lunedì 3 settembre 2018
BENETTON – NON SOLO MAGLIONI, AUTOSTRADE E AEROPORTI: NEL 1998 LA FAMIGLIA SI PRESE DALL'IRI (OVVIAMENTE A SALDO) ANCHE LA TENUTA DI MACCARESE, LA PIU' GRANDE FATTORIA D'ITALIA, CHE CONFINA CON L'AEROPORTO DI FIUMICINO.
DEI 1.300 ETTARI PREVISTI PER IL RADDOPPIO DELLO SCALO (PORTATO AVANTI DAL GOVERNO LETTA), MILLE SONO DI PROPRIETÀ DEI BENETTON..
Carlo Cambi per “la Verità”
Avete mai visto una mucca che vola?
No?
Ebbene, nelle privatizzazioni all' italiana può capitare anche che le vacche decollino o atterrino.
Dove?
Ma a Fiumicino.
E nell' interesse di chi?
La riposta è facile: dei Benetton, che hanno usato le dismissioni dell' Iri come un supermercato in quella felice (per loro) stagione che va dal 1998 al 2008, i dieci anni che hanno sconvolto lo Stato imprenditore. A rileggere alcune cronache del tempo i signori di Montebelluna passano anche da salvatori della patria.
Partiamo da una privatizzazione che dal punto di vista della massa di quattrini è minore, ma che ebbe allora un valore simbolico altissimo e che oggi serve a comprendere come le «svendite» siano state una spoliazione del patrimonio pubblico per redistribuire quella ricchezza (costruita solo con le tasse degli italiani) a vantaggio di alcuni ristrettissimi circoli, escludendo qualsiasi possibile concorrenza.
Non solo: in qualche caso potrebbe accadere che lo Stato sia costretto a ricomprare, sotto altra forma e consentendo enormi guadagni a chi acquistò con le privatizzazioni, ciò che aveva venduto.
Tutto si svolge lungo il litorale romano da via della Magliana a Fiumicino, passando per Torre in Pietra. Lungo la costa si estende una delle aziende agricole più importanti d' Europa: è la Maccarese. Ha una storia gloriosa e tormentatissima.
Di fatto un' eredità di Benito Mussolini, che la fa diventare l' emblema delle bonifiche e la mette in collo all' Iri di Alberto Beneduce. Maccarese con la Repubblica diventa il luogo di spartizione del potere tra sindacati, centrali agricole e partiti. Arriva ad avere fino a 900 dipendenti e perde montagne di quattrini. Nel 1982 si tenta una prima vendita, nel 1986 si decide di chiuderla, ma succede il finimondo e l' Iri continua a sovvenzionarla anche se ha un passivo di 3 miliardi di lire l' anno.
Ha però una funzione: con frutteti, vigneti, oliveti, una novantina di case coloniche, greggi di pecore, vacche, maiali e laboratori di trasformazione è l' emblema dell' azienda agricola mediterranea, estesa su 3.300 ettari dove i boschi e le pinete che arrivano fino alla spiaggia sono un paradiso in terra.
Un' azienda che se ben condotta potrebbe fruttare. Basterebbe gestirla come la confinante tenuta del castello di Torre in Pietra che appartenne al fondatore e direttore del Corriere della Sera, Luigi Albertini (oggi è degli eredi). Ma Maccarese era una sorta di albergo a ore del potere: tutti se avevano da sistemare un parente o volevano fare una vacanza finivano lì.
Una gara su misura
Per cercare di vendere la megafattoria l' Iri la passa a Iritecna e quando si apre la stagione dei saldi di Stato Maccarese è tra i primi oggetti a essere «banditi». Logico che a comprarsela fosse un gruppo agricolo. Invece no perché l' offerta della cooperativa Ortosole, costituita da operatori agricoli della zona, viene giudicata non congrua.
Ricorderà il presidente della Ortosole, Beniamino Tiozzo: «Noi avevamo presentato un piano che salvava tutte le colture e prevedeva di occupare da 500 a 700 persone. Non ci risposero neppure. Sapemmo solo dopo qualche tempo che l' avevano data ai Benetton».
Attenzione perché i tempi sono importanti. L' offerta di Edizione srl, la finanziaria di famiglia, arriva sul tavolo di Iritecna il 30 luglio del 1998.
Giusto un anno dopo l' apertura della gara per un' altra privatizzazione: quella di Aeroporti di Roma. Maccarese ha un vantaggio: confina con le piste del Leonardo da Vinci.
E chi, grazie alla privatizzazione, si sta comprando Aeroporti di Roma?
Ma Gemina, che è controllata con il 30% di azioni dalla Edizioni srl di famiglia Benetton. Che nel gennaio del 1999 si porta a casa frutteti, vacche, borgo agricolo e 3.300 ettari per 93 miliardi di lire (47 milioni di euro).
Tutti pensano che i Benetton abbiano comprato per speculare sul litorale romano, loro giurano che sono anche imprenditori agricoli (in Sudamerica hanno enormi greggi per produrre lana) e si impegnano a non frazionare la proprietà e a mantenere le coltivazioni.
A garantire per loro ci pensa il presidente dell' Iri, Gian Maria Gros Pietro (amicone di famiglia), che presenterà l' affare come una sorta di manna dal cielo e per far vedere che fanno sul serio i trevigiani nominano amministratore Carlo Benetton (scomparso di recente), il più piccolo del poker dei fratelli, che si è sempre occupato di campi.
La fine di Malpensa
I Benetton guardano lungo, molto lungo. Un anno dopo l' acquisizione di Maccarese si conclude anche la privatizzazione di Aeroporti di Roma: il 57% del capitale viene ceduto dall' Iri per 2.600 miliardi di lire (1,2 miliardi di euro) al consorzio Leonardo di cui è magna pars Gemina, dove chi conta è Edizione srl dei Benetton.
Mentre Maccarese con Carlo Benetton perde il 90% di occupazione, tutti i frutteti e si concentra solo sulla zootecnia diventando la stalla più grande d' Europa, ma riuscendo a guadagnare fino a mezzo milione di euro all' anno, anche perché a lavorarci dentro c' è tanta manodopera immigrata, che certo non ha stipendi da top management, Aeroporti di Roma è compiutamente privatizzata.
Passano alcuni anni e si cerca di privatizzare Alitalia, che si divide tra Fiumicino e Malpensa. L' hub lombardo per i Benetton è una seccatura. Nasce Cai, che ha come maggiore azionista Intesa San Paolo, ma nel capitale sociale ha anche Atlantia dei Benetton (con l' 8%) e come presidente quel Roberto Colaninno, che già aveva fatto fortuna con la privatizzazione di Telecom e che aveva mandato il rampollo Matteo a scaldare i banchi della Camera in quota Pd.
Parte la privatizzazione-salvataggio di Alitalia, che si conclude il 12 dicembre 2008: con poco più di un miliardo Cai si compra tutta Alitalia e tutta Air One. Immediatamente Alitalia volta le spalle a Malpensa e concentra circa l' 80% di attività su Fiumicino.
Nel frattempo Atlantia si fonde con Gemina e acquisisce il 97% del capitale di Aeroporti di Roma. Comincia da lì il raid di Atlantia sugli aeroporti: si compra Bologna, Venezia, Ciampino.
La prima svolta è a fine 2012. Presidente del Consiglio è Mario Monti, già dimissionario. In zona Cesarini, alla vigilia di Natale, dà il via libera all' aumento delle tariffe aeroportuali (da 16 a 26,50 euro a passeggero) e al piano di raddoppio del Leonardo da Vinci. Lo Stato vara un investimento infrastrutturale da 12 miliardi di euro, che è il vero obiettivo dei Benetton.
Intanto l' aumento della tariffa, che Atlantia ha chiesto a gran voce comprando pagine di giornale e minacciando tagli occupazionali, garantisce ai gestori di Aeroporti di Roma un introito supplementare di 360 milioni di euro all' anno.
Passano pochi mesi e c' è un' altra svolta positiva per i Benetton. Presidente del Consiglio è il loro amico Enrico Letta, che va in visita negli Emirati e si porta dietro Simonetta Giordani (ex pierre di Atlantia, diventata sottosegretario alla cultura) e molti manager tra cui quelli di Cai che riescono a rivendere Alitalia a Ethiad. Che poi la scaricherà di nuovo sul contribuente italiano. Ora il quadro è compiuto.
Perché il raddoppio di Fiumicino, che si sviluppa su 1.300 ettari, prevede che 1.000 siano espropriati proprio a Maccarese. Cioè lo Stato pagherebbe ai Benetton circa 200 milioni di euro (20 euro al metro quadrato), più il lucro cessante, per allargare un aeroporto che è in concessione ai Benetton fino al 2042, sul quale Atlantia ha macinato e macinerà milioni e milioni di euro di profitti per ricomprare un terzo di quanto i Benetton acquistarono dallo Stato a 47 milioni di euro.
Sia detto chiaro: il progetto ancora non è partito e forse la strage di Genova complica un po' le cose, ma il disegno cominciato con le vacche del 1998, rafforzato dalla gestione di Alitalia che ha emarginato Malpensa, nel 2018 potrebbe finire con un terminal in più.
Perché questo è il senso delle privatizzazioni gestite tutte da uomini del Pd o vicini al Pd. E cioè che uno si compra a prezzo di saldo dei beni di Stato, li sfrutta per molti anni e poi trova un modo per rivenderli al pubblico incassando dieci volte tanto. Ma per farlo bisogna essere molto bravi, oppure chiamarsi Benetton.
Fonte: qui
Intanto l' aumento della tariffa, che Atlantia ha chiesto a gran voce comprando pagine di giornale e minacciando tagli occupazionali, garantisce ai gestori di Aeroporti di Roma un introito supplementare di 360 milioni di euro all' anno.
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UN SEDICENNE OSPITE DI UNA COMUNITÀ IN PROVINCIA DI AGRIGENTO MASSACRATO DI BOTTE: “RITORNATENE NEL TUO PAESE”
INSULTI, SPUTI E MINACCE: L’AGGRESSORE L’HA COLPITO CON UNA SPORTELLATA IN FACCIA, POI A PUGNI E CALCI
IL RAGAZZO È IN OSPEDALE CON UNA CONTUSIONE A UN TESTICOLO E UNA FERITA AL GINOCCHIO, OGGI SARÀ…
Da www.ansa.it
Un migrante sedicenne, da un anno in Italia e ospite di una comunità di seconda accoglienza per minorenni non accompagnati di Raffadali (Ag), è stato aggredito a calci e pugni. Inequivocabile la frase che gli è stata gridata contro: "Ritornatene nel tuo paese". Il ragazzo, ieri pomeriggio, è finito al pronto dell'ospedale S.Giovanni di Dio di Agrigento dove è stato ricoverato.
I medici gli hanno diagnosticato una contusione ad un testicolo e una ferita ad un ginocchio. Oggi verrà formalizzata una denuncia ai carabinieri che sono, però, già a conoscenza dell'episodio.
"Raffadali è un Comune che lo ha accolto con amore e grande disponibilità all'integrazione. In questi mesi, grazie al suo bel carattere il ragazzo, ha conosciuto tanti suoi coetanei raffadalesi - ha raccontato Giovanni Mossuto: uno dei responsabili della struttura d'accoglienza di cui l'adolescente è ospite - .
Malgrado questo, in questi mesi lui e gli altri ospiti della comunità sono stati oggetto di insulti, sputi e minacce da parte di un razzista. Ora, probabilmente sentendosi legittimato da un clima che tutti avvertiamo, lo ha aggredito prima con una sportellata in faccia e poi a pugni e calci". Il sindaco del paese, Silvio Cuffaro, ha espresso solidarietà al ragazzo. Condanna al gesto e solidarietà al minore sono stata espresse anche dal Pd di Raffadali.
Fonte: qui
TRIPOLI - I RIBELLI SONO SEMPRE PIÙ VICINI AI CENTRI DEL POTERE DELLA CAPITALE: SARRAJ SOTTO ASSEDIO. DICHIARATO LO STATO DI EMERGENZA
LE MILIZIE VOGLIONO “RIPULIRE” LA CITTÀ DAI GOVERNATIVI: È SCOMPARSO IL CAPO DELLE FORZE ARMATE
IL VOLTO MODERATO DEL POST GHEDDAFI PUÒ CONTARE SOLO SULL’APPOGGIO DELL’ITALIA.
L’OMBRA DELLA VOLPE DELLA CIRENAICA KHALIFA HAFTAR E GLI INTERESSI DELLA FRANCIA, CHE FORMALMENTE CONDANNA L’ESCALATION MA…
SARRAJ SOTTO ASSEDIO I RIBELLI PUNTANO AL CENTRO DI TRIPOLI
Giordano Stabile per “la Stampa”
Il premier libico Fayez al Sarraj è sotto assedio a Tripoli, dopo una settimana di scontri che hanno portato le milizie ribelli sempre più vicine ai centri del potere. Ieri sera il consiglio presidenziale libico, guidato dallo stesso al Sarraj, ha proclamato lo stato di emergenza.
Il governo non controlla la parte meridionale della città, l' aeroporto è chiuso perché a portata dei razzi degli insorti, e non è più scontata la fedeltà dei combattenti di Misurata, un alleato strategico del governo di «accordo nazionale» che doveva condurre alla pacificazione del Paese.
L' ex ingegnere, il volto moderato della Libia post-Gheddafi, può contare ancora sull' appoggio dell' Italia, mentre gli altri alleati occidentali sono più defilati e la Francia, nei fatti, ostile. Roma ha confermato che la sua ambasciata resta aperta, nonostante il colpo di mortaio, o razzo, che ieri ha colpito l' hotel dove alloggia parte del personale.
La Settima Brigata
Sabato Stati Uniti ed Europa avevano chiesto alle milizie di moderarsi ma ieri Abdel Rahim Al-Kani, comandante della cosiddetta Settima Brigata, una formazione con base nella cittadina di Tarhouna, 60 chilometri a Sud di Tripoli, ha annunciato l' assalto decisivo.
Al-Kani ha dichiarato che «continuerà a combattere fino a quando le milizie armate non lasceranno la capitale e la sicurezza sarà ripristinata». Le sue forze, ha precisato, «sono posizionate lungo la strada per l' aeroporto» e si apprestano ad attaccare il quartiere di Abu Selim, la porta di accesso al centro storico. Se prende Abu Salim il comandante ribelle potrebbe piombare sulla zona dei ministeri, fino alla base navale di Bu Sitta, l' estremo fortino del governo.
I soldi degli aiuti
Al-Kani ha già minacciato di «ripulire» la città dalle milizie rivali, accusate di essere «l' Isis dei soldi pubblici», perché si accaparrano la maggior parte dei fondi pubblici che derivano dagli introiti petroliferi, ma anche i finanziamenti che arrivano dall' Unione europea.
Il capo della Shura degli anziani, Mohamed al-Mubshir, una figura rispettata, ha lanciato il tentativo di mediazione per arrivare a un cessate il fuoco. A disinnescare la battaglia lavora soprattutto però la diplomazia italiana. La nostra ambasciata ha comunicato, su Twitter, che resterà aperta: «Continuiamo a sostenere l' amata popolazione di Tripoli in questo difficile momento», anche se i rischi sono sempre più alti perché l' ambasciatore Giuseppe Perrone è inviso al grande avversario di Al Sarraj, il generale Khalifa Haftar.
La strategia di Haftar
Haftar sta corteggiando il comandante di Tarhouna da mesi, così come i capi di una altra potente tribù, i Warfalla. La rivolta si sta trasformando in un confronto fra milizie pro o contro Al Sarraj. Tutti inviano rinforzi dalle aree limitrofe alla capitale. Al Sarraj può contare su pochi alleati certi: le Brigate rivoluzionarie di Tripoli, guidate dal signore della guerra Haithem al-Tajouri, la «Rada» di Abdul Rauf Kara, boss dell' aeroporto Mitiga, la Brigata Abu Selim agli ordini del controverso Abdul Ghani al-Kikli, e la Brigata Nawassi.
Più defilata è la Brigata 301 di Misurata, un alleato strategico. Sabato il premier ha inviato proprio a Misurata il generale Mohammed Al-Haddad, capo delle forze armate governative a Tripoli, per chiedere ai leader locali di inviare rinforzi.
Il generale avrebbe avuto uno scontro con quelli restii a impegnarsi. Nella serata di sabato la sua macchina è stata ritrovata vuota alla periferia della città. Nessuno ha rivendicato il sequestro: forse è stato ucciso. Un altro brutto segnale.
L' ITALIA NON STA A GUARDARE PRONTA UNA TASK FORCE PER DIFENDERE IL PREMIER
Grazia Longo per “la Stampa”
Una task force italiana in difesa di Fayez al Sarraj, sempre più accerchiato dalle milizie rivali a sostegno di Khalifa Haftar, grazie alla collaborazione tra il ministero della Difesa, quello degli Esteri e l' Aise, l' agenzia dei servizi segreti esteri.
Al momento i nostri soldati dei gruppi speciali non sono schierati in Libia e l' attività principale per monitorare il pericolo di un rovesciamento del governo di unità nazionale di Al Sarraj, sostenuto dall' Onu, viene svolta dalla nostra intelligence.
Ma, considerato l' allarme crescente, si sta valutando l' opportunità di un intervento da parte dei corpi speciali. È ancora prematuro stabilire se questi verranno coinvolti in una missione sul territorio libico, ma il tema sarà posto anche all' attenzione del Cofs, il Comando interforze per le operazioni delle Forze speciali.
E intanto, oggi pomeriggio, a Palazzo Chigi è previsto un summit per fare il punto della situazione.
Parteciperanno il presidente del consiglio Giuseppe Conte, la ministra della Difesa Elisabetta Trenta, il titolare della Farnesina Enzo Moavero Milanesi e il numero uno dell' Aise Alberto Manenti (in via di sostituzione).
I corpi speciali che potrebbero essere coinvolti in un' operazione in Libia sono il Gruppo di intervento speciale dei carabinieri, il 9° Reggimento d' assalto paracadutisti «Col Moschin», il Gruppo operativo incursori del comsubin e il 17° Stormo incursori dell' Aeronautica militare.
Al momento tuttavia, ribadiscono fonti della Difesa e degli Esteri, non è stato ancora stabilito un dispiegamento delle nostre forze militari d' élite e il dossier Libia resta sostanzialmente in mano all' intelligence.
Non è neppure escluso, del resto, un nostro impegno sul fronte libico dal punto di vista sociale e sanitario. Nel frattempo la linea di Roma è orientata verso l' intesa con le altre forze internazionali che hanno condannato gli attentati a Tripoli.
Il nostro governo, insieme a Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna, sabato scorso, ha diffuso un comunicato congiunto in cui viene «condannata fermamente la continua escalation di violenza a Tripoli e nei suoi dintorni, che ha causato molte vittime e che continua a mettere in pericolo la vita di civili innocenti».
La cooperazione tra le forze internazionali è tuttavia uno spaccato più complesso di quanto possa apparire. Un conto, infatti, sono le dichiarazioni ufficiali, un altro la trama politico-economica che viene tessuta sullo sfondo.
Non a caso i nostri 007, in sinergia con il ministero della Difesa, sono impegnati anche a scandagliare le reali intenzioni della Francia. Si cerca cioè di capire quali siano gli effettivi interessi del governo Macron. «È in atto un tentativo di decontestualizzare gli attentati dal ruolo di Haftar - spiegano dalla Difesa - mentre è sempre più evidente che le milizie ribelli lo sostengono a piene mani».
Gli scontri a Tripoli e il tentativo di destabilizzare il governo di unità nazionale continuano a restare prioritari nell' agenda del nostro esecutivo. La nostra leadership nella questione libica è stata peraltro riconosciuta anche dal presidente degli Usa Donald Trump, durante la visita americana del premier Giuseppe Conte.
E a sostenere l' ipotesi di uno schieramento militare c' è l' allarme Isis: con la caduta di Al Sarraj e l' assenza di una stabilità politica, la Libia potrebbe diventare il fulcro del terrorismo islamico, alimentato anche dai trafficanti di esseri umani.
Fonte: qui
Sabato Stati Uniti ed Europa avevano chiesto alle milizie di moderarsi ma ieri Abdel Rahim Al-Kani, comandante della cosiddetta Settima Brigata, una formazione con base nella cittadina di Tarhouna, 60 chilometri a Sud di Tripoli, ha annunciato l' assalto decisivo.
Ma, considerato l' allarme crescente, si sta valutando l' opportunità di un intervento da parte dei corpi speciali. È ancora prematuro stabilire se questi verranno coinvolti in una missione sul territorio libico, ma il tema sarà posto anche all' attenzione del Cofs, il Comando interforze per le operazioni delle Forze speciali.
La cooperazione tra le forze internazionali è tuttavia uno spaccato più complesso di quanto possa apparire. Un conto, infatti, sono le dichiarazioni ufficiali, un altro la trama politico-economica che viene tessuta sullo sfondo.
Non a caso i nostri 007, in sinergia con il ministero della Difesa, sono impegnati anche a scandagliare le reali intenzioni della Francia. Si cerca cioè di capire quali siano gli effettivi interessi del governo Macron. «È in atto un tentativo di decontestualizzare gli attentati dal ruolo di Haftar - spiegano dalla Difesa - mentre è sempre più evidente che le milizie ribelli lo sostengono a piene mani».
TUTTA COLPA DEL PETROLIO
IL POLITOLOGO GILLES KEPEL: “IN LIBIA NON VEDO SOLUZIONI RAPIDE. È DRAMMATICO CHE ITALIA E FRANCIA NON SIANO IN GRADO DI LAVORARE ASSIEME E, SOSTENENDO FAZIONI OPPOSTE FINISCANO PER ALIMENTARE LA CRISI INTERNA”
“LE TRIBÙ AMBISCONO A CONTROLLARE IL GREGGIO. ALL’EPOCA DI GHEDDAFI I POZZI ERANO TENUTI COL PUGNO DI FERRO DAL POTERE CENTRALE, ORA…”
Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”
«L' intensificarsi violento della crisi a Tripoli come metafora drammatica dell' incapacità europea nell' elaborare una politica estera comune in Libia. È drammatico che Italia e Francia, i due Paesi europei storicamente più coinvolti nello scenario di questo importante Paese sulla costa meridionale del Mediterraneo, non solo non siano in grado di lavorare assieme, ma addirittura sostenendo fazioni opposte finiscano per alimentare la crisi interna».
È pessimista Gilles Kepel. «Non vedo soluzioni rapide alla violenza che insanguina Tripoli», afferma al Corriere. Il noto politologo parigino, grande esperto del fondamentalismo islamico, ne parlerà sabato prossimo a un convegno a Palermo sulle «Filosofie del Mediterraneo» anche sulla base di un suo nuovo libro che verrà pubblicato in Francia a ottobre con un titolo molto attuale: «Uscire dal caos. Le crisi del Mediterraneo e del Medio Oriente».
Cosa succede in Libia?
«C' è una situazione totalmente diversa rispetto ad altre guerre civili del mondo arabo come quelle in Siria o Yemen. Per il fatto che tutti i libici sono musulmani sunniti, all' eccezione dei berberi di Zuwara e Jebel Nafusa, che comunque rappresentano piccole minoranze.
Ma il problema sono le frammentazioni tribali, che fanno il gioco delle potenze straniere, arabe o europee. Dove ognuna ha la sua tribù protetta con l' ambizione del controllo del petrolio».
Dunque anche nell' era del mercato dei migranti il petrolio resta centrale?
«Certo, il petrolio libico è ottimo, facile da estrarre ed è molto vicino ai mercati delle economie europee, costituisce un obbiettivo strategico fondamentale. All' epoca di Gheddafi tutti i pozzi, la cui maggioranza si trova nelle regioni sud-orientali della Cirenaica e una parte meno rilevante a ovest di Zintan, erano controllati col pugno di ferro dal potere centrale.
Per contro, oggi nessuno si fida di nessuno. In Libia vale il classico paradigma di Hobbes, per cui ciascuno è contro ciascuno e tutti contro tutti. Ogni tribù spera di beneficiare del suo limitato controllo sul suo piccolo pozzo o oleodotto, pensa che una parte limitata sia comunque meglio che condividere il tutto.
Perciò fanno guerra alla banca centrale o alla compagnia energetica nazionale. Ed ecco perché la ricostruzione di queste due istituzioni è importante».
Le maggiori parti in causa?
«In Cirenaica il generale Khalifa Haftar ha il sostegno degli Emirati Arabi Uniti e dell' Egitto. Il Cairo lo vede come un alleato contro i Fratelli Musulmani presenti a Tripoli. Questi ultimi sono aiutati da Turchia e Qatar».
Come vede il braccio di ferro tra Roma e Parigi?
«Molto grave. Tutta l' Europa ne è penalizzata, sia per il fatto che perde il petrolio libico che per l' incapacità di controllare i migranti. L' Italia, forte della sua tradizione coloniale nel rapporto con la regione di Tripoli e del capillare radicamento di Eni sul territorio, guarda con inquietudine alle iniziative di Emmanuel Macron per pacificare la Libia.
Roma accusa il governo francese di fare il gioco della Total contro Eni. Queste frizioni sono intensificate da che Matteo Salvini ha incontrato Viktor Orbán a Milano. Per loro Macron è la nuova bestia nera da combattere. L' Onu e le istituzioni comunitarie a Bruxelles devono aiutare a calmare lo scontro».
La Francia ha sostenuto Haftar. Ma questi sembra sia gravemente malato. Cosa sa in proposito?
«La medicina francese ha fatto davvero miracoli quando questa primavera Haftar è stato ricoverato a Parigi. Alcune fonti arabe molto serie lo davano per morto. Ora pare resuscitato.
Ma il problema è un altro: non è possibile ricostruire la Libia penalizzando la Cirenaica. Lo aveva fatto Gheddafi, ma dal 2011 non è più fattibile. E l' Europa deve lavorare per il processo di unificazione, non per la divisione».
Fonte: qui
È pessimista Gilles Kepel. «Non vedo soluzioni rapide alla violenza che insanguina Tripoli», afferma al Corriere. Il noto politologo parigino, grande esperto del fondamentalismo islamico, ne parlerà sabato prossimo a un convegno a Palermo sulle «Filosofie del Mediterraneo» anche sulla base di un suo nuovo libro che verrà pubblicato in Francia a ottobre con un titolo molto attuale: «Uscire dal caos. Le crisi del Mediterraneo e del Medio Oriente».
«C' è una situazione totalmente diversa rispetto ad altre guerre civili del mondo arabo come quelle in Siria o Yemen. Per il fatto che tutti i libici sono musulmani sunniti, all' eccezione dei berberi di Zuwara e Jebel Nafusa, che comunque rappresentano piccole minoranze.
Come vede il braccio di ferro tra Roma e Parigi?
Roma accusa il governo francese di fare il gioco della Total contro Eni. Queste frizioni sono intensificate da che Matteo Salvini ha incontrato Viktor Orbán a Milano. Per loro Macron è la nuova bestia nera da combattere. L' Onu e le istituzioni comunitarie a Bruxelles devono aiutare a calmare lo scontro».
«La medicina francese ha fatto davvero miracoli quando questa primavera Haftar è stato ricoverato a Parigi. Alcune fonti arabe molto serie lo davano per morto. Ora pare resuscitato.
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