PROPRIO QUEL DENARO SAREBBE STATO USATO PER LA COMPRAVENDITA DELLA CASA DI MONTECARLO, A BENEFICIO DEL COGNATO DI FINI
Fabio Amendolara per “la Verità”
Le ricchezze di Francesco Corallo, re delle slot che su provvedimento della magistratura da qualche tempo ha obbligo di dimorare a Roma, messe da parte, secondo il sospetto degli inquirenti, anche grazie alle protezioni politiche dell' ex presidente della Camera, Gianfranco Fini, e al supporto della famiglia Tulliani, sono sotto sequestro.
Lo Stato si riprende ciò che gli era stato sottratto con il mancato versamento delle tasse sul gioco online legalizzato. Ieri mattina gli investigatori del Servizio centrale d' investigazione sulla criminalità organizzata della Guardia di finanza, prima che Corallo cedesse a terzi le quote societarie, hanno eseguito un provvedimento di sequestro preventivo di beni chiesto dalla Procura antimafia e firmato dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma.
E su 75 milioni di euro, riconducibili a tre aziende italiane della società concessionaria che grazie agli aiutini di alcuni esponenti di Alleanza nazionale era diventata leader del settore delle videolottery (Global starnet ltd, già B Plus giocolegale Ltd, società in liquidazione), sono stati messi i sigilli della magistratura.
Si tratta di tre imprese completamente partecipate dalla concessionaria: la Bingo plus giocolegale Srl e la Skill plus giocolegale Srl, nonché del complesso aziendale della stabile organizzazione italiana della società di diritto olandese Happy games club Bv, operante in Italia attraverso cinque sale giochi e interamente di proprietà della Global starnet.
L' inchiesta è quella che ha smantellato l'associazione transnazionale dedita a reati fiscali, al peculato e al riciclaggio, capeggiata, secondo l' accusa, proprio da Corallo.
Il quale, secondo gli inquirenti, avrebbe trasferito illegalmente 215 milioni di euro, stornandone ben 7 ai Tulliani. L'attività di sequestro, che riguarda sale giochi e sale slot presenti a Roma, Viterbo e Treviso, «è finalizzata», sostengono gli investigatori, «al recupero di profitti illeciti sottratti al fisco da Corallo e reimpiegati, tra l' altro, nell' acquisto della casa di Montecarlo».
La famosa casa di Montecarlo: quell' appartamento in via Princesse Charlotte svenduto dal partito di Fini e fruttato ai Tulliani (grazie ai soldi di Corallo) 1 milione di euro. Un affare che, però, stando a quanto ha svelato l' inchiesta, era solo la punta dell' iceberg.
Perché la ricostruzione complessiva che fanno i magistrati suona come una censura pesantissima sull' attività politica dell' ex leader della destra non berlusconiana, «per l' estrema delicatezza degli interessi che hanno visto un collegamento di soggetti, i Tulliani, con una figura istituzionale di elevato rilievo, quale era, all' epoca dei fatti, l' onorevole Fini, e con il titolare di un' impresa eminentemente criminale, qual e Corallo».
La relazione tra Corallo e Fini, nata con una vacanza a Sint Maartin nel 2004 e proseguita con gli investimenti sulla famiglia Tulliani, ha «condizionato», secondo la Procura, «la vita parlamentare». Corallo, insomma, ha piegato l' attività istituzionale ai suoi interessi grazie a quel rapporto con il leader di An. Un collegamento «che ha lasciato tracce del transito di somme di denaro in occasione dell' adozione di provvedimenti di legge di estremo favore per Corallo». Ossia gli aiutini, da sempre negati da Fini davanti ai magistrati, che hanno permesso a Corallo in quegli anni di diventare il magnate del poker online.
Nell' indagine è subito emerso che le imprese di Corallo «erano qualificabili, in realtà, come strutture di sistematica violazione degli obblighi fiscali (non versavano il Preu, il prelievo erariale unico legato alla tassazione sul gioco d' azzardo legalizzato, ndr)». Insomma, evadevano le tasse. E infatti dopo le documentate pressioni sui vertici dei monopoli, che i giudici definiscono «gravissime interferenze», erano venute alla luce «sottrazioni, in tre anni, di somme inverosimili dalle casse dello Stato».
Grazie ai giri di denaro tra le società offshore create da Corallo, alcune delle quali gestite dai Tulliani, poi, sono spariti un bel po' di milioni.
Gli investigatori la definiscono «una sistematica strategia di riciclaggio mediante ripetuti trasferimenti di denaro». Con questo sistema anche Global starnet, le cui quote inglesi erano state sequestrate con un precedente provvedimento giudiziario, avrebbe accumulato enormi debiti nei confronti dello Stato.
Il sequestro complessivo, compresi i beni fermati con l' ultimo provvedimento, ammonta a 187 milioni (112 milioni nella prima tranche dell' inchiesta e 75 ieri). Ma il totale del profitto, secondo i magistrati, supera i 215 milioni, fatti sparire con il contributo dei «fiduciari» di Corallo, che avrebbero operato principalmente in territori esteri, «creando e gestendo», sostiene l' accusa, una complessa architettura societaria, che nel tempo ha mutato fisionomia e che ha operato con il solo scopo di veicolare, estero su estero, i proventi illeciti dell' associazione, dissimulati attraverso apparenti ragioni economiche».
Parte di quei beni, secondo le toghe romane, erano stati imboscati per conto di Corallo dai Tulliani, che sono indagati per riciclaggio (reato contestato anche a Fini). E mentre Giancarlo Tulliani, da qualche giorno, dopo aver pagato una cauzione, è tornato libero a Dubai, dove attende la decisione delle autorità locali sulla richiesta di estradizione avanzata dalla Procura italiana, l' inchiesta arriva alle battute finali.
Stando ai calcoli tecnici sui tempi delle indagini preliminari fatti dai difensori, la richiesta di rinvio a giudizio è attesa a giorni. Anche per Gianfranco Fini.
Fonte: qui
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