9 dicembre forconi: 12/03/18

lunedì 3 dicembre 2018

Il rischio mattone che cova nelle banche tedesche

L’inverno sta arrivando, viene da pensare leggendo l’intervento di Claudia Buch, che ha presentando l’ultimo Financial stability report della Bundesbank. “L’estate è stata inusualmente lunga e calda – dice la vice presidente – ma adesso è arrivata alla fine, visto che le stagioni vanno e vengono”, dice riecheggiando un vecchio adagio che ogni economista di buon senso dovrebbe iscrivere nel proprio immaginario. Se non altro per disintossicarsi dal pensiero pernicioso che ha nutrito l’economia dell’ultimo cinquantennio, ossia che sia davvero possibile crescere per sempre. Non è così, ovviamente. Anche la Germania, ossia uno degli esperimenti di politica economica meglio riusciti, paga dazio all’inesorabilità del ciclo e della congiuntura, che facilmente diventa avversi dopo aver arriso benigni per tanto tempo. Se n’è avuto un avviso con la crescita negativa dell’ultimo trimestre registrata dalla Germania, frutto di tante contingenze fra le quali l’incattivirsi del commercio internazionale, la vicenda Brexit, ancora irrisolta, e le tensioni geopolitiche. Ciò malgrado, “i tempi sono ancora buoni sul fronte economico”, aggiunge la Buch, visto che “l’economia si sta ancora espandendo a passo robusto, i tassi di interessi sono ancora bassi e i prezzi degli asset sono alti e la volatilità nei mercati finanziari è relativamente bassa”. E tuttavia i semi dell’inverno sono per ogni dove, pronti a germinare gelate capaci di far battere i denti anche a un’economia robusta come quella tedesca.
Proprio di questo si occupa il rapporto della Banca, che sbircia nei recessi dove di solito si annidano e prosperano i rischi, ossia il sistema finanziario. Le banche tedesche non hanno patito meno delle altre la tormenta nel tempo della crisi. Oggi semmai rimane da capire quanto siano attrezzate per superare i rigori della brutta stagione, quando arriverà. Perché a far la differenza fra un inverno e un brutto inverno, in fondo, è solo il modo in cui ci si prepara ad affrontarlo. Sappiamo per ora che “l’affermazione di una forte crescita e di bassi tassi di interesse hanno contribuito all’accumulo di vulnerabilità e che questa tendenza è continuata fino ai giorni nostri”, come ci dice la Buch. Questo paradosso sorprenderà alcuni, ma non quelli – e sono tanti – che sanno bene che ogni ciclo scrive, dispiegandosi, la storia della sua fine. Il resto dovremo scoprirlo, ma mentre stiamo a guardare è utile ricordare che il sistema finanziario tedesco cova problemi specifici. E siccome tutto si tiene,  nulla racconta meglio dei rischi per la stabilità del sistema finanziario tedesco di semplice dato: “I prezzi degli immobili – spiega il rapporto – in Germania sono aumentati costantemente dall’inizio della crisi finanziaria, non solo nei centri urbani. Secondo le stime della Bundesbank, i prezzi degli immobili superano i livelli che sarebbero giustificati da fattori fondamentali come i modelli regionali o demografici di circa il 15-30%”.
Una sopravvalutazione che diventa ancora più evidente se si guarda l’indice dei prezzi residenziali e soprattutto quello riferito alle sette maggiori città, dove i prezzi rispetto all’indice 100 del 2010 risultano cresciuti dell’80%.
Le ragioni di questa crescita esuberante sono diverse. Ma ancora una volta l’immobiliare conferma la sua vocazione di polarizzatore della crescita e insieme dei rischi che questa porta con sé. Il boom del prezzi immobiliari alla fine è riuscito a raggiungere anche la Germania, che l’aveva scampato nei primi anni Duemila. E ciò ha generato conseguenze importanti che coinvolgono il sistema finanziario che volente o nolente, di questi rischi è il terminale principale. Le banche infatti non hanno solo incorporato rischi di credito, ma anche un notevole rischio da interesse. “Negli ultimi anni, – recita il rapporto – le banche hanno sempre più concesso prestiti con scadenze più lunghe e tassi di interesse a scadenza fissa. Ad esempio, il 45% dei nuovi prestiti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni ha periodi di blocco dei tassi d’interesse superiori a dieci anni”. Detto in soldoni, prezzi sopravvalutati implicano possibilità di cali degli asset che indeboliscono il valore dei collaterali dei prestiti bancari. Tassi di interessi bloccati per dieci anni significa che le banche non possono “scaricare” sui clienti le tensioni dell’aumento del costo del denaro che arriveranno con l’aumento dei tassi, una volta che ci sarà. In sostanza tutto ciò implica maggiori pressioni sui bilanci delle banche, che in questi anni hanno pompato credito senza risparmiarsi.
All’apparenza non sembra così. La crescita del credito sul pil è stata continua dal 2010, pari al 4,4% annuo alla fine del terzo quarto 2018, ma è risultata al di sotto del tasso annuo di lungo periodo che dal 1980 quota il 4,8%. Ma il problema è che il tasso aggregato nasconde parecchie diversità fra le varie categorie di banche. “La quota di mercato delle casse di risparmio è cresciuta dal 30% all’inizio del 2010 al 33% nel terzo trimestre 2018. Quella delle cooperative di credito è aumentato dal 20% al 25% nello stesso periodo, mentre le banche commerciali sono rimaste invariate quota di circa il 25%”. Quindi le banche più piccole sono quelle che hanno elargito più credito e ci sono evidenze che lo abbiano fatto allentando notevolmente gli standard di erogazione. I rischi, insomma, trovano terreno assai fertile, pure se mitigati dalla circostanza che le famiglie hanno visto calare regolarmente il livello dei loro debiti, al 50% del pil a fine 2017, a fronte di un livello medio del 58% nell’eurozona.
Rimane il fatto che “un improvviso aumento dei tassi di interesse – scrive la Banca – potrebbe far finire sotto pressione molte istituzioni contemporaneamente. Principalmente le banche di piccole e medie dimensioni, alcune delle quali hanno notevolmente ampliato la loro trasformazione delle scadenze negli ultimi anni”. E d’altronde, se tale aumento dei tassi non ci fosse, sarebbe peggio per altre istituzioni finanziarie: “Altre parti del sistema finanziario – assicuratori o fondi – sarebbero colpite in modo simile e potrebbero non essere in grado di compensarne l’impatto”, dice la Buch. L’estate è stata lunga – il periodo di crescita più lungo dalla riunificazione -, ma l’inverno sta arrivando e il sistema finanziario tedesco si trova d’improvviso di fronte a rischi concreti che attendono di essere testati, con le banche in prima linea, “stressate” dal lungo ciclo immobiliare, e assicuratori e fondi a seguire, “stressati” dal lungo ciclo di tassi bassi. Il combinato disposto del calo dei corsi immobiliari associato al rialzo dei tassi somiglia, in tal senso, alla tempesta perfetta per il sistema finanziario tedesco. Le tempeste, d’altronde, capitano sempre d’inverno.
Fonte: qui

Il governo Maduro di comprendonio


Quindi, pare che i nostri scappati di casa, spinti a più miti consigli dall’eventualità di perdere l’accesso al mercato già a gennaio, siano intenzionati a modificare la Manovra del Popolo. Da quanto emerge in queste ore, tuttavia, non si tratterebbe di nulla di sostanziale ma dell’abituale tentativo di smerciare pacchi nel parcheggio dell’autogrill, che pare essere diventata l’attività prevalente degli italiani nel rapporto con la realtà. Un vero peccato che quest’ultima non si faccia turlupinare.
I nostri eroi hanno comunque già fatto sapere che aspettano le “relazioni tecniche” su reddito e pensioni
«[…] al fine di quantificare con precisione le spese effettive. Le somme recuperate saranno riallocate, privilegiando la spesa per investimenti»
Proviamo a decodificare. Intanto, fa davvero tenerezza che si invochi, esattamente come per la Tav e le altre grandi opere contestate, “il parere dei tecnici”. Avevo già evidenziato questo mezzuccio tattico, tempo addietro. Quella che appare come l’abdicazione della politica è in realtà la sua riaffermazione, visto che si va avanti sin quando il “tecnico” non sputa i “numerini” giusti. Questo però vale quando si ha un uditorio ed un elettorato di analfabeti funzionali, che attendono l’ipse dixit “tecnico”, ma è assai difficile che si riesca a prendere per i fondelli i “tecnocrati europei”. A tecnico, tecnico e mezzo, in pratica.
Ciò premesso, cosa “riallochiamo”, quindi? I cosiddetti risparmi delle due misure-bandiera, dopo averle opportunamente ridimensionate. Sino a che punto? Questo non è dato sapere. Potremmo ad esempio far accedere a Quota 100 solo i soggetti che riescono a cantare a testa in giù una hit dello Zecchino d’Oro, a scelta, per scremare ulteriormente la platea. Oppure potremmo mettere finestre di uscita strettissime, verso ottobre del prossimo anno, chissà.
Certo, le cose sarebbero molto semplificate se si “desecretasse” il provvedimento sulle pensioni, visto che sono riusciti a dire anche quello, con la motivazione di sottrarlo alle critiche di Tito Boeri e non solo alle sue. Ma anche così, alla fine i “tecnici” dovranno dirci quante nuove assunzioni saranno prodotte da questa “rimodulazione”, per la famosa staffetta generazionale che non lo era. Superfluo segnalare che la Commissione Ue vorrà poi sapere quello che pure io gradirei conoscere, in quanto contribuente di questo paese: quale sarà l’impatto di lungo termine del nuovo regime pensionistico sul debito pubblico?
Sul reddito di cittadinanza, stessa canzoncina: i pentastellati non vedono l’ora di fare un bel decreto legge prima di San Silvestro, con i suoi requisiti di necessità ed urgenza, per differire le prime mance ad aprile, giusto in tempo per le elezioni europee? Ebbene sì, e troveranno molti gonzi pronti a difenderli, anche se gli importi disponibili saranno cifre poco più che simboliche, con buona pace dei famosi 780 euro e multipli per scala di equivalenza familiare. Eppure vi ricordate che le coperture c’erano, e pure bollinate dagli odiati tecnici della Ragioneria? Eh.
Due parole anche per il Tecnico Supremo, il ministro dell’Economia, Giovanni Tria: scusi, professore, ma riduciamo il deficit ed al contempo teniamo ferma l’ipotesi di crescita 2019 a 1,5%? E che moltiplicatori stiamo usando, quindi? Non è che ci squalificano per doping mentre tentiamo di imitare i nuotatori della DDR?
Su tutto, i nostri eroi puntano al fatto che la Commissione Ue sia composta di analfabeti funzionali come la maggioranza degli italiani, e pertanto che non si accorga che questo giochetto di riduzione degli esborsi per il 2019 fa gonfiare in modo spaventoso quelli del 2020, a cui si sommerà il ritorno delle clausole di salvaguardia. Per non parlare delle coperture, che sono in larghissima misura anticipazioni di gettito, e quindi apriranno una voragine sempre nel mitologico 2020.
Come scrive oggi Paolo Baroni su La Stampa:
«I numeri del resto parlano chiaro: il maggior deficit ammonta infatti a 21,8 nel 2019, a 26,8 nel 2020 e a 25,3 nel 2021. Al netto della sterilizzazione dell’Iva da 21,8 scendiamo a 9,4 nel 2019, mentre sia nel 2020 che nel 2021 ci attestiamo a quota 21,3 miliardi. Se poi volessimo azzerare l’Iva anche dopo il 2019 l’impegno per le casse dello Stato sarebbe pari a 21,9 miliardi l’anno venturo, per poi esplodere negli ultimi due anni: a quota 40,4 miliardi nel 2020 e a quota 40,8 miliardi nel 2021. Insomma una bella ipoteca anche sugli anni futuri»
Quindi, coperture risibili per effetti perlopiù permanenti.  Allora, riassumiamo:
  • Gli scappati di casa se la fanno addosso per timore di perdere l’accesso ai mercati;
  • Quindi cercano di vendere la fontana di Trevi alla Commissione Ue ed agli altri paesi dell’Unione;
  • Manipolano e comprimono gli esborsi per il 2019, nel disperato tentativo di arrivare alle elezioni di maggio (per fare cosa, è sempre meno chiaro);
  • Così facendo, non incidono sul deficit-Pil strutturale ma depotenziano l’impatto espansivo delle misure, che viene peraltro già soffocato anche dall’esplosione dello spread;
Che accadrà, quindi? Non saprei, ma partirei dalla premessa che gli interlocutori dei caciottari italiani non hanno l’anello al naso. Una volta fissata questa premessa metodologica, potete inferire. Ed anche infierire, direi. Ad esempio, che un esecutivo abilissimo a manipolare un popolo alquanto bue, sia alla fine il purissimo distillato del medesimo, in termini di facoltà cognitive. Un governo Maduro di comprendonio, in pratica, visto che non riesce a capire che questa manovra va semplicemente buttata nello sciacquone.
Fonte: qui