9 dicembre forconi: 06/26/18

martedì 26 giugno 2018

TUTTE LE NOVITÀ DEL “DECRETO DIGNITÀ” DI LUIGI DI MAIO

SLITTA LA FATTURA ELETTRONICA 

STRETTA (MINI) SUI CONTRATTI A TERMINE, STOP AL REDDITOMETRO, SPESOMETRO E SPLIT PAYMENT, PENSATE PER ARGINARE L'EVASIONE DELL'IVA 

ARRIVA LA NORMA CONTRO LE DELOCALIZZAZIONI

Lorenzo Salvia per il “Corriere della Sera”

LUIGI DI MAIO GIOVANNI TRIA GIUSEPPE CONTELUIGI DI MAIO GIOVANNI TRIA GIUSEPPE CONTE
Dopo una lunga serie di annunci quotidiani, dovrebbe arrivare in Consiglio dei ministri il primo vero provvedimento di legge del nuovo governo. Si tratta del cosiddetto «decreto dignità», presentato dal vice premier Luigi Di Maio, che in realtà segue un piccolo decreto ad hoc, quello sulla sospensione dei temini per i processi al tribunale di Bari, da tempo inagibile.

LUIGI DI MAIO GIOVANNI TRIA GIUSEPPE CONTEE sul quale il governo ha accelerato per la necessità di inserire nel testo il rinvio dell' obbligo di fatturazione elettronica per i carburanti, che altrimenti sarebbe scattato sabato prossimo. Proprio domani è in calendario uno sciopero dei benzinai che contestano la misura, ma la protesta dovrebbe essere cancellata oggi dopo un incontro al ministero.
LUIGI DI MAIO GIOVANNI TRIA GIUSEPPE CONTE

L' obbligo di fatturazione elettronica sarà rinviato al primo gennaio del 2019. Riguarda 6 milioni di italiani che hanno la partita Iva. «Questa categoria - spiega Di Maio - si è trovata ad essere prescelta per sperimentare la misura, in anticipo su tutte le altre». Si comincia con una proroga, dunque. Che potrebbe essere accompagnata da altri rinvii ancora in fase di studio, ad esempio sulla gestione commissariale dell' Ilva che potrebbe essere allungata almeno di un mese. Ma nel decreto ci sono anche altre novità, importanti. A partire dalla stretta sui contratti a termine, di fatto liberalizzati dal governo Renzi.

Gli interventi dovrebbero essere due: la riduzione da 5 a 4 delle proroghe e la reintroduzione delle causali, cioè del motivo per cui si usa il contratto a termine invece di quello stabile, cominciando dalla prima proroga. Non ci dovrebbero essere, invece, altri paletti che pure erano stati presi in considerazione negli ultimi giorni, come la riduzione da tre a due anni della durata massima dei contratti o l' aumento delle indennità da pagare al lavoratore in caso di licenziamento con il nuovo contratto a tutele crescenti.

spesometro tiltSPESOMETRO TILT
L' inversione di rotta rispetto al Jobs act resta. Ma è meno netta rispetto alle attese sia per il timore che un intervento troppo deciso potrebbe avere effetti sull' andamento del Pil, già in frenata. Sia per la resistenza dell' alleato di governo, la Lega, su una misura non proprio gradita dal suo elettorato storico, i piccoli imprenditori del Nord.

Confermate le altre misure annunciate nei giorni scorsi. Lo stop non solo al redditometro, di fatto già abbandonato, che consente di stimare il reddito del contribuente in base alle sue spese. Ma anche allo spesometro e allo split payment, due misure pensate per arginare l' evasione dell' Iva, la cui cancellazione potrebbe far scendere le entrate pubbliche.

GIOCHI AZZARDO ONLINEGIOCHI AZZARDO ONLINE
Nel decreto ci sarà anche la norma contro le delocalizzazioni, anche questa più realistica rispetto agli annunci dei giorni scorsi. Il meccanismo si dovrebbe applicare alle aziende italiane ed estere con almeno mille dipendenti che hanno ricevuto contributi pubblici. E che spostano fuori dall' Unione europea gli impianti con il risultato di ridurre il personale. Sarebbero obbligate a trovare un acquirente in grado di garantire i livelli occupazionali. Altrimenti dovrebbero restituire i contributi ricevuti e, la vera novità sarebbe questa, pagare una sanzione pari al 2% del loro fatturato.

Confermato anche l' intervento sui giochi con lo stop alla pubblicità per i giochi d'azzardo. Alcune limitazioni erano state già introdotte due anni fa, lasciando però piena libertà sulle tv a pagamento. I dettagli devono essere ancora definiti ma stavolta il divieto dovrebbe essere generale.

Fonte: qui

La tempesta perfetta in arrivo dai mercati metterà fine al governo Conte

Dazi e immigrazione hanno monopolizzato le cronache. Tutto studiato. Per coprire le brutte notizie che arrivano da Wall Street e DB. Specie per l'Italia. 


Facciamo un test: quale notizia dall’America ha monopolizzato la vostra attenzione mercoledì? Ovviamente, il dietrofront di Donald Trump sulla divisione delle famiglie di immigrati al confine con il Messico, dopo che le immagini virali dei bambini piangenti chiusi nelle gabbie come animali hanno fatto indignare il mondo. Non pensiate che sia un caso. Non è un caso che la questione immigrazione, seppur con sfumature differenti, stia infiammando e monopolizzando il dibattito pubblico e politico contemporaneamente sia negli Usa che in Europa: fateci caso, non si parla d’altro.
Per noi italiani, poi, la questione appare addirittura vitale per il governo giallo-verde, visto che si profila uno scontro senza precedenti fra Roma e il resto dei membri Ue in vista della riunione preparatoria di domenica e del vertice europeo della prossima settimana, fondamentale per la tenuta stessa dell’Unione quanto il whatever it takes di Mario Draghi. Di colpo, torna il problema immigrazione. Sulle due sponde dell’Atlantico. Curioso.
E poi, davvero pensate che Donald Trump era indebolito e ulteriormente macchiato nell’immagine da questa vicenda? Tutt’altro, ha ottenuto il massimo. Perché l’intera tragicommedia delle ultime 72 ore fa riferimento a un copione preciso: vi pare normale, infatti, che la First Lady attacchi il marito via Twitter su un tema di questa sensibilità? Va bene il “fuoco amico”, ma c’è un limite. Anzi, in questo caso c’è un fine: quello di dare il via a un classicissimo di Hollywood, ma anche delle strategie di dissimulazione, ovvero il gioco delle parti del poliziotto buono e quello cattivo. Cosa scriveva Melania Trump nel suo tweet? Che occorreva governare con le leggi, ma anche con il cuore e, soprattutto, che si auspicava un accordo bipartisan sulla materia a livello parlamentare. E l’ha ottenuto. Ma è il marito ad aver cercato quel risultato, altrimenti irraggiungibile, anche solo per ragioni meramente ideologiche e tattiche da parte del fronte Democratico. E cosa ha permesso di fare a Trump il trambusto globale, soprattutto social, di quelle immagini strazianti? Di rendere noto al mondo ciò di cui il mondo era stato tenuto all’oscuro, debitamente: che la pratica della divisione delle famiglie non solo è in atto negli Usa, sistematicamente, dall’era Clinton, ma che uno dei suoi utilizzatori più convinti e frequenti è stato il Premio Nobel per la pace, Barack Obama. Nessuno lo sapeva, oggi lo sanno tutti.
Controinformazione indotta, roba orwelliana, ma che diventa pratica semplice semplice al tempo dei social network. Un colpo politicamente da maestro, a cinque mesi dalle elezioni di medio-termine e con la pistola del Russiagate ormai completamente scarica nelle mani del procuratore Mueller e dei Democratici. Non c’è stato nulla di spontaneo in quanto accaduto negli Stati Uniti negli ultimi tre giorni.
E lo stesso vale per la Ue. Pensateci: chi mai avrebbe pensato possibile una sfida alla leadership come quella lanciata sul tema migranti dal ministro dell’Interno e leader bavarese, Horst Seehofer, ad Angela Merkel? Oltretutto, dopo sei mesi di travagli post-elettorali per arrivare a un governo il meno raffazzonato possibile, ma pur sempre di coabitazione con la Spd, un rospo davvero duro da digerire per la Csu. Il tutto con la Baviera che, a ottobre, andrà al voto e potrebbe, se passerà indenne il test del vertice europeo, rimettere in discussione il cancellierato, in caso di cattivo risultato a favore di AfD per l’eccessivo lassismo dell’alleato Cdu riguardo al tema dei respingimenti.
E l’Italia? All’angolo, almeno formalmente. O, quantomeno, in ordine sparso, visto che Salvini ha fatto sponda proprio con il ribelle Seehofer e il governo austriaco (presidente di turno dell’Unione da luglio) per la linea dura, contando anche sull’appoggio – politicamente e mediaticamente scomodo da gestire – del Gruppo di Visegrad, i Paesi di ex influenza sovietica che hanno detto da subito no alla politica delle quote. Nel mezzo, Emmanuel Macron, pronto a capitalizzare le debolezze e gli scontri altrui, forte di una stabilità interna quasi da Re Sole, garantitagli dai poteri eccezionali post-Bataclan messi in Costituzione e da un’opposizione francese, di destra e sinistra, tanto belligerante a parole quanto evanescente nei fatti.
Insomma, come vedete, c’è molto sotto il pelo dell’acqua dell’ufficialità. Ad esempio, per Donald Trump c’è questo.
Il fatto che la scelta di scatenare, almeno formalmente, una guerra commerciale contro la Cina non solo ha di fatto colpito solo l’Europa, almeno a livello di dazi sui metalli, ma ha visto Pechino inviare, silenziosamente, un promemoria molto chiaro a Washington, in caso pensasse di andare davvero fino in fondo: nella prima metà di quest’anno, infatti, gli investimenti diretti cinesi negli Stati Uniti sono calati del 92% su base annua, con accordi e contratti chiusi per un controvalore di soli 1,8 miliardi di dollari, il minimo da sette anni a questa parte.
Come dire, adesso come la finanzia la politica del Make America great again, con le carte revolving dei cittadini subprime pignorati? O con il deficit, spedendo la ratio debito/Pil alle stelle e obbligando il Treasury a emissioni record l’anno prossimo, di fatto drenando dollari da un mercato globale che già li tratta come pietre preziose, vista la scarsità di collaterale liquido in biglietti verdi e la scelta suicida della Fed, che sta già cominciando a dissanguare i mercati emergenti?
Ma il caos migranti e l’indignazione di massa per i bimbi piangenti strappati alle famiglie al confine con il Messico serve a coprire anche altro, ad esempio questo.
Negli ultimi quattro giorni Wall Street ha patito il più grande short-squeeze della storia, ovvero i titoli più soggetti a scommesse ribassiste sul mercato azionario Usa hanno registrato invece aumenti del 20% negli ultimi due mesi e ora è arrivato il momento della grande ricopertura, un qualcosa che rimanda echi del 2000 e, soprattutto, del 2007.
Scommetto che, presi come eravate a commuovervi per i bimbi messicani, vi è sfuggita un’altra cosa: con la chiusura di mercoledì, il Dow Jones ha registrato sette rossi consecutivi, la peggior striscia di performance da 18 mesi. Eppure i mercati parlano solo di mercato Usa che viaggia come una locomotiva: basta scatenare altre “priorità” e quando arrivano le brutte notizie, si fa presto a farle sparire. O nasconderle per bene.
E l’Europa? E l’Italia? Per la prima, bastano questi due grafici(ed il terzo).

Il primo ci dice un qualcosa di tecnico, ma che cercherò di spiegarvi in maniera semplice, visto che è di enorme gravità. Il 7 maggio scorso è emerso presso i regolatori il fatto che, nel primo trimestre di quest’anno, un gruppo di sconosciuti traders di Deutsche Bank è incorso in una perdita giornaliera pari a 12x sul VaR, ovvero 12 volte maggiore rispetto alla stima che gli analisti del gigante tedesco hanno fatto, ai fini della regolamentazione, per fissare il massimo gestibile di perdita giornaliera.
Avete presente il film Margin call? La logica è quella del buco nel sistema di valutazione di iscrizione a bilancio del valore degli assets scoperta dal giovane protagonista. Deutsche Bank è, di fatto, una bomba a mano innescata. Ed è, palesemente, sotto attacco speculativo Usa. Magari con l’aiuto di qualche fondo francese, quelli usati dalle grandi banche per le “operazioni coperte”: la cosa non mi stupirebbe affatto, conoscendo le mire e l’agenda politica dell’Eliseo.
Il secondo grafico parla da solo e ci dice quale sia il valore di magnitudo di Deutsche Bank, i cui assets sono ponderalmente pari al 45,3% del Pil tedesco con riferimento al dato dello scorso marzo. Non solo too big to fail, bensì big enough to destroy.
L’Italia? Ci ha pensato Goldman Sachs a dirci chiaro e tondo cosa ci aspetta con la fine del Qe, nel suo ultimo report. Lo dice questa tabella.
La tabella ci fa vedere che - nonostante gli strepiti della Bundesbank -, la politica pro-quota degli acquisti di titoli demandati dalla Bce alle varie Banche centrali vedrà l’anno prossimo la Germania in posizione invidiabile, visto che non solo le emissioni lorde di bond sovrani a lungo termine sono attese in calo, ma – vista la già sovrabbondanza di Bund detenuti - la Bundesbank reinvestirà circa 50-60 miliardi di quella carta nel suo portafoglio, continuando ad assorbire circa il 47% dell’offerta lorda attraverso acquisti nel mercato secondario anche l’anno successivo.
Non è così roseo il quadro italiano. Anzi, non lo è per niente. Il nostro Tesoro nel 2019 vedrà, infatti, la percentuale di emissioni più bassa assorbita dalla Bce a livello di eurozona, tanto che il settore privato (o le istituzioni estere) dovranno assorbire oltre l’80% delle nuove emissioni a lungo termine di titoli di Stato.
Cosa dite, lo faranno con questo governo e con la tensione che l’autunno porterà con sé, soprattutto se la Germania traballerà politicamente? E se sì, a quale premio di rischio, ovvero a quale livello di spread e quindi di aggravio dei costi per le nostre casse? E se il servizio del debito salirà alle stelle, con quali soldi lo pagheremo? Quelli accantonati per flat tax, reddito di cittadinanza o abolizione della legge Fornero? Ah no, impossibile, visto che non ci sono stanziamenti al riguardo, ma solo prospettive utopiche di maggiori entrate tramite condoni e misure una tantum o spesa a deficit. E pensate che con una situazione di insostenibilità del costo dei conti pubblici come quella prospettata da Goldman per il post-Qe, Bruxelles ci permetterà di spendere a deficit o di godere di altra flessibilità?
Siamo alle soglie della tempesta perfetta, ma nessuno pare saperlo. Perché nessuno lo dice. Ma nulla è come appare, ormai lo sapete. Prepariamoci all’arrivo della Troika come si deve. O, in subordine e in alternativa, a quello di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Comunque sia, questo governo, destinato a fare da capro espiatorio, ha i mesi contati. O le settimane.
Fonte: qui

America’s Debt Dependence Makes It An Easy Economic Target

“There is a classic denial tactic that many people use when confronted with negative facts about a subject they have a personal attachment to…”
There is a classic denial tactic that many people use when confronted with negative facts about a subject they have a personal attachment to; I would call it “deferral denial” — or a psychological postponing of reality.
For example, point out the fundamentals on the U.S. economy such as the fact that unemployment is not below 4% as official numbers suggest, but actually closer to 20% when you factor in U-6 measurements including the record 96 million people not counted because they have run out of unemployment benefits. Or point out that true consumer inflation in the U.S. is not around 3% as the Federal Reserve and the Bureau of Labor Statistics claims, but closer to 10% according to the way CPI used to be calculated before the government started rigging the numbers.  For a large part of the public including a lot of economic analysts, there is perhaps a momentary acceptance of the danger, but then an immediate deferral — “Well, maybe things will get worse down the road, 10 or 20 years from now, but it’s not that bad today…”
This is cognitive dissonance at its finest. The economy is in steep decline now, but the mind in denial says “it could be worse,” and this is how you get entire populations caught completely off guard by a financial crash. They could have easily seen the signs, but they desperately wanted to believe that all bad things happen in some illusory future, not today.
There is also another denial tactic I see often in the world of politics and economics, which is what I call “paying it backward.” This is what people do when they have a biased attachment to a person or institution and refuse to see the terrible implications of their actions. For example, when we point out that someone like Donald Trump makes destructive decisions, such as the continued support of Israel and Saudi Arabia in Syria and Yemen, or the reinstatement of funding for the White Helmets in Syria who are tied to ISIS, Trump supporters will often say “Well what about Obama?”
This is a game of shifting accountability. Is one person worse than the other? Possibly. I say give it time and make notes. However, the negative decisions of one politician we don’t like do not diminish the negative decisions of another politician we might like. They should BOTH be held accountable.
The same goes for countries and economies. When an analyst points out that U.S. debt is at historic highs and is utterly unsustainable, people in denial will say “but what about China or Europe?” One does not negate the other and, of course, there are differences that make the situation in the U.S. far more tenuous.
Primarily I am talking about America’s endless dependency on the world reserve status of the U.S. dollar and, beyond that, the steady expansion of debt at low interest rates for the past decade.
The Federal Reserve, once the No. 1 buyer of U.S. debt, has essentially declared it is cutting off support and has begun dumping assets from its balance sheet. The only assets the Fed seems to be maintaining are Mortgage Backed Securities (MBS). All others are being cut, including Treasuries. The American economy is inexorably attached to the idea of our Treasury debt as a safe investment, with our national debt spiking above $21 trillion and many trillions more owed to entitlement programs depending on how you calculate the expenditures, there is a vital need for steady foreign investment in U.S. debt.
But what happens when investment in U.S. debt becomes politically unsavory? Consider the current escalation of the trade war; Many pro-dollar talking heads and cheerleaders have argued in the past that no nation has the guts to dump dollar denominated assets and risk the wrath of American “economic might.” But, already we have seen Russia dump half its U.S. Treasury holdings in a single month and the trade war has only just begun.
Is Russia’s action a sign of things to come? Will other nations like China follow the same strategy? We will have to wait and see, but I believe this is the inevitable outcome of the trade war if it drags on for the rest of the year.
America’s dependent nature, feeding off of foreign investment to support its debts, is a disaster waiting to happen. The concept of economic “recovery” is laughable until this issue is addressed.  And, entering into a trade war while ignoring this blaring weakness is foolish, to say the least.
Beyond the issue of government (taxpayer) debt, let’s not forget about American corporations and consumers. U.S. corporate debt as a percentage of gross domestic product is at historic highs not seen since the housing bubble of 2008 or the dot-com bubble of 2001. There is a distinct difference, though, that makes today’s bubble far more insidious. After years of near-zero interest rates, corporations have become addicted to cheap debt. So much so that they have been borrowing nonstop to support their own stock prices through stock buyback manipulation. But now the Fed is raising interest rates and has committed to expanded hikes in the future.
So, what will corporations do as the cheap debt dries up? Thus far, they are spending the majority of their Trump tax cut still trying to artificially prop up stock process. When this money runs out (and I believe it will much faster than the mainstream thinks), the existing debt of these companies will cost much more to finance, and future borrowing at the same pace will become impossible. This is a threat that is developing now, not in some far-off future.
Eventually, corporations will have to make deep spending cuts rather than borrow. This means mass layoffs, store closures and potential cuts to pensions. And, of course, no more stock buybacks, meaning a market crash will ensue.
What about the U.S. consumer? U.S. consumer debt is set to reach new highs by the end of the year; around $4 trillion by official estimates.  While discussion continues about the alleged “labor shortage” in the U.S., one thing is clear — the jobs that do exist do NOT pay wages that keep up with true inflation. When we see spikes in retail sales in the U.S. and this is applauded as economy recovery, very few mainstream analysts point out that higher retail sales are merely tracking higher inflation.
That is to say, consumers are spending more money on less stuff. Again, this is unsustainable, which is why consumer debt is exploding. Dependency on credit cards and loans is being used by the public to offset much higher costs. But as the Fed raises interest rates, this too will end. Higher Fed rates translate to higher credit rates as well as higher mortgage rates (indirectly). With higher interest payments comes a large drop in overall spending.
As you can see, there are at least two forces at work here that will end all talk of U.S. recovery and which undermine any notion of economic strength — the first is the trade war, which I believe is a massive distraction designed to draw attention away from the actions of international banks and central banks. The second is the Federal Reserve, which has addicted the country to cheap fiat and is now flushing the drugs. We cannot delude ourselves into thinking that this trend will remain slow or that it will not develop into a crash in the near term. We also cannot simply deflect to other countries like China or those in Europe as if their problems are somehow worse and therefore ours are not a concern.
The fact that the health of the US economy is inexorably reliant on the continued foreign demand for the dollar and Treasury debt means any reduction of the dollar’s world reserve status or petro-status, or any decline in treasury purchases, will directly affect the carefully crafted image of America as a stable system.  Without a sudden and aggressive resurgence of domestic production and innovation America has no safety net in the event that our debt addiction is used against us.
The argument that the central bank can jump in at any time to monetize that debt and reduce the danger is also delusional.  This assumes first and foremost that the Fed WANTS to reduce the danger.  I believe they want the danger to increase, not decrease.  Debt monetization also has the added bonus of causing even more inflation as foreign investors dump their dollar denominated assets back into the US.  Monetization is a poison, not a cure.
The crisis is here, now. Seeing and accepting it allows us to prepare accordingly. Denying it as inconsequential sets people up as victims of their own bias and ignorance.

VIAGGIO NELLE VISCERE DELLA FINLANDIA DOVE NASCERA’ IL PRIMO DEPOSITO PERMANENTE PER RIFIUTI RADIOATTIVI AL MONDO

IL SITO PROGETTATO PER RESISTERE 100 MILA ANNI. GLI SCARTI VERRANNO STOCCATI A 500 METRI DI PROFONDITÀ, FINO A QUANDO NON DIVENTERANNO…

Mauro Mondello per La Stampa

Superato il cancello di sicurezza all' ingresso, guardando i camion immobili parcheggiati di fronte a una serie di container in lamiera verde e gialla, è difficile immaginare che proprio qui sotto si stia lavorando ad Onkalo (la «grotta», in finlandese), il primo deposito permanente per scorie nucleari al mondo.

 «Lo abbiamo progettato affinché possa resistere per i prossimi 100 mila anni, superando anche le glaciazioni», spiega Pasi Tuohimaa, della Posiva, la società finlandese che dal 2004 è impegnata nella costruzione del sito di smaltimento delle scorie radioattive finlandesi, destinate a restare sepolte a 500 metri di profondità per sempre, sino a diventare innocue: il deposito, il cui costo è stimato in 3,5 miliardi di euro, custodirà 6500 tonnellate di scarti, per 4 mila generazioni.
Siamo nel Comune di Eurajoki, a circa tre ore di auto dalla capitale Helsinki, sulla costa occidentale della Finlandia bagnata dal Golfo di Botnia.

ONKALO DEPOSITO PER RIFIUTI RADIOATTIVIONKALO DEPOSITO PER RIFIUTI RADIOATTIVI
L' area è un idilliaco intrico di piccoli villaggi di case di legno, circondati da distese di pini e betulle, corsi d' acqua cristallini, un braccio d' asfalto che corre dritto in mezzo alle foreste, ogni tanto un cartello stradale ad indicare il pericolo di attraversamento renne.
La Tvo, la compagnia elettrica finlandese, ha scelto questa parte del Paese per costruire una centrale nucleare che ad oggi, con i due reattori al momento attivi, produce il 16% di tutta l' energia in Finlandia. Una quota che salirà sino al 30% quando sarà pronto Epr, il più potente reattore nucleare della Terra, sviluppato, su cooperazione franco-tedesca delle compagnie Areva e Siemens, ad acqua pressurizzata, capace di fornire una potenza nominale di 1600 Megawatt.

Nel sottosuolo L' imbocco del tunnel di Onkalo è dietro una saracinesca abbassata. Eero Koponen, geologo, tira fuori dalla tasca un piccolo telecomando nero. Schiaccia un tasto e mentre la lamiera scompare dentro la pietra si apre una galleria dal fondo fangoso, le pareti piene di segni e indicazioni geologiche, affiancata da stretti tubi di aerazione e da un soppalco metallico, montato sul lato destro della roccia, su cui sono fissate le luci al neon che illuminano tutto il percorso. Onkalo è un dedalo di tunnel sotterranei, ben 137, lunghi sessanta chilometri, dove si lavora ininterrottamente, a gruppi di trenta persone, scavando una roccia compatta e resistente che viene spesso sventrata con l' aiuto di esplosivi. Ci si ferma solo una volta l' anno, il giorno di Natale.
ONKALO DEPOSITO PER RIFIUTI RADIOATTIVIONKALO DEPOSITO PER RIFIUTI RADIOATTIVI

Quando l' impianto sarà attivo e funzionante, nel 2025, il combustibile esaurito, dopo essere passato dalle piscine di raffreddamento, verrà imballato in taniche in ghisa e ferro da 25 tonnellate, avvolte in rame; le taniche verranno custodite in cunicoli che saranno protetti con la bentonite, il minerale argilloso che si utilizza anche per la lettiera dei gatti e che si gonfia a contatto con l' acqua; infine, verranno sigillati con enormi tappi di cemento.
«Bastano 1000 anni per ridurre in maniera significativa la radioattività, ma noi abbiamo deciso di lavorare ad una soluzione che elimini il problema definitivamente - spiega Tuohimaa -. Questa roccia di granito in due miliardi di anni ha subito solo piccolissime modifiche, e per questo, anche in caso di terremoto, la percentuale di radioattività che salirebbe in superficie sarebbe minime». Il deposito conterrà tutte le scorie prodotte dai due reattori di Olkiluoto al momento attivi, e l' ultimo carico di combustibile verrà seppellito intorno al 2100, chiudendo il cerchio di un progetto le cui ricerche cominciarono nel 1970.

Il progetto di «final disposal» di Onkalo, lo smaltimento finale, come amano chiamarlo i finlandesi, non ha attirato proteste da parte della popolazione locale, che in un referendum ne ha anzi appoggiato la costruzione. Merito, soprattutto, della Tvo, che con la costruzione del polo nucleare è di fatto il più grande datore di lavoro della zona e che, con le tasse pagate alla municipalità di Eurajoki, copre quasi un terzo del budget annuale da 60 milioni di euro del Comune, senza contare i generosi contributi di compensazione.
ONKALO DEPOSITO PER RIFIUTI RADIOATTIVIONKALO DEPOSITO PER RIFIUTI RADIOATTIVI

Aspettando la glaciazione Certo non mancano le voci di opposizione, come quella di Matti Sarnisto, ex direttore dell' Istituto finlandese di geologia, che ha più volte affermato come sia impossibile prevedere cosa accadrà durante e dopo la prossima glaciazione, nel giro di poche decine di migliaia di anni, avvisando che il terreno eserciterà una notevole pressione sulla roccia e potrebbe danneggiare i contenitori di rame. Posiva, forte delle autorizzazioni governative a operare, ha sempre rispedito le accuse al mittente.

L' intenzione, una volta attivo Onkalo, è anzi quella di esportare le competenze acquisite durante la costruzione del sito ad altri Paesi. Ad oggi, nessuna nazione ha trovato una risposta per lo smaltimento delle scorie, che usualmente (ad esempio in Italia) vengono custodite, debitamente stoccate, in semplici capannoni. È questa l'eredità radioattiva di un' epoca che rimarrà viva ancora molto a lungo.

Fonte: qui

SALERNO - UNA GIOVANE MAMMA DI 24 ANNI SI È UCCISA DOPO AVER ALLATTATO IL FIGLIO ALL’OSPEDALE “SAN GIOVANNI DI DIO E RUGGI D’ARAGONA”

LA DONNA SI ERA RECATA AL SESTO PIANO, AL REPARTO DI NEONATOLOGIA, PER ALLATTARE IL PICCOLO 

POSSIBILE CHE IL GESTO SIA DOVUTO A UNA DEPRESSIONE POST PARTUM


depressioneDEPRESSIONE
Tragedia nell'ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona di Salerno: una giovane mamma di 24 anni si è uccisa dopo aver allattato il figlio. Da quanto si apprende, la donna si era recata al sesto piano del Reparto Tin per allattare il piccolo. Subito dopo è uscita dal reparto e ha aperto la finestra sul ballatoio per lanciarsi nel vuoto. Nell'area erano presenti anche altre persone ma nessuna è stata in grado di impedire il gesto. La donna era in buone condizioni di salute, si ipotizza che il suicidio possa essere dovuto ad una depressione post partum.

Fonte: qui