Il  tempo degli umani è scandito dal susseguirsi delle generazioni. L’arco  temporale fra una generazione e la successiva, convenzionalmente fissato  in 35 anni, dà la misura di come è cambiato il mondo da quando i nostri  genitori avevano la nostra età ad oggi. Allo stesso modo siamo portati a  guardare al futuro immaginando le vite dei nostri figli quando essi  avranno l’età che noi abbiamo oggi. Mi è sembrato allora interessante  provare a rivolgere uno sguardo all’anno 2050, cioè ad una generazione  da oggi, tentando di estrapolare alcuni dei trend che oggi osserviamo a  livello globale in materia di economia, energia ed emissioni di gas  serra, con l'obiettivo di prefigurare l'entità delle trasformazioni  necessarie a scongiurare gli impatti più gravi dei cambiamenti  climatici.
Partiamo dall’economia. E’ notizia recente che  la Banca Mondiale ha rivisto al ribasso le stime per la crescita  economica globale del 2016, portandola al 2,9% rispetto al 3,4% previsto  in precedenza. Le ragioni di una revisione al negativo delle previsioni  sono note e non mi soffermerò su questo. Faccio solo notare che una  crescita di questa entità del PIL mondiale è la media fra gli aumenti  dei paesi emergenti – che seppure in forte difficoltà crescono del 5-7% –  e quelli non lontani dallo zero dei paesi sviluppati. Supponendo che  questo tasso di crescita annuale si mantenga invariato per i prossimi 34  anni (la qual cosa suona tutt’altro che entusiasmante per il mainstream economico-finanziario  e per i leader politici, che si ostinano a sognare crescite ben più  sostenute), nel 2050 la ricchezza complessiva delle economie mondiali  sarà aumentata di 2,6 volte rispetto ad oggi.
Se consideriamo che la popolazione mondiale sarà di circa 9 miliardi di persone rispetto agli attuali 7,3, questo dato si traduce in un aumento medio pro-capite di 2,1 volte. E’ ovviamente del tutto verosimile che, per quanto lo scandaloso divario fra una esigua minoranza di superricchi e una maggioranza di poveri possa ancora aumentare, gran parte della nuova ricchezza generata sarà destinata ai paesi in via di sviluppo.
Passiamo ora all’energia. Può un simile aumento di ricchezza avvenire senza una crescita parallela dei consumi di energia? Ovviamente no, e neanche su questo mi dilungo.Osservo solo che, visti i miglioramenti da attendersi in tema di efficienza energetica, i tassi di crescita dell’energia primaria globale saranno con ogni probabilità sensibilmente inferiori all’aumento del PIL immaginato prima.
Nell’ultimo decennio l'energia consumata nel mondo è cresciuta in media del 2,1% l’anno, nonostante la profonda recessione che ha colpito l’economia mondiale.
Ipotizzando dunque una leggera ripresa dei consumi combinata ad ulteriori progressi nell’uso efficiente dell’energia, ho voluto tentativamente immaginare una crescita dell’energia primaria mondiale del 2% l’anno fino al 2050, anche in questo caso a quasi esclusivo beneficio dei popoli in via di sviluppo la cui popolazione aumenterà rapidamente.
Ne risulta al 2050 un raddoppio del fabbisogno di energia rispetto ad oggi.
Con  mia sorpresa, ho scoperto che questa grossolana previsione è  perfettamente in linea con lo scenario dipinto da Nicola Armaroli e  Vincenzo Balzani in una loro pregevole rassegna appena  pubblicata, nella quale viene considerato ottimale un consumo medio  pro-capite annuo al 2050 pari a 2,8 tonnellate equivalenti di petrolio  (tep) contro il valore di 1,8 registrato nel 2014. I due studiosi  argomentano che il valore di 2,8 tep pro-capite deve ritenersi adeguato  sulla base di indicatori che correlano il livello di sviluppo umano di  una data popolazione con il suo consumo di energia. Si è visto, ad  esempio, che paesi come la Nigeria o il Ciad, che presentano elevati  tassi di mortalità infantile, hanno un consumo pro-capite di soli 0,1  tep, e che la mortalità diminuisce con l’aumentare della disponibilità  di energia fino ad un livello approssimativamente pari a 3 tep, oltre il  quale non vi sono ulteriori apprezzabili miglioramenti. Si deve  rimarcare come il valore di 2,8 tep considerato desiderabile è comunque  largamente inferiore agli attuali consumi pro-capite di paesi come gli  USA o il Canada, pari rispettivamente a 7,2 e 9,4 tep.
Dunque, a meno di incrementi strepitosi nell'efficienza energetica (su cui comunque si deve continuare ad investire) o di un collasso dell'economia globale, si può ipotizzare un consumo mondiale di energia al 2050 pari a 25.200 Mtep (2,8 tep x 9 miliardi), che è appunto circa il doppio di quello, pari a 12.928 Mtep, calcolato al 2014 dalla BP Statistical Review of World Energy 2015. Quale potrà essere il mix delle fonti energetiche a quella data?  Non certo quello attuale che vede le fonti fossili giocare un ruolo del  tutto predominante. Come sottolineato fino alla noia in questo blog, se  vogliamo avere delle chances di contenere a livelli ancora accettabili  il riscaldamento globale dobbiamo accelerare la transizione già in atto  dalle fonti fossili alle rinnovabili. Pertanto mi sono chiesto quale  dovrà essere l’entità dell’incremento annuo da qui al 2050 della quota  di energia primaria proveniente dalle rinnovabili non idroelettriche, ed  ho provato a fase dei semplici conti.
Ipotizzando  che l’apporto percentuale di energia idroelettrica e nucleare,  attualmente pari rispettivamente al 7% e al 4%, rimanga invariato (il che vuol dire prevedere comunque un raddoppio del loro contributo  in valore assoluto, cosa per nulla scontata considerando per un verso i  programmi di smantellamento di molte centrali nucleari nei prossimi  vent'anni e per l’altro i limiti alla crescita dell’idroelettrico dovuti  alla crescente penuria di acqua in vaste aree del pianeta causata  proprio dai cambiamenti climatici), otteniamo gli scenari illustrati nella Tabella 1.

Come si vede, per ribaltare l’attuale egemonia delle fonti fossili non è sufficiente neanche un incremento annuo delle rinnovabili del 10%, che lascerebbe ancora una quota maggioritaria a petrolio, gas e carbone.
La situazione invece si ribalterebbe con un aumento annuo del 12%, che farebbe lievitare le rinnovabili ai 2/3 del totale.
La  conferma che, nelle ipotesi date, il tasso di aumento del 10% è  insufficiente a contenere il riscaldamento globale viene  dall’elaborazione riassunta nella Tabella 2, nella quale sono riportate  le presumibili variazioni delle emissioni di CO2 in funzione dei diversi tassi di crescita delle rinnovabili.
Secondo  questo calcolo approssimativo, solo un incremento ininterrotto non  inferiore al 12% annuo fino al 2050 può garantire una consistente  riduzione delle emissioni in linea con quanto stimato nello scenario  RCP2.6 dell’IPCC (quello che dà buone probabilità di contenere l’aumento  delle temperature al 2100 sotto i 2°C), che infatti stima al 60% la  quota necessaria di energia “low-carbon” al 2050.
Dobbiamo a questo punto interrogarci sulla reale fattibilità di un aumento, anno dopo anno per 35 anni, del 12% della quota rinnovabili non idroelettriche.
Per la verità, il 12% è proprio l’aumento complessivo registrato nel 2014 rispetto al 2013 secondo le statistiche BP. E' possibile mantenere per tanto tempo un incremento così sostenuto?
E’ facile comprendere che si tratta di un’impresa immane, che in assenza di innovazioni tecnologiche dirompenti richiederebbe la produzione e l’installazione forsennata di moduli fotovoltaici, pale eoliche e centrali solari termodinamiche per molti anni e in ogni angolo del globo (compatibilmente con l'insolazione e la ventosità).
Anche  con il massimo supporto politico possibile, che peraltro oggi non c'è,  una crescita impetuosa di un singolo comparto industriale per un tempo  così lungo presenta enormi ostacoli. Secondo l’ultimo rapporto della International Energy Agency (IEA),  in assenza di forti stimoli politici ed economici è da attendersi un  rallentamento dell’attuale trend di crescita delle rinnovabili sia nei  paesi sviluppati che in quelli emergenti, a causa di persistenti  barriere di accesso ai mercati, difficoltà di integrazione nelle reti  elettriche, mancanza di incentivi adeguati e persistenza di sussidi alle  fonti fossili. Va poi ricordato che quasi tutta l’espansione delle  rinnovabili registrata finora si riferisce alla produzione di  elettricità: i settori dei trasporti e del riscaldamento continuano ad  essere dominati dalle fonti fossili, e tutto lascia pensare che lo  saranno ancora per parecchi anni.
Oltre ad una certa stabilità economica (tutt’altro che garantita in tempi nei quali la volatilità dei mercati  la fa da padrona e il rischio di un nuovo shock globale è dietro  l'angolo), all'assenza di conflitti su vasta scala e ad una  sufficiente tenuta degli equilibri ecologici fondamentali, il  prerequisito fondamentale perché una scommessa così azzardata possa  essere vinta è la disponibilità ancora per parecchi anni di energia a  basso costo (per uscire dalle fonti fossili abbiamo bisogno delle fonti fossili, come è stato già spiegato in un precedente post), necessaria  per la produzione di una mole imponente di dispositivi e impianti di  energia rinnovabile e relative infrastrutture di supporto.
L’attuale congiuntura che vede le quotazioni del greggio ai minimi da molti anni è una preziosa opportunità e deve costituire uno stimolo a potenziare gli sforzi produttivi.
Lo scenario potrebbe mutare in peggio nel giro di pochi anni man mano che la disponibilità di giacimenti ad alto ERoEI andrà a scemare, e a quel punto tutto sarà più difficile e imprevedibile.
Lo sforzo collettivo della nuova generazione di giovani può cambiare il mondo. E’ già accaduto in passato e può accadere ancora.
La  missione assomiglia ad una nuova odissea, non nello spazio ma sulla  Terra, dove però non ci sarà nessun misterioso monolite nero a guidarci.
Se fallirà, sarà soprattutto a causa delle scelte sbagliate della nostra generazione, che non potrà mai perdonarsi di aver lasciato un pianeta così malridotto ai nostri figli.
Stefano Ceccarelli
Da Stop Fonti Fossili
 

 
