9 dicembre forconi: 05/15/16

domenica 15 maggio 2016

ACCORDO RENZI-ALFANO PER VOTARE IN DUE GIORNI ALLE AMMINISTRATIVE: IL GOVERNO SPERA DI CONTRASTARE L'ASTENSIONISMO

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FASSINA CHIEDE UN DECRETO AD HOC PER RIENTRARE IN GARA, MA I RENZIANI NON CI PENSANO PER NIENTE

Renzi si limiterà ad allungare i tempi del voto delle amministrative. Lo farà contando sulla sponda di Forza Italia e Lega che avevano chiesto una decisione in questo senso con l' aggancio del ponte del 2 Giugno che terrebbe gli elettori lontani dai seggi domenica 5.
Si raddoppierà anche per il referendum? Dipende da cosa conviene a Renzi

Goffredo De Marchis per ''la Repubblica''
matteo renzi e agnese landini al voto a pontassieve 9
FALLITO
Le comunali si allungano. Nel consiglio dei ministri di domani sarà presentato un decreto legge per consentire di votare alle elezioni amministrative anche lunedì 6 giugno oltre che domenica 5. E lunedì 20 giugno, oltre al 19 giugno, per i ballottaggi. Significa che Matteo Renzi appoggia la proposta per che per prima è stata avanzata da Angelino Alfano e che rispondeva a una serie di richieste che sono giunte dalle opposizioni.
È una scelta che dovrebbe aiutare l' affluenza alle urne, ovvero diminuire la percentuale dell' astensionismo. Sel e Sinistra Italiana approfittano della motivazione per chiedere anche una sanatoria per Stefano Fassina escluso dalla competizione romana per un vizio di forma nella presentazione delle liste. «Se si vuole favorire la partecipazione, si ammettano le nostre liste nella Capitale», dice Alfredo D' Attorre. Ma rispetto a questa voce, Palazzo Chigi fa sapere che la moratoria non ci sarà.
È evidente che un' eccezione per Sinistra Italiana aprirebbe un problema in tutte le città dove per motivi tecnici qualcuno è rimasto fuori. «Io non chiedo niente - dice Fassina - . Anzi penso più all' interesse generale che alla mia convenienza e mi sembra veramente singolare che a tre settimane dal voto, con le liste già in campo, il governo intervenga cambiando le date delle urne». Uno "scambio" però non dispiacerebbe alla sinistra, scambio che al momento è escluso.
Renzi si limiterà ad allungare i tempi del voto. Lo farà contando sulla sponda di Forza Italia e Lega che avevano chiesto una decisione in questo senso con l' aggancio del ponte del 2 Giugno che terrebbe gli elettori lontani dai seggi domenica 5.
La sanatoria è molto più complicata e poi, dicono i maligni, non converrebbe a Roberto Giachetti impegnato a recuperare i voti in uscita da sinistra. Quando si fanno modifiche elettorali in corso la prassi vuole che tutti i gruppi politici siano d' accordo.
Si è sempre fatto così convocando i partiti al Viminale e cercando l' unanimità. Ma stavolta non c' è uno stravolgimento di norme, non cambia nemmeno la data, vengono solo concesse delle ore in più. E una larga fetta dell' opposizione condivide la decisione.
Al decreto lavorano gli uffici legislativi della Presidenza del Consiglio e del ministero dell' Interno. Quando il testo sarà pronto si capirà se potrà servire (o fungere da prova generale) per "raddoppiare" anche l' appuntamento del referendum costituzionale di ottobre.
BERLUSCONI E SALVINI
FALLITI
L' ipotesi comincia a circolare. I sostenitori del No l' attribuiscono al premier sottolineando che secondo i sondaggisti una maggiore affluenza sarebbe sinonimo di crescita del Sì. Naturalmente la partecipazione massima a una riforma che cambia ben 40 articoli della Costituzione avrebbe anche un significato politico.
Ma a sfavore del raddoppio gioca il fatto che il quesito confermativo non prevede quorum per essere valido.
Fonte: qui

Il petroyuan è la grande scommessa di Russia e Cina

petroyuanDopo le sanzioni economiche che Stati Uniti ed Unione Europea hanno imposto alla Russia, Mosca e Pechino tessevano una potente alleanza energetica che ha radicalmente trasformato il mercato mondiale del petrolio.

Oltre ad aumentare il commercio di idrocarburi in modo esponenziale, le due potenze orientali hanno deciso di porre fine al dominio del dollaro nel determinare i prezzi dell’oro nero.

Il petroyuan è lo strumento di pagamento strategico che promette di facilitare la transizione verso un sistema monetario multipolare, che tenga conto delle diverse valute e rifletta i rapporti di forza nell’ordine mondiale. Invece di umiliare la Russia, la “guerra economica” che Washington e Bruxelles hanno promosso è stata controproducente perché non solo ha contribuito a rafforzare l’alleanza energetica tra Mosca e Pechino.

Ricordiamo che nel maggio 2014, la società russa Gazprom s’impegnò a garantire la fornitura di gas alla Cina per 38 miliardi di metri cubi nei prossimi tre decenni (dal 2018), con la firma di un contratto da 400 miliardi di dollari con la China National Petroleum Corporation (CNPC) (1).

Attualmente entrambe le potenze collaborano a un ambizioso piano strategico che prevede la costruzione di oleodotti e di raffinerie e complessi petrolchimici a gestione congiunta di grandi dimensioni. Senza volerlo, il riavvicinamento tra Mosca e Pechino ha prodotto profondi cambiamenti nel mercato mondiale del petrolio a favore dell’Oriente, minando drammaticamente l’influenza delle compagnie petrolifere occidentali. Anche l’Arabia Saudita, che fino a poco prima era la principale fornitrice di petrolio del gigante asiatico, è tramortita dalla diplomazia del Cremlino. Mentre dal 2011 le esportazioni di petrolio saudite verso la Cina crescevano al ritmo di 12000 barili al giorno, quelle russe crescevano di 550000 barili al giorno, cioè cinque volte più veloce. Infatti, nel 2015 le aziende russe superarono di quattro volte le loro controparti saudite nella vendita di petrolio alla Cina: Riyadh ha dovuto accontentarsi d’essere il secondo fornitore di greggio di Pechino a maggio, settembre, novembre e dicembre (2). Va notato che anche la quota di mercato dei Paesi europei rispetto alla regione asiatica è diminuita: la Germania, per esempio, è stata soppiantata dalla Cina verso la fine del 2015 quale maggiore acquirente di petrolio russo (3). Così, i grandi investitori che operano nel mercato globale del petrolio difficilmente possono credere come, in pochi mesi, l’attore principale (Cina) sia diventato il cliente preferito del terzo produttore (Russia). Secondo il Vicepresidente della Transneft (la società russa responsabile della realizzazione dei gasdotti nazionali) Sergej Andronov, la Cina è disposta a importare 27 milioni di tonnellate di petrolio russo nel 2016 (4).

L’alleanza energetica russo-cinese si propone di andare avanti. Mosca e Pechino hanno deciso di fare dello scambio petrolifero la via al sistema monetario multipolare, cioè non basato esclusivamente sul dollaro ma che tenga conto di diverse valute e soprattutto rifletta i rapporti di forza nell’ordine mondiale.

Le sanzioni economiche imposte da Washington e Bruxelles hanno incoraggiato i russi ad abbandonare le transazioni commerciali e finanziarie in dollari ed euro, in caso contrario sarebbero stati troppo esposti ai sabotaggi nel commercio con i principali partner. Perciò, da metà 2015, il petrolio che la Cina compra dalla Russia è pagato in yuan e non dollari, come confermato dai dirigenti di Gazprom Neft, il ramo petrolifero di Gazprom (5).

Questo incoraggia l’uso della “moneta del popolo” (‘RMB’) nel mercato globale del petrolio, consentendo alla Russia di neutralizzare l’offensiva economica lanciata da Stati Uniti ed Unione Europea.

Le fondamenta del nuovo ordine finanziario supportato dal petroyuan emergono: la valuta cinese è destinata a diventare il fulcro del commercio in Asia-Pacifico delle grandi potenze petrolifere.
Oggi la Russia commercia petrolio con la Cina in yuan, e lo stesso in futuro farà l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) quando la Cina lo chiederà. O il culto dell’Arabia Saudita per il dollaro gli farà perdere uno dei principali clienti? (6)


Altre potenze geoeconomiche già seguono le orme di Russia e Cina, avendo capito che per costruire un sistema monetario più equilibrato, la ‘de-dollarizzazione’ dell’economia mondiale è una priorità.

Non meno importante è che dal crollo del prezzo del petrolio di oltre il 60 per cento (a metà del 2014) le banche cinesi sono un sostegno cruciale per finanziare le infrastrutture energetiche congiunte. Per esempio, per avviare al più presto il gasdotto russo-cinese ‘Forza della Siberia’, Gazprom ha richiesto a Bank of China un prestito quinquennale da 2 miliardi di euro, lo scorso marzo (7). È il più grande credito bilaterale che Gazprom ha contratto con un istituto finanziario finora. Un altro esempio è il prestito che la Cina ha concesso alla Russia poche settimane fa di 12 miliardi di dollari per il progetto Jamal LNG (gas naturale liquefatto) nella regione artica (8). Evidentemente la politica estera della Russia nel settore energetico non subisce alcun isolamento, al contrario, vive uno dei momenti migliori grazie alla Cina. In conclusione, l’ostilità dei capi di Stati Uniti ed Unione Europea verso il governo di Vladimir Putin ha precipitato il rafforzamento dell’alleanza energetica russo-cinese, che a sua volta non fa altro che aumentare la preponderanza orientale sul mercato mondiale del petrolio. La grande scommessa di Mosca e Pechino è il petroyuan, strumento di pagamento dal carattere strategico che avanzerà la sfida per porre fine al predominio del dollaro nel determinare i prezzi dell’oro nero.1Note
1. “Rusia y China firman el histórico contrato multimillonario de suministro de gas“, Russia Today, 21 maggio 2014.
2. “Россия в декабре стала крупнейшим экспортером нефти в Китай“, TASS, 26 aprile 2016.
3. “China Overtakes Germany as Top Russian Oil Consumer“, Sputnik, 11 marzo 2016.
4. “China Confirms Readiness to Import 27Mln Tonnes of Russian Oil in 2016“, Sputnik, 31 marzo 2016.
5. “Gazprom Neft sells oil to China in renminbi rather than dollars“, Jack Farchy, Financial Times, 1 giugno 2015.
6. “Saudi Arabia having ‘a very difficult time selling oil’ as Russia and Iraq compete for trade“, The Independent, 29 marzo 2016.
7. “Gazprom secures €2bn loan from Bank of China“, Jack Farchy, Financial Times, 3 marzo 2016.
8. “Russia’s Yamal LNG gets round sanctions with $12 bln Chinese loan deal“, Reuters, 29 aprile 2016.
Ariel Noyola Rodriguez* Russia Today
*Economista laureato presso l’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM).
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Un sindaco calabrese, grazie al fotovoltaico, ha azzerato la Tasi per i suoi cittadini

panorama_san_lorenzo-tAntonio Cersosimo, primo cittadino di San Lorenzo Bellizzi (Cosenza), ha cancellato la Tasi 2014 per i suoi 700 concittadini grazie agli impianti fotovoltaici costruiti recentemente

19/09/2014
ELENA VERONELLI

Tra “taglia-incentivi”, “sblocca-trivelle” e moratorie regionali c’è ancora chi crede alle fonti rinnovabili. È il caso di Antonio Cersosimo, sindaco di San Lorenzo Bellizzi, in provincia di Cosenza, Comune situato tra riserve naturali e promontori, ricco di flora e fauna selvatica dove corrono e volano liberi cinghiali, grifoni, falchi, volpi, lupi. Qui i neanche 700 abitanti non pagheranno per l’anno 2014 la famigerata Tasi (Tassa sui servizi indivisibili) proprio grazie al fotovoltaico. E i proprietari degli immobili situati nel centro storico che decideranno di ristrutturare la loro casa saranno esentati dal pagamento delle tasse per 5 anni. 
Due anni fa, sfruttando i generosi incentivi del quinto Conto Energia, il sindaco Antonio Cersosimo ha deciso di investire sul fotovoltaico installando tre impianti (da 13 MW) nei terreni situati nei Comuni di Corigliano Calabro, Cassano allo Ionio e Francavilla Marittima, dove vigeva l’autorizzazione per l’installazione su serra. Un’operazione che ha permesso di risparmiare 90.000 euro all’anno, portando in attivo il bilancio economico della città e permettendo di abbassare così le tasse ai cittadini, eliminando anche la Tasi. 
Secondo Cersosimo l’investimento fatto nel 2012 ha portato benefici economici già dall’anno successivo all’acquisto, e garantirà un introito per i prossimi 25 anni. Anche se, per il futuro, il sindaco non appare molto ottimista: “Speriamo di poter ripetere l’eliminazione della Tasi anche per i prossimi anni. Dipende però dai tagli dello Stato centrale, che ogni anno aumentano sempre di più”, ha detto Cersosimo contattato da Tuttogreen. E poi, continua il sindaco, “con la nuova normativa sugli incentivi diventa difficile continuare a puntare sul solare. Prima il sussidio riusciva a coprire l’investimento iniziale, ora non è più così”.  
Tuttavia, San Lorenzo Bellizzi è una vera e propria un’oasi nel deserto. Soprattutto di questi tempi, in cui le rinnovabili sono spesso viste più come un problema che come una soluzione, a livello sia centrale che locale. Con lo “spalma-incentivi” per ridurre le bollette alle Pmi si è parlato solo di quanto i sussidi al settore (effettivamente tra i più alti al mondo) pesino sulle bollette dei consumatori e di come, a causa di una remunerazione troppo generosa del capitale investito, si siano favorite posizioni di rendita. Dal canto loro le Regioni vanno avanti a colpi di moratorie e provvedimenti ad hoc per bloccare nuovi impianti da rinnovabili, soprattutto quelli eolici, perché ritenuti troppo impattanti visivamente e quindi dannosi per il turismo. Il tutto mentre il Governo Renzi sembra guardare solo al petrolio e al gas e punta sullo “sblocca-Italia”, che accentra il potere per velocizzare la ricerca e l’estrazione di idrocarburi ma nulla dice sulle rinnovabili.  
Inoltre, la decisione del sindaco di togliere la Tasi è stata presa in totale contrasto con la logica della circolare dell’Agenzia delle Entrate dello scorso dicembre, che prevede per la produzione di energia attraverso un impianto fotovoltaico installato su tetto (superiori a 3 kW) un aggravio fiscale. In altre parole, la Tasi e le altre imposte sugli immobili aumentano perché gli impianti fotovoltaici fanno variare la rendita catastale. A dispetto di chi si sceglie questa fonte energetica proprio per diminuire la bolletta elettrica e risparmiare. 
Il caso di San Lorenzo Bellizzi - commenta Agostino Re Rebaudengo, presidente di AssoRinnovabili - ben rappresenta un esempio virtuoso dei benefici connessi alla produzione di energia rinnovabile. Dimostra, inoltre, quanto sia miope e controproducente la strategia messa in atto dal Governo con una norma come lo spalma incentivi, che danneggerà gravemente il settore. Facciamo quindi i nostri complimenti ad un’amministrazione comunale che ha visto nel fotovoltaico un’opportunità per migliorare la qualità della vita sul proprio territorio sia da un punto di vista ambientale che da un punto di vista economico. Un esempio - conclude Re Rebaudengo - che speriamo sia presto seguito da molti altri comuni”. 
Fonte: qui

Addio operai. In Cina la prima fabbrica in cui gli operai sono tutti robot

fotohome3Zero diritti, nessun permesso sindacale, ferie o malattia. Benvenuti nella prima fabbrica al mondo senza operai. Qui infatti a produrre saranno i robot. Siamo in Cina, a Dongguan dove sorgerà il primo stabilimento in cui il lavoro umano sarà completamente rimpiazzato da quello dei robot.

È la Shenzhen Evenwin Precision Technology la società protagonista del progetto. Inizialmente circa 1.000 robot saranno impiegati presso lo stabilimento di Dongguan, che produce componenti per cellulari.
“L’uso di robot industriali aiuterà l’azienda a ridurre il numero di lavoratori in prima linea di almeno il 90 per cento”, ha detto Chen Xingqi, il presidente del consiglio di amministrazione dell’azienda. “Quando tutti i 1.000 robot industriali saranno messi in funzione nei prossimi mesi, ci sarà solo bisogno di assumere meno di 200 tecnici di software e di gestione del personale”.
Shenzhen Evenwin Precision Technology si aspetta che la capacità produttiva dello stabilimento a regime sarà pari a 280 milioni di euro (332 milioni di dollari).
Sono sempre di più le fabbriche del Pearl River Delta - un centro urbano e industriale nel sud della Cina, spesso soprannominato ‘fabbrica del mondo’ – che stanno cominciando a introdurre i robot nel tentativo di sostituire il lavoro umano. Ma oggi la regione deve affrontare due problemi che costringono a cercare nuove strategie di sviluppo, tra cui l’automazione di massa.
Il primo problema è la carenza di manodopera causata da un numero sempre crescente di persone che rifiutano posti di lavoro in fabbrica. Il Dipartimento delle Risorse Umane e della Previdenza Sociale della provincia di Guangdong (dove si trova Pearl River Delta), sostiene che all’industria locale manchino da 600.000 a 800.000 lavoratori.
Il secondo problema è che il lavoro cinese sta diventando sempre meno a buon mercato. La Cina è stata a lungo il paese più attraente per le imprese straniere per via della forza lavoro a basso costo, ma ora il paese sta iniziando a perdere questo suo “vantaggio”. Secondo le cifre di recente rese note da Bloomberg, un lavoratore medio di una fabbrica cinese guadagna poco meno di 500 dollari al mese, mentre in Thailandia guadagna meno di 350 dollari, e in Cambogia appena 75.
Le autorità di Guangdong e le imprese contano di automatizzare al massimo il processo produttivo. La provincia prevede di investire l’equivalente di circa 154 miliardi di dollari nella robotizzazione della produzione manifatturiera. Guangzhou, la capitale del Guandong, ha addirittura fissato un obiettivo: automatizzare l’80 per cento della produzione manifatturiera entro il 2020.
Non a caso la Federazione Internazionale di Robotica guarda alla Cina come il più grande mercato per i robot industriali.
Francesca Mancuso
Fonte: GreenBiz

Perché un modello di «economia circolare» farebbe correre Pil (+7%) e reddito delle famiglie (+11%) europee

fotohome2C’era una volta (e c’è ancora) l’“economia lineare”, nata dalla Rivoluzione industriale tra Settecento e Ottocento. Un modello forgiato all’insegna del “prendere, fare e smaltire”.

Ma la storia insegna come l’economia lineare abbia creato vaste conseguenze sia sul piano ambientale che sociale. Il consumo di massa, l’utilizzo di combustibili fossili, l’urbanizzazione e il trasporto globale hanno contributo a produrre pesanti effetti.
Per questo il futuro sarà invece dell’“economia circolare”: «Per sua natura, un’economia di recupero - come spiegano sull’Harvard Business Review i docenti universitari Mark Esposito, Terence Tse e Khaled Soufani - in cui non si tratta tanto di “fare di più con meno” ma, piuttosto, di fare di più con ciò di cui già disponiamo».

Capitale naturale in via di esaurimento

Un’utopia? Macché, una necessità reale, spiegano gli autori del saggio, consapevoli del rapido esaurimento del capitale naturale esistente, o almeno di quello di facile reperibilità . Dagli anni Settanta del secolo scorso, l’incremento della produttività delle colture di cereali ha infatti subito una diminuzione del 66%, nonostante i progressi delle tecniche di fertilizzazione e di irrigazione. Lo sfruttamento minerario sta diventando più costoso: le percentuali medie dei metalli ricavati dalle estrazioni sotterranee sono in netto calo, sia in termini di concentrazione che di qualità. Allo stesso tempo, secondo l’Ocse, la classe media globale raddoppierà entro il 2030. «Queste cifre servono da monito sul fatto che non possiamo continuare a crescere come specie continuando a godere di un’elevata qualità della vita senza cambiare il nostro modo di fare le cose», spiega Mark Esposito, docente di Strategia economica presso la Harvard University Extension e la Grenoble School of Management.
Per fortuna le attuali politiche messe in atto dalla Commissione Europea, in particolare dal vicepresidente Katainen, sembrano muoversi davvero a favore di una rivoluzione in termini di economia circolare, che sta anzi diventando uno dei punti cardini dell’agenda politica dell'Unione.

I benefici economici

In Europa un sistema circolare creato grazie a nuove tecnologie e nuovi materiali sarebbe in grado di aumentare fino al 3% la produttività delle risorse, stima lo studio Growth within: a circular economy vision for a competitive Europe, realizzato dal McKinsey Center for Business and Environment in collaborazione con la Ellen MacArthur Foundation e il Sun (Stiftungsfonds für Umweltökonomie und Nachhaltigkeit). Questo modello - che pone al centro la sostenibilità del sistema, in cui non ci sono prodotti di scarto e nel quale le risorse vengono costantemente riutilizzate - genererebbe per le economie del Vecchio Continente un risparmio in termini di costi di produzione e utilizzo delle risorse di base pari a 1.800 miliardi di euro l’anno entro il 2030, che si tradurrebbe in una crescita del Pil fino a 7 punti percentuali e in più alti livelli di occupazione. Con il reddito disponibile delle famiglie europee che potrebbe risultare superiore di ben l’11% rispetto al percorso di sviluppo attuale.

Le inefficienze attuali

L’economia europea di oggi si fonda infatti su un sistema di creazione di valore molto inefficiente e continua a operare secondo il modello lineare “estrazione, produzione, consumo, smaltimento”, spiega ancora lo studio uscito sull’Harvard Business Review.

Nel 2012, in Europa, sono state utilizzate in media 16 tonnellate di materiali per abitante: il 60% degli scarti è finito nelle discariche o negli inceneritori, mentre solo il 40% è stato riciclato o riutilizzato.

Un’auto in Europa resta parcheggiata in media il 92% del tempo, il 31% dei generi alimentari vengono sprecati lungo la catena del valore, e gli uffici vengono utilizzati dal 35% al 50% del tempo, anche durante le ore lavorative.
Complessivamente, questo sistema di produzione e utilizzo dei prodotti e delle risorse costa all’Europa 7.200 miliardi di euro l’anno per i tre ambiti analizzati dallo studio: 1.800 miliardi di euro sono i costi effettivi delle risorse, cui si sommano 3.400 miliardi per tutte le altre spese, legate ai tre ambiti menzionati sostenute dalle famiglie e dai Governi, e 2.000 miliardi che comprendono le esternalità (costi legati ad esempio al trasporto, all’inquinamento atmosferico e a quello acustico).

Il driver di cambiamento delle nuove tecnologie

Nel modello attuale di sviluppo, le nuove tecnologie e i modelli di business innovativi possono contribuire a migliorare la produttività delle risorse in Europa e a ridurre i costi totali annuali di 900 miliardi di euro entro il 2030. Nei prossimi decenni, la rivoluzione digitale e tecnologica, che ha già cambiato radicalmente il mondo della comunicazione e dell’informazione, potrebbe avere lo stesso impatto dirompente sui tre ambiti presi in esame (mobilità, alimentazione ed edilizia). Per fare qualche esempio, nel settore dei trasporti il costo medio per chilometro di un’auto potrebbe diminuire fino al 75% grazie al car sharing, ai veicoli elettrici e a guida autonoma, e all’utilizzo dei nuovi materiali. Nell’edilizia, la tecnologia applicata ai processi industriali potrebbe ridurre i costi di costruzione fino al 50%.
A beneficiarne saranno anche l’ambiente (lo studio stima una riduzione del 48% delle emissioni di anidride carbonica entro il 2030 rispetto ai livelli del 2012) e la competitività delle aziende. Oggi i materiali e componenti rappresentano tra il 40 e il 60% dei costi complessivi delle aziende manifatturiere in Europa e questo spesso si traduce in uno svantaggio competitivo in termini di efficienza.

I costi di transizione

L’economia circolare comporta tuttavia notevoli costi di transizione (tra cui, ad esempio, la spesa in ricerca e sviluppo, i finanziamenti per favorire l’ingresso sul mercato di nuovi prodotti, nonché la spesa pubblica per la creazione di infrastrutture digitali), ma potrebbe creare un’opportunità di rinnovamento economico e industriale. Sebbene sia difficile stimare il costo complessivo di una trasformazione di così vasta portata, alcuni esempi a livello di singolo Paese possono aiutare a comprenderne la dimensione: il Governo britannico ha stimato che la creazione di un sistema efficiente per il riutilizzo e il riciclo delle risorse costerebbe circa 14 miliardi di euro (vale a dire, a livello europeo, un investimento pari a 108 miliardi di euro), mentre il passaggio alle energie rinnovabili in Germania è costato 123 miliardi in incentivi economici dal 2000 al 2013.

Le resistenze al cambiamento

Uno dei principali motori del modello circolare è la condivisione: schemi di car sharing contribuiscono a ridurre la produzione di rifiuti, dato che un minor numero di persone hanno bisogno di acquistare autovetture e che gli stessi veicoli già circolanti vengono utilizzati da più persone. Per non parlare del car pooling, in grande ascesa anche in Italia . Eppure, la proposta come sappiamo ha incontrato enormi resistenze. «È quindi necessario che alle aziende esistenti vengano offerte nuove prospettive su come prosperare nell’ambito dell’economia circolare - concludono i tre studiosi - e su quali siano le opportunità di mercato “circolari” di cui beneficiare a breve termine».
Fonte: qui