9 dicembre forconi: 09/23/17

sabato 23 settembre 2017

ALLARME PFAS NEL VICENTINO

LE SOSTANZE PERFLUOROALCHILICHE CHE RENDONO IMPERMEABILI I MATERIALI VENGONO SCARICATE DALLE FABBRICHE NELLE ACQUE LOCALI 
POSSONO PORTARE A MALATTIE CRONICHE O, NEL PEGGIORE DEI CASI, DEGENERATIVE, ALLA TIROIDE, AL FEGATO E AI RENI 
1.PFAS: LORENZIN,A DICEMBRE DIRETTIVA UE LIMITI COMUNI
 (ANSA) - "A dicembre dovrebbe arrivare una direttiva europea che attendiamo tutti che tenderà ad uniformare, come abbiamo chiesto, i parametri Pfas nelle acque per tutti i Paesi europei", lo annuncia il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, facendo il punto sulla vicenda delle sostanze inquinanti Pfas.

inquinamento da pfas in venetoINQUINAMENTO DA PFAS IN VENETO
2.LORENZIN A ZAIA, POLEMICA INCOMPRENSIBILE
 (ANSA) - "Se c'è un problema magari alzi il telefono e parli con il tuo ministro, poi ognuno ha la sua cifra": così il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, in merito alle accuse del governatore del Veneto, Luca Zaia, sul mancato intervento del ministero della Salute nella vicenda Pfas. "La polemica non l'abbiamo compresa - aggiunge Lorenzin - avendo condiviso con la regione Veneto e le istituzioni sanitarie, scientifiche e ambientali tutti i singoli passaggi".

"Come abbiamo già detto - aggiunge Lorenzin - noi abbiamo fissato con un decreto salute-ambiente degli standard precauzionali e il decreto prevede, oltre alle tabelle generali, che ogni singola regione possa adeguare o anche ridurre questi parametri in base alla peculiarità del suo territorio e alla peculiarità degli inquinanti. E questo è stato un percorso totalmente condiviso".


3.I VENETI BEVONO VELENO. IL GOVERNO SE NE FREGA
Alessandro Gonzato per ''Libero Quotidiano''

inquinamento da pfas in venetoINQUINAMENTO DA PFAS IN VENETO
La richiesta del presidente del Veneto Luca Zaia al governo era stata chiara: «Il ministero della Salute fissi un limite massimo alla concentrazione di Pfas nelle acque potabili». La risposta del direttore generale della Prevenzione del ministero, Raniero Guerra, è stata inequivocabile: la Regione deve fare da sé perché «allo stato attuale si riscontrano sul territorio italiano solo sporadici ritrovamenti dovuti a fenomeni d' inquinamento puntuali e focalizzati, mentre l' inquinamento della falda veneta è un fenomeno diffuso su ampie aree della regione». Anche la risposta del ministro dell' Ambiente Gian Luca Galletti all' appello del governatore leghista è stata perentoria: «Spetta al Veneto creare le condizioni di maggior tutela per il proprio territorio».

Il Veneto dunque deve arrangiarsi, e come ha annunciato successivamente Zaia lo farà, ma divampa la polemica. I Pfas, lo ricordiamo, sono sostanze perfluoroalchiliche che possono portare a malattie croniche o, nel peggiore dei casi, degenerative, alla tiroide, al fegato e ai reni.

Secondo alcuni studi aumentano il rischio di Alzheimer e innalzano la probabilità di contrarre patologie fetali e gestazionali. Questi veleni - secondo le accuse che hanno portato all' avvio di un' indagine - prodotti dai trentennali sversamenti di un' azienda chimica vicentina, la «Miteni», nella falda acquifera che serve anche le province di Padova e Verona sono stati immessi in un' area di circa 200 chilometri e che coinvolge 300 mila abitanti. Ad accertare le responsabilità ci penserà la magistratura.
inquinamento da pfas in venetoINQUINAMENTO DA PFAS IN VENETO

Nel frattempo, nelle zone più a rischio cresce ogni giorno di più la preoccupazione. Lo scorso inverno i risultati delle prime analisi del sangue, tra le decine di migliaia disposte dalla Regione per verificare lo stato di salute della popolazione residente nelle aree più esposte, avevano già evidenziato in 50 quattordicenni una presenza di Pfoa (un derivato dei Pfas) trenta volte sopra la media: 64 nanogrammi contro i 2-3 dei ragazzi non esposti.

L' Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con la Regione Veneto, ha svolto un biomonitoraggio su 507 abitanti delle zone contaminate: il livello medio di Pfas nel sangue di queste persone è risultato più di 6 volte superiore rispetto a quello dei cittadini considerati non a rischio (13,8 nanogrammi contro 1,6).

Nonostante ciò il governo di fronte alle richieste di Zaia ha fatto spallucce. Il governatore ha quindi incaricato gli esperti della Regione di fissare i limiti per «una drastica riduzione» della concentrazione dei Pfas. «Non c' è che da prendere atto dell' atteggiamento scandaloso del ministero della Salute», ha tuonato.

«Il governo fa finta di non vedere la realtà. Manca la volontà politica di risolvere questo problema, basti pensare agli 80 milioni promessi per la messa in sicurezza degli acquedotti e mai stanziati. Non abbiamo certo timore di arrangiarci e lo faremo», prosegue Zaia, «ma non ci si può nascondere la considerazione che un limite nazionale avrebbe evitato svariati pesanti contenziosi, come sta già accadendo per gli scarichi industriali, dove la nostra Regione soccombe in quanto i ricorrenti hanno buon gioco nel sostenere che in questi casi non possono esistere limitazioni diverse da quelle nazionali».
inquinamento da pfas in venetoINQUINAMENTO DA PFAS IN VENETO

Galletti ha replicato che il decreto che sblocca gli 80 milioni è appena stato approvato. E il ministro della Salute, Lorenzin, ha risposto a Zaia che «questo rimpallo di responsabilità non è una buona cosa». Intanto nelle mense di alcune scuole del Vicentino comincia a venire servita soltanto l' acqua in bottiglia.

Fonte: qui

SI AVVICINANO LE ELEZIONI ED IL PD SI METTE A PARLARE DI TASSE, PER ESSERE SICURA DI PERDERLE

PADOAN PER INCENTIVARE I CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO VUOLE ALZARE LE IMPOSTE SU QUELLI A TERMINE (GENIALE) 

PRODI E VISCO RIEMERGONO DAGLI ANNI '90 COME CLAUDIA SCHIFFER PER PARLARE DI PATRIMONIALE E TASSA SULLA SUCCESSIONE

UN PRELIEVO NOTTURNO NO?

1. IDEA DEL GOVERNO: TASSARE IL LAVORO PADOAN VUOLE AUMENTARE I CONTRIBUTI SUI TEMPI DETERMINATI PER INCENTIVARE I CONTRATTI STABILI
Antonio Castro per 'Libero Quotidiano'

MARIA ELENA BOSCHI E PIERCARLO PADOANMARIA ELENA BOSCHI E PIERCARLO PADOAN
Un rincaro delle tasse sul lavoro. Per invitare "spintaneamente" le imprese a dirottare le assunzioni sul tempo indeterminato, sterzando decisamente dai contratti precari che vanno per la maggiore.

Nei primi 7 mesi del 2017 circa il 70% dei contratti attivati sono ristati a tempo parziale. E ora spunta l' ipotesi che per correggere questa rotta si voglia agire sulla leva fiscale. L' ultima trovata che galleggia tra Palazzo Chigi, via Flavia e via XX Settembre - in attesa di allestire una legge di Stabilità per il 2018 - è di favorire le assunzioni a tempo indeterminato con un ulteriore salasso sui contratti a termine.
CARLO CALENDA PIER CARLO PADOANCARLO CALENDA PIER CARLO PADOAN

Un disincentivo, insomma, già previsto - tra l' altro - per i contratti precari, che potrebbero lievitare dall' 1,4% attuale a un tondo 2,8% in più Ma siamo ancora nel campo delle ipotesi. Se passasse questa linea si arriverebbe ad un un netto rialzo dell' aliquota contributiva aggiuntiva (1,4%) oggi prevista nei contratti a tempo determinato e destinata ad alimentare in parte la cassa per pagare i periodi di disoccupazione, vale a dire la Nuova assicurazione sociale per l' impiego (Naspi).

Dal governo, al momento, non c' è conferma. Perdipiù giusto l' altro ieri il viceministro all' Economia, Enrico Morando (che solitamente segue i lavori d' Aula della legge di Stabilità), aveva ipotizzato agevolazioni - forse per un plafond di 1/2 miliardi - per favorire le assunzioni dopo il periodo di apprendistato anche dei lavoratori ultre i 29 anni. Il problema è che oggi le regole europee non consentono di applicare il bonus giovani a chi ha più di 29 anni.

DALEMA PADOANDALEMA PADOAN
Secondo la tesi di Morando se l' assunzione a tempo indeterminato facesse seguito al contratto di apprendistato si potrebbe ottenere un po' di flessibilità da Bruxelles. E concedere quindi l' agevolazione contributiva (aliquota è al 10% che resta all' 11,65% in caso di stabilizzazione per 12 mesi).

Un 29enne assunto con contratto di apprendistato può rimanere in azienda fino a 34 anni con uno sgravio triennale. Proprio il contratto da apprendista ha avuto nel primi 7 mesi 2017 una crescita esponenziale (+31%). E questo allargamento dei parametri di precettazione potrebbe aprire le porta alla stabilizzazione di migliaia di lavoratori. Tra gennaio e luglio sono stati assunti - stando ai dati dell' Osservatorio sul precariato diffusi dall' Inps - in 52mila.

renzi padoan gentiloniRENZI PADOAN GENTILONI
L' ipotesi che venga aumentato il prelievo contributivo per scoraggiare i contratti a termine sembra trovare consenso in gran parte del fronte sindacale. La Cisl dichiara apertamente il proprio sostegno, mentre la Uil va oltre.

 E fa di conto: «L' attuale contribuzione aggiuntiva dell' 1,4%, non è sufficiente a rendere il tempo indeterminato concorrenziale rispetto al contratto a termine. Se l' idea», scandisce il segretario confederale della Uil, Guglielmo Loy, «è quella di incentivare contratti stabili, intanto occorrerebbe partire da un aumento sostanziale e strutturale del costo dei contratti temporanei». La Uil ha calcolato che su un rapporto di lavoro l' aggravio «del tempo determinato non va oltre 1.750 euro».

Attualmente, sempre secondo la Uil, il costo del lavoro, annuo, per un contratto a tempo determinato è mediamente di 35.938, contro i 34.187 di un contratto a tempo indeterminato, senza esoneri contributivi (preso a riferimento un lavoratore con reddito medio lordo di 24 mila euro annui, 1.846 euro mensili).

A dirla tutta con l' introduzione del Jobs Act i famosi contratti "a vita" non esistono più. O meglio sopravvivono solo per i vecchi assunti che nel frattempo non abbiano cambiato lavoro e tipologia contrattuale. Ma se ben 3 nuovi contratti su 4 sono precari c' è da interrogarsi, piuttosto, sul clima di incertezza del Paese.
PADOAN GENTILONI1PADOAN GENTILONI1

Non a caso anche il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, proprio ieri ha incoraggiato i governi più che a concedere incentivi a «creare occasioni di lavoro». Soprattutto per i giovani che non vogliono, ha puntualizzato Draghi intervenendo al Trinity College di Dublino, «vivere di sussidi. Vogliono lavorare e ampliare le proprie opportunità di vita», spiega l' ex governatore di Bankitalia che cita tra i Paesi più indietro proprio l' Italia, il cui tasso di disoccupazione per gli under 25 a luglio era al 35,5% per gli under 25 (in media 11,3%).


2. IL CENTRO-SINISTRA(PD) DEI VAMPIRI: VOGLIONO LA PATRIMONIALE E DISTRIBUIRE LE EREDITÀ
Antonio Signorini per 'il Giornale'

Metti una mattinata alla Camera dei deputati con Romano Prodi e Vincenzo Visco a parlare di tasse e futuro.

Quello che viene fuori è un film horror per i contribuenti. Tanta nostalgia del passato, esorcizzata dalla proposta di una tassa sui robot e due mazzate sempreverdi quali patrimoniale e tassa di successione. L'ex premier e l'ex ministro delle Finanze, si sono dati appuntamento per presentare il «Manifesto contro la disuguaglianza» del Nens e di Etica ed economia.

prodi dalema veltroni ciampi visco festeggiano l'ingresso nell'EuroPRODI DALEMA VELTRONI CIAMPI VISCO FESTEGGIANO L'INGRESSO NELL'EURO
Il pensatoio che fa riferimento a Visco ha elaborato una proposta pronta all'uso: imposta progressiva sul patrimonio complessivo, mobiliare e immobiliare, che escluda i patrimoni di minore consistenza, e con aliquote basse non superiori all'1%.

Poi la riforma delle imposte di successione con l'esenzione dei piccoli patrimoni fino a un milione e aumentando le aliquote sugli altri, con consistenti incentivi alla distribuzione dei patrimoni trasmessi in eredità anche fuori dalla cerchia familiare. In altre parole, il governo sognato da Visco, dovrebbe incentivare i padri a non dare i soldi ai figli. Non spiega a chi dovrebbe distribuirli.

Seguono proposte per tassare le società tipo Amazon. Linea sposata da Romano Prodi, che si è chiesto come mai certe idee facciano perdere le elezioni. «Avviene in modo sistemico». Tutto lineare e chiaro nella sala di Montecitorio. Fuori un po' meno. «I lupi perdono il pelo ma non il vizio», ha commentato Daniele Capezzone.

PRODI, VISCO, BERSANIPRODI, VISCO, BERSANI
Potrebbe passare per la boutade di una sinistra che sta scomparendo, ma non è così. Prodi si è riguadagnato una visibilità e un ruolo politico tra gli oppositori di Renzi. Visco non ha mai smesso di dettare la linea a quell'area, della quale fa parte Mdp, partito determinante in questa fase.

Oggi il consiglio dei ministri presenterà la nota di aggiornamento del Def. Visto che cambia la correzione del deficit, al Senato serve la maggioranza assoluta dei componenti e il voto della sinistra è indispensabile. Il rischio è che il governo, vista l'impossibilità di accontentare la sinistra con provvedimenti di spesa, faccia qualche concessione agli ex Pci a spese dei contribuenti. Magari con la promessa di una patrimoniale.

Le pressioni sul governo sono forti. Nei giorni scorsi il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan è andato in visita alla Cgil. Ma il sindacato della sinistra vuole segnali precisi già nel Def, ad esempio sulle pensioni. Posizione tanto politica da fare tornare sulla difensiva la Cisl, che ieri al Consiglio generale ha rinviato ogni protesta a dopo il confronto.

romano prodiROMANO PRODI
Sull'altro fronte, quello del rispetto dei vincoli di bilancio, ieri si è fatto sentire il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, che ha chiesto non posticipare la riduzione del debito. Obiettivo difficile visto che ieri è stata posticipato l'unico barlume di riduzione della spesa, la riforma Madia delle società partecipate. Una tempesta perfetta, dalla quale potrebbe uscire la patrimoniale che sognano Visco, Prodi, Mario Monti e un pezzo di Pd.

Fonte: qui
vincenzo viscoVINCENZO VISCO

IL PD BOICOTTA IL REFERENDUM PER L’AUTONOMIA DI LOMBARDIA E VENETO

SECONDO UNO STUDIO LEGHISTA, LE DUE REGIONI ACCAMPANO UN PRESUNTO “RESIDUO FISCALE” DI 60 MILIARDI: NEMMENO LE REGIONI TEDESCHE PIU’ RICCHE O LA CATALOGNA LASCIANO COSI’ TANTI SOLDI AI RISPETTIVI ERARI 
Giuliano Zulin per Libero Quotidiano

Come fanno certi sindaci del Pd a chiedere ai loro cittadini, lombardi e veneti, di non andare a votare il referendum per l' autonomia. Soprattutto in Veneto sono parecchi gli esponenti Dem che invitano all' astensione. Con motivazioni assurde. Del tipo che questo voto sarebbe l' anticamera per la secessione o che non bisogna tirare la volata a Zaia (e Maroni).

Quando però vai sui numeri i compagni non sanno più cosa dire. Tirano in ballo la riforma della Costituzione del 2001 (che volevano cambiare col referendum del 4 dicembre), sostenendo che le attribuzioni di competenze sono già previste. Peccato che qua, col referendum del 22 ottobre, non c' è in ballo un discorso solo di competenze. Ma di soldi. Danè, schei. Che mancano dal conto di lombardi e veneti.

I numeri, bene o male, li sappiamo: le due Regioni del Nord vantano un residuo fiscale enorme, sui 60 miliardi l' anno, nei confronti dello Stato centrale. Quattrini che lasciano la pianura padana sotto forma di tasse ma che non ritornano come servizi. Però se moltiplichiamo questa montagna di denaro per dieci anni emergono numeri mostruosi: il Veneto ha pagato a Roma la stratosferica cifra di 185 miliardi di euro nell' ultimo decennio, la Lombardia addirittura 584 miliardi. La cosa più scandalosa tuttavia è un' altra: nessuna altra Regione in tutta l' Unione Europa ha lasciato una cifra così enorme allo Stato centrale, nemmeno le ricche Regioni tedesche o la Catalogna che sta chiedendo l' indipendenza.

Lo studio che dovrebbe convincere qualunque indeciso è stato commissionato dall'europarlamentare della Lega Nord, Mara Bizzotto, e da Michele Bacco, ricercatore statistico già consulente della Cgia di Mestre. Ebbene, il Veneto accumula un residuo fiscale medio di 19,3 miliardi di pari a 13,1% del Pil, la Lombardia addirittura 57,6 miliardi per il 16,5% del Pil, mentre la Catalogna si ferma a 8,2 miliardi pari al 4,2% del Pil.

MARONI ZAIA REFERENDUMMARONI ZAIA REFERENDUM
«Ancora più impietoso è il confronto tra Italia e Germania. Le Regioni tedesche più industrializzate - spiega l' onorevole Bizzotto - pagano a Berlino un residuo fiscale ridicolo rispetto alle nostre: se, come abbiamo visto, il Veneto ha lasciato allo Stato centrale 185 miliardi e la Lombardia 584, in Germania il residuo fiscale ha raggiunto al massimo i quasi 51 miliardi della Baviera, i 37 del Baden-Wurttemberg, i 28 dell' Assia, i circa 21 del NordReno Westfalia.

referendumREFERENDUM
È evidente che gli abnormi residui fiscali di Veneto e Lombardia rappresentano dei casi unici in tutta Europa e probabilmente nel mondo. Come è possibile, con questi numeri, competere ad armi pari con le altre Regioni europee che pagano infinitamente meno allo Stato centrale e ricevono molti più servizi? In questi anni - continua l' europarlamentare leghista - è come se le nostre Regioni avessero corso i 100 metri con le zavorre di piombo ai piedi mentre le Regioni tedesche correvano con il turbo nelle scarpe».
EURO CENTESIMIEURO CENTESIMI

Tutt' altra musica invece per Veneto e Lombardia se potessero trattenere sul territorio, esattamente come fanno le province autonome di Trento e Bolzano, il 90% dei tributi erariali di Iva, Irpef, Irpeg, imposta ipotecaria, bollo e di registro, imposta di fabbricazione e sull' energia elettrica, accisa sulla benzina e sul gasolio, altre entrate erariali. Come fa il Pd a non capire che l' ingiustizia verso lombardi e veneti è grossa? È proprio la testardaggine nel negare l' evidenza che spinge alla secessione, non il contrario.

Fonte: qui

La vera ragione per cui i salari ristagnano: la nostra economia è ottimizzata per la finanziarizzazione

Persino un sito piuttosto conservatore come ZeroHedge pubblica un articolo in cui si denuncia il difetto di fondo della nostra economia: è ormai strutturata a vantaggio del capitale e della finanza, non del lavoro e della vera produzione di benessere. Per questo la quota salari nel mondo occidentale è in caduta libera: l’unico modo di guadagnare in questa situazione è spremere il sistema finanziario quanto più possibile.



Di Charles Hugh Smith, 8 settembre 2017

Il rapporto tra il monte salari e il PIL è in caduta libera, come diretta conseguenza dell’ottimizzazione della finanziarizzazione.

Il tallone d’Achille del nostro sistema socio-economico è la stagnazione secolare dei redditi da lavoro, vale a dire di stipendi e salari. Salari stagnanti rovinano tutti i settori della nostra economia: il consumo, il credito, le tasse e, forse ancor più importante, il tacito contratto sociale secondo cui i benefici degli aumenti di produttività e dell’aumentare della ricchezza dovrebbero essere distribuiti largamente, se non proprio equamente.
Questo grafico mostra che il declino della quota salari del PIL non è un problema recente, ma un trend che dura da 45 anni: nonostante qualche sparuto recupero, i lavoratori (ossia coloro che guadagnano attraverso un lavoro/impiego) hanno visto la loro fetta di PIL decrescere, a prescindere dalla situazione economica o politica.

Stipendi e salari come percentuale del PIL
La quota legata a stipendi e salari in percentuale sul PIL è declinata indipendentemente dalle condizioni macro, la domanda di lavoro è cresciuta solo durante il boom delle dot.com.



Data la gravità delle conseguenze di questa tendenza, gli economisti mainstream hanno sudato in ogni modo per spiegarla, nel tentativo di riuscire a invertirla. Le spiegazioni includono a volte l’automatizzazione, la globalizzazione/delocalizzazione, il prezzo alto degli immobili, il declino della competizione tra multinazionali (vale a dire il dominio di cartelli e di semi-monopoli), il sistema di istruzione inadeguato ai tempi, i bassi aumenti di produttività e via dicendo.

Ognuna di queste dinamiche potrebbe avere accentuato questa tendenza, ma nessuna rivaleggia con la forza dominante che ha fatto ristagnare i salari e aumentare l’iniquità di reddito e ricchezza: la nostra economia è ottimizzata per la finanziarizzazione, non per i lavoratori.

Ma che cosa significa che la nostra economia è ottimizzata per la finanziarizzazione? Significa che il capitale e i profitti finiscono nelle tasche di pochi grazie ai meccanismi creati dall’accesso asimmetrico alle informazioni, ai vantaggi e al credito a buon mercato – i motori della finanziarizzazione.

L’ottimizzazione consiste in una complessa sovrapposizione di sistemi collegati dinamicamente tra di loro: la banca centrale ottimizza il flusso di credito a buon mercato verso il settore bancario/finanziario, lo Stato centrale approva tacitamente il consolidamento di cartelli e semi-monopoli, e concede sconti fiscali mostruosi alle multinazionali, proprio mentre porta a livelli intollerabili le tasse e le imposte sui lavoratori e sui piccoli imprenditori.

La finanziarizzazione convoglia i benefici dell’economia verso coloro che hanno accesso agli opachi processi finanziari e ai flussi di informazioni, al credito a basso costo delle banche centrali e alle leve delle banche private. Insieme, questi elementi permettono ai finanzieri e alle multinazionali di ottenere a prestito il capitale necessario per acquisire e consolidare gli asset produttivi dell’economia, e di “commoditizzarli”, ossia trasformarli in strumenti finanziari che possono essere venduti e comprati sul mercato globale.

Questi asset “commoditizzati” includono i mutui, i prestiti agli studenti, e forze di lavoro specializzate che vengono “vendute” con i loro datori di lavoro oppure trasformate in oggetto di speculazione nel mercato globale. Una volta che un asset ha fatto questa fine, il flusso dei profitti va nella direzione di chi processa le transazioni, impacchetta e commercia questi asset globalmente.

Prendiamo per esempio i finanziamenti per comprare un’auto: i veri soldi non si fanno nell’incamerare gli interessi dei prestiti; il grosso guadagno si realizza lavorando e assemblando i prestiti in tranche che possono essere poi rivendute agli investitori sul mercato globale.

Per capire la finanziarizzazione possiamo chiederci: nella nostra economia, qual è la maniera più veloce, più semplice per guadagnare 10 milioni di dollari? È mettere in piedi un business basato sul lavoro di dipendenti per dieci o vent’anni?

Non prendiamoci in giro. La maniera più semplice per guadagnare 10 milioni di dollari è fare parte del team di una banca di investimenti che supervisiona un’acquisizione o una fusione aziendale da 10 miliardi di dollari, oppure investire denaro in una società di tecnologia che successivamente si quota in borsa.

E cosa ne dite della maniera migliore per guadagnare in fretta 100 milioni di dollari? La risposta è la stessa: sfruttare la vena aurifera di ricchezza finanziaria basata su asset “commoditizzati”, leva e credito.

La quota salari del PIL è in caduta libera come diretta conseguenza dell’ottimizzazione della finanziarizzazione. I soldi scorrono verso coloro che hanno capitale, credito ed esperienza nell’ottimizzare gli schemi finanziari. E quanto al vendere il proprio lavoro in un’economia ottimizzata per il capitale e le asimmetrie della finanza: non c’è spazio per il lavoro in un’economia come questa, salvo per le abilità tecniche/manageriali richieste dalla finanza per sfruttare i mercati.
Ecco quale è la spinta che porta all’aumento dell’iniquità nella distribuzione della ricchezza, come emerge dal grafico qui in basso.

Storia di due paesi
Quota di reddito lordo distribuita al 50% delle persone che guadagnano di meno (azzurro) e all’1% di quelle che guadagnano di più (rosso) negli Stati Uniti, 1962-2014. 

Fonte: qui

Europa. Il segno del declino in una mappetta.

Per le cose importanti non servono poi molte parole.

Da tempo l’Europa ha rinunciato alla produzione industriale, ritenendo solo qualche vestigia del passato splendore.

Tutti si sciacquano la bocca della ricerca pura e dell’innovazione che ci sarebbe in Europa, nella Unione Europea: ricerca e sviluppo cui sono destinati ogni anno decine e decine di miliardi di euro.

Ma quando poi si va al sodo, la realtà è qualcosa più che demoralizzante.

La ricerca pura che non passa a quella tecnologica conta relativamente poco.

Ma la ricerca e sviluppo che non arrivino al brevetto non servono che dare soddisfazione agli habitué delle statistiche, nonché prebende e sinecure ai sodali.

Ma quando poi si andasse a controllare quanti brevetti registrati siano stati venduti, ossia siano entrati nella produzione, si diventa depressi cronici. Oppure si evidenziano chiari segni di compulsione omicida.

Riportiamo qui la mappetta dei brevetti registrati. Dividete per dieci ed otterrete quella dei brevetti venduti.

Poi non ci si stupisca che la Cina galoppi mentre l’Europa è seduta a contemplare sé stessa. Gli europei si applaudono tra di loro e si reputano grandi persone: si appellano con titoli blasonati, ma usciti dal recinto del pollaio fanno una figura così misera che gli altri manco si curano di loro.

2017-09-20__Europa. Il segno del declino in una mappetta.__001

Nota.

Verrà poi il giorno in cui i responsabili europei dei fondi di ricerca e sviluppo saranno chiamati a rispondere dei loro sperperi.

Fonte: qui

FOMC: parte la exit stra­te­gy. Quali rea­zio­ni per i mer­ca­ti fi­nan­zia­ri?


Era as­so­lu­ta­men­te scon­ta­to un “nulla di fatto” sui tassi di in­te­res­se, al FOMC chiu­so­si ieri sera. Anzi, un mo­vi­men­to sui tassi sa­reb­be si­cu­ra­men­te stato de­sta­bi­liz­zan­te (mossa a que­sto punto at­te­sa per fine anno). Però, at­ten­zio­ne, que­sta volta qual­co­sa di un po’ più sor­pren­den­te c’è stato.
Par­lia­mo di bi­lan­cio FED. L’an­nun­cio era at­te­so, ma sul quan­do e sul come c’e­ra­no per­ples­si­tà. Ed in­ve­ce la Yel­len si veste da fal­chet­to e co­mu­ni­ca al mer­ca­to che la “sto­ri­ca” exit stra­te­gy può avere ini­zio. Da ot­to­bre, il bi­lan­cio FED ini­zie­rà a di­mi­nui­re. Quin­di i 4.500 mi­liar­di di dol­la­ri do­vran­no es­se­re visti come un TOP, da con­trap­por­re al “floor” dei 900 mi­liar­di nel 2008, sulla scia degli ac­qui­sti di Trea­su­ry e bond ipo­te­ca­ri va­ra­ti in ri­spo­sta alla crisi.
La me­to­do­lo­gia per di­mi­nui­re il Bi­lan­cio FED è fin trop­po sem­pli­ce ed ovvia. I ti­to­li in sca­den­za non sa­ran­no rin­no­va­ti. Quin­di man­che­rà sul mer­ca­to un com­pra­to­re MOLTO im­por­tan­te, fe­no­me­no que­sto che po­treb­be avere anche im­pat­ti psi­co­lo­gi­ci sul si­ste­ma (cosa che poi po­treb­be toc­ca­re un gior­no anche al­l’Eu­ro­zo­na). Il ritmo della di­mi­nu­zio­ne del bi­lan­cio FED sarà pari a circa 10 mi­liar­di di USD men­si­li (picco mas­si­mo pre­vi­sto in area 50 mi­liar­di al mese con un ritmo di cre­sci­ta di 10 mi­liar­di a tri­me­stre).
No­ta­te bene: la co­mu­ni­ca­zio­ne è im­por­tan­te ed ab­ba­stan­za “ri­vo­lu­zio­na­ria”, nel senso che è una ri­vo­lu­zio­ne per la po­li­ti­ca mo­ne­ta­ria USA. Ma allo stes­so tempo la Yel­len non ha vo­lu­to sor­pren­de­re trop­po il mer­ca­to, di­se­gnan­do in modo chia­ro il per­cor­so.
Si parte con 10 mi­liar­di al mese ed ogni tri­me­stre si in­cre­men­te­rà di 10 mi­liar­di fino ad un mas­si­mo di 50 mi­liar­di al mese. Tutto chia­ro, pro­gram­ma­to e tra­spa­ren­te. Ma pur sem­pre ri­vo­lu­zio­na­rio.
E poi, in per­fet­to stile Dra­ghi, la Yel­len am­met­te la ne­ces­si­tà di raf­fred­da­re l’e­co­no­mia che si sur­ri­scal­di (spe­cu­la­zio­ne com­pre­sa?) ma allo stes­so tempo, se lo sce­na­rio do­ves­se nuo­va­men­te de­te­rio­rar­si, nulla vieta un ri­tor­no al QE.
Ecco fatto, tutto al con­tra­rio di tutto, non si chiu­do­no le porte, tutto può suc­ce­de­re. Ed a co­man­da­re sarà an­co­ra la con­giun­tu­ra ma­croe­co­no­mi­ca ed i mer­ca­ti.
La do­man­da che tutti si pon­go­no ov­via­men­te è que­sta: con la par­ten­za della exit stra­te­gy,come ri­spon­de­ran­no i mer­ca­ti? In­nan­zi­tut­to la prima rea­zio­ne ce l’ab­bia­mo con il Dol­la­ro USA, che si raf­for­za par­ten­do dal buon li­vel­lo in area 1,20. E poi le borse? Beh, inu­ti­le dirlo. Es­sen­do al­l’in­ter­no di un vero e pro­prio espe­ri­men­to di po­li­ti­ca mo­ne­ta­ria, non è fa­ci­le fare delle pre­vi­sio­ni. Però que­sto gra­fi­co po­treb­be darci delle in­te­res­san­ti in­di­ca­zio­ni. E’ la cor­re­la­zio­ne tra il Bi­lan­cio FED e l’in­di­ce SP500.

Visto che la cor­re­la­zio­ne è così forte, di­mi­nuen­do il bi­lan­cio FED, non c’è il ri­schio che i mer­ca­ti cam­bi­no anche di­re­zio­ne dopo tanti anni, ap­pro­fit­tan­do delle nuove ten­den­ze della po­li­ti­ca mo­ne­ta­ria del FOMC? Lo sco­pri­re­mo solo vi­ven­do. In­tan­to non di­men­ti­chia­mo che con un’e­co­no­mia cosi glo­ba­liz­za­ta, po­treb­be es­se­re la somma di tutte le po­li­ti­che mo­ne­ta­rie delle varie ban­che cen­tra­li a fare la dif­fe­ren­za (visto che ad esem­pio BCE e BOJ non hanno certo mol­la­to il tiro), ma è al­tret­tan­to vero che poi, alla fine, sono sem­pre gli USA il mo­del­lo ed il ben­ch­mark per tutto il pia­ne­ta. Nel dub­bio, quin­di pren­der­si non trop­pe scom­mes­se po­treb­be anche non es­se­re sba­glia­to.
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