FANNO DIMETTERE HARIRI (GOVERNAVA CON GLI HEZBOLLAH CHE GLI AVEVANO AMMAZZATO IL PADRE) E POI LO TENGONO AI DOMICILIARI A RYAD
FUGA DI CAPITALI DALL’ARABIA SAUDITA
1. LIBANO INGHIOTTITO NELLA LOTTA SECOLARE TRA IRAN E ARABIA
Roberto Bongiorni per ‘Il Sole 24 Ore’
Cosa si nasconde dietro le clamorose dimissioni del primo ministro libanese Saad Hariri?
Perché il presidente del Libano, Michel Aoun, le ha respinte?
Per quale ragione Riad ha chiesto ai suoi cittadini residenti in Libano di lasciare subito il Paese?
A 5 mesi dall' embargo contro il Qatar, deciso dall' Arabia Saudita e dalle monarchie del Golfo in chiave anti-iraniana, anche il piccolo Libano, Paese multi-etnico e multi-confessionale che finora era riuscito a non essere risucchiato nella guerra civile siriana, è stato inghiottito nel sempre più teso confronto tra la potenza sunnita, e l' Iran, roccaforte dell' Islam sciita, potenza per la leadership regionale.
Le dimissioni di Hariri, nominato premier di un Governo di unità nazionale (in cui vi erano anche diversi membri del movimento sciita Hezbollah) meno di un anno fa, restano un giallo. I media a libanesi hanno avanzato dubbi fin da sabato.
Perché è andato in Arabia Saudita ad annunciarle?
E perché non è stato accompagnato dal suo entourage? Non si capisce poi perchè il discorso in Tv sia stato tenuto in un luogo non identificato a Riad.
Hariri aveva accusato l' Iran di gravi interferenze nella vita politica libanese, che gli avrebbero impedito di portare avanti il suo programma politico, poi ha reso noto di temere per la sua vita, infine ha lanciato una dura minaccia: «Gli artigli iraniani nella regione saranno presto tagliati».
La convivenza tra Hariri ed Hezbollah non è mai stata facile.
Il suo partito sunnita (Movimento Futuro) ha sempre accusato il movimento sciita e Damasco (alleato dell' Iran) di essere dietro l' attentato che uccise nel 2005 a Beirut suo padre, Rafiq, ex premier libanese.
Gli Hezbollah accusano ora Riad di aver costretto Hariri alle dimissioni e di tenerlo prigioniero.
Fonti ufficiali saudite hanno subito smentito, enfatizzando che già lunedì Hariri era in viaggio negli Emirati Arabi Uniti. Da là, però, è rientrato a Riad.
Anche membri del suo partito hanno avanzato sospetti che il loro leader sia costretto a restare a Riad contro la sua volontà.
L' annuncio del presidente libanese Aoun di non accettare le dimissioni, almeno fino a che non avrà conferito di persona con Hariri, in Libano, sposa invece la linea degli sciiti di Hezbollah. Non è un dettaglio che il blocco cristiano di Aoun è un alleato politico del Partito di Dio.
Intanto Kuwait e Bahrein si stanno allineando alla linea adottata dai sauditi, come avvenuto nella crisi con il Qatar.
Domenica il Bahrein ha chiesto ai suoi cittadini residenti in Libano di partire immediatamente ed «esercitare cautela». Dopo Riad, anche il Kuwait ha fatto lo stesso.
Il casus belli della gravissima escalation tra Riad e Teheran è stato il lancio di un missile balistico dallo Yemen neutralizzato sabato sopra i cieli di Riad. La monarchia saudita ha accusato iraniani ed Hezbollah, alleati dei ribelli yemeniti sciiti Houti (contro cui Riad è in guerra) di aver assemblato e lanciato il missile.
Il principe ereditario al trono, Mohammed Bin Salman, ha parlato di «aggressione militare diretta da parte del regime iraniano».
Il ministro saudita per gli affari nel Golfo Persico ha minacciato: «Tratteremo il governo del Libano come un governo che sta dichiarando guerra a causa delle milizie Hezbollah».
Non è escluso quindi che, se Hariri non dovesse rientrare in Libano per portare avanti una delicata fase di negoziati, i sauditi valutino sanzioni contro il Libano, che ora identificano con Hezbollah, la longa manus del loro arci-nemico, l' Iran La tensione è così alta che il presidente francese Emmanuel Macron è partito ieri alla volta di Riad per incontrare Bin Salman e parlare «di questioni regionali».
Parlerà di Hariri, che ha anche la cittadinanza francese. La Francia, peraltro, resta ancora il Paese europeo più legato al Libano.
Già in passato il Paese dei cedri, era stato il teatro di una disastrosa guerra per procura tra gli attori regionali (1975-1990). Dalla guerra contro Israele (estate 2006) Hezbollah è il vero potere forte in Libano. Anche militarmente. Un potere che è andato crescendo negli ultimi anni, e di cui Israele è allarmata.
I nemici di Israele sono proprio Iran e Hezbollah.
Nemici anche dell' Arabia Saudita.
E dell' amministrazione di Donald Trump.
2. PAESI DEL GOLFO, DOPO IL BLITZ FUGA DI CAPITALI VERSO L' ESTERO - IN TRE GIORNI VENDITE PER 18 MILIARDI
Andrea Franceschi per ‘Il Sole 24 Ore’
Il timore di finire nelle maglie della purga anticorruzione che ha portato nei giorni scorsi all' arresto di 11 principi, quattro ministri e decine di importanti uomini d' affari in Arabia Saudita sta spingendo diversi grandi investitori sauditi a liquidare investimenti e spostare capitali all' estero nel timore che possano essere sequestrati dalle autorità. La notizia è stata riportata ieri dalle principali agenzie finanziarie internazionali.
Le fonti anonime citate da Bloomberg hanno spiegato che diversi importanti investitori sauditi stanno liquidando quote importanti del loro portafoglio nei vicini mercati del Golfo allo scopo di farli transitare in Europa o Stati Uniti sotto forma di cash o titoli facilmente liquidabili.
Altri in Arabia Saudita hanno contattato banche e asset manager per capire come spostare all' estero quote del loro patrimonio. Alcuni gestori e private banker che operano nei vicini Emirati Arabi Uniti hanno raccontato alla Reuters che diversi facoltosi investitori sauditi in questi giorni hanno venduto consistenti pacchetti di azioni alla piazza di Riyah.
L' impatto di queste vendite è stato tuttavia mitigato dall' intervento di alcuni fondi statali che, con i loro acquisti, hanno sostenuto gli indici. Tuttavia fino a ieri nelle Borse del Golfo si sono registrate vendite di azioni per 18 miliardi di dollari, secondo Bloomberg.
Le indiscrezioni sulle fughe di capitali sono indicative dell' elevato grado di incertezza che si respira in questi giorni in Arabia Saudita dopo l' ondata di arresti che ha terremotato l' elite politico finanziaria del Paese. Una mossa che si è accompagnata al congelamento di almeno 1.200 conti bancari riferiti a persone finite nelle indagini. In questo contesto e considerato l' alto grado di imprevedibilità che sta assumendo la maxi-purga non c' è da stupirsi della fuga di capitali per salvare il salvabile.
In uno sforzo per rassicurare gli investitori internazionali le autorità hanno fatto sapere che, ad essere interessati dal provvedimento, sono individui e non società. Ieri Sheikh Saud al-Mojeb, l' alto funzionario governativo che segue le indagini, ha fatto sapere che in base alle indagini condotte nell' ultimo triennio, ci sarebbero state malversazioni legate ad attività di corruzione per «almeno 100 miliardi di dollari» nel corso degli ultimi decenni. Delle circa 208 persone finora arrestate sette sono state rilasciate.
Le indagini intanto procedono spedite e iniziano a interessare anche i vicini Paesi del Golfo. Alcuni banchieri dei vicini Emirati Arabi Uniti hanno raccontato alla Reuters di aver ricevuto richieste dettagliate sulle posizioni di 19 clienti sauditi da parte della locale banca centrale. Una richiesta che, stando a quanto hanno riferito le fonti dell' agenzia, potrebbe preludere al congelamento dei fondi.
Resta in ogni caso alta l' incertezza nella comunità finanziaria per le conseguenze che potrebbe avere la maxi-purga anti corruzione che ha minato alle radici gli equilibri interni del primo produttore di petrolio al mondo. Equilibri rimasti sostanzialmente immutati da decenni. A interrogarsi su ciò che potrà succedere sono in molti sui mercati. Soprattutto perché il terremoto ai vertici del potere politico del Paese arriva alla vigilia di un appuntamento cruciale: la quotazione di Saudi Aramco. Secondo il principe Mohammed bin Salman il colosso petrolifero di Stato potrebbe valere duemila miliardi di dollari. Una cifra che farebbe del collocamento del 5% del capitale la più grande Ipo di tutti i tempi. C' è tuttavia chi dubita che, alla luce del terremoto politico di questi giorni, i sauditi potranno incassare i 100 miliardi di dollari sperati.
Intanto sta andando in scena la competizione per la piazza finanziaria che sarà scelta per quotare il gigante petrolifero. Sabato scorso è entrato in campo il presidente americano Donald Trump che in un tweet ha espressamente invitato i sauditi a scegliere Wall Street come piazza finanziaria dove quotarsi, ieri è stata la volta di Londra.
Il governo britannico ha siglato un' intesa con Saudi Aramco per fornire garanzie di credito sull' acquisto di beni e servizi di aziende britanniche per un controvalore di due miliardi di dollari. Anche se il ministro delle finanze britannico ha espressamente negato che tale intesa sia parte degli sforzi del governo di Sua Maestà per convincere la società a eleggere la City per la sua quotazione diversi osservatori hanno dato una lettura opposta all' accordo. Tra le altre piazze finanziarie potenzialmente interessate alla più grande Ipo di tutti i tempi ci sono anche Tokyo ed Hong Kong.
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