9 dicembre forconi: 02/01/17

mercoledì 1 febbraio 2017

Conti in rosso, la ricetta Ue: “Aumentate Iva, Imu e Tasi”

Per trovare i 3,4 miliardi richiesti dall’Europa Padoan vuole assecondare Bruxelles. Stangando consumi e casa.
Quella impegnata a contrastare sia gli eccessi rigoristi sia gli umori antieuropei e invece, anche nel 2017, con i movimenti populisti che crescono in tutta l’Unione e varie le elezioni alle porte, la ricetta proposta da Bruxelles è sempre la stessa. Per l’Italia si può sintetizzare così: tassare i consumi e la rendita per fare tornare i conti.
È da leggere in questo senso l’ultima disputa sull’aumento dell’Iva nata all’interno del governo e della maggioranza. Con il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che ha presentato nel menù di misure per la manovra da 3,4 miliardi anche un aumento dell’Iva, subito respinto dal segretario del Pd Matteo Renzi.
Non si tratta di un’idea di Padoan. È parte del menù di proposte avanzate dalla Ragioneria generale dello Stato quando gli è stato chiesto di trovare le risorse per cancellare l' 0,2% di extra deficit fatto dal precedente esecutivo. Per un motivo molto semplice: è in linea con le richieste dell’Europa. Proposta ieri bollata come irricevibile anche dal ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina.
Impraticabile anche perché a legislazione invariata un aumento dell’Iva è già in programma per il 2018. Anticiparlo di qualche mese farebbe incassare poco quest’anno e avrebbe effetti negativi sui conti del prossimo (si veda il Giornale del 17 gennaio). Eppure era la carta che Padoan aveva deciso di giocare.
Il motivo è che è una soluzione particolarmente gradita alla Commissione europee e al Consiglio. L’Ue dà delle indicazioni precise nelle «Raccomandazioni specifiche per paese». Difficile sfuggire, soprattutto per un paese costantemente in mora a causa dell’elevato debito pubblico come l’Italia.
Nelle ultime è scritto chiaramente che dobbiamo «trasferire il carico fiscale dai fattori di produzione al consumo e al patrimonio».

In altre parole aumentare l’Iva e tassare i patrimoni. L’Ue non vede di buon occhio la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia decisa di anno in anno dall’Italia. Meglio fare scattare l’aumento dell’Iva e delle accise, anche perché il costo delle merci in un periodo di bassa inflazione è l’ultimo dei problemi.
Ma non c’è solo l’Iva nelle ricette che l’Europa vede di buon occhio. Nelle raccomandazioni del 2016 il Consiglio europeo (ma la Commissione è sulla stessa linea) critica la decisione di Renzi di abolire quella che nelle raccomandazioni, con uno slancio di onestà, viene definita «l’imposta patrimoniale sulla prima casa». Cioè Imu e Tasi, eliminate sull’abitazione principale.
Non è un caso che nel menù uscito dal ministero dell’Economia giorni fa ci fosse anche il ritorno della tasse sulla prima casa o una rimodulazione di quelle diverse dalla prima, magari seguendo qualche criterio di progressività. Una linea che l’Ue continua a perseguire con caparbietà, ma che potrebbe accelerarne la crisi di tutte le istituzioni europee.

Fonte: Il Giornale

Fmi: "In Italia debito alto, tasse non possono scendere"


Vanno ricostruiti ''cuscinetti'' sui conti(
insomma vogliono altre tasse!)

Ansa- L'Italia e' un ''tipico esempio di Paese con un alto rapporto tra Pil e debito pubblico'': ''e' una nazione che ha poco o niente spazio fiscale''. 
Lo afferma il Fmi, sottolineando che ''la principale sfida per l'Italia e' la ricomposizione di 'cuscinetti' di bilancio al fine di perseguire una politica fiscale ben ancorata in una strategia di medio termine''.
La questione del debito, comunque, interessa tutta l'area euro. Il Fondo rileva che e' salito da una media sotto al 60% del Pil agli inizi degli anni 1990 a oltre il 90% nel 2015. Nel working paper 'Fiscal Policy in the Euro Area', si sottolinea che l'aumento è stato ''pronunciato nel 2009 e nel 2010, al picco della crisi''.

Se Trump introdurrà dazi crollerrano di quasi la metà le esportazioni cinesi negli USA

Se Donald Trump, come promesso durante la campagna elettorale, alzerà i dazi doganali sulle importazioni delle merci cinesi al 45%, le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti scenderanno del 39,1%, con un danno da 149 miliardi di dollari per l'economia cinese.

Lo ha scritto l'agenzia di stampa sudcoreana Yonhap, riferendosi al rapporto pubblicato nella giornata di ieri dal centro per le ricerche economiche della compagnia automobilistica Hyundai (Hyundai Research Institute, HRI): "Trumpeconomics ed impatti sull'economia della Cina".
Secondo il modello degli economisti sudcoreani, un incremento del dazio sulle merci cinesi dell'1% porterà ad una diminuzione delle vendite dello 0,93%. Pertanto se i dazi americani sulle importazioni dalla Cina saranno fissati al livello del 15%, le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti si ridurranno per volumi dell'11,2% o in termini valutari di 42,7 miliardi di dollari rispetto al triennio 2012-2015. Se i dazi saliranno al 30%, le esportazioni sono diminuiranno del 25,1% (96,6 miliardi $).
Nel caso di un'aliquota doganale al 45%, la perdita dell'economia cinese sarà pari a 149 miliardi di dollari.
Le intenzioni degli Stati Uniti di aumentare il livello dei dazi doganali sulle merci cinesi derivano dal persistente squilibrio della bilancia commerciale tra i due Paesi. Dal 2007 la Cina è al primo posto nella lista dei maggiori esportatori negli Stati Uniti. Nel 2015 la quota cinese nelle importazioni americane era stata pari al 21,5%. Allo stesso tempo il saldo nella bilancia commerciale della Cina con gli Stati Uniti è cresciuto dai 29,8 miliardi $ nel 2000 ai 266 miliardi di dollari nel 2015, mentre nella quota delle esportazioni è cresciuta la quota dei prodotti semilavorati (dal 24,6% del 2005 al 28% nel 2015). Allo stesso tempo il valore aggiunto di cui la Cina ha beneficiato per soddisfare la domanda degli Stati Uniti è aumentato dai 17,8 miliardi di dollari del 2000 ai 97,9 miliardi di dollari nel 2011.
In risposta a questa situazione sono cresciuti negli ultimi anni le barriere protettive statunitensi. Così se tra il 2012-2014 le misure antidumping applicate alle merci cinesi sono state applicate in media 5 volte l'anno, nel 2015 e il 2016 si sono registrati 12 e 8 casi rispettivamente.
Se in questo contesto verranno alzati i dazi doganali, ci sarà un'ulteriore riduzione delle esportazioni cinesi e un rallentamento della crescita del Pil cinese, così come un impatto negativo sull'economia della Corea del Sud.
Secondo gli analisti del centro di ricerche economiche della Hyundai, le imprese della Corea del Sud che operano in Cina dovranno diversificare le proprie rotte di esportazione verso il Sud-Est asiatico, l'America Latina ed altre regioni. Per coloro che hanno difficoltà a muoversi e trasferire la produzione, occorrerà cercare nuove opportunità per l'attuazione dei piani di sviluppo nel medio e lungo termine promossi dalla leadership cinese.

Fonte: qui

Migranti, spesa fuori controllo: i minori ci costano un miliardo

Allarme dei sindaci: tremila euro al mese a testa. Nel 2016 27mila ingressi

Roma – Il grido d’allarme arriva da decine di sindaci sparsi su tutto il territorio. I costi per i minori stranieri non accompagnati stanno diventando insostenibili per i Comuni italiani.
Le cifre sono in costante crescita. Nel 2016 la spesa ha superato il miliardo di euro, il costo giornaliero – tra la quota sostenuta dallo Stato e quella dai Comuni – si aggira mediamente sui 100 euro al giorno a ragazzo, quindi circa 3mila euro al mese.
Se si considera che solo nel 2016 gli ingressi hanno superato quota 27mila si può comprendere la drammatica dimensione del fenomeno (più 15mila ingressi rispetto al 2015). Il costo per la loro accoglienza è altissimo e va a gravare in buona parte sui Comuni con bilanci sempre più in sofferenza o addirittura costretti al dissesto. La spesa a persona (può arrivare anche a 120 euro) è molto più alta rispetto a un maggiorenne: 45 euro vengono rimborsati dal ministero degli Interni, la parte restante grava sugli enti locali che garantiscono un letto, il cibo, la scuola, i vestiti, gli educatori, la sorveglianza. Una montagna di soldi che, come sempre, accende interessi.
Il 91,8% dei minori ha un’età compresa tra i 15 e i 18 anni (spesso non si riesce a stabilire se siano davvero minorenni). La stragrande maggioranza il 94% – è di sesso maschile. Tra le cinque nazioni di provenienza più rappresentate è in testa l’Egitto, seguito da Gambia, Albania, Eritrea e Nigeria. Il Meridione li accoglie più del Nord: in Sicilia e Calabria quasi il 50% dei beneficiari, seguite dall’Emilia Romagna (6,2%), Lombardia (6,1%), Lazio (5,9%), Puglia (5,9%) e Campania (4,5%). I rimpatri sono pochissimi. Una legge approvata alla Camera prevede l’istituzione della figura del tutore legale con la creazione di un apposito albo (e rende difficile una indagine per definire la vera età). In sostanza l’Italia si avvia ad essere lo Stato che paga di più in Europa per i minori non accompagnati. «Sono tanti i sindaci di Forza Italia che si battono per porre fine a una situazione assurda» dice Alessandro Cattaneo. «Molti di loro hanno persino subito diffide e denunce per la sola colpa di alzare il velo su una situazione allucinante».
In Emilia due amministrazioni Pd come Bologna e Faenza hanno sollevato il caso dei ragazzi albanesi. «Questi ragazzi raccontava mesi fa il sindaco di Faenza, Giovanni Malpezzi non sono abbandonati ma addirittura accompagnati nel nostro territorio. Vengono per studiare e al compimento del 18° anno hanno il permesso di soggiorno. Perché questo college deve essere pagato dallo Stato italiano?».

Fonte: qui