9 dicembre forconi: 02/14/17

martedì 14 febbraio 2017

AVVISO DI GARANZIA PER GIANFRANCO FINI: L'EX PRESIDENTE DELLA CAMERA É INDAGATO PER RICICLAGGIO.

LA GUARDIA DI FINANZA SEQUESTRA BENI PER 5 MILIONI ALLA FAMIGLIA TULLIANI

L’ISCRIZIONE NEL REGISTRO DEGLI INDAGATI DI FINI SCATURISCE DALLE PERQUISIZIONI A CARICO DI SERGIO E GIANCARLO TULLIANI ESEGUITE A DICEMBRE 2016. GLI ACCERTAMENTI BANCARI E FINANZIARI SUI RAPPORTI INTESTATI ALLA FAMIGLIA TULLIANI AVREBBERO PORTATO ALLA LUCE NUOVE CONDOTTE DI RICICLAGGIO, REIMPIEGO ED AUTORICICLAGGIO DA PARTE DI SERGIO, GIANCARLO, ELISABETTA TULLIANI (MOGLIE DI FINI) E L’EX PRESIDENTE DELLA CAMERA

LUI REPLICA: 'SONO PIU' CHE SERENO, SAPEVO CHE SAREBBE SUCCESSO, E' UN ATTO DOVUTO'


ELISABETTA TULLIANI E GIANFRANCO FINIELISABETTA TULLIANI E GIANFRANCO FINI
Gianfranco Fini é indagato per riciclaggio nell’ambito dell’inchiesta che ha portato la Guardia di Finanza a sequestrare beni per 5 milioni alla famiglia Tulliani. All’ex presidente della Camera e leader di An é stato consegnato un avviso di garanzia.

L’iscrizione nel registro degli indagati di Fini, secondo quanto si apprende, scaturisce dalle perquisizioni a carico di Sergio e Giancarlo Tulliani eseguite a dicembre 2016. Gli accertamenti bancari e finanziari sui rapporti intestati alla famiglia Tulliani avrebbero infatti portato alla luce nuove condotte di riciclaggio, reimpiego ed autoriciclaggio da parte di Sergio, Giancarlo, Elisabetta Tulliani (moglie di Fini) e l’ex presidente della Camera.  


2. FINI E L’INDAGINE: «È UN ATTO DOVUTO, SONO MOLTO PIÙ CHE SERENO»
 Tommaso Labate per www.corriere.it

Presidente, ha visto?
fini, tullianiFINI, TULLIANI
«Che cosa, scusi?»

L’indagine. È indagato per riciclaggio nell’ambito dell’inchiesta che ha portato la Guardia di Finanza a sequestrare beni per 5 milioni alla famiglia della sua compagna, Elisabetta Tulliani.
«Certo che ho visto. Mi creda, è un atto dovuto. Sapevo perfettamente che sarebbe successo».

La voce di Gianfranco Fini non tradisce altra emozione che non sia tranquillità. Il presidente della Camera si mostra sereno, sicuro, imperturbabile, serafico. L’iscrizione nel registro degli indagati è l’ultimo capitolo di una storia che – passando anche attraverso le ben note vicende della casa di Montecarlo – ha scandito parte dell’ultimo decennio di politica italiana. E, per le implicazioni che ha avuto, ha forse cambiato la storia del centrodestra italiano.

Quindi, se l’aspettava?
FINI-TULLIANI, montecarlo2FINI-TULLIANI, MONTECARLO2
«Certo che me l’aspettavo. Tra l’altro, ieri come oggi, ho piena fiducia nell’operato dei magistrati che indagano».

C’entra anche la casa di Montecarlo?
«La vicenda è quella che riguarda Corallo (l’imprenditore siciliano già re delle slot machine, ndr), i fatti ormai noti. Credo che dentro ci sia anche la storia della casa di Montecarlo, anche se non si capisce bene come abbiano fatto a mettercela dentro…».
FINI TULLIANI DOCUMENTI CASA MONTECARLOFINI TULLIANI DOCUMENTI CASA MONTECARLO

Sembra sereno.
«Sono molto di più che sereno. Quando hai fiducia nell’operato della magistratura, non puoi che aspettare che indaghino tranquillamente. Ovvio che debbano avvisarmi, per questo dico che è un atto dovuto… Aspettiamo l’esito di queste indagini. Su questa storia, oggi come ieri, non ho nulla da temere».

Fonte: qui

GIANCARLO TULLIANI E LA CASA DI MONTECARLOGIANCARLO TULLIANI E LA CASA DI MONTECARLO

IL NEO PRESIDENTE PERDE I PEZZI: IL CONSIGLIERE PER LA SICUREZZA NAZIONALE MICHEAL FLYNN COSTRETTO A DIMETTERSI: "E' RICATTABILE DAI RUSSI"

IL PRESIDENTE AFFIDA L'INTERIM A KELLOGG JR., MA TRA I POSSIBILI SOSTITUTI RISPUNTA L'EX CAPO DELLA CIA, DAVID PETRAEUS

Federico Rampini per la Repubblica

L'Amministrazione Trump perde il primo pezzo, a poco più di tre settimane dall'inaugurazione uno scandalo decapita il National Security Council, l'organo che elabora per il presidente le strategie militari e di politica estera.

"Ricattabile dalla Russia": è questa l'infamante accusa che ha costretto alle dimissioni il generale Michael Flynn. Lo stesso Dipartimento di Giustizia aveva dato poche ore fa l'ultimatum a Donald Trump, avvisandolo che la posizione di Flynn era ormai insostenibile. Trump ha nominato Joseph Keith Kellogg Jr. suo consigliere della Sicurezza nazionale ad interim, in seguito alle dimissioni di Flynn.

TRUMP FLYNN - 2TRUMP FLYNN - 2
Ad abbattere il generale, fresco di nomina come National Security Adviser della Casa Bianca, sono stati due elementi. Primo: una o più telefonate e contatti compromettenti in cui aveva discusso con l'ambasciatore russo a Washington, Sergey Kislyak, la levata delle sanzioni su Mosca.

La telefonata era avvenuta quando ancora Flynn non si era insediato nel suo nuovo incarico, ma vi era stato già designato: come tale, le sue conversazioni erano obbligatoriamente intercettate dalle agenzie di intelligence. Secondo passo falso, per certi versi peggiore: messo alle strette dal vicepresidente Mike Pence che voleva chiarimenti su quei negoziati segreti tra Flynn e l'alto rappresentante di Vladimir Putin, il generale mentì.

Alla fine, il Dipartimento di Giustizia diretto da Jeff Sessions ha convinto Trump che la posizione del suo consigliere strategico non era sostenibile: oltretutto, lo rendeva ricattabile da parte dei russi che ovviamente sanno tutto sui contenuti delle conversazioni private e possono rivelarli a piacimento.
DONALD TRUMP MICHAEL FLYNNDONALD TRUMP MICHAEL FLYNN

Di qui la decisione e l'annuncio: un colpo duro per Trump, costretto a liberarsi di un fidato collaboratore a così poca distanza dall'insediamento dell'esecutivo. Tra i candidati a sostituire Flynn, il presidente ha in mente l'ex capo della Cia generale David Petraeus.

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MA QUANTE BELLE BALLE HA SPARATO LUIGI DI MAIO SUL SUO RAPPORTO CON MARRA?


LO DIMOSTRANO LE CHAT CONSERVATE NEL TELEFONO DELL’EX BRACCIO DESTRO DELLA RAGGI

PRIMO: NON È VERO CHE LO INCONTRÒ IL 6 LUGLIO 2016 NEI SUOI UFFICI ALLA CAMERA “PER CACCIARLO”, COME HA SOSTENUTO NELLA SUA INTERVISTA TV DI DOMENICA A “IN MEZZ’ORA”

E NON È VERO CHE FU L’OSTINAZIONE DELLA RAGGI A IMPEDIRNE L’ALLONTANAMENTO. E’ VERO IL CONTRARIO. PERCHÉ, IL 10 AGOSTO 2016, OLTRE UN MESE DOPO IL LORO INCONTRO E NEL PIENO DELLO SCONTRO INTERNO AL MINIDIRETTORIO CHE NE CHIEDEVA LA TESTA, DI MAIO SOLLECITAVA MARRA A RESISTERE PERCHÉ “SERVITORE DELLO STATO” PERCHÉ “UNO DEI MIEI”

Carlo Bonini per “la Repubblica”

Luigi Di Maio ha mentito su Raffaele Marra, ex capo del personale del Campidoglio, detenuto da cinquanta giorni a Regina Coeli perché accusato di corruzione. E su almeno due circostanze. Che Repubblica è ora in grado di documentare. Non è vero che lo incontrò il 6 luglio 2016 nei suoi uffici alla Camera «per cacciarlo», come ha sostenuto nella sua intervista televisiva di domenica scorsa a Lucia Annunziata nel suo “In ½ ora”, sollecitato sulle domande poste da questo giornale nei giorni scorsi.

Non è vero che fu l’ostinazione della sindaca Virginia Raggi a impedirne l’allontanamento. E’ vero piuttosto il contrario. Perché, ancora il 10 agosto 2016, oltre un mese dopo il loro incontro e nel pieno dello scontro interno al minidirettorio che ne chiedeva la testa, Di Maio sollecitava Marra a resistere perché «servitore dello Stato». Perché «uno dei miei». La prova della falsità della ricostruzione proposta da Di Maio sul ruolo politico che ha svolto nell’affaire dei «quattro amici al bar» è in due chat telefoniche, il cui testo è stato ottenuto da Repubblica.
LUIGI DI MAIO E VIRGINIA RAGGILUIGI DI MAIO E VIRGINIA RAGGI

Entrambe datate 10 agosto 2016 e custodite nella memoria dello smartphone di Raffaele Marra sequestrato al momento del suo arresto. Di entrambe, l’avvocato Francesco Scacchi, legale di Marra, conferma l’esistenza, rifiutando tuttavia garbatamente ogni commento nel merito. Se non per ribadire che il suo assistito «parlerà, parlerà di tutto, perché ha intenzione di farlo e non ha cambiato idea».

luigi di maio onestaLUIGI DI MAIO ONESTA
«Ma solo quando sarà messo in condizione di conoscere con esattezza il materiale istruttorio raccolto dalla Procura» nell’indagine che lo vede indagato con la Raggi per abuso di ufficio. Il che significa non oggi, come chiesto dalla Procura, né comunque prima del deposito degli atti a conclusione dell’indagine.

E veniamo alle due chat, dunque. E’ – come si diceva – mercoledì 10 agosto 2016. Quel giorno, in Campidoglio, è in calendario la votazione in Aula Giulio Cesare della mozione di sfiducia dell’allora assessore all’ambiente Paola Muraro presentata dalle opposizioni (verrà respinta con 24 no). Ma, soprattutto, sono quelli i giorni dell’incrudelirsi del dibattito interno al minidirettorio M5S aperto dalle nomine con cui la Raggi ha definito il ruolo del suo cerchio magico, degli «amici al bar». Salvatore Romeo, capo della segreteria. Daniele Frongia, vicesindaco. Raffaele Marra, vicecapo di gabinetto.
RAFFAELE MARRARAFFAELE MARRA

Per questo, Marra è nervoso. Di più. Ossessionato da quello che, da settimane, percepisce come uno stillicidio sulla sua persona. Alimentato soprattutto dal “fuoco amico” della componente lombardiana del M5S, che chiede il suo immediato allontanamento dalla stanza dei bottoni del Campidoglio.

Alle 8 52 minuti e 42 secondi di quel mercoledì mattina, la sindaca, il cui nickname di chat è “Mio Sindaco”, apre con un emoticon la conversazione: “:) Buongiorno”. Marra le risponde dopo un quarto d’ora. Con un riferimento alla prova dell’aula di quel giorno. “Buongiorno. In bocca al lupo per oggi”. “Grazie”, risponde lei.

RAFFAELE MARRARAFFAELE MARRA
Marra fa passare qualche ora e, alle 13 11 minuti e 6 secondi, rientra in chat per un lunghissimo messaggio di sfogo. Che, oggi, diventa cruciale per ricostruire non solo quali fossero in quel momento i rapporti di forza tra gli «amici al bar», ma, soprattutto, per documentare quale ruolo politico di copertura avesse prestato Luigi Di Maio e quanto sia dunque posticcia la versione dei fatti offerta domenica scorsa alla Annunziata.

Scrive Marra alla Raggi: «Vorrei anche ricordarti che ho manifestato la mia disponibilità a riprendere l’aspettativa sin dal giorno in cui ho incontrato il vice presidente Di Maio a cui manifestai la mia disponibilità a presentare l’istanza qualora non fossi stato in grado di convincerlo, carte alla mano, sulla mia assoluta correttezza morale e professionale. L’incontro, come sai, andò molto bene, tanto che lui mi disse di farmi dare da te i suoi numeri personali. Cosa che per correttezza non ho mai fatto. Pensavo che quell’incontro potesse rappresentare un punto di svolta. Evidentemente mi sbagliavo».

raffaele marra virginia raggiRAFFAELE MARRA VIRGINIA RAGGI
Il testo è chiaro. L’incontro del 6 luglio tra Marra e Di Maio era stato tutt’altro che la sgradevole occasione per un licenziamento (come vorrebbe l’avventurosa ricostruzione del vicepresidente della Camera). E non solo perché questa fu la percezione di Marra. Ma perché che così fossero andate le cose è la stessa Raggi a saperlo. Non fosse altro perché è difficile immaginare Di Maio che nel «cacciare» un dirigente capitolino lo invita contestualmente a farsi dare i propri numeri personali dalla sindaca. A che scopo, se non quello di dimostrargli piena fiducia e massimo accesso confidenziale?

VIRGINIA RAGGI DANIELE FRONGIA RAFFAELE MARRAVIRGINIA RAGGI DANIELE FRONGIA RAFFAELE MARRA
Certo, si potrebbe dire: Marra, in quei messaggi, millanta. Racconta cose non vere dell’incontro del 6 luglio. Accredita, pro domo sua, una versione dei fatti dove la parola dell’uno (Di Maio) vale quanto quella dell’altro (Marra). E, dunque, sarebbe arbitrario, o comunque opinabile, caricare Di Maio di un ruolo politico di “protezione” di cui non esisterebbe la prova regina. Anzi, lo sconforto di Marra potrebbe essere la prova che proprio Di Maio lo avesse mollato.

E, tuttavia, è la seconda chat in possesso di Repubblica che fa piazza pulita anche di questa (generosa) ipotesi. Per tranquillizzare Marra e convincerlo a resistere perché ha ancora il pieno appoggio di Di Maio, la Raggi, alle 15 48 minuti e 50 secondi di quel mercoledì 10 agosto, gli gira infatti, inoltrandoglielo, un sms che ha ricevuto proprio dal vicepresidente della Camera. Anche questo di un’evidenza solare. Dove alle parole può essere difficilmente dato un significato alternativo a ciò che documentano. Con il senno di poi, un azzardo quello della sindaca. Perché quel messaggio rimane nella memoria dello smartphone che verrà sequestrato al momento dell’arresto.
virginia raggi luigi di maioVIRGINIA RAGGI LUIGI DI MAIO

Scrive Di Maio alla Raggi: «Quanto alle ragioni di Marra, lui non si senta umiliato. E’ un servitore dello Stato. Sui miei, il Movimento fa accertamenti ogni mese. L’importante è non trovare nulla». «Un servitore dello Stato ». Di più: «Uno dei miei». Non male per un tipo che, a suo dire, avev

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ITALIA: APPUNTAMENTO CON LA TROIKA!

Al­cu­ne set­ti­ma­ne fa dopo aver fatto il gallo con la UE per qual­che gior­no, il mi­ni­stro Padoan si è af­fret­ta­to a di­chia­ra­re che entro apri­le l’I­ta­lia avreb­be fatto una nuova ma­no­vra fi­nan­zia­ria, in modo da as­si­cu­ra­re come ac­ca­de quo­ti­dia­na­men­te in Gre­cia, qual­che mi­liar­do di tasse agli ita­lia­ni…

Conti pub­bli­ci, da­van­ti al mal­con­ten­to Ue Pa­doan tenta la mar­cia …

Il mi­ni­stro sa bene che una pro­ce­du­ra di in­fra­zio­ne “com­por­te­reb­be una ri­du­zio­ne di so­vra­ni­tà sulle scel­te di po­li­ti­ca eco­no­mi­ca e costi ben su­pe­rio­ri per la fi­nan­za pub­bli­ca” ri­spet­to ai 3,4 mi­liar­di di cor­re­zio­ne ri­chie­sta. Così, il gior­no dopo aver in­via­to a Bru­xel­les una let­te­ra vaga e am­bi­gua, cam­bia verso: l’ag­giu­sta­men­to “è in­di­spen­sa­bi­le” e “al­cu­ne mi­su­re sa­ran­no prese anche prima della sca­den­za”
Cir­co­la voce che le mi­su­re di cui si parla è una ve­lo­ce pri­va­tiz­za­zio­ne da as­si­cu­ra­re agli squa­li della fi­nan­za mon­dia­le…
(ANSA) – ROMA, 9 FEB – “La scel­ta di pro­ce­de­re ad una ul­te­rio­re col­lo­ca­zio­ne sul mer­ca­to di una quota di Poste Ita­lia­ne, avan­za­ta nelle ul­ti­me set­ti­ma­ne, ha im­pli­ca­zio­ni molto serie. Im­pli­ca­zio­ni che credo va­da­no ben pon­de­ra­te dalla mag­gio­ran­za che so­stie­ne il go­ver­no e, prima di tutto, dai grup­pi par­la­men­ta­ri del Pd”. Lo scri­ve il sot­to­se­gre­ta­rio allo Svi­lup­po Eco­no­mi­co, An­to­nel­lo Gia­co­mel­li, in una let­te­ra in­via­ta al pre­si­den­te del Pd Mat­teo Or­fi­ni, al se­gre­ta­rio Mat­teo Renzi e ai ca­pi­grup­po Pd di Ca­me­ra e Se­na­to, Et­to­re Ro­sa­to e Luigi Zanda, a pro­po­si­to del­l’i­po­te­si di pri­va­tiz­za­zio­ne della se­con­da tran­che di Poste. Pur non ne­gan­do la ne­ces­si­tà di ri­dur­re il de­bi­to pub­bli­co, “non vor­rei – sot­to­li­nea Gia­co­mel­li – che la ven­di­ta di un se­con­do pac­chet­to di azio­ni ine­vi­ta­bil­men­te fi­ni­sca per in­ci­de­re for­te­men­te sul ruolo di Poste e del suo ser­vi­zio, oltre che sul li­vel­lo oc­cu­pa­zio­na­le. Senza con­ta­re che si fi­ni­reb­be per con­se­gna­re il ri­spar­mio degli ita­lia­ni ad in­ve­sti­to­ri in­ter­na­zio­na­li, ema­na­zio­ne di ban­che d’af­fa­ri stra­nie­re”.Gia­co­mel­li, ri­schi se­con­da tran­che Poste
Ma non si trat­ta solo di Poste, ma anche delle Fer­ro­vie dello Stato e in par­ti­co­la­re l’Al­ta Ve­lo­ci­tà con le Frec­ce tri­co­lo­ri e già che ci siamo qual­cu­no sta pen­san­do ad alie­na­re anche una tran­che della no­stra Cassa De­po­si­ti e Pre­sti­ti.
Giu­sto per Ri­met­te­re una pulce nel­l’o­rec­chio a chi ci legge vi ri­por­to uno dei tanti mo­ti­vi per i quali il no­stro de­bi­to pub­bli­co è fuori con­trol­lo, gra­zie alla ge­stio­ne cri­mi­na­le di po­li­ti­ci e ban­chie­ri tra i quali sem­bra anche Mario Dra­ghi…

Derivati, ecco i contratti segreti che hanno svenduto l’Italia alle banche

Cade il se­gre­to che le isti­tu­zio­ni hanno cer­ca­to di porre per im­pe­di­re la di­vul­ga­zio­ne dei con­trat­ti de­ri­va­ti fatti dal Te­so­ro con le ban­che d’af­fa­ri, e che stan­no co­stan­do mi­liar­di di euro alle casse pub­bli­che. Nel nu­me­ro in edi­co­la do­me­ni­ca 12 feb­bra­io, L’E­spres­so pub­bli­ca in­fat­ti per la prima volta i con­trat­ti che nei primi gior­ni del 2012 hanno co­stret­to il go­ver­no di Mario Monti a ver­sa­re 3,1 mi­liar­di di euro alla banca ame­ri­ca­na Mor­gan Stan­ley, per ef­fet­to di stru­men­ti fi­nan­zia­ri ad alto ri­schio che erano stati sot­to­scrit­ti negli anni pre­ce­den­ti.
Si trat­ta di quat­tro fa­mi­glie di de­ri­va­ti molto com­ples­si, che l’i­sti­tu­to ebbe la fa­col­tà di ter­mi­na­re in largo an­ti­ci­po ri­spet­to alla data di sca­den­za pre­vi­sta, per ef­fet­to di una di­scus­sa clau­so­la di chiu­su­ra an­ti­ci­pa­ta pre­vi­sta in un vec­chio ac­cor­do del 1994, mai eser­ci­ta­ta in pre­ce­den­za.
C’è poi la no­ti­zia che se­con­do l’ex de­pu­ta­to cin­que stel­le Marco Zanni, nel Par­la­men­to Eu­ro­peo, qual­cu­no sta cer­can­do di in­tro­dur­re un pic­co­lo emen­da­men­to alla legge 507 del Re­go­la­men­to sui re­qui­si­ti pa­tri­mo­nia­li delle ban­che, una sorta di ca­val­lo di Troia che pro­ve­reb­be a de­le­ga­re l’ Au­to­ri­tà ban­ca­ria eu­ro­pea, do­tan­do­la della fa­col­tà di cam­bia­re l’ ap­proc­cio sull’ espo­si­zio­ne ban­ca­ria nei con­fron­ti degli Stati e del loro de­bi­to so­vra­no, quel­lo che ha pro­va­to più volte a fare la Ger­ma­nia con il mi­ni­stro Schau­ble negli ul­ti­mi anni…

LA GER­MA­NIA DI­CHIA­RA GUER­RA AL­L’I­TA­LIA!

Loro ci stan­no pro­van­do da tempo, non passa gior­no nel quale i loro emis­sa­ri sug­ge­ri­sco­no cosa fare al no­stro Paese a loro van­tag­gio…

L’I­ta­lia chie­da aiuto alla Troi­ka: l’uo­mo della Mer­kel lan­cia l’ap­pel­lo

… un pò come hanno fatto in que­sti anni con la Gre­cia, ma que­sta volta po­treb­be es­se­re di­ver­so visto che c’è di mezzo Trump…
Co­mun­que per il mo­men­to nes­sun pro­ble­ma fa­ran­no di tutto per smor­za­re la ten­sio­ne, ci sono le ele­zio­ni e de­vo­no an­da­re tutte nella stes­sa di­re­zio­ne, ov­ve­ro quel­la da loro au­spi­ca­ta!

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Italia, Fate Presto Idioti.

Continuo a rimanere letteralmente basito dall’irresponsabilità della classe politica tutta (inclusi grillini) che chiede elezioni subito e se non lo fa è solo per sperare nel condono giudiziario europeo prima delle elezioni (berlusconi)
Lo spread italiano continua a rimanere altissimo con la tendenza a sfondare nuovi massimi:
Ed è chiaro o dovrebbe esserlo quale sia la richiesta dei detentori di debito italiano: vogliamo stabilità politica o vendiamo il vostro debito.
Lo spettacolo del Governo Renzi/Gentiloni che sta ancora li a discutere su 3,4 miliardi di deficit su una spesa pubblica di 800 miliardi per questioni di cosmesi elettorale è agghiacciante.
Pare che l’Europa stia impiccando l’Italia quando in realtà ha solo chiesto una minima correzione per salvare la faccia. Un favore non un attacco all’Italia.
Andare o minacciare elezioni senza una legge elettorale in grado di consegnare un parlamento un minimo unito è un suicidio per un paese che ha il 135% di debito pubblico da gestire e che potrebbe affrontare i negoziati per l’uscita della Francia da Euro e Europa a breve.
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Il No dell’Ue al voto anticipato entro giugno: “Conti pubblici italiani a rischio”

L'incertezza politica dovuta al probabile voto anticipato entro il prossimo giugno porrebbe l'Italia a serio rischio. A segnalare il pericolo è la Commissione europea in un rapporto relativo all'andamento economico dei Paesi Ue per l'anno 2017.


Secondo i vertici della Commissione europea, l'incertezza politica che attanaglia l'Italia dopo la vittoria del No al referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre e le conseguenti dimissioni del governo Renzi porrebbe a serio rischio il Belpaese. Secondo i commissari di Bruxelles, per l'Italia sarebbe rischioso andare a elezioni anticipate entro il prossimo giugno, soprattutto tenendo in considerazione il fatto che in questi mesi il governo dovrebbe varare una sorta di manovra bis per ripianare il buco nei conti pubblici segnalato qualche settimana fa dalla Commissione Ue. Nel corso della mattinata di oggi, il commissario Pierre Moscovici presenterà le previsioni invernali relative all'Unione europea e ai vari Stati membri che la compongono e indiscrezioni sostengono che i vertici Ue segnaleranno esplicitamente la presenza di incertezze politiche legate proprio alle elezioni che si svolgeranno in Europa nel corso dei prossimi mesi in Olanda, Francia, Germania e, probabilmente, a quanto da settimane si vocifera, in Italia.

L'Italia, secondo quanto rilevato dai commissari, nel corso dell'anno avrà sì qualche segnale positivo sul fronte della crescita economica, accompagnato però da un andamento negativo del deficit strutturale e un livello di debito pubblico troppo alto rispetto ai parametri sanciti dai trattati europei. Proprio nella giornata in cui il segretario del Partito Democratico ed ex presidente del Consiglio Matteo Renzi annuncerà le dimissioni da segretario del partito e, probabilmente, la volontà di andare a elezioni anticipate entro il prossimo giugno, Bruxelles si appresta a mandare un netto segnale all'Italia, sottolineando appunto che un voto anticipato nei prossimi mesi potrebbe porre il Paese a serio rischio, rischio che obbligherebbe il governo a intervenire con misure tangibili e concrete in grado di "produrre effetti immediati". Insomma, a Bruxelles non basterebbero più le promesse di Padoan contenute nella lettera del 7 febbraio: in caso di elezioni entro giugno, le misure economiche previste andrebbero varate in fretta, prima della scadenza di aprile proposta dal ministro dell'Economica.

"Padoan ci ha fatto delle promesse. Prima generiche, con la lettera del 1° febbraio, e poi più concrete con quella del 7 febbraio. Quest’ultima è stata molto apprezzata. In una situazione normale, potremmo accontentarci. Ma in Italia non c’è una situazione normale", ha confidato una fonte interna alla Commissione a Marco Bresolin del quotidiano La Stampa. Secondo Bruxelles, la manovra correttiva da 3,4 miliardi di euro promessa dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan andrebbe varata al più presto, ma in caso di elezioni anticipate nel brevissimo periodo ciò sarebbe molto difficile. Indiscrezioni infatti sostengono che Matteo Renzi sia assolutamente contrario all'ipotesi di una manovra correttiva a ridosso della campagna elettorale e, al contrario di Padoan, l'ex presidente del Consiglio vorrebbe rovesciare il tavolo della trattativa rinunciando al varo della manovra correttiva, con una conseguente strategia elettorale improntata sul contrasto alle richieste di Bruxelles.

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Trump è un no-global: ma quanto durerà ancora?

Trump è un no-global: ma quanto durerà ancora?

La versione no-global di Donald Trump che tanto piace ai suoi elettori secondo gli analisti rappresenta solo una fase di passaggio che col tempo è destinata a scemare.

In questo primo mese di presidenza Donald Trump sembra aver vestito i panni del no-global. Lo stop all’accordo Trans-Pacifico, comunemente noto come TPP, insieme agli annunci protezionistici hanno spinto molti analisti a indicare Donald Trump come l’artefice di una progressiva tendenza de-globalizzatrice.
Durante il discorso di insediamento alla Casa Bianca, Donald Trump aveva colto l’occasione per rinforzare lo slogan che aveva contraddistinto la sua campagna elettorale, quell’ “American First” che era riuscito a parlare alle pance della working class bianca americana per lanciare un chiaro messaggio nei confronti di tutte quell’aziende che negli ultimi anni avevano portato la produzione fuori dai confini americani, e per dichiarare «guerra» ai concorrenti commerciali, uno su tutti la Cina.
Da allora Trump è stato etichettato come un presidente protezionista, ma secondo alcuni addetti ai lavori questa sua tendenza no-global sarebbe destinata a scemare nel tempo. Di seguito vediamo perché.

Donald Trump no-global: una fase di passaggio

Secondo Sultan Ahmed bin Sulayem, presidente di DP World, i sentimenti anti-globalizzazione del presidente Donald Trump rappresenterebbero infatti solo una “fase” destinata a scemare con il tempo.
“Quello che Donald Trump desidera è un tipo di commercio equo e vantaggioso, una sorta di equo commercio contro libero commercio”
ha sostenuto il presidente di DP World in un’intervista alla CNBC.
“Gli Stati Uniti vogliono un commercio vantaggioso e penso che nessuno possa opporsi a questi motivi legittimi, ma sono convinto che questi sentimenti anti-globalizzazioni con il tempo passeranno, si tratta soltanto di una fase di passaggio”.

Sultan Ahmed bin Sulayem si è detto comunque convinto che dal momento in cui gli Stati Uniti hanno hanno esportato i loro prodotti all’esterno dei propri confini
“se un prodotto americano non riuscirà a trovare facilmente accesso nel mercato cinese, allora l’America reagirà”.
Guardando al clima di euforia che Trump ha portato nei mercati all’indomani della sua elezione Sultan Ahmed bin Sulayem ha poi dichiarato
“è una fase in cui tutti sono eccitati, quel sentimento per cui Donald Trump è stato eletto, ovvero la convinzione che sto perdendo ingiustamente il mio lavoro a causa della competizione”.
Trump durante la sua campagna elettorale, e nei primi giorni da presidente, ha più volte fatto riferimento a misure protezionistiche intenzionato ad attuare e che avrebbero come obiettivo la Cina. In molti hanno criticato l’atteggiamento protezionista di Trump, ritenuto sprovveduto in quanto sarebbe in grado di innescare una guerra commerciale con la seconda economia più grande al mondo.

Il Trump no-global piace agli americani?

Lunedì Klaus Schwab, economista tedesco tra i fondatori del World Economic Forum, ha inoltre commentato come secondo lui le elezioni degli Stati Uniti sono state in grado di mostrare
“tutta la rabbia della gente nei confronti della globalizzazione e delle élite che ne hanno tratto benefici”.
Quello che in molti degli analisti si auspicano è che Donald Trump si mostri in grado di saper gestire i delicati rapporti con i principali competitors, scongiurando il rischio di guerre commerciali che potrebbero aprire una spirale di crisi dagli effetti potenzialmente catastrofici.
Fonte: qui