TRIA MOSCOVICI
Mano tesa dell'Europa all'Italia dopo la bocciatura sulla manovra. Il dialogo resta comunque aperto anche in attesa dell'incontro, sabato, tra il premier Giuseppe Conte e Jean-Claude Juncker. "La nostra porta resta aperta - dice il commissario Ue Pierre Moscovici - e sono convinto che potremo trovare un accordo su soluzioni condivise nell'interesse degli italiani e della zona euro. E' un percorso impegnativo ma praticabile e io ci voglio credere". "Il nostro fine non è quello di sanzionare le autorità italiane, nè di interferire negli affari interni del Paese", scrive Moscovici. "E' nell'interesse di tutti continuare a dialogare e andare avanti nella ricerca di soluzioni comuni". A Bruxelles, sottolinea Conte, "spiegheremo le nostre ragioni e ci confronteremo molto serenamente in modo spero molto costruttivo. Ho varie argomentazioni e le esporrò dettagliatamente". A dirlo a Locri il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
CONTE SALVINI DI MAIO
"Le misure partiranno nei tempi previsti, quota 100 partirà nei primi mesi del 2019 insieme al reddito di cittadinanza e significa dare alle imprese la manodopera qualificata che aumenterà gli investimenti". Lo afferma il vicepremier Luigi Di Maio, aggiungendo che "noi dobbiamo provare un dialogo a oltranza con tutti i commissari europei, con la commissione per spiegare la bontà di queste misure ma soprattutto per spiegare che la manovra può migliorare sopratutto nel taglio agli sprechi", aggiunge Di Maio.
"Di tagli ne possiamo fare di più, perché non abbiamo completato in 5 mesi di governo tutte le istruttorie che servivano per tagliarli tutti", spiega di Maio arrivando al Wow business summit di Samsung a Milano. La manovra "può migliorare per quanto riguarda la dismissione di immobili inutili: questo è un Paese che ha accumulato un patrimonio pubblico di immobili, asset secondari che si possono vendere. Può migliorare - aggiunge il vicepremier - rafforzando l'impegno sul 2,4 per cento di deficit che abbiamo preso: si parte col 2,4 e si arriva al 2,4. Capisco che la Commissione europea ha paura che questo governo si possa comportare come governi precedenti, cioè con la truffa dei numeri. I governi precedenti dicevano facciamo solo 1,8% di deficit all'inizio dell'anno e poi alla fine arrivava altro deficit, il che significa indebitare ulteriormente il Paese", conclude Di Maio rispondendo ai giornalisti.
PIERRE MOSCOVICI
"Quando dico che i mercati capiranno non dico che dovranno farsene una ragione - ha detto ancora Di Maio -, dico che questi sono stati giorni di tensione con Bruxelles, stava per arrivare la procedura di infrazione, sono giorni in cui la manovra è ancora in discussione quindi si può avere il timore che possa partire un emendamento in aula che possa peggiorarla", aggiungendo che "quando la manovra sarà approvata definitivamente entro fine anno e si vedranno le nuove misure tutti capiranno".
LUIGI DI MAIO PING PONG
"In quegli anni il tema di Berlusconi è che aveva perso qualsiasi credibilità: certo mi fa riflettere il fatto che un partito, Forza Italia, che è stato buttato giù dallo spread oggi tifi spread", ha detto poi Di Maio rispondendo a una domanda sull'ipotesi che non tema che l'attuale governo possa avere il destino dell'ultimo di quelli guidati dal leader di Forza Italia e aprire le porte a un 'nuovo Monti'. "Ho visto anche gli interventi in aula in questi giorni dei capigruppo dell'opposizione che stanno lì a dirci che dobbiamo semplicemente ripiegare e tornare indietro", aggiunge Di Maio spiegando che quando la manovra sarà approvata definitivamente i mercati capiranno "che non stiamo sprecando soldi, ma stiamo portando avanti le misure per fare ripartire l'Italia".
"Noto con piacere che lo spread è calato di decine di punti in queste ore, quindi chi sta leggendo attentamente la Manovra si sta rendendo conto che l'economia italiane è sana", ha detto il ministro dell'Interno Matteo Salvini, in Sardegna per la seconda giornata del suo tour nell'Isola, incalzato dai cronisti sui richiami da parte del Bruxelles per la Manovra italiana.
"Io ho a cuore i risparmi e il lavoro degli italiani, con l'Europa siamo educati e ragionevoli ma senza retrocedere: un conto, infatti, è essere cauti, educati e ragionevoli, un conto è retrocedere. Passi indietro non se ne fanno", ha detto ancora Salvini rispondendo ai cronisti sulla 'cautela' di Di Maio nel confronto con l'Ue sulla Manovra italiana. "E Se Bruxelles continua a dire che la legge Fornero non si tocca, non mi convincerà mai", ha concluso.
LA LEGGE SI APPLICA PER I NEMICI E SI INTERPRETA PER GLI AMICI
L’ITALIA NON È L’UNICO PAESE A NON ESSERE CONFORME ALLE REGOLE EUROPEE DI BILANCIO, EPPURE SPAGNA, FRANCIA, GERMANIA(SURPLUS EXPORT), BELGIO, PORTOGALLO E SLOVENIA VENGONO GRAZIATE DA BRUXELLES
E DI TUTTO CIO' DOBBIAMO RINGRAZIARE SALVINI E DI MAIO PER TUTTI GLI INSULTI CHE HANNO ROVESCIATO SU JUNCKER, MACRON E MOSCOVICI (POI NON PUOI CHIEDERE FAVORI)
SÁNCHEZ CI HA PROVATO, MA NEMMENO LA SPAGNA È PROMOSSA DALL' UE
MAURIZIO MARTINA PEDRO SANCHEZ
Difficile resistere al vizio di apparire più belli, più giovani, più intelligenti, più bravi. Dalla matrigna di Biancaneve a Faust giù giù sino al primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, siamo tutti tentati. Quando un mese fa il leader socialista arrivò a Milano per appoggiare il Pd ebbe gioco facile nel presentarsi come alternativa politica all' ondata populista nostrana: attento ai poveri, ma al tempo stesso rispettoso dei patti finanziari con l' Ue.
PEDRO SANCHEZ AL MARE
Da vero primo della classe raccontò al Corriere che la sua previsione di deficit all' 1,8% sarebbe bastata non solo ad abbassare il debito di due punti, ma avrebbe anche permesso una graduale ricostruzione dello Stato Sociale. Stipendio minimo più alto, pensioni più generose e via dicendo.
Per conto delle istituzioni comunitarie, però, «Babbo Natale Moscovici» ha mandato anche a Madrid e non solo a Roma, una lettera di richiamo. Contemporaneamente hanno scritto anche il Fondo Monetario Internazionale e l' Ocse.
TRIA E MOSCOVICI
Per tutti le previsioni di Sánchez sono, come dire?, abbellite: le entrate saranno minori e le uscite peseranno di più. Per ironia dei numeri, i grilli parlanti ipotizzano un deficit 2019 pari al 2,4% del Pil, esattamente quello proposto dai monellacci nostrani. Certo, le «trasgressioni spagnole» sono «significative», ma non «gravi» come le italiane.
La questione però resterà linguistica. Sánchez, arrivato al governo senza una vera maggioranza, non avrà probabilmente i voti per approvare un suo bilancio 2019. Né in linea con l' Europa né contro. Semplicemente gli manca l' appoggio catalano, congelato in attesa della scarcerazione dei leader indipendentisti. Sarà costretto all' esercizio provvisorio e a governare per decreto fino alle prossime elezioni.
ANGELA MERKEL E MARITO IN SPAGNA CON PEDRO SANCHEZ E MOGLIE
Come il governo giallo-verde italiano anche quello spagnolo aspetta il voto europeo e poi il momento più vantaggioso per chiarire alle urne qual è la maggioranza che deve governare e come. Per il momento, ogni promessa, anche irrealizzabile, serve soprattutto ad apparire, non ad essere.
PARIGI E MADRID SFORANO. BRUXELLES LE GRAZIA
PIERRE MOSCOVICI
Nonostante la prevedibile bocciatura del Documento programmatico di bilancio italiano abbia occupato gran parte della scena mediatica, in realtà nella giornata di mercoledì la Commissione europea ha emesso il proprio parere sui testi inviati da tutti i 19 Paesi dell' eurozona. Sfogliando i giudizi redatti da Bruxelles, si scopre che non è tutto rose e fiori, anzi.
Per ciascuno degli Stati membri, la Commissione ha emesso un giudizio di conformità riguardo al rispetto dei criteri imposti dal Patto di stabilità e crescita: un deficit (ovvero la differenza tra le entrate e le uscite dello Stato al netto degli interessi sul debito) non superiore al 3% sul Prodotto interno lordo, e un debito pubblico non superiore al 60% del Pil.
DI MAIO SALVINI
Per quei Paesi che eccedono quest' ultimo limite, i tecnici verificano che il debito diminuisca a una velocità sufficiente. È la cosiddetta «regola del debito», ovvero la norma che definisce numericamente il ritmo di avvicinamento al valore soglia (ovvero 1/20 all' anno della parte eccedente il 60%).
Dei Paesi esaminati, dieci risultano totalmente conformi (Austria, Cipro, Finlandia, Germania, Grecia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Malta e Paesi Bassi) e tre parzialmente (Estonia, Lettonia e Slovacchia). Tra gli Stati membri a rischio, troviamo invece Belgio, Francia, Portogallo, Slovenia e Spagna. L' Italia, come ben sappiamo, è stata giudicata «gravemente non conforme», e rappresenta l' unico Paese per il quale la Commissione ha richiesto espressamente al Consiglio l' apertura di una procedura per disavanzo eccessivo.
IL PALAZZO DELLA COMMISSIONE EUROPEA A BRUXELLES
Spulciando i report che riguardano gli Stati a rischio, ci si imbatte in parole poco tenere. Guardiamo ad esempio al Belgio, Paese che al pari del nostro lo scorso maggio ha ricevuto dalla Commissione una «tirata d' orecchi» sui conti pubblici. Non solo il piccolo reame che ospita la Commissione si accinge a violare gli obiettivi di medio-termine (Omt) di finanza pubblica per il biennio 2018-2019, ma a non è essere rispettato risulta anche il percorso di riduzione del debito.
Il Belgio, lo ricordiamo, è l' unico Paese, insieme all' Italia, alla Grecia e al Portogallo, che presenta un debito in tripla cifra (103,4% nel 2017). La Slovenia, nonostante l' elevata crescita (4,3% nel 2018 e 3,3% nel 2019, secondo l' Autumn forecast della Commissione), risulta a rischio per l' eccessivo incremento della spesa pubblica. Sotto la lente per lo stesso motivo anche il Portogallo, che rischia di sforare gli obiettivi indicati da Bruxelles. Meritano un discorso a parte, invece, Madrid e Parigi.
PEDRO SANCHEZ PABLO IGLESIAS
La Spagna è l' unico Paese, al momento, che risulta ufficialmente sotto procedura per disavanzo eccessivo. Un iter iniziato addirittura nel lontano 2009 e non ancora giunto al capolinea. Nel 2018 il deficit dovrebbe attestarsi al 2,7% (molto vicino alla soglia massima consentita), ma l' anno prossimo il governo stima che cali all' 1,8%.
Ottimismo non condiviso dalla Commissione, che invece lo prevede al 2,1%. Nel report si denuncia come la Spagna sia non solo «a rischio di una significativa deviazione dal percorso previsto di aggiustamento degli obiettivi di budget a medio termine», ma anche in ritardo con il programma di riduzione del debito. Una nota grottesca a margine è rappresentata dai «pasticci» combinati dal governo iberico.
MACRON ALLA GOGNA - PROTESTE CONTRO IL PRESIDENTE FRANCESE
La Commissione lamenta di aver dovuto chiedere a Madrid nel mese di ottobre l' invio di una nuova bozza, in quanto la precedente mancava delle informazioni richieste dalla normativa e non dava una visione completa delle misure prese. Come se non bastasse, Bruxelles osserva che il testo revisionato manca del visto del Parlamento spagnolo.
La Francia, grazie alle misure «una tantum» riesce a farsi perdonare un rapporto deficit/Pil del 2,8% nel 2019 (dunque superiore a quello italiano), ma la Commissione sottolinea sia il rischio da una deviazione significativa dagli obiettivi di medio termine, che «progressi insufficienti» nel percorso di riduzione del debito, che è previsto attestarsi al 98,6% nel 2019. Nell' arco del decennio 2007-2018, il rapporto debito/Pil in Francia è cresciuto ben del 34%.
CONTE JUNCKER
Nonostante la scia di giudizi negativi, l' unico Stato per il quale Bruxelles ha richiesto l' avvio della procedura per disavanzo eccessivo risulta l' Italia. L' accusa, spiega la Commissione, è quella di aver violato la già citata regola del debito. In realtà, da quando nel 2015 è scaduta la moratoria di due anni concessa a seguito della chiusura della precedente procedura a carico dell' Italia (2009-2013), tale parametro è sempre stato sforato.
UOVO IN FACCIA A MACRON
Semplicemente, di volta in volta Bruxelles ha scelto di chiudere un occhio, esattamente come ha fatto stavolta con i paesi sopra menzionati. Cosa è cambiato stavolta? Nel caso di violazione della regola del debito, la Commissione può decidere di valutare alcuni «fattori significativi», come le famigerate riforme strutturali e le misure di natura economica e fiscale.
A finire nel mirino, in particolare, la revisione della riforma Fornero e, più in generale, le misure contenute nella manovra, considerate inefficaci per «affrontare la fiacca crescita potenziale dell' Italia» e la «persistente stagnazione della produttività». Tutte argomentazioni di natura prettamente politica. D' altronde, come diceva Giovanni Giolitti, la legge si applica per i nemici e si interpreta per gli amici.
“A QUESTO PUNTO BISOGNA CAMBIARE ANCHE IL GOVERNO, NON SOLO LA MANOVRA”
IL MINISTRO PAOLO SAVONA NON ESCLUDE LE DIMISSIONI ENTRO LA FINE DELL’ ANNO
L'UOMO CHE SPAVENTAVA BRUXELLES E I MERCATI, L'ESTENSORE DEL PIANO B DELL'USCITA DALL'EURO, IL TEORICO DEL “CIGNO NERO”, SI TRASFORMA NEL PRINCIPE DEI “RESPONSABILI”
MA DIETRO QUESTA INCREDIBILE METAMORFOSI CI SONO I DISSAPORI CON TRIA E L’IPOTESI DI…
LA METAMORFOSI DI SAVONA CHE ADESSO NON ESCLUDE LE DIMISSIONI
SERGIO MATTARELLA PAOLO SAVONA GIUSEPPE CONTE
«A questo punto non bisogna cambiare soltanto la manovra». Ormai s'è trasformato in una specie di star della Rete, ogni spiffero che arriva da lui genera clic su clic, su Twitter dilaga anche se lui non twitta, su Facebook anche se lui non «posta», forse persino su Instagram anche se non si mette in mostra.
Lo propongono indifferentemente per la segreteria del Pd o la guida di un governo tecnico, ne esaltano le retromarce, «Savona-Rola», «Indietro Savona» e via dicendo. Dietro il Savona 2.0, però, c'è l'originale, Paolo Savona, l'uomo che ha spiegato ai colleghi che «a questo punto bisogna cambiare anche il governo, non solo la manovra».
GIUSEPPE CONTE PAOLO SAVONA
È l' impossibile che diventa possibile, il clamoroso al Cibali, l'imponderabile che confonde la mente. L'uomo che spaventava Bruxelles, l' estensore del piano B dell' uscita dall' euro, il teorico del «cigno nero», la personificazione di tutti gli incubi veri o presunti di un' Italia da indirizzare verso una versione tricolore della Brexit si trasforma nel principe dei «responsabili». In colui che s' è convinto che i rischi di uno scontro con l' Europa sono superiori alle opportunità. Talmente convinto dall' essere di fatto il primo ministro del governo Conte ad aver messo sul tavolo nientemeno che l' ipotesi delle dimissioni.
PAOLO SAVONA
Perché Savona pensa questo, ormai. Che il governo vada cambiato. «Credimi, Matteo. Un conto è che certe cose le leggi sui giornali. Altre cose è sentirle dal diretto interessato. Per Savona, insomma, siamo al capolinea», spiegava l'altro giorno uno dei ministri leghisti a Salvini in persona. E Salvini, gelido: «Lo so, ci ho parlato».
Persino le tante malelingue di Palazzo, che nelle settimane passate avevano iniziato a far passare i mugugni di Savona per un tentativo di accreditarsi a sostituire Giovanni Tria al ministero dell'Economia, sono spiazzate. Certo, il rapporto tra il titolare delle Politiche comunitarie e l'uomo che lui stesso aveva indicato per via XX settembre s'è incrinato. E, per usare l' efficace sintesi che un ministro attribuisce a Conte in persona, «Tria s'è tramutato in Savona e Savona in Tria».
LUIGI DI MAIO GIUSEPPE CONTE MATTEO SALVINI GIOVANNI TRIA
L'eterodosso professore vicino al centrodestra e amico di Renato Brunetta s'è trasformato nel custode dell'ortodossia gialloverde, pronto a trattare fino all'ultimo pur di non toccare la manovra. E il custode dell'ortodossia gialloverde - l'uomo del «non esiste l'Europa ma solo una Germania circondata da pavidi», il granitico assertore che «quelli che oggi si dicono europeisti sono solo anti-italiani» - diventa una specie di cavallo di Troia europeista spuntato come un fungo all' interno di Palazzo Chigi. E dire che dopo l'estate, quando Tria aveva frenato sul reddito di cittadinanza, al primo consiglio dei ministri Savona l'aveva punzecchiato.
«Professor Tria, che cosa dicono i suoi amici in Europa?». Ora è tutto diverso. A centosettantacinque giorni dalla nascita del governo, che stava per non nascere proprio per il braccio di ferro tra Salvini e il Colle sul suo nome, Savona sembra sventola bandiera bianca per tutti.
IL MINISTRO GIOVANNI TRIA
Su un punto amici e detrattori sono d'accordo. Savona sta giocando una partita «alla Cossiga», si mormora a Palazzo evocando genio e sregolatezza degli ultimi vent'anni di vita dell' ex presidente della Repubblica, che il ministro ha sempre considerato, l'altro era Guido Carli, uno dei suoi due maestri. E di Cossiga, ieri l'altro, Savona ha citato una frase: «L'economia è un grande imbroglio politico». Chi lo conosce bene giura che abbia previsto per gennaio, quando ci saranno le aste Btp più importanti, il «momento più delicato» per l'Italia. Ecco, in «quel momento più delicato» lui non ci sarà. O riesce a scongiurarlo prima, non si sa come. Oppure lo guarderà da lontano.
LUIGI DI MAIO GIUSEPPE CONTE MATTEO SALVINI GIOVANNI TRIA
IL SILENZIO DI SAVONA AGITA IL GOVERNO
Se decidi di andare alla guerra, dovresti andarci con un esercito compatto, con una strategia efficace e pienamente condivisa, e senza liti nel comando militare. Di tutta evidenza, l'Italia è stata trascinata dalla Commissione Ue in una contesa (più politica che tecnica) che durerà molti mesi, e sarà carica di incertezze. Purtroppo però, per il momento, non è ancora chiaro, al di là delle prime risposte fornite dal governo, quali siano le carte che l' esecutivo intenda effettivamente giocare, salvo la questione degli investimenti in infrastrutture.
GIUSEPPE CONTE NELLE VILLE CASAMONICA
Sono invece evidenti i dissapori e le tensioni, non solo le differenze tutte politiche già emerse nei giorni scorsi tra Lega e 5 stelle. In ogni caso, la prima carta da giocare si conosce, ma non la si può gridare ai quattro venti. È infatti abbastanza chiaro che le misure più onerose incluse nella manovra (l' intervento sulle pensioni e il reddito di cittadinanza) possano essere modulate in molti modi, e saranno realisticamente diluite nel tempo, a maggior ragione in considerazione dei veicoli legislativi (non ultraveloci) che sono stati prescelti: insomma, non scatteranno il 1° gennaio.
SALVINI MATTARELLA
Questo vuol dire che, spostando l'operazione in avanti di qualche mese, è davvero possibile risparmiare almeno tre dei miliardi teoricamente stanziati, e quindi restare sotto l'asticella del 2,4% , in termini di rapporto deficit/Pil. Il problema è che annunciare la dilazione in modo esplicito sarebbe elettoralmente costoso: ma è auspicabile che - almeno a porte chiuse - il ministro Giovanni Tria sia stato chiaro al riguardo con i suoi interlocutori europei
La seconda carta ha a che fare con la Costituzione, che non impone il «pareggio di bilancio», come si continua a leggere qua e là, ma un meno rigido e ossificato «equilibrio di bilancio». Non è una distinzione di lana caprina: la seconda formula offre ai governi un margine di manovra che è stato sempre sfruttato.
RENZI E GENTILONI
Non a caso, nelle ultime quattro leggi di bilancio (targate Renzi e Gentiloni), il rapporto deficit/Pil è stato del 3, del 2.6, del 2.5 e del 2.4%. Non si vede dunque perché il 2.4 di quest' anno debba creare scandalo. La terza carta ci sarebbe, ma - inutile nasconderlo - è una cartina tornasole delle tensioni, dicono alcuni tutt' altro che sopite, tra il ministro Tria e molti altri membri dell' esecutivo, a partire dal più autorevole, il ministro Paolo Savona.
Nel negoziato con l' Ue potrebbe infatti essere decisivo valorizzare il tema degli investimenti, su cui Savona ha pubblicamente espresso opinioni forti e coraggiose. Ma il Corriere della Sera attribuisce all' economista anche altre, di opinioni: «Non si può più andare avanti così, non ha senso. E la manovra com' è non va più bene: è da riscrivere». Non risulta che al momento vi siano state smentite da parte dell' interessato. Ma cos' è che non può andare avanti? E in che direzione la manovra è da riscrivere? In attesa di un chiarimento dell' interessato, non c' è certezza.
PAOLO SAVONA COL SUO LIBRO
La quarta carta ha a che fare con gli immobili. Nella sua risposta a Bruxelles, il governo ha molto valorizzato l' ipotesi di procedure di valorizzazione e vendita di immobili pubblici, di asset di real estate da mettere sul mercato. Ma non si sa molto di lavori preparatori al riguardo: mesi fa circolò un documento di pregio, ma non risulta un lavoro intenso del governo sul dossier.
È noto che attività di quel tipo (valorizzazione e vendita) non si improvvisano, e non hanno tempi brevi. Anche su questo punto occorrerebbe chiarezza. E se il silenzio di Savona va interpretato come una forma ripicca nei confronti di Tria, forse va detto che la strategia è quanto meno rischiosa.
LA GERMANIA PREPARA LO SCUDO ANTI-ITALIA
LA ‘FAZ’ HA LETTO IL PIANO TEDESCO PER ISOLARE L’ITALIA IN CASO DI CONTAGIO FINANZIARIO: LINEE DI CREDITO DI EMERGENZA PER GLI ALTRI PAESI ‘SENSIBILI’ (SPAGNA, PORTOGALLO…) ANCHE SE NON RISPETTANO I REQUISITI STRINGENTI DEL FONDO SALVA STATI
PRAET (BCE): ‘LA MANOVRA ITALIANA HA PIÙ SPESA E POCHI INVESTIMENTI. NESSUNA ECONOMIA PUÒ SOSTENERE A LUNGO CERTI TASSI’
DONALD TUSK ANGELA MERKEL GIUSEPPE CONTE MOAVERO
Uno scudo anti Italia, uno strumento di pronto intervento per isolare dal contagio di Roma le economie dell'Eurozona. Secondo il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung - che ha visionato documenti del governo tedesco - Berlino lo vuole a tutti i costi e sta premendo per approntarlo in tempi brevi, visto che la situazione finanziaria italiana potrebbe sfuggire di mano e causare rialzi a catena dello spread in Spagna, Portogallo e altre economie sensibili finendo per provocare una crisi sistemica nell'area euro. Lo strumento c'è: è lo Esm, il fondo così detto Salva Stati presieduto dal tedesco Klaus Regling che ha in pancia una dotazione di 600 miliardi.
REGLING FONDO SALVA STATI
Si tratta di rimodulare uno dei suoi bracci armati, la linea di prestito denominata Pccl (Precautionary conditioned credit line), abbassandone la condizionalità in modo da metterlo a disposizione anche di paesi sostanzialmente solidi ma soggetti alle fibrillazioni di Roma.
Oggi la condizione per poter accedere alla concessione preventiva della linea di credito sarebbe l'esistenza di un contesto economico rassicurante: il debito pubblico non dovrebbe essere superiore al 60%, il deficit al 3%. Invece nell'eventualità che tali soglie fossero superate, come è il caso dell'Italia, il Paese interessato dovrebbe dimostrare di aver ridotto il debito pubblico di almeno mezzo punto percentuale annuo nei tre anni precedenti alla richiesta del credito. Non è la prima volta che il tema viene sollevato.
GIUSEPPE CONTE ANGELA MERKEL
Regling ne aveva parlato al termine dell'Eurogruppo di giugno, accennando alla necessità di introdurre stabilizzatori macroeconomici, volti a bloccare l'effetto valanga di una possibile crisi in uno o più membri del club. Ma tra giugno e oggi molta acqua è passata sotto i ponti: l'Italia sembra voler andare allo scontro totale con Bruxelles, ignorando o fingendo di ignorare le conseguenti devastanti del suo comportamento per se e per l'Europa. La necessità di costruire <muri anti-incendio> per isolarsi dal possibile incendio italiano si è trasformata da opportunità in urgenza.
PETER PRAET BCE
Dal capoeconomista della Bce, intanto, un monito all'Italia. In un'intervista all'Handelsblatt del 23 novembre Peter Praet ha detto: "La commissione è sempre relativamente aperta a permettere un spesa pubblica più alta, nel caso di riforme orientate all'offerta. Ma in questa direzione non accade nulla, in ballo ci sono solo spese più alte. Questo ha portato a premi di rischio che, secondo il mio modo di vedere, nessuna economia nazionale può sostenere a lungo". Per Praet: "Le attuali condizioni di finanziamento in Italia sono troppo tese per un paese con crescita debole e bassa inflazione. L'Italia ha bisogno di riforme orientate all'offerta per migliorare la poca produttività".
“NON SONO BELZEBÙ” - GIORGETTI SI DIFENDE DAI SOSPETTI DEL M5S CHE LO INCOLPA DI OGNI INCIAMPO
TRA I PENTASTELLATI SONO IN MOLTI A CREDERE CHE “SE DOVESSE SALTARE IL BANCO” LA LEGA AVREBBE UN PIANO B: GOVERNO DI CENTRODESTRA CON I RESPONSABILI PER FAR FRONTE ALLA TEMPESTA FINANZIARIA
LA LITE TRA GIORGETTI E LAURA CASTELLI PER LO SCRANNO A MONTECITORIO
GIANCARLO GIORGETTI FOTO MEZZELANI
La tregua armata nella maggioranza gialloverde viene inaugurata di prima mattina quando il vicepremier Luigi Di Maio dice che non il «M5S non accusa Giorgetti» dell' inciampo di martedì in Aula. Non c' è stata dunque - nella versione ufficiale del leader pentastellato - la trama del sottosegretario leghista sul voto che ha mandato sotto il governo.
La pax viene poi suggellata con gli atti in serata, quando diventa pubblico l' orientamento del governo sul dl-sicurezza: lunedì ci sarà la fiducia, e questa mattina i grillini ritireranno i 5 emendamenti della discordia. Tutti insieme appassionatamente? Quasi.
Giorgetti arriva alla Camera e sceglie infatti di starsene in disparte, sedendosi tra i banchi del suo partito e tenendosi alla larga dagli scranni del governo. Il braccio destro di Matteo Salvini ci scherza su «son come Andreotti...». E poi con i suoi scherza ancora: «Non sono mica Belzebù».
ALFONSO BONAFEDE
Come a dire che ormai i grillini lo incolpano di qualsiasi regia oscura dietro le quinte. Un grande manovratore, mai domo. Raffaele Volpi, sottosegretario leghista alla Difesa, dice che «forse Giancarlo viene percepito così solo perché è un politico, e quindi lo incolpano di ogni cosa, ma vedrete passerà anche questa». Lui, Giorgetti, dice all' Adnkronos: «I sospetti dei Cinque Stelle su di me? Eh...», allarga le braccia il sottosegretario, sorridendo.
GIORGETTI
«Secondo me - scandisce - non c'è nessun tipo di problema». E ribadisce: solo un «inciampo parlamentare». Intanto piovono le dichiarazioni dei big pentastellati per sgomberare il campo dalle accuse di complotto nei confronti del sottosegretario di Palazzo Chigi. E anche Matteo Salvini interviene salamonico: «Il caso, per me, è chiuso». Rimangono i sospetti. Tra i pentastellati sono in molti a credere che «se dovesse saltare il banco» la Lega avrebbe un piano B. Ovvero: governo di centrodestra con i responsabili per far fronte alla tempesta finanziaria.
LA MOSSA
I leghisti girano il caso Giorgetti in un altro modo: l'accusa M5s di aver mosso i franchi tiratori dell' anticorruzione, mirerebbe a indebolire «l'uomo della trattativa» in queste ore concitate legate alla manovra. Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia, dice appunto il contrario: «Non sta né in cielo, né in terra. Non esiste». E ce l'ha appunto con la possibilità che il big del Carroccio si sia mosso nell' ombra. Rimane comunque il siparietto della Camera: il sottosegretario che arriva in Aula ma trova il suo posto occupato dalla grillina Laura Castelli.
LAURA CASTELLI
Quindi dice qualcosa alla collega, lamentandosi, dopodiché si avvia verso i banchi della Lega e si accomoda. Nel frattempo Castelli parla con i colleghi, leggermente infastidita, e tutti scivolano di un posto per lasciare libero il seggio di Giorgetti che viene chiamato a unirsi alla pattuglia dell' esecutivo. Poco dopo, il leghista lascia i suoi compagni di partito e va a sedersi al banco del governo.
“SIAMO L’UNICO PAESE DOVE LA CLASSE DOMINANTE TIFA PERCHÉ L’ITALIA VADA IN DEFAULT”
GIULIO SAPELLI SCATENATO: “VOGLIONO CHE IL PAESE VENGA COMMISSARIATO PERCHÉ SONO TUTTI ETERODIRETTI. QUI CI SONO TANTI PICCOLI PETAIN, PERSONE PRONTE A GARANTIRE QUESTA OPERAZIONE DI APPROPRIARSI DI ASSET IMPORTANTI DEL NOSTRO PAESE. LA SITUAZIONE E’ DIVERSA DA QUELLA CHE DESCRIVONO I CORIFEI COME PADOAN CHE TIFANO PER LA TROIKA…”
Il Prof. Giulio Sapelli, economista, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta” condotta da Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano.
GIULIO SAPELLI
Sulla situazione dopo la bocciatura della manovra italiana da parte dell’UE. “C’è una via di mezzo tra apocalittici e integrati –ha affermato Sapelli-. La situazione è un po’ più usuale di quello che viene rappresentato in Italia dai corifei, a cominciare da Padoan, che tifano per la Troika. Se noi guardiamo la stampa internazionale, ad esempio El Paìs dell’altro ieri: c’era la foto della ministra dell’economia spagnola con Moscovici e all’interno c’era un titolo molto neutro che diceva: con l’UE si comincia a trattare sulla legge di bilancio che sforerà del 2,7% e c’era un articoletto in cui dicevano quali erano le posizioni di Moscovici.
PIERCARLO PADOAN
Poi c’era un corsivo in alto in cui si diceva che la stessa cosa stava capitando in Italia. Poi c’era una bella spiegazione in cui si diceva che prima che l’UE avvii una procedura d’infrazione di tempo ne passa... Poi ci si chiedeva cosa farà Moscovici quando arriverà la legge fiscale francese, dato che Macron ha impiegato 21 miliardi per un’ultra-reddito di cittadinanza, come la metteranno questi?
Noi siamo l’unico Paese dove la classe dominante tifa perché l’Italia vada in default e venga commissariata, e lo fanno perché sono tutti eterodiretti. Qui ci sono tanti piccoli Petain, persone che sono pronte a garantire questa operazione di appropriarsi di asset importanti del nostro Paese. In questi ultimi 20 anni col neoliberismo c’è stata un’ondata di intossicazione ideologica, oggi ai giovani si dice che per essere bravi devono fare gli imprenditori altrimenti non sei nessuno. Ma il mondo è andato avanti perché abbiamo avuto dei bravi operai, impiegati, centralinisti”.
GIULIO SAPELLI
Riguardo l’annuncio di Di Maio che punterà molto sulle dismissioni immobiliari. “Di Maio dovrebbe imparare a tacere, sempre –ha dichiarato Sapelli-. Con tutto il rispetto, questo giovanotto dovrebbe rendersi conto che, con le cariche importanti che ricopre, prima di fare dichiarazioni dovrebbe farsi consigliare da un consulente tecnico. Questa cosa della vendita del patrimonio immobiliare è un progetto di cui si parla da tempo, ma ci vogliono anni per realizzarlo. Di Maio deve leggersi Richelieu: bisogna negoziare, negoziare e sempre nella segretezza”.
‘NON ESISTE UN EURO A DUE VELOCITÀ’
CECCHERINI RADUNA A FIRENZE I BANCHIERI CENTRALI E IL TEDESCO WEIDMANN PARLA CHIARO AL GOVERNO GIALLOVERDE: ‘SE NON CEDETE SOVRANITÀ(PERCHE' LA FRANCIA E LA GERMANIA L'HANNO CEDUTA???), È DIFFICILE CONDIVIDERE LE RESPONSABILITÀ’
IGNAZIO VISCO: ‘C’È CHI SUGGERISCE DI LASCIARE L’EURO PUR NON VOLENDOLO DAVVERO. A BRUXELLES NON CI SONO BUROCRATI NEMICI DEL POPOLO. SE RESTIAMO SOLI, RESTIAMO DEBOLI’
OSPITI DELL’OSSERVATORIO PERMANENTE GIOVANI –EDITORI I GOVERNATORI DELLE BANCHE CENTRALI
Un altro incontro al Teatro Odeon di Firenze si é tenuto ieri in concomitanza con il lancio della quinta edizione del progetto “Young Factor” a.s. 2018/2019 promosso dall’Osservatorio Permanente Giovani – Editori, davanti a quasi 1000 studenti italiani che partecipano all’iniziativa.
I GOVERNATORI ALL'OSSERVATORIO GIOVANI EDITORI
Come spiegano gli organizzatori, “L’appuntamento prosegue il cammino, già avviato ormai da anni, dall’Osservatorio nel rilanciare una nuova sfida civile e sociale, tesa a elevare il livello di alfabetizzazione economico – finanziaria degli studenti”. I partner sono Intesa Sanpaolo, Banca Monte dei Paschi Siena, UniCredit e Ubi Banca, e ieri hanno raccolto l’invito del Presidente dell’Osservatorio Permanente Giovani – Editori Andrea Ceccherini, Klaas KNOT (Presidente Banca d’Olanda), Luis M. LINDE (Governatore Banca di Spagna 2012-giugno 2018), Ignazio VISCO (Governatore Banca d’Italia) e Jens WEIDMANN (Presidente Deutsche Bundesbank).
Al ciclo di appuntamenti, intitolato “Nuovi incontri per il futuro” avevano preso parte Jean-Claude Trichet, già Presidente della Banca Centrale Europea, il Governatore della Banca di Francia Francois Villeroy de Galhau, il Governatore della Banca d’Austria, Ewald Nowotny, il Governatore della Banca del Belgio, Jan Smets, e il Governatore della Banca del Portogallo, Carlos Costa.
Il Presidente dell’Osservatorio Permanente Giovani - Editori Andrea Ceccherini nel corso del suo intervento introduttivo, ha affermato: “Siamo qui, perché tutti noi crediamo che l'ignoranza costi. E che l'ignoranza economico finanziaria costi un prezzo carissimo. Un prezzo che nessuna economia può permettersi. Se pensate che l'istruzione sia costosa, provate con l'ignoranza”
L’incontro era moderato da Ferruccio de Bortoli (editorialista del Corriere della Sera), e i Governatori delle Banche Centrali, incalzati dalle domande di de Bortoli, ma in particolare da quelle degli studenti in sala, hanno toccato vari temi: dall’Europa all'Euro, dal lavoro alla digitalizzazione, dalla crisi mondiale che ha colpito molti paesi all’immagine che hanno i paesi Europei dell’Italia e degli italiani, fino all’importanza e alla necessità di una maggiore alfabetizzazione economico-finanziaria dei giovani.
GLI STUDENTI
Il Governatore della Banca d’Italia ha aperto così il suo intervento: “Mi fa piacere essere qui con così tanti giovani. Solitamente non partecipo ad incontri al di fuori degli ambiti istituzionali, ma con i giovani lo faccio volentieri perché sono il futuro e possono portare avanti le soluzioni individuate. Bisogna saper conoscere la differenza tra finanza ed economia, cosa sono le banche, ma anche le banche centrali, che banche non sono, ma servono per garantire stabilità finanziaria ed investimenti che consentano di crescere. Bisogna conoscere, perché il pericolo maggiore è proprio quello di non sapere”.
E’ toccato poi al Presidente della Bundesbank: “Penso che questo progetto e questo percorso promosso dall’Osservatorio Permanente Giovani – Editori sia realmente molto importante perché avere cittadini ben preparati e ben informati significa che c’è più sostegno in chi deve prendere le decisioni e più fiducia nelle istituzioni. Più si è ben informati, più si sa e più si ha fiducia”.
Infine, il Presidente della Banca d’Olanda: “Vorrei prima di tutto sottolineare l’importanza dell’Osservatorio Permanente Giovani – Editori. Penso che oggi sia importante che gli studenti familiarizzino con materie come economia e finanza, in modo da poter decidere con conoscenza. La responsabilità finanziaria porta stabilità. Da parte nostra questo sforzo merita di essere sostenuto e Andrea Ceccherini ha dimostrato molta leadership in tutto questo”.
UE:VISCO,A BRUXELLES NON CI SONO BUROCRATI NEMICI DEL POPOLO
(ANSA) - "I mercati sono utili se funzionano bene", e "responsabilità nostra è quella di partecipare a Bruxelles dove non ci sono i burocrati nemici del popolo". Lo ha affermato il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, oggi a Firenze nell'incontro Young Factor promosso dall'Osservatorio permanente Giovani-Editori a cui partecipa insieme ai governatori delle banche centrali di Germania, Jens Weidmann, e Olanda, Klaas Knot.
FIRENZE YOUNG FACTOR
"Le regole vanno ben applicate, in un mondo interdipendente ciascuno di noi è debole se è solo", ha detto Visco, secondo cui "l'Europa è in un momento difficile" e "c'è stata una perdita di fiducia e c'è una ricerca di vie nazionali". Ma "questi dubbi che derivano dalla paura del futuro, questa diffidenza va combattuta sul piano dell'economia perché è in gioco la stabilità monetaria che permette all'economia di crescere".
VISCO, C'È CHI SUGGERISCE DI LASCIARE L'EURO PUR NON VOLENDO
(ANSA) - Nelle emissioni di titoli di Stato si devono "offrire dei tassi che coprano dai rischi, come quello di non restituire i titoli, e quello di restituirli, per esempio, in una valuta diversa, nel caso si abbandonasse la valuta di tutti i giorni che noi usiamo e che fino a 20 anni fa non si usava, che è l'euro, come qualcuno malauguratamente, e in modo forse anche non voluto, a volte suggerisce". Lo ha detto Ignazio Visco, governatore della Banca d'Italia, in occasione dell'iniziativa Young Factor a Firenze.
VISCO, NON VOGLIAMO TORNARE A INFLAZIONE COME SOLUZIONE
ANDREA CECCHERINI KLAAS KNOT
(ANSA) - "Non vogliamo tornare a un mondo in cui l'inflazione è la soluzione dei problemi, perché l'inflazione è la tassa più ingiusta che c'è e colpisce i più deboli". Lo ha detto il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, all'iniziativa Young Factor organizzata a Firenze dall'Osservatorio Giovani-Editori, rispondendo a una domanda di una studentessa che metteva in relazione la crescita del debito pubblico e il 'divorzio' Tesoro-Bankitalia del 1981.
VISCO, COSTI PER USCITA EURO SONO ENORMI, SI VEDE CON BREXIT
(ANSA) -"I costi dell'uscita dall'Unione Europea sono enormi", e "uscire dall'euro implica anche uscire dall'Europa; non è possibile tuttavia uscire dall'Europa restando nell'euro". Lo ha affermato il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, oggi a Firenze nell'incontro Young Factor promosso dall'Osservatorio permanente Giovani-Editori a cui partecipa insieme ai governatori delle banche centrali di Germania, Jens Weidmann, e Olanda, Klaas Knot.
JENS WEIDMANN KLAAS KNOT ANDREA CECCHERINI IGNAZIO VISCO
"Le difficoltà che si vedono adesso - ha spiegato Visco - a livello di opinione pubblica di approvazione o meno del Piano concordato dal governo del Regno Unito con il resto dell'Ue mostrano quanto stiano comprendendo adesso i costi reali sull'economia reale, i costi in termini di tariffe dei beni importati ed esportati. Il 50% della nostra vita commerciale, degli scambi di beni e servizi, si svolge in Europa. Uscire dall'Europa ha un costo straordinariamente alto".
UE: VISCO, ITALIANI MENO SCETTICI, STANNO CAPENDO BENEFICI
LETIZIA MORATTI
(ANSA) - "Adesso è interessante perché è un momento in cui siamo un paese considerato fortemente nazionalista, dove c'è un governo che si dice populista e cioè attento ai bisogni della gente. Ma in realtà quella gente è la stessa popolazione che non è più così scettica". Lo ha detto Ignazio Visco, governatore della Banca d'Italia, riferendosi alle ultime rilevazioni dell'Eurobarometro. "Questo è molto importante, perché questo vuol dire che si sta cominciando a capire i benefici che si hanno nell'avere una moneta comune", ha aggiunto, intervenendo all'iniziativa Young Factor promossa a Firenze dall'Osservatorio permanente Giovani-Editori.
WEIDMANN, LA VOLATILITÀ DELLE BORSE NON CI PREOCCUPA
(ANSA) - "Non darei un'importanza eccessiva dal punto di vista macro alla volatilità delle borse che vediamo: siamo in una fase di maturità del ciclo economico, anche le borse sono sopravvalutate e forse sono necessarie delle correzioni ma non è cosa che ci preoccupa dal punto di vista della politica monetaria". Lo ha detto Jens Weidmann, governatore della Banca centrale tedesca, rispondendo a una domanda sul calo dei titoli tecnologici a Wall Street. Weidmann ha parlato nel corso dell'iniziativa Young Factor promossa a Firenze dall'Osservatorio permanente Giovani-Editori, a cui hanno partecipato anche il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, e il governatore della Banca centrale olandese Klaas Knot.
UE:WEIDMANN,CONDIVIDIAMO RESPONSABILITÀ SE CEDIAMO SOVRANITÀ
FERRUCCIO DE BORTOLI IGNAZIO VISCO ANDREA CECCHERINI JENS WEIDMANN KLAAS KNOT
(ANSA) - "Se non siamo pronti a cedere sovranità a livello europeo, perché vogliamo essere noi a decidere a livello nazionale, che è quello che avete voi in Italia oggi, allora poi è molto difficile condividere le responsabilità delle conseguenze delle decisioni nazionali". Lo ha affermato il governatore della Banca centrale tedesca, Jens Weidmann, oggi a Firenze nell'incontro Young Factor promosso dall'Osservatorio permanente Giovani-Editori. "Queste decisioni nazionali prese a livello individuale dai Paesi dovranno essere conformi all'Unione monetaria, che è una stabilità con una banca centrale e che evita troppa divergenza", ha detto Weidmann. "Possiamo integrare molto di più la politica fiscale - ha osservato -, decidiamo assieme della politica fiscale, però dobbiamo anche convivere con le conseguenze di questa decisione".
FIRENZE YOUNG FACTOR INCONTRO CON I BANCHIERI CENTRALI
UE: WEIDMANN, NELL'UNIONE MONETARIA C'È UNA SOLA VELOCITÀ
(ANSA) - "Non è che ci siano proprio due velocità: in realtà nell'Unione monetaria c'è una sola velocità". Lo ha detto Jens Weidmann, governatore della Banca centrale tedesca, rispondendo a una domanda sul dibattito relativo all'Europa 'a due velocità', in occasione dell'iniziativa Young Factor promossa a Firenze dall'Osservatorio permanente Giovani-Editori.
"L'unico senso in cui si può parlare di Europa a due velocità - ha spiegato - è facendo riferimento ai Paesi che hanno scelto di avere la moneta comune e chi invece ha deciso per il momento di restarne fuori. Chi ha scelto la moneta comune deve rispettare obblighi superiori e ad esempio ha dovuto rinunciare allo strumento della svalutazione competitiva. Per questi paesi la risposta è quella di trovare il giusto mix di politiche per stimolare la crescita. Ma nell'eurozona c'è una sola velocità".