martedì 14 febbraio 2017
IL NEO PRESIDENTE PERDE I PEZZI: IL CONSIGLIERE PER LA SICUREZZA NAZIONALE MICHEAL FLYNN COSTRETTO A DIMETTERSI: "E' RICATTABILE DAI RUSSI"
IL PRESIDENTE AFFIDA L'INTERIM A KELLOGG JR., MA TRA I POSSIBILI SOSTITUTI RISPUNTA L'EX CAPO DELLA CIA, DAVID PETRAEUS
Federico Rampini per la Repubblica
L'Amministrazione Trump perde il primo pezzo, a poco più di tre settimane dall'inaugurazione uno scandalo decapita il National Security Council, l'organo che elabora per il presidente le strategie militari e di politica estera.
"Ricattabile dalla Russia": è questa l'infamante accusa che ha costretto alle dimissioni il generale Michael Flynn. Lo stesso Dipartimento di Giustizia aveva dato poche ore fa l'ultimatum a Donald Trump, avvisandolo che la posizione di Flynn era ormai insostenibile. Trump ha nominato Joseph Keith Kellogg Jr. suo consigliere della Sicurezza nazionale ad interim, in seguito alle dimissioni di Flynn.
Ad abbattere il generale, fresco di nomina come National Security Adviser della Casa Bianca, sono stati due elementi. Primo: una o più telefonate e contatti compromettenti in cui aveva discusso con l'ambasciatore russo a Washington, Sergey Kislyak, la levata delle sanzioni su Mosca.
La telefonata era avvenuta quando ancora Flynn non si era insediato nel suo nuovo incarico, ma vi era stato già designato: come tale, le sue conversazioni erano obbligatoriamente intercettate dalle agenzie di intelligence. Secondo passo falso, per certi versi peggiore: messo alle strette dal vicepresidente Mike Pence che voleva chiarimenti su quei negoziati segreti tra Flynn e l'alto rappresentante di Vladimir Putin, il generale mentì.
Alla fine, il Dipartimento di Giustizia diretto da Jeff Sessions ha convinto Trump che la posizione del suo consigliere strategico non era sostenibile: oltretutto, lo rendeva ricattabile da parte dei russi che ovviamente sanno tutto sui contenuti delle conversazioni private e possono rivelarli a piacimento.
Di qui la decisione e l'annuncio: un colpo duro per Trump, costretto a liberarsi di un fidato collaboratore a così poca distanza dall'insediamento dell'esecutivo. Tra i candidati a sostituire Flynn, il presidente ha in mente l'ex capo della Cia generale David Petraeus.
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MA QUANTE BELLE BALLE HA SPARATO LUIGI DI MAIO SUL SUO RAPPORTO CON MARRA?
LO DIMOSTRANO LE CHAT CONSERVATE NEL TELEFONO DELL’EX BRACCIO DESTRO DELLA RAGGI
PRIMO: NON È VERO CHE LO INCONTRÒ IL 6 LUGLIO 2016 NEI SUOI UFFICI ALLA CAMERA “PER CACCIARLO”, COME HA SOSTENUTO NELLA SUA INTERVISTA TV DI DOMENICA A “IN MEZZ’ORA”
E NON È VERO CHE FU L’OSTINAZIONE DELLA RAGGI A IMPEDIRNE L’ALLONTANAMENTO. E’ VERO IL CONTRARIO. PERCHÉ, IL 10 AGOSTO 2016, OLTRE UN MESE DOPO IL LORO INCONTRO E NEL PIENO DELLO SCONTRO INTERNO AL MINIDIRETTORIO CHE NE CHIEDEVA LA TESTA, DI MAIO SOLLECITAVA MARRA A RESISTERE PERCHÉ “SERVITORE DELLO STATO” PERCHÉ “UNO DEI MIEI”
Carlo Bonini per “la Repubblica”
Luigi Di Maio ha mentito su Raffaele Marra, ex capo del personale del Campidoglio, detenuto da cinquanta giorni a Regina Coeli perché accusato di corruzione. E su almeno due circostanze. Che Repubblica è ora in grado di documentare. Non è vero che lo incontrò il 6 luglio 2016 nei suoi uffici alla Camera «per cacciarlo», come ha sostenuto nella sua intervista televisiva di domenica scorsa a Lucia Annunziata nel suo “In ½ ora”, sollecitato sulle domande poste da questo giornale nei giorni scorsi.
Non è vero che fu l’ostinazione della sindaca Virginia Raggi a impedirne l’allontanamento. E’ vero piuttosto il contrario. Perché, ancora il 10 agosto 2016, oltre un mese dopo il loro incontro e nel pieno dello scontro interno al minidirettorio che ne chiedeva la testa, Di Maio sollecitava Marra a resistere perché «servitore dello Stato». Perché «uno dei miei». La prova della falsità della ricostruzione proposta da Di Maio sul ruolo politico che ha svolto nell’affaire dei «quattro amici al bar» è in due chat telefoniche, il cui testo è stato ottenuto da Repubblica.
Entrambe datate 10 agosto 2016 e custodite nella memoria dello smartphone di Raffaele Marra sequestrato al momento del suo arresto. Di entrambe, l’avvocato Francesco Scacchi, legale di Marra, conferma l’esistenza, rifiutando tuttavia garbatamente ogni commento nel merito. Se non per ribadire che il suo assistito «parlerà, parlerà di tutto, perché ha intenzione di farlo e non ha cambiato idea».
«Ma solo quando sarà messo in condizione di conoscere con esattezza il materiale istruttorio raccolto dalla Procura» nell’indagine che lo vede indagato con la Raggi per abuso di ufficio. Il che significa non oggi, come chiesto dalla Procura, né comunque prima del deposito degli atti a conclusione dell’indagine.
E veniamo alle due chat, dunque. E’ – come si diceva – mercoledì 10 agosto 2016. Quel giorno, in Campidoglio, è in calendario la votazione in Aula Giulio Cesare della mozione di sfiducia dell’allora assessore all’ambiente Paola Muraro presentata dalle opposizioni (verrà respinta con 24 no). Ma, soprattutto, sono quelli i giorni dell’incrudelirsi del dibattito interno al minidirettorio M5S aperto dalle nomine con cui la Raggi ha definito il ruolo del suo cerchio magico, degli «amici al bar». Salvatore Romeo, capo della segreteria. Daniele Frongia, vicesindaco. Raffaele Marra, vicecapo di gabinetto.
Per questo, Marra è nervoso. Di più. Ossessionato da quello che, da settimane, percepisce come uno stillicidio sulla sua persona. Alimentato soprattutto dal “fuoco amico” della componente lombardiana del M5S, che chiede il suo immediato allontanamento dalla stanza dei bottoni del Campidoglio.
Alle 8 52 minuti e 42 secondi di quel mercoledì mattina, la sindaca, il cui nickname di chat è “Mio Sindaco”, apre con un emoticon la conversazione: “:) Buongiorno”. Marra le risponde dopo un quarto d’ora. Con un riferimento alla prova dell’aula di quel giorno. “Buongiorno. In bocca al lupo per oggi”. “Grazie”, risponde lei.
Marra fa passare qualche ora e, alle 13 11 minuti e 6 secondi, rientra in chat per un lunghissimo messaggio di sfogo. Che, oggi, diventa cruciale per ricostruire non solo quali fossero in quel momento i rapporti di forza tra gli «amici al bar», ma, soprattutto, per documentare quale ruolo politico di copertura avesse prestato Luigi Di Maio e quanto sia dunque posticcia la versione dei fatti offerta domenica scorsa alla Annunziata.
Scrive Marra alla Raggi: «Vorrei anche ricordarti che ho manifestato la mia disponibilità a riprendere l’aspettativa sin dal giorno in cui ho incontrato il vice presidente Di Maio a cui manifestai la mia disponibilità a presentare l’istanza qualora non fossi stato in grado di convincerlo, carte alla mano, sulla mia assoluta correttezza morale e professionale. L’incontro, come sai, andò molto bene, tanto che lui mi disse di farmi dare da te i suoi numeri personali. Cosa che per correttezza non ho mai fatto. Pensavo che quell’incontro potesse rappresentare un punto di svolta. Evidentemente mi sbagliavo».
Il testo è chiaro. L’incontro del 6 luglio tra Marra e Di Maio era stato tutt’altro che la sgradevole occasione per un licenziamento (come vorrebbe l’avventurosa ricostruzione del vicepresidente della Camera). E non solo perché questa fu la percezione di Marra. Ma perché che così fossero andate le cose è la stessa Raggi a saperlo. Non fosse altro perché è difficile immaginare Di Maio che nel «cacciare» un dirigente capitolino lo invita contestualmente a farsi dare i propri numeri personali dalla sindaca. A che scopo, se non quello di dimostrargli piena fiducia e massimo accesso confidenziale?
Certo, si potrebbe dire: Marra, in quei messaggi, millanta. Racconta cose non vere dell’incontro del 6 luglio. Accredita, pro domo sua, una versione dei fatti dove la parola dell’uno (Di Maio) vale quanto quella dell’altro (Marra). E, dunque, sarebbe arbitrario, o comunque opinabile, caricare Di Maio di un ruolo politico di “protezione” di cui non esisterebbe la prova regina. Anzi, lo sconforto di Marra potrebbe essere la prova che proprio Di Maio lo avesse mollato.
E, tuttavia, è la seconda chat in possesso di Repubblica che fa piazza pulita anche di questa (generosa) ipotesi. Per tranquillizzare Marra e convincerlo a resistere perché ha ancora il pieno appoggio di Di Maio, la Raggi, alle 15 48 minuti e 50 secondi di quel mercoledì 10 agosto, gli gira infatti, inoltrandoglielo, un sms che ha ricevuto proprio dal vicepresidente della Camera. Anche questo di un’evidenza solare. Dove alle parole può essere difficilmente dato un significato alternativo a ciò che documentano. Con il senno di poi, un azzardo quello della sindaca. Perché quel messaggio rimane nella memoria dello smartphone che verrà sequestrato al momento dell’arresto.
Scrive Di Maio alla Raggi: «Quanto alle ragioni di Marra, lui non si senta umiliato. E’ un servitore dello Stato. Sui miei, il Movimento fa accertamenti ogni mese. L’importante è non trovare nulla». «Un servitore dello Stato ». Di più: «Uno dei miei». Non male per un tipo che, a suo dire, avev
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ITALIA: APPUNTAMENTO CON LA TROIKA!
Alcune settimane fa dopo aver fatto il gallo con la UE per qualche giorno, il ministro Padoan si è affrettato a dichiarare che entro aprile l’Italia avrebbe fatto una nuova manovra finanziaria, in modo da assicurare come accade quotidianamente in Grecia, qualche miliardo di tasse agli italiani…
Conti pubblici, davanti al malcontento Ue Padoan tenta la marcia …
Il ministro sa bene che una procedura di infrazione “comporterebbe una riduzione di sovranità sulle scelte di politica economica e costi ben superiori per la finanza pubblica” rispetto ai 3,4 miliardi di correzione richiesta. Così, il giorno dopo aver inviato a Bruxelles una lettera vaga e ambigua, cambia verso: l’aggiustamento “è indispensabile” e “alcune misure saranno prese anche prima della scadenza”
Circola voce che le misure di cui si parla è una veloce privatizzazione da assicurare agli squali della finanza mondiale…
(ANSA) – ROMA, 9 FEB – “La scelta di procedere ad una ulteriore collocazione sul mercato di una quota di Poste Italiane, avanzata nelle ultime settimane, ha implicazioni molto serie. Implicazioni che credo vadano ben ponderate dalla maggioranza che sostiene il governo e, prima di tutto, dai gruppi parlamentari del Pd”. Lo scrive il sottosegretario allo Sviluppo Economico, Antonello Giacomelli, in una lettera inviata al presidente del Pd Matteo Orfini, al segretario Matteo Renzi e ai capigruppo Pd di Camera e Senato, Ettore Rosato e Luigi Zanda, a proposito dell’ipotesi di privatizzazione della seconda tranche di Poste. Pur non negando la necessità di ridurre il debito pubblico, “non vorrei – sottolinea Giacomelli – che la vendita di un secondo pacchetto di azioni inevitabilmente finisca per incidere fortemente sul ruolo di Poste e del suo servizio, oltre che sul livello occupazionale. Senza contare che si finirebbe per consegnare il risparmio degli italiani ad investitori internazionali, emanazione di banche d’affari straniere”.Giacomelli, rischi seconda tranche Poste
Ma non si tratta solo di Poste, ma anche delle Ferrovie dello Stato e in particolare l’Alta Velocità con le Frecce tricolori e già che ci siamo qualcuno sta pensando ad alienare anche una tranche della nostra Cassa Depositi e Prestiti.
Giusto per Rimettere una pulce nell’orecchio a chi ci legge vi riporto uno dei tanti motivi per i quali il nostro debito pubblico è fuori controllo, grazie alla gestione criminale di politici e banchieri tra i quali sembra anche Mario Draghi…
Cade il segreto che le istituzioni hanno cercato di porre per impedire la divulgazione dei contratti derivati fatti dal Tesoro con le banche d’affari, e che stanno costando miliardi di euro alle casse pubbliche. Nel numero in edicola domenica 12 febbraio, L’Espresso pubblica infatti per la prima volta i contratti che nei primi giorni del 2012 hanno costretto il governo di Mario Monti a versare 3,1 miliardi di euro alla banca americana Morgan Stanley, per effetto di strumenti finanziari ad alto rischio che erano stati sottoscritti negli anni precedenti.Si tratta di quattro famiglie di derivati molto complessi, che l’istituto ebbe la facoltà di terminare in largo anticipo rispetto alla data di scadenza prevista, per effetto di una discussa clausola di chiusura anticipata prevista in un vecchio accordo del 1994, mai esercitata in precedenza.
C’è poi la notizia che secondo l’ex deputato cinque stelle Marco Zanni, nel Parlamento Europeo, qualcuno sta cercando di introdurre un piccolo emendamento alla legge 507 del Regolamento sui requisiti patrimoniali delle banche, una sorta di cavallo di Troia che proverebbe a delegare l’ Autorità bancaria europea, dotandola della facoltà di cambiare l’ approccio sull’ esposizione bancaria nei confronti degli Stati e del loro debito sovrano, quello che ha provato più volte a fare la Germania con il ministro Schauble negli ultimi anni…
LA GERMANIA DICHIARA GUERRA ALL’ITALIA!
Loro ci stanno provando da tempo, non passa giorno nel quale i loro emissari suggeriscono cosa fare al nostro Paese a loro vantaggio…
L’Italia chieda aiuto alla Troika: l’uomo della Merkel lancia l’appello
… un pò come hanno fatto in questi anni con la Grecia, ma questa volta potrebbe essere diverso visto che c’è di mezzo Trump…
Comunque per il momento nessun problema faranno di tutto per smorzare la tensione, ci sono le elezioni e devono andare tutte nella stessa direzione, ovvero quella da loro auspicata!
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Italia, Fate Presto Idioti.
Continuo a rimanere letteralmente basito dall’irresponsabilità della classe politica tutta (inclusi grillini) che chiede elezioni subito e se non lo fa è solo per sperare nel condono giudiziario europeo prima delle elezioni (berlusconi)
Lo spread italiano continua a rimanere altissimo con la tendenza a sfondare nuovi massimi:
Ed è chiaro o dovrebbe esserlo quale sia la richiesta dei detentori di debito italiano: vogliamo stabilità politica o vendiamo il vostro debito.
Lo spettacolo del Governo Renzi/Gentiloni che sta ancora li a discutere su 3,4 miliardi di deficit su una spesa pubblica di 800 miliardi per questioni di cosmesi elettorale è agghiacciante.
Pare che l’Europa stia impiccando l’Italia quando in realtà ha solo chiesto una minima correzione per salvare la faccia. Un favore non un attacco all’Italia.
Andare o minacciare elezioni senza una legge elettorale in grado di consegnare un parlamento un minimo unito è un suicidio per un paese che ha il 135% di debito pubblico da gestire e che potrebbe affrontare i negoziati per l’uscita della Francia da Euro e Europa a breve.
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Il No dell’Ue al voto anticipato entro giugno: “Conti pubblici italiani a rischio”
L'incertezza politica dovuta al probabile voto anticipato entro il prossimo giugno porrebbe l'Italia a serio rischio. A segnalare il pericolo è la Commissione europea in un rapporto relativo all'andamento economico dei Paesi Ue per l'anno 2017.
Secondo i vertici della Commissione europea, l'incertezza politica che attanaglia l'Italia dopo la vittoria del No al referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre e le conseguenti dimissioni del governo Renzi porrebbe a serio rischio il Belpaese. Secondo i commissari di Bruxelles, per l'Italia sarebbe rischioso andare a elezioni anticipate entro il prossimo giugno, soprattutto tenendo in considerazione il fatto che in questi mesi il governo dovrebbe varare una sorta di manovra bis per ripianare il buco nei conti pubblici segnalato qualche settimana fa dalla Commissione Ue. Nel corso della mattinata di oggi, il commissario Pierre Moscovici presenterà le previsioni invernali relative all'Unione europea e ai vari Stati membri che la compongono e indiscrezioni sostengono che i vertici Ue segnaleranno esplicitamente la presenza di incertezze politiche legate proprio alle elezioni che si svolgeranno in Europa nel corso dei prossimi mesi in Olanda, Francia, Germania e, probabilmente, a quanto da settimane si vocifera, in Italia.
L'Italia, secondo quanto rilevato dai commissari, nel corso dell'anno avrà sì qualche segnale positivo sul fronte della crescita economica, accompagnato però da un andamento negativo del deficit strutturale e un livello di debito pubblico troppo alto rispetto ai parametri sanciti dai trattati europei. Proprio nella giornata in cui il segretario del Partito Democratico ed ex presidente del Consiglio Matteo Renzi annuncerà le dimissioni da segretario del partito e, probabilmente, la volontà di andare a elezioni anticipate entro il prossimo giugno, Bruxelles si appresta a mandare un netto segnale all'Italia, sottolineando appunto che un voto anticipato nei prossimi mesi potrebbe porre il Paese a serio rischio, rischio che obbligherebbe il governo a intervenire con misure tangibili e concrete in grado di "produrre effetti immediati". Insomma, a Bruxelles non basterebbero più le promesse di Padoan contenute nella lettera del 7 febbraio: in caso di elezioni entro giugno, le misure economiche previste andrebbero varate in fretta, prima della scadenza di aprile proposta dal ministro dell'Economica.
"Padoan ci ha fatto delle promesse. Prima generiche, con la lettera del 1° febbraio, e poi più concrete con quella del 7 febbraio. Quest’ultima è stata molto apprezzata. In una situazione normale, potremmo accontentarci. Ma in Italia non c’è una situazione normale", ha confidato una fonte interna alla Commissione a Marco Bresolin del quotidiano La Stampa. Secondo Bruxelles, la manovra correttiva da 3,4 miliardi di euro promessa dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan andrebbe varata al più presto, ma in caso di elezioni anticipate nel brevissimo periodo ciò sarebbe molto difficile. Indiscrezioni infatti sostengono che Matteo Renzi sia assolutamente contrario all'ipotesi di una manovra correttiva a ridosso della campagna elettorale e, al contrario di Padoan, l'ex presidente del Consiglio vorrebbe rovesciare il tavolo della trattativa rinunciando al varo della manovra correttiva, con una conseguente strategia elettorale improntata sul contrasto alle richieste di Bruxelles.
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Trump è un no-global: ma quanto durerà ancora?
La versione no-global di Donald Trump che tanto piace ai suoi elettori secondo gli analisti rappresenta solo una fase di passaggio che col tempo è destinata a scemare.
In questo primo mese di presidenza Donald Trump sembra aver vestito i panni del no-global. Lo stop all’accordo Trans-Pacifico, comunemente noto come TPP, insieme agli annunci protezionistici hanno spinto molti analisti a indicare Donald Trump come l’artefice di una progressiva tendenza de-globalizzatrice.
Durante il discorso di insediamento alla Casa Bianca, Donald Trump aveva colto l’occasione per rinforzare lo slogan che aveva contraddistinto la sua campagna elettorale, quell’ “American First” che era riuscito a parlare alle pance della working class bianca americana per lanciare un chiaro messaggio nei confronti di tutte quell’aziende che negli ultimi anni avevano portato la produzione fuori dai confini americani, e per dichiarare «guerra» ai concorrenti commerciali, uno su tutti la Cina.
Da allora Trump è stato etichettato come un presidente protezionista, ma secondo alcuni addetti ai lavori questa sua tendenza no-global sarebbe destinata a scemare nel tempo. Di seguito vediamo perché.
Donald Trump no-global: una fase di passaggio
Secondo Sultan Ahmed bin Sulayem, presidente di DP World, i sentimenti anti-globalizzazione del presidente Donald Trump rappresenterebbero infatti solo una “fase” destinata a scemare con il tempo.
“Quello che Donald Trump desidera è un tipo di commercio equo e vantaggioso, una sorta di equo commercio contro libero commercio”
ha sostenuto il presidente di DP World in un’intervista alla CNBC.
“Gli Stati Uniti vogliono un commercio vantaggioso e penso che nessuno possa opporsi a questi motivi legittimi, ma sono convinto che questi sentimenti anti-globalizzazioni con il tempo passeranno, si tratta soltanto di una fase di passaggio”.
Sultan Ahmed bin Sulayem si è detto comunque convinto che dal momento in cui gli Stati Uniti hanno hanno esportato i loro prodotti all’esterno dei propri confini
“se un prodotto americano non riuscirà a trovare facilmente accesso nel mercato cinese, allora l’America reagirà”.
Guardando al clima di euforia che Trump ha portato nei mercati all’indomani della sua elezione Sultan Ahmed bin Sulayem ha poi dichiarato
“è una fase in cui tutti sono eccitati, quel sentimento per cui Donald Trump è stato eletto, ovvero la convinzione che sto perdendo ingiustamente il mio lavoro a causa della competizione”.
Trump durante la sua campagna elettorale, e nei primi giorni da presidente, ha più volte fatto riferimento a misure protezionistiche intenzionato ad attuare e che avrebbero come obiettivo la Cina. In molti hanno criticato l’atteggiamento protezionista di Trump, ritenuto sprovveduto in quanto sarebbe in grado di innescare una guerra commerciale con la seconda economia più grande al mondo.
Il Trump no-global piace agli americani?
Lunedì Klaus Schwab, economista tedesco tra i fondatori del World Economic Forum, ha inoltre commentato come secondo lui le elezioni degli Stati Uniti sono state in grado di mostrare
“tutta la rabbia della gente nei confronti della globalizzazione e delle élite che ne hanno tratto benefici”.
Quello che in molti degli analisti si auspicano è che Donald Trump si mostri in grado di saper gestire i delicati rapporti con i principali competitors, scongiurando il rischio di guerre commerciali che potrebbero aprire una spirale di crisi dagli effetti potenzialmente catastrofici.
Fonte: qui
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