il 92% del tempo, il 31% dei  generi alimentari vengono sprecati lungo la catena del valore, e gli  uffici vengono utilizzati dal 35% al 50% del tempo, anche durante le ore  lavorative.
Complessivamente,  questo sistema di produzione e utilizzo dei prodotti e delle risorse  costa all’Europa 7.200 miliardi di euro l’anno per i tre ambiti  analizzati dallo studio: 1.800 miliardi di euro sono i costi effettivi  delle risorse, cui si sommano 3.400 miliardi per tutte le altre spese,  legate ai tre ambiti menzionati sostenute dalle famiglie e dai Governi, e  2.000 miliardi che comprendono le esternalità (costi legati ad esempio al trasporto, all’inquinamento atmosferico e a quello acustico).
Il driver di cambiamento delle nuove tecnologie
Nel  modello attuale di sviluppo, le nuove tecnologie e i modelli di  business innovativi possono contribuire a migliorare la produttività  delle risorse in Europa e a ridurre i costi totali annuali di 900  miliardi di euro entro il 2030. Nei prossimi decenni, la rivoluzione  digitale e tecnologica, che ha già cambiato radicalmente il mondo della  comunicazione e dell’informazione, potrebbe avere lo stesso impatto  dirompente sui tre ambiti presi in esame (mobilità, alimentazione ed  edilizia). Per fare qualche esempio, nel settore dei trasporti il costo  medio per chilometro di un’auto potrebbe diminuire fino al 75% grazie al  car sharing, ai veicoli elettrici e a guida autonoma, e all’utilizzo  dei nuovi materiali. Nell’edilizia, la tecnologia applicata ai processi  industriali potrebbe ridurre i costi di costruzione fino al 50%.
A  beneficiarne saranno anche l’ambiente (lo studio stima una riduzione  del 48% delle emissioni di anidride carbonica entro il 2030 rispetto ai  livelli del 2012) e la competitività delle aziende. Oggi i materiali e  componenti rappresentano tra il 40 e il 60% dei costi complessivi delle  aziende manifatturiere in Europa e questo spesso si traduce in uno  svantaggio competitivo in termini di efficienza.
I costi di transizione
L’economia circolare comporta tuttavia notevoli costi di transizione (tra cui, ad esempio, la spesa in ricerca e sviluppo, i finanziamenti  per favorire l’ingresso sul mercato di nuovi prodotti, nonché la spesa  pubblica per la creazione di infrastrutture digitali), ma potrebbe creare un’opportunità di rinnovamento economico e industriale. Sebbene sia difficile stimare il costo complessivo di una  trasformazione di così vasta portata, alcuni esempi a livello di singolo  Paese possono aiutare a comprenderne la dimensione: il Governo  britannico ha stimato che la creazione di un sistema efficiente per il  riutilizzo e il riciclo delle risorse costerebbe circa 14 miliardi di  euro (vale a dire, a livello europeo, un investimento pari a 108 miliardi di euro), mentre il passaggio alle energie rinnovabili in Germania è costato 123 miliardi in incentivi economici dal 2000 al 2013.
Le resistenze al cambiamento
Uno dei principali motori del modello circolare è la condivisione: schemi di c
ar sharing contribuiscono a ridurre la produzione di rifiuti, dato che un minor  numero di persone hanno bisogno di acquistare autovetture e che gli  stessi veicoli già circolanti vengono utilizzati da più persone. Per non  parlare del 
car pooling, 
in grande ascesa anche in Italia . Eppure, la proposta come sappiamo ha incontrato enormi resistenze. «È  quindi necessario che alle aziende esistenti vengano offerte nuove  prospettive su come prosperare nell’ambito dell’economia circolare -  concludono i tre studiosi - e su quali siano le opportunità di mercato  “circolari” di cui beneficiare a breve termine».
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