9 dicembre forconi: TRIPOLI - I RIBELLI SONO SEMPRE PIÙ VICINI AI CENTRI DEL POTERE DELLA CAPITALE: SARRAJ SOTTO ASSEDIO. DICHIARATO LO STATO DI EMERGENZA

lunedì 3 settembre 2018

TRIPOLI - I RIBELLI SONO SEMPRE PIÙ VICINI AI CENTRI DEL POTERE DELLA CAPITALE: SARRAJ SOTTO ASSEDIO. DICHIARATO LO STATO DI EMERGENZA


LE MILIZIE VOGLIONO “RIPULIRE” LA CITTÀ DAI GOVERNATIVI: È SCOMPARSO IL CAPO DELLE FORZE ARMATE 
IL VOLTO MODERATO DEL POST GHEDDAFI PUÒ CONTARE SOLO SULL’APPOGGIO DELL’ITALIA. 
L’OMBRA DELLA VOLPE DELLA CIRENAICA KHALIFA HAFTAR E GLI INTERESSI DELLA FRANCIA, CHE FORMALMENTE CONDANNA L’ESCALATION MA…
SARRAJ SOTTO ASSEDIO I RIBELLI PUNTANO AL CENTRO DI TRIPOLI
Giordano Stabile per “la Stampa”

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Il premier libico Fayez al Sarraj è sotto assedio a Tripoli, dopo una settimana di scontri che hanno portato le milizie ribelli sempre più vicine ai centri del potere. Ieri sera il consiglio presidenziale libico, guidato dallo stesso al Sarraj, ha proclamato lo stato di emergenza.

Il governo non controlla la parte meridionale della città, l' aeroporto è chiuso perché a portata dei razzi degli insorti, e non è più scontata la fedeltà dei combattenti di Misurata, un alleato strategico del governo di «accordo nazionale» che doveva condurre alla pacificazione del Paese.

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L' ex ingegnere, il volto moderato della Libia post-Gheddafi, può contare ancora sull' appoggio dell' Italia, mentre gli altri alleati occidentali sono più defilati e la Francia, nei fatti, ostile. Roma ha confermato che la sua ambasciata resta aperta, nonostante il colpo di mortaio, o razzo, che ieri ha colpito l' hotel dove alloggia parte del personale.

La Settima Brigata
GENTILONI SARRAJGENTILONI SARRAJ



Sabato Stati Uniti ed Europa avevano chiesto alle milizie di moderarsi ma ieri Abdel Rahim Al-Kani, comandante della cosiddetta Settima Brigata, una formazione con base nella cittadina di Tarhouna, 60 chilometri a Sud di Tripoli, ha annunciato l' assalto decisivo.

Al-Kani ha dichiarato che «continuerà a combattere fino a quando le milizie armate non lasceranno la capitale e la sicurezza sarà ripristinata». Le sue forze, ha precisato, «sono posizionate lungo la strada per l' aeroporto» e si apprestano ad attaccare il quartiere di Abu Selim, la porta di accesso al centro storico. Se prende Abu Salim il comandante ribelle potrebbe piombare sulla zona dei ministeri, fino alla base navale di Bu Sitta, l' estremo fortino del governo.

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I soldi degli aiuti
Al-Kani ha già minacciato di «ripulire» la città dalle milizie rivali, accusate di essere «l' Isis dei soldi pubblici», perché si accaparrano la maggior parte dei fondi pubblici che derivano dagli introiti petroliferi, ma anche i finanziamenti che arrivano dall' Unione europea.

Il capo della Shura degli anziani, Mohamed al-Mubshir, una figura rispettata, ha lanciato il tentativo di mediazione per arrivare a un cessate il fuoco. A disinnescare la battaglia lavora soprattutto però la diplomazia italiana. La nostra ambasciata ha comunicato, su Twitter, che resterà aperta: «Continuiamo a sostenere l' amata popolazione di Tripoli in questo difficile momento», anche se i rischi sono sempre più alti perché l' ambasciatore Giuseppe Perrone è inviso al grande avversario di Al Sarraj, il generale Khalifa Haftar.
fayez al sarrajFAYEZ AL SARRAJ

La strategia di Haftar
Haftar sta corteggiando il comandante di Tarhouna da mesi, così come i capi di una altra potente tribù, i Warfalla. La rivolta si sta trasformando in un confronto fra milizie pro o contro Al Sarraj. Tutti inviano rinforzi dalle aree limitrofe alla capitale. Al Sarraj può contare su pochi alleati certi: le Brigate rivoluzionarie di Tripoli, guidate dal signore della guerra Haithem al-Tajouri, la «Rada» di Abdul Rauf Kara, boss dell' aeroporto Mitiga, la Brigata Abu Selim agli ordini del controverso Abdul Ghani al-Kikli, e la Brigata Nawassi.
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Più defilata è la Brigata 301 di Misurata, un alleato strategico. Sabato il premier ha inviato proprio a Misurata il generale Mohammed Al-Haddad, capo delle forze armate governative a Tripoli, per chiedere ai leader locali di inviare rinforzi.

Il generale avrebbe avuto uno scontro con quelli restii a impegnarsi. Nella serata di sabato la sua macchina è stata ritrovata vuota alla periferia della città. Nessuno ha rivendicato il sequestro: forse è stato ucciso. Un altro brutto segnale.

L' ITALIA NON STA A GUARDARE PRONTA UNA TASK FORCE PER DIFENDERE IL PREMIER
Grazia Longo per “la Stampa”

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Una task force italiana in difesa di Fayez al Sarraj, sempre più accerchiato dalle milizie rivali a sostegno di Khalifa Haftar, grazie alla collaborazione tra il ministero della Difesa, quello degli Esteri e l' Aise, l' agenzia dei servizi segreti esteri.

Al momento i nostri soldati dei gruppi speciali non sono schierati in Libia e l' attività principale per monitorare il pericolo di un rovesciamento del governo di unità nazionale di Al Sarraj, sostenuto dall' Onu, viene svolta dalla nostra intelligence.
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Ma, considerato l' allarme crescente, si sta valutando l' opportunità di un intervento da parte dei corpi speciali. È ancora prematuro stabilire se questi verranno coinvolti in una missione sul territorio libico, ma il tema sarà posto anche all' attenzione del Cofs, il Comando interforze per le operazioni delle Forze speciali.

E intanto, oggi pomeriggio, a Palazzo Chigi è previsto un summit per fare il punto della situazione.
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Parteciperanno il presidente del consiglio Giuseppe Conte, la ministra della Difesa Elisabetta Trenta, il titolare della Farnesina Enzo Moavero Milanesi e il numero uno dell' Aise Alberto Manenti (in via di sostituzione).

I corpi speciali che potrebbero essere coinvolti in un' operazione in Libia sono il Gruppo di intervento speciale dei carabinieri, il 9° Reggimento d' assalto paracadutisti «Col Moschin», il Gruppo operativo incursori del comsubin e il 17° Stormo incursori dell' Aeronautica militare.

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Al momento tuttavia, ribadiscono fonti della Difesa e degli Esteri, non è stato ancora stabilito un dispiegamento delle nostre forze militari d' élite e il dossier Libia resta sostanzialmente in mano all' intelligence.

Non è neppure escluso, del resto, un nostro impegno sul fronte libico dal punto di vista sociale e sanitario. Nel frattempo la linea di Roma è orientata verso l' intesa con le altre forze internazionali che hanno condannato gli attentati a Tripoli.
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Il nostro governo, insieme a Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna, sabato scorso, ha diffuso un comunicato congiunto in cui viene «condannata fermamente la continua escalation di violenza a Tripoli e nei suoi dintorni, che ha causato molte vittime e che continua a mettere in pericolo la vita di civili innocenti».

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La cooperazione tra le forze internazionali è tuttavia uno spaccato più complesso di quanto possa apparire. Un conto, infatti, sono le dichiarazioni ufficiali, un altro la trama politico-economica che viene tessuta sullo sfondo.

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Non a caso i nostri 007, in sinergia con il ministero della Difesa, sono impegnati anche a scandagliare le reali intenzioni della Francia. Si cerca cioè di capire quali siano gli effettivi interessi del governo Macron. «È in atto un tentativo di decontestualizzare gli attentati dal ruolo di Haftar - spiegano dalla Difesa - mentre è sempre più evidente che le milizie ribelli lo sostengono a piene mani».
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Gli scontri a Tripoli e il tentativo di destabilizzare il governo di unità nazionale continuano a restare prioritari nell' agenda del nostro esecutivo. La nostra leadership nella questione libica è stata peraltro riconosciuta anche dal presidente degli Usa Donald Trump, durante la visita americana del premier Giuseppe Conte.
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E a sostenere l' ipotesi di uno schieramento militare c' è l' allarme Isis: con la caduta di Al Sarraj e l' assenza di una stabilità politica, la Libia potrebbe diventare il fulcro del terrorismo islamico, alimentato anche dai trafficanti di esseri umani.

Fonte: qui

TUTTA COLPA DEL PETROLIO 
IL POLITOLOGO GILLES KEPEL: “IN LIBIA NON VEDO SOLUZIONI RAPIDE. È DRAMMATICO CHE ITALIA E FRANCIA NON SIANO IN GRADO DI LAVORARE ASSIEME E, SOSTENENDO FAZIONI OPPOSTE FINISCANO PER ALIMENTARE LA CRISI INTERNA” 
“LE TRIBÙ AMBISCONO A CONTROLLARE IL GREGGIO. ALL’EPOCA DI GHEDDAFI I POZZI ERANO TENUTI COL PUGNO DI FERRO DAL POTERE CENTRALE, ORA…”
Lorenzo Cremonesi per il Corriere della Sera

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«L' intensificarsi violento della crisi a Tripoli come metafora drammatica dell' incapacità europea nell' elaborare una politica estera comune in Libia. È drammatico che Italia e Francia, i due Paesi europei storicamente più coinvolti nello scenario di questo importante Paese sulla costa meridionale del Mediterraneo, non solo non siano in grado di lavorare assieme, ma addirittura sostenendo fazioni opposte finiscano per alimentare la crisi interna».

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È pessimista Gilles Kepel. «Non vedo soluzioni rapide alla violenza che insanguina Tripoli», afferma al Corriere. Il noto politologo parigino, grande esperto del fondamentalismo islamico, ne parlerà sabato prossimo a un convegno a Palermo sulle «Filosofie del Mediterraneo» anche sulla base di un suo nuovo libro che verrà pubblicato in Francia a ottobre con un titolo molto attuale: «Uscire dal caos. Le crisi del Mediterraneo e del Medio Oriente».

Cosa succede in Libia?
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«C' è una situazione totalmente diversa rispetto ad altre guerre civili del mondo arabo come quelle in Siria o Yemen. Per il fatto che tutti i libici sono musulmani sunniti, all' eccezione dei berberi di Zuwara e Jebel Nafusa, che comunque rappresentano piccole minoranze.

Ma il problema sono le frammentazioni tribali, che fanno il gioco delle potenze straniere, arabe o europee. Dove ognuna ha la sua tribù protetta con l' ambizione del controllo del petrolio».


Dunque anche nellera del mercato dei migranti il petrolio resta centrale?
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«Certo, il petrolio libico è ottimo, facile da estrarre ed è molto vicino ai mercati delle economie europee, costituisce un obbiettivo strategico fondamentale. All' epoca di Gheddafi tutti i pozzi, la cui maggioranza si trova nelle regioni sud-orientali della Cirenaica e una parte meno rilevante a ovest di Zintan, erano controllati col pugno di ferro dal potere centrale.

Per contro, oggi nessuno si fida di nessuno. In Libia vale il classico paradigma di Hobbes, per cui ciascuno è contro ciascuno e tutti contro tutti. Ogni tribù spera di beneficiare del suo limitato controllo sul suo piccolo pozzo o oleodotto, pensa che una parte limitata sia comunque meglio che condividere il tutto.

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Perciò fanno guerra alla banca centrale o alla compagnia energetica nazionale. Ed ecco perché la ricostruzione di queste due istituzioni è importante».

Le maggiori parti in causa?
«In Cirenaica il generale Khalifa Haftar ha il sostegno degli Emirati Arabi Uniti e dell' Egitto. Il Cairo lo vede come un alleato contro i Fratelli Musulmani presenti a Tripoli. Questi ultimi sono aiutati da Turchia e Qatar».
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Come vede il braccio di ferro tra Roma e Parigi?
«Molto grave. Tutta l' Europa ne è penalizzata, sia per il fatto che perde il petrolio libico che per l' incapacità di controllare i migranti. L' Italia, forte della sua tradizione coloniale nel rapporto con la regione di Tripoli e del capillare radicamento di Eni sul territorio, guarda con inquietudine alle iniziative di Emmanuel Macron per pacificare la Libia.

TOTAL ENITOTAL ENI


Roma accusa il governo francese di fare il gioco della Total contro Eni. Queste frizioni sono intensificate da che Matteo Salvini ha incontrato Viktor Orbán a Milano. Per loro Macron è la nuova bestia nera da combattere. L' Onu e le istituzioni comunitarie a Bruxelles devono aiutare a calmare lo scontro».

La Francia ha sostenuto HaftarMa questi sembra sia gravemente malatoCosa sa in proposito?
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«La medicina francese ha fatto davvero miracoli quando questa primavera Haftar è stato ricoverato a Parigi. Alcune fonti arabe molto serie lo davano per morto. Ora pare resuscitato.

Ma il problema è un altro: non è possibile ricostruire la Libia penalizzando la Cirenaica. Lo aveva fatto Gheddafi, ma dal 2011 non è più fattibile. E l' Europa deve lavorare per il processo di unificazione, non per la divisione».

Fonte: qui

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