9 dicembre forconi: settembre 2016

venerdì 30 settembre 2016

L'impero romano? Cadde per i pochi nati e i troppi stranieri

ARRIVA IN ITALIA IL LIBRO CHE HA SOLLEVATO UN BEL CASINO IN FRANCIA, PERCHÉ SOSTIENE CHE ROMA È COLLASSATA TRA TROPPE TASSE E IMMIGRATI 

LA STORIA SI STA RIPETENDO?

Rino Cammilleri per “il Giornale

IMPERO ROMAIMPERO ROMA
Già esaurito e in ristampa, il libro dello storico Michel De Jaeghere Gli ultimi giorni dell' Impero Romano che arriva ora in Italia (Leg, pagg. 624, euro 34), è uscito due anni fa in Francia e, là, ha sollevato un putiferio. Perché?

Perché l' autore dimostra che quella civiltà collassò per le seguenti cause: 

a) crollo demografico, per far fronte al quale si inaugurò 

b) una persecuzione fiscale che 

c) distrusse l' economia; allora si cercò vanamente di ovviare tramite 

d) l' immigrazione massiccia.

Che però si trascurò di governare.

IMPERO ROMAIMPERO ROMA
Se tutto questo ci ricorda qualcosa, abbiamo azzeccato anche il motivo per cui gli intellò politicamente corretti d' oltralpe sono insorti. 

La vecchia tesi di Edward Gibbon, che è settecentesca e perciò più vecchia del cucco, forse poteva andar bene a Marx, ma non ha mai retto: non fu il cristianesimo a erodere l' Impero Romano, per la semplice ragione che la nuova religione era minoritaria e tale rimase a lungo anche dopo Costantino. L' Impero cessò ufficialmente nel V secolo, quando i cristiani erano neanche il dieci per cento della popolazione.

Solo nella pars Orientis erano maggioranza. Infatti, Bisanzio resse altri mille anni: quelli che combattevano per difenderla erano tutti cristiani. E pure a Occidente erano cristiani soldati (inutilmente) vittoriosi come Ezio e Stilicone.

IL CIBO NELL ANTICA ROMAIL CIBO NELL ANTICA ROMA
Michel De Jaeghere, direttore del Figaro Histoire, fa capire che tutto cominciò col declino demografico. I legionari, tornati a casa dopo anni di leva, mal si adattavano a una condizione di lavoratori che, quanto a profitto, li metteva a livelli quasi servili.

Così andavano a ingrossare la plebe urbana, cui panem et circenses gratuiti non mancavano. Le virtù stoiche della pietas e della fidelitas alla res publica vennero meno, e il contagio, al solito, partì dalle élites. 

Nelle classi alte si diffuse l' edonismo, per cui i figli sono una palla al piede. 


Coi costumi ellenistici dilagarono contraccezione, concubinaggio e divorzio, tant' è che Augusto dovette emanare leggi contro il celibato. Inutili.

Anche perché, secondo i medesimi costumi, l' omosessualità era aumentata in modo esponenziale. Roma al tempo di Cesare aveva un milione di abitanti: sotto Romolo Augustolo, l' ultimo imperatore d' Occidente, solo ventimila. Già nel II secolo dopo Cristo l' aborto aveva raggiunto livelli parossistici e, da misura estrema per nascondere relazioni illecite, era diventato l' estremo contraccettivo. Solo i cristiani vi si opponevano, ma erano pochi e pure periodicamente decimati dalle persecuzioni.

Così, ogni volta i censori dovevano constatare che di gente da tassare e/o da mandare a difendere il limes ce n' era sempre meno. 

Le regioni di confine divennero lande semivuote, tentazione fortissima per i barbari dell' altra parte. 

Si pensò allora di arruolarli: ammessi ai benefici della civiltà romana, ci avrebbero pensato loro a difendere le frontiere.

E ci si ritrovò con intere legioni composte da barbari che non tardarono a chiedersi perché dovevano obbedire a generali romani e non ai loro capi naturali. 

Metà di loro erano germanici, e si sentivano più affini a quelli che dovevano combattere. 

La spinta all' espansione era cessata quando i romani si erano resi conto che, schiavi a parte, in Europa c' era poco da depredare. I barbari, invece, vedevano i mercanti precedere le legioni portando robe che li sbalordivano (e ingolosivano). 

Si sa come è andata a finire.

Intanto, che fa il fisco per far fronte al mancato introito (dovuto alla denatalità)? 

La cosa più facile (e stupida) del mondo: aumenta le tasse. 


Solo che gli schiavi non le pagano, e sono il 35% della popolazione.

Gli schiavi non fanno nemmeno il soldato. I piccoli proprietari, rovinati, abbandonano le colture, molti diventano latrones (cosa che aumenta il bisogno di soldati). 

Il romano medio cessa di amare una res publica che lo opprime e lo affama, e non vede perché debba difenderla. 

Nel IV secolo gli imperatori cristiani cercarono di tamponare la falla principale con leggi contro il lassismo morale, intervenendo sui divorzi, gli adulteri, perfino multando chi rompeva le promesse matrimoniali.

Ma ormai era troppo tardi, la mentalità incistata e diffusa vi si opponeva. Già al tempo di Costantino le antiche casate aristocratiche erano praticamente estinte. L' unica rimasta era la gens Acilia, non a caso cristiana. 

Solo una cosa può estinguere una civiltà, diceva Arnold Toynbee: il suicidio. 

Quando nessuno crede più all' idea che l' aveva edificata.

Troppo sinistro è il paragone con l' oggi, sul quale, anzi, il sociologo delle religioni Massimo Introvigne in un suo commento al libro di De Jaeghere ha infierito affondando il coltello nella piaga: i barbari che presero l' Impero non avevano una «cultura forte» e riconoscevano la superiorità di quella romana. 

Infatti, ne conservarono la nostalgia e, alla prima occasione, ripristinarono l' Impero (Sacro e) Romano.

This Is How Much Liquidity Deutsche Bank Has At This Moment, And What Happens Next

It is not solvency, or the lack of capital - a vague, synthetic, and usually quite arbitrary concept, determined by regulators - that kills a bank; it is - as Dick Fuld will tell anyone who bothers to listen - the loss of (access to) liquidity: cold, hard, fungible (something Jon Corzine knew all too well when he commingled and was caught) cash, that pushes a bank into its grave, usually quite rapidly: recall that it took Lehman just a few days for its stock to plunge from the high double digits to zero.
It is also liquidity, or rather concerns about it, that sent Deutsche Bank stock crashing to new all time lows earlier today: after all, the investing world already knew for nearly two weeks that its capitalization is insufficient. As we reported earlier this week, it was a report by Citigroup, among many other, that found how badly undercapitalized the German lender is, noting that DB's "leverage ratio, at 3.4%, looks even worse relative to the 4.5% company target by 2018" and calculated that while he only models €2.9bn in litigation charges over 2H16-2017 - far less than the $14 billion settlement figure proposed by the DOJ - and includes a successful disposal of a 70% stake in Postbank at end-2017 for 0.4x book he still only reaches a CET 1 ratio of 11.6% by end-2018, meaning the bank would have a Tier 1 capital €3bn shortfall to the company target of 12.5%, and a leverage ratio of 3.9%, resulting in an €8bn shortfall to the target of 4.5%.
When Citi's note exposing DB's undercapitalization came out, it had precisely zero impact on the price of DB stock. Why? Because as we said above, capitalization - and solvency - tends to be a largely worthless, pro-forma concept. However, when Bloomberg reported today that select funds have withdrawn “some excess cash and positions held at the lender” the stock immediately plunged: the reason is that this had everything to do with not only DB's suddenly crashing liquidity, but the pernicious feedback loop, where once a source of liquidity leaves, the departure tends to spook other such sources, leading to an outward bound liquidity cascade. Again: just ask Lehman (and AIG) for the details.
Which then brings us to the $64 trillion (roughly the same amount as DB's gross notional derivative exposure) question: since DB is suddenly experiencing a sharp "liquidity event", how much liquidity does Deutsche Bank have access to as of this momentto offset this event? The answer would allow us to calculate how long DB may have in a worst case scenario if we knew the rate of liquidity outflow.
For the answer, we go to a just released note by Goldman Sachs, which admits that it is now facing "crisis" questions from clients, among which “can a large European bank face a liquidity event” to wit"
Deutsche Bank stands at the center of the European financial system - it is a major counterpart of all relevant European banks, and broader. Recent reports of potential litigation hits have compounded capital concerns, and raised the overall level of market anxiety. “Crisis” questions are being asked: “is there risk of a financial crisis re-run” and “can a large European bank face a liquidity event”?
So what is the answer: how much liquidity does Deutsche Bank have access to? The answer is two fold, with the first part focusing on central bank, in this case ECB, backstops in both $ and €. 
Goldman starts with an overview of said back-stops, summarized below. These facilities are available to all Eurozone banks (and, naturally, also to Deutsche Bank) – they are generous in terms of volume (full allotment), price (fixed rate at 0%) and tenure (from short term, all the way to 4-years). These ECB facilities are key to ensuring the bank's long-term funding stability, in Goldman's view, and were put in place following the funding market fallout in 2007, in order to contain the effects from the Lehman crisis. They were further bolstered to contain the Eurozone sovereign crisis in 2011-12. All of the liquidity provisions remain in place, and broadly, they fall into the following two categories:
  1. Regular market operations: 1-week Main Refinancing Operations or “MRO” (priced @0%), and 3-month Long Term Refinancing Operations or “LTRO” (@0%);
  2. Non-standard measures, which split between € funding facilities with 4-year Targeted LTROs (@0%, with the option to fall to -0.4% if lending targets are met) and the emergency liquidity assistance to solvent financial institutions and a US$ funding facility: 1-week US$ MRO (@0.86%).
Stepping away from the ECB - because if Deutsche is forced to come crawling to Draghi and beg for central bank liquidity assistance to continue as a going concern, the outcome may be just as dire (recall the stigma associated with US banks using the Fed's Discount Window) especially since  unlike Lehman, DB has nearly €600 billion in deposits which are susceptible to a retail depositor run - what about Deutsche Bank's own liquidity position? It is this which appears to be concerning the market most, because as Goldman writes, following the Bloomberg report that hedge fund clients have pulled excess cash, the market has reacted aggressively (ADR down 6.7%), indicating concerns have moved from DBK’s equity to question the resilience of the banks’ funding position.
Below, Goldman provides an overview of DBK’s liquidity position, noting that its last reported liquidity reserve stood at €223 bn or ~20% of its total assets. DBK’s high quality liquid assets (or HQLA) balance stood at €196 bn or 16% of its total assets; its liquidity coverage ratio (“LCR”) stood at 124%. DBK’s LCR is above that of many largest European banks (BNP 112%), as well as US banks (Citigroup
121%).

Here is the breakdown:
  • Liquidity reserve: €223 bn, or ~20% of total assets. In total, DBK’s liquidity reserve stood at €223 bn, representing ~20% of the banks total net assets (where assets are US GAAP equivalent). The 2Q16 level of liquidity reserve compares to €65 bn in 2007, showing that DBK has grown its liquidity reserve by 3.4x from pre-crisis levels.
  • Cash: €125 bn. The liquidity reserve breaks down between €125 bn of cash and cash equivalents, and €98 bn of securities, available for use at the central banks. As highlighted in Exhibit 2, the € portion of the securities can be used to obtain liquidity of varied duration (between O/N to 4-years) at a cost of 0% (and as low as -40 bp, if lending benchmarks are met).
  • LCR: 124%. DBK’s Liquidity Coverage ratio stood at 124%, which is ~1.5x the current regulatory minimum, and a cut above the 2019 fully-loaded requirement of 100%. This compares favorably to, say, Citigroup (121%), BNP (112%). Other US banks (e.g. JPM, BofA) do not disclose their LCR other than to say that they are “compliant”, suggesting LCR is at or above 100%.
Where does this liquidity come from? Exhibit 3 above examines DBK’s funding composition – this is relevant in the context of media reports highlighting a decline in prime brokerage balances (Bloomberg, September 29). These include:
  • Lowest volatility funding: 57%. Lowest volatility sources of funding - retail deposits, transaction banking balances (corporate and institutional deposits from corporate banking relationships) and equity account for 57% of total funding. Over half of the groups’ funding therefore, stems from this source.
  • Low volatility funds: 15%. Debt securities in issue account for 14% of total funding. Together with the previous category, “lowest” and “low” volatility funding accounts for 72% of total funding.
  • Other customers – this includes prime brokerage cash balance – 7%. The total amount of “other customer” funds, which includes: fiduciary, self-funding structures (e.g. X-markets), margin/Prime Brokerage cash balances (shown on a net basis (see DBK 2015 annual report, p178). Importantly, this represents ~7% of total funding, and is 3.1x covered with the liquidity reserve.
  • Other parts of funding – unsecured wholesale, secured funding – account for the residual.
In other words, all else equal, even in a worst case Prime Brokerage situation, one where all €71 billion in "other customer" funds flee, DB should still have about €152 billion of the €223 billion in liquidity reserve as of June 30, once again assuming there have been no other changes. Stated simply, if the hedge fund outflow accelerates and depletes all the liquidity at the Prime Brokerage division, DB would part with about a third (just over  €70 billion) of its €220 billion liquidity reserve.
Some other observations: even if one assumes the full loss of PB balances, DB would still have a Liquidity coverage ratio (“LCR”) of 124%.  The LCR is equivalent to HQLA/net stressed outflows over 30 day period. This ratio shows the banks’ ability to meet stressed funding conditions over a period of 1 month. For Deutsche bank, the LCR stood at 124% with the ratio composed of:
  1. High Quality Liquid Assets (HQLAs) of €196 bn. These include Level 1 assets (the most liquid securities which include cash and equivalents, bonds issued or guaranteed by a government and certain covered bonds); Level 2A assets, which are subject to a haircut (third country government bonds, bonds issued by public entities, EU covered bonds, non-EU covered bonds, corporate bonds) and Level 2B assets (high quality securitisations, corporate bonds, other high quality covered bonds).
  2. The net stressed outflows: €158 bn as of 2Q16 (YE15 €161 bn). DBK’s net stressed outflows amounted to €161 bn at year-end 2015, and include an assumption of loss of prime brokerage deposits. As per Commission Delegated Regulation (EU) 2015/61 “Deposits arising out of a correspondent banking relationship or from the provision of prime brokerage services shall not be treated as an operational deposit and shall receive a 100 % outflow rate.”
  3. The minimum level is 100% (effective 2018) and is phased in gradually from 2015; the 2016 requirement is 70%.
Of course, the "stressed outflow over a 30 day period" is an assumption, one which can accelerate rapidly, especially if the stock price of DB continues to fall crushing what is any bank's most critical asset: counterparty confidence, either from retail investors or institutional peers.
Still, what the above calculations reveals is that the Bloomberg report suggest that while substantial, the Prime Brokerage outflow would not be, on its own, deadly.  But therein lies the rub: since any bank's collapse is a procyclical event in which liquidity flees in all directions, with a speed that is usually inversely proportional to the stock price, the lower the price of DB goes (and the higher its CDS), the more dire its liquidity situation.
However, as noted above, the biggest threat to DB is not so much its hedge fund client base, whose damage potential is limited, but the depositor base. Again: while Lehman failed, it did so as a result of its corporate counterparties suffocating the bank by rapidly pulling out their liquidity lines. Lehman, however, was lucky in that it didn't have retail depositors: it death would have likely come far faster as the capital panic was not limited to institutions but also included a retail depositor bank run.
This is where Deutsche Bank is very different from Lehman, and far riskier, because if the institutional panic spreads to the depositor base, which as the table below shows amounts to some €566 billion in total, and €307 billion in retail deposits...

... then all bets are off.
Which is why it is so critical for Angela Merkel to halt the plunging stock price, an indicator DB's retail clients, simplistically (and not erroneously) now equate with the bank's viability, and the lower the price drops, the faster they will pull their deposits, the quicker DB's liquidity hits zero, the faster the self-fulfilling prophecy of Deutsche Bank's death is confirmed.
Which ultimately means that DB really has four options: raise capital (sell equity, convert CoCos, which may results in an even bigger drop in the stock price due to dilution or concerns the liquidity raise may not be sufficient), approach the ECB for a liquidity bridge (this may also backfire as counterparties scramble to flee a central bank-backstopped institution), appeal for a state bailout (Merkel has so far said "Nein") or implement a bail-in,eliminating billions in unsecured claims (and deposits) and leading to a full-blown systemic bank run as depositors everywhere rush to withdraw their savings, leading to a collapse of the fractional reserve banking mode (in which there is only 10 cents in physical deliverable cash for every dollar in depositor claims). 
Which of the four choices Deutsche Bank will pick should become clear in the coming days. Until it does, it will keep the market on edge and quite volatile, because as Jeff Gundlach explained today, a "do nothing" scenario is no longer an option for CEO John Cryan as the market will keep pushing the price of DB lower until it either fails, or is bailed out.




P.S.: potete usare la funzione TRANSLATE di Google(sulla colonna di destra), selezionando prima un qualsiasi linguaggio e poi successivamente, l'italiano, per avere la traduzione automatica.


N.B. Non c’è pace per la Deutsche Bank. Ieri pomeriggio il titolo è nuovamente crollato sotto il peso di una notizia diffusa da Bloomberg. Una decina di hedge fund avrebbero ritirato i loro derivati da Deutsche per spostarli nelle banche concorrenti. Un portavoce ha dichiarato che «i nostri clienti sono tra i più sofisticati investitori del mondo » e ha aggiunto che «la stragrande maggioranza dei clienti sa che la nostra situazione finanziaria è stabile ed è a conoscenza della situazione economica generale, dei contenziosi in corso con l’autorità giudiziaria americana e con i progressi che stiamo facendo con la nostra strategia».

schauble MERKELSCHAUBLE MERKEL
In effetti lo stesso documento interno precisa che al di là dei dieci fondi, altri 200 clienti che investono in derivati non hanno cambiato la loro posizione. Secondo il Financial Times che cita fonti di Deutsche, alcuni clienti degli hedge fund avrebbero chiesto una maggiore protezione dai rischi sugli affari soprattutto in risposta alle incessanti notizie stampa allarmanti.

Ieri Marcel Fratzscher, capo del think tank Diw di Berlino ha sottolineato che se la situazione dovesse peggiorare, «il governo tedesco interverrà: Deutsche Bank è l’unica banca d’investimento che ha». 

Ma Yigit Bulut, consigliere economico del presidente turco Erdogan ha esortato il suo Paese a investire nella banca per farla diventare Tuerkisch Bank. Il titolo ormai vale 10 euro: prima della crisi ne valeva 100. 

Fonte: qui

Frontalieri, immigrati e Lega Nord: cosa cambia con il voto?

Referendum Canton Ticino: quali conseguenze per i lavoratori italiani?

Il Referendum nel Canton Ticino ha dato come esito il “Sì” e saranno quindi poste delle limitazioni per l’assunzione di lavoratori italiani. Vediamo le conseguenze della decisione.

Il Referendum Canton Ticino ha dato come esito il “”, che ha ottenuto il 58% delle preferenze. Il referendum che si chiama “Prima i nostri” avrà delle conseguenze per i lavoratori italiani, specialmente i lavoratori frontalieri.
Lavorare al Canton Ticino, ha sempre attratto gli italiani per i suoi stipendi. Dopo la decisione presa con il referendum, la situazione potrebbe cambiare e le limitazioni poste potrebbero penalizzare i lavoratori italiani.
Il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha subito chiarito le problematiche che sono subentrate con la votazione. Vediamo insieme le conseguenze che questa decisione avrà sui lavoratori italiani, in particolar modo per i lavoratori frontalieri.

Referendum Canton Ticino: cosa cambia con la vittoria del Referendum

La popolazione svizzera ha deciso che dovranno essere posti dei limiti alla migrazione giornaliera dei lavoratori italiani. Ogni giorno si spostano dall’Italia al Canton Ticino circa 60 mila persone, per poi tornare in Italia dopo la giornata lavorativa. La Svizzera ha deciso di fermare questo esodo giornaliero.
Il Referendum che si è appena svolto è stato promosso dal partito di destra Udc e appoggiato dalla Lega dei Ticinesi. La decisione è quella di preferire le persone che vivono nel Cantone al momento dell’assunzione e di avere delle regole che diano la preminenza ai lavoratori qualificati che vivono sul territorio.
Da tempo il Cantone del Ticino cercava di porre dei limiti allo spostamento di lavoratori sul suo territorio. L’iniziativa “Prima i nostri” prima di essere approvata come modifica costituzionale, deve essere però discussa dall’Assemblea federale di Berna. Sarà compito dell’Assemblea decretare se la proposta è conforme al diritto nazionale e farla proseguire nel suo iter.

Referendum Canto Ticino: cosa cambia per i lavoratori italiani?

Nel caso in cui l’Assemblea federale di Berna dovesse approvare la proposta si attueranno delle restrizioni alla libera circolazione delle persone.
Verranno fissati dei limiti ai lavoratori che giornalmente potranno entrare ed uscire dai confini della Svizzera. Inoltre, saranno stabiliti dei principi di base. Saranno preferiti nei posti di lavoro i candidati residenti nel Canton Ticino.


Fonte: qui

Il risultato del referendum in Canton Ticino ha scatenato diverse reazioni da parte italiana. 

Cosa cambia in Italia?

Se c’è una regione che ha un problema di frontalierato questa è la Lombardia. Se c’è un territorio che senza questo sfogo vedrebbe drammaticamente aumentare i propri disoccupati sono le province di Como e Varese che sono anche le zone in cui la Lega è più forte.
Proprio quella Lega che ha stretti rapporti politici con i promotori del referendum che l’altro giorno ha stabilito che i posti di lavoro andranno offerti prima agli svizzeri e poi agli altri, a quei 60mila frontalieri che quotidianamente, ogni mattina, varcano i confini di Chiasso, Bizzarone e via discorrendo.
La notizia ha già scatenato l’ira dei politici, i quali, dopo essersi informati su chi siano i frontalieri e di che cosa si parla, hanno provveduto a rilasciare dichiarazioni di fuoco, arrivando a minacciare una crisi tra Berna e Bruxelles in nome della libera circolazione.
Tutto questo, però, sembra un po’ troppo precoce, e forse anche un po’ troppo sopra le righe, soprattutto quando l’indignazione scatta a intermittenza e quando si constata che le migliaia di italiani che lavorano all’estero sono un problema solo se c’è di mezzo quel nazionalismo che per noi coincide principalmente con la nazionale di calcio o con gli interessi economici.
L’impressione, come si diceva, è che il referendum per ora sia destinato a lasciare le cose come stanno. Ma senza farsi troppe illusioni e senza pensare che non vi siano pericoli. Perché non dobbiamo preoccuparci?
Perché in Svizzera, e in Ticino per la precisione, la disoccupazione è intorno al 3%, cioè non esiste, essendo questo il limite sotto il quale si considera che il mercato assorbe praticamente tutti gli “indigeni” che richiedano un lavoro.
Inoltre, perché il referendum non ha un’applicabilità immediata, dovendo passare prima da Berna che prima ne verificherà la compatibilità con le norme confederali e poi con gli accordi internazionali.
Infine, perché non riguarda chi già lavora in Svizzera e che non rischia di perdere il posto se non per le solite ragioni, e cioè per ragioni disciplinari, per scelta insindacabile del datore di lavoro, per colpe gravi, per essersi rifiutato di farsi tagliare il salario al di sotto del minimo e via elencando.

E allora perché tutto questo can-can? 

In fondo il referendum ha solo sancito un principio: formalmente il principio della chiusura di un Cantone della Confederazione Elvetica rispetto al criterio della libertà del mercato del lavoro, in realtà l’assai meno tangibile valore che il Ticino sa tenere testa all’Europa e non si fa intimorire dal “demonio europeo”!
Insomma, si è di fronte a una banalissima campagna mediatica?
Neanche questo è del tutto vero, ma certo non si può dire che il voto sia di quelli destinati a spostare da subito grandi numeri sul mercato del lavoro.
Al contrario qualche riflessione ci viene suggerita da una serie di coincidenze e circostanze che a noi paiono più inquietanti.
Anzitutto: perché la Svizzera si sta chiudendo di fronte al mondo? Perché, ci sembra evidente, i nostri vicini non fanno altro che adeguarsi a un andazzo che tenta anche noi italiani, e che è divenuto una costante nell’Europa odierna.
Per la civile Europa, infatti, l’altro non è più un essere umano, uno uguale a noi, che cerca di stare meglio, che si muove per trovare un luogo ove costruirsi un futuro più dignitoso, ma è una minaccia, un possibile concorrente rispetto a un benessere che sentiamo sempre più fragile, sempre meno garantito.
Non è un caso, d’altronde, che i ticinesi si siano dichiarati contrari ai frontalieri proprio quando aumentano le richieste di permessi di lavoro per profili occupazionali medio-alti: non è l’arrivo di muratori o operai a preoccupare i nostri vicini, ma quello dei tecnici, degli ingegneri, degli informatici, degli specialisti del sistema creditizio, degli insegnanti. Perché questo significa meno posti di lavoro laddove la fatica intellettuale sostituisce quella fisica, cioè nel regno del benessere. Ma significa anche chiedersi se davvero le scuole svizzere sono al livello di quelle europee o non abbisognano di qualche ritocco. Se i medici e gli infermieri autoctoni sono davvero all’altezza del compito che è loro richiesto o se non subiscano la concorrenza di personale meglio formato e più disponibile, come quello italiano. Cioè, significa rimettersi in discussione.
Allo stesso modo, però, anche noi ci chiudiamo e siamo preoccupati quando vediamo arrivare dalle sponde del Mediterraneo gruppi di persone: perché riteniamo che esse mettano a rischio la nostra fragile ricchezza, le nostre povere certezze quotidiane.
Gli indiani che arrivano sono davvero solo “poveri cristi” o non ci sono fra loro ingegneri che potrebbero insidiarci?
E perché la Merkel accoglie i siriani, ben formati e competenti?
È una catena, una serie di paure: un susseguirsi che ci indigna quando ne siamo le vittime, ma che ci carica oltre misura quando riguarda altri.
Per questo e per altri motivi, per tornare alla Svizzera e al Ticino, i nostri amici rossocrociati dovrebbero pensarci bene e immaginare se, all’improvviso, i trattati per la libera circolazione delle merci venissero rivisti. Quante aziende italiane che si sono spostate appena al di là del confine, attirate da politiche di dumping salariale e da una tassazione “amichevole”, dovrebbero tornare di qua della frontiera?
Certo, in tal caso tanti frontalieri rincaserebbero, ma contemporaneamente quanti sarebbero gli svizzeri a divenire meno ricchi?
Se, dunque, è evidente che non si vive di solo groviera e che non si può nemmeno vivere di solo Grana padano, dovremo trarre da questo referendum il coraggio di affermare che non è vero che il solo formaggio buono è quello prodotto a casa propria.
In fondo questa consultazione rischia di produrre qualche effetto positivo: perché provare sulla nostra pelle, sulla pelle dei nostri familiari, amici, vicini, l’amaro sapore del rifiuto, potrebbe indurci a considerare “quanto sa di sale lo pane altrui”, per citare il Sommo poeta, e a valutare “l’invasione degli extracomunitari” per quel che essa è, una vera occasione di rilancio delle politiche economiche italiane ed europee e di ripensamento su di sé e il proprio destino.


In fondo, adesso che ci si pensa, anche gli svizzeri sono extracomunitari. O no?



GERARDO LARGHI

Fonte: qui

giovedì 29 settembre 2016

L'OPEC TROVA L'ACCORDO E PROMETTE DI TAGLIARE LA PRODUZIONE




IL PREZZO SCHIZZA SOPRA I 47 DOLLARI 

PREPARATEVI A UN'IMPENNATA DELLA BENZINA


OPEC TROVA ACCORDO, PRODUZIONE SCENDE A 32,5 MLN BARILI
prezzo petrolio vertice opecPREZZO PETROLIO VERTICE OPEC
 (ANSA) - L'Opec trova un difficile accordo per il taglio delle quote di produzione e il prezzo del petrolio mette le ali, tornando sopra quota 47 dollari e segnando in pochi minuti un guadagno di oltre il 6%. Il vertice informale di Algeri, dove per tre giorni i principali Paesi produttori si sono confrontati alla ricerca di un'intesa che non scontentasse nessuno, in particolare i due 'avversari' Arabia Saudita e Iran, si sarebbe concluso con la decisione di far scendere il tetto della produzione dai 33,2 milioni di barili del mese scorso a 32,5 milioni di barili.

PETROLIO ISLAM BELGIOPETROLIO ISLAM BELGIO
Manca ancora l'ufficialità e l'intesa potrebbe essere ratificata il 30 novembre a Vienna, ma i mercati sono apparsi convinti che ormai la quadra sia stata trovata. A pagare il conto più salato, secondo la proposta presentata dall'Algeria, dovrebbe essere il colosso saudita, principale fautore della politica di prezzi bassi di questi anni, che vedrà la produzione scendere di circa 400 mila barili, seguito da Emirati Arabi (circa 150mila barili in meno) e Iraq (circa 130mila in meno).
re salman al saud arabia saudita petrolioRE SALMAN AL SAUD ARABIA SAUDITA PETROLIO

Libia e Nigeria conserverebbero le quote attuali, mentre l'Iran, il più resistente all'idea di congelare la produzione con l'obiettivo di tornare ai livelli pre-embargo, verrebbe in sostanza accontentato con un piccolo incremento, pari a circa 50mila barili al giorno. Il taglio della produzione, il primo da otto anni a questa parte, ha immediatamente messo il turbo alle quotazioni, che nel giro di pochi minuti hanno superato quota 47 dollari, dai 44 circa su cui avevano viaggiato per tutta la giornata, chiudendo a 47,05.
shale oil estrazione petrolioSHALE OIL ESTRAZIONE PETROLIO

Del resto non era certo scontato che i paesi membri del Cartello raggiungessero un accordo, vista la tenace opposizione di Teheran, che vuole trarre vantaggio dalla nuova condizione di libertà di azione determinata dalla fine delle sanzioni e dell'embargo.

rouhaniROUHANI
La situazione economica internazionale, tuttavia, ha probabilmente avuto la meglio sulla geopolitica: le previsioni su prezzi in picchiata e domanda ancora in ribasso a fronte di un'offerta sovrabbondante (le ultime sono arrivate proprio ieri da Goldman Sachs) non sono rimaste inascoltate al tavolo del grandi produttori, dove sedeva anche la Russia pur non essendo membro effettivo del Cartello. 

E proprio Mosca, insieme ad Algeria e Qatar, avrebbe convinto Arabia e Iran della necessità di dare una sforbiciata alla produzione per il bene di tutti.

Fonte: qui

BANCHE TEDESCHE in crisi: DB parte con le svendite, CB licenzia personale.

Pian pianino i tasselli vengono fuori e scopriamo (si fa per dire, visto che già lo sapevamo) che tutto il mondo è paese. E la Germania, che fa il pugno duro sopratutto in una fase dove la propaganda politica deve lasciare messaggi forti all’elettorato (vedi Merkel in Germania e anche Renzi in Italia) si ritrova con un mondo bancario che ha poco da invidiare a livello di problematiche, a quello italiano.
Su Deutsche Bank saprete già tutto, nel mio piccolo ho cercato di rilasciarvi qualche dettagli aggiuntivo che, spero, sia stato gradito dai lettori.
Ora però iniziano ad affiorare quelle che io definisco le necessità. E questo è un vero problema in quanto, fino ad oggi, i problemi sono stati messi in un cantuccio, cercando di minimizzare e di spostarli avanti nel tempo.
Ma quando un problema genera delle necessità, allora bisogna prendere coscienza che occorre agire. E Deutsche Bank lo fa.
Deutsche Bank ha dato il via libera per vendere la sua società di assicurazioni inglese Abbey Life Assurance Co. a Phoenix Group per 935 milioni di sterline, circa 1,09 miliardi di euro. (…) Deutsche Bank aveva acquistato Abbey Life, con sede a Bournemouth, nove anni fa per 1 miliardo di sterline. (…) La cessione di oggi era stata quindi già pianificata dal nuovo ceo di Deusche Bank, John Cryan, faceva parte del piano di ristrutturazione del colosso tedesco. Abbey Life, secondo quanto ha scritto il Financial Times lo scorso aprile, gestiva contratti nel 2000 (da allora la società non ha più pubblicato alcun bilancio) per 12 miliardi di sterline, per lo più in “closed life policyholder assets”. (MF) 
Il fatto però è che a conti fatti, questa non è una vendita ma una SVENDITA. Bisogna far cassa, racimolare tutto il possibile, per salvare capra e cavoli. Ed evitare che poi..,.siamo cavoli nostri (per induzione, visto il rischio sistemico che rappresenta Deutsche Bank).
Ma se Deutsche Bank fa acqua da tutte le parti e ricorre già ai saldi di “inizio stagione”, un altro colosso tedesco, Commerzbank, di certo non brilla per efficienza e qualità. A partire dal suo andamento in borsa.

Questo è il grafico sovrapposto di Commerzbank con Deutsche Bank da inizio 2015. Oggi CB vale circa la metà, DB il 40%. Inoltre fonti attendibili mi hanno fatto sapere che per CB il dividendo 2016 è stato cancellato. E c’è anche chi parla di fusione “monstre” tra i due elefanti. Al momento è solo un’ipotesi e secondo me resterà tale. Ma sintetizza lo stato di difficoltà e di necessità in cui si trovano i due istituti tedeschi.
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(…) Oltre ai timori per un maxi aumento di capitale da parte di Deutsche Bank, pesano le indiscrezioni, riportate dal quotidiano Handelsblatt che cita fonti anonime del settore finanziario, sul taglio di 9.000 posti di lavoro nei prossimi anni e nessun dividendo per il 2016 per Commerzbank (era atteso pari a 20 centesimi di euro), titolo anch’esso in calo del 2,85% alla borsa di Francoforte. Secondo gli analisti di Equinet, tale riduzione supererebbe le attese di circa 5.000 posti. (MF) 
Non saremo ai livelli di Deutsche Bank, ma questo ci fa capire che il problema non è solo DB, ma tutto il sistema bancario tedesco. Se poi ci aggiungiamo LB e SC (LEGGETE QUI) il quadro è fatto. Morale: è un problema anche di struttura e di qualità di sistema. Anche si tedeschi fanno tanto i fighi, devono sapere che hanno le banche MENO EFFICIENTI in Europa. Guardate questo grafico. Su 73 euro spesi, hanno un guadagno di 100. il peggior dato a livello europeo. 
O se preferite, rappresenta il più alto cost-to-income ratio. 
E per assurdo le nostre bistrattare banche italiane, hanno un cost-to-income ratio migliore.
cost-to-income-ratio-banche-eurozona
Se poi vogliamo farci del male fisico, prendiamo proprio Deutsche Bank e mettiamola a confronto coi “peers” (paritetici) europei. Ecco il risultato.

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Quindi se le banche tedesche vanno male è colpa dei derivati, della leva finanziaria, ma anche delle sofferenze e degli NPL. Ma sopratutto è colpa anche di una malagestione che, al momento non è stata ancora presa in considerazione, ma che dovrà obbligare il mondo bancario teutonico ad un cambiamento che sia di tipo strutturale.
La mossa di Commerzbank va in quella direzione, senza dubbio.
Fonte: qui