9 dicembre forconi: 09/09/17

sabato 9 settembre 2017

DABBASHI - DA SCAFISTA A COLLABORATORE DEL GOVERNO ITALIANO PER IL BLOCCO DEI FLUSSI MIGRATORI DALLA LIBIA

LA POLIZIA LOCALE: “ULTIMAMENTE HA PRESO ALMENO 5 MILIONI DI EURO DA ROMA, SE NON IL DOPPIO, CON L'ASSENSO DEL PREMIER SARRAJ” 
LA STORIA DEL BANDITO LIBICO CHE HA FATTO CARRIERA FERMANDO I CLANDESTINI 
Lorenzo Cremonesi per il Corriere della Sera

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Ancora nel 2010 Ahmad Dabbashi era un facchino appena ventenne al mercato all' aperto. Uno di quelli che si presta per lavoretti a ore di ogni tipo, trasporta le cassette della frutta, scarica i camion e aiuta anche nei traslochi, con il padre impiegato all' ufficio postale di Sabratha e i fratelli ancora bambini che giocano a pallone per la strada. «Un poveraccio a cui non avresti dato un soldo. "Ammu, mi regaleresti una sigaretta?", chiedeva strascicato a quelli che incontrava. Così diceva, "ammu", che in arabo significa zio. E per tutti era diventato "Al Ammu", lo zio. Chi avrebbe mai detto che in pochissimi anni sarebbe diventato il bandito più famoso della regione, contrabbandiere di petrolio e trafficante di esseri umani, sino a trasformarsi adesso in poliziotto anti migranti per eccellenza, che tratta con il governo di Tripoli e persino con quello italiano?».
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Sono le parole di Mohammad, un suo vecchio vicino di casa. E rispecchiano fedelmente ciò che a Sabratha e dintorni è oggi il parere più comune: Al Ammu, l' ex facchino, ha fatto fortuna. Di ciò che era rimane solo il soprannome. Per il resto, ha prosperato nel caos seguito alla rivoluzione «assistita» dalla Nato, allo sfascio violento del post-Gheddafi. Tanto che ora è una delle figure più famose, ma anche temute e controverse, della Tripolitania occidentale. Noi siamo venuti a cercarlo direttamente nel suo «regno»: Sabratha, il cuore pulsante degli scafisti e dei trafficanti, dove criminalità organizzata e persino jihadismo militante spesso trovano territori comuni, ma soprattutto meta agognata per centinaia di migliaia di disperati in arrivo dall' Africa sub-sahariana pronti a tutto pur di imbarcarsi verso le coste italiane.
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A fine agosto gli uffici locali della Reuters e della Associated Press sono stati i primi a rivelare la sua recente «riconversione» da principe degli scafisti a collaboratore di primo piano con il progetto del governo italiano per il blocco dei flussi migratori. Il servizio di intelligence della polizia locale ci dice «che ultimamente avrebbe ricevuto almeno 5 milioni di euro dall' Italia, se non il doppio, con la piena collaborazione del premier del governo di unità nazionale riconosciuto dall' Onu, Fayez Sarraj». Una vicenda che racconta tanto della Libia contemporanea, dove chiunque voglia cercare di cambiare le cose deve comunque confrontarsi con un Paese tenuto volutamente allo stato tribale per quasi mezzo secolo nella logica del divide et impera di Muammar Gheddafi e adesso lacerato da una miriade di lotte e divisioni interne senza fine.
GHEDDAFIGHEDDAFI

 «Personalmente posso capire che gli accordi del governo Sarraj con Dabbashi abbiano aspetti ambigui. In Occidente potete anche pensare che siano poco morali. Ma questa è la realtà della Libia. Chi vuole intervenire fa i conti con le forze che dominano sul campo, che spesso sono poco pulite, ambigue, persino criminali. Con la milizia di Dabbashi c' era poco da fare. Combatterla significa rilanciare il bagno di sangue e per giunta con nessuna prospettiva di vittoria. Il modo migliore era integrarla, agire pragmatici. Cosa che i servizi d' informazione italiani e Minniti, con il quale mi sono incontrato più volte in Libia e a Roma, hanno ben intuito.

FAYEZ SARRAJ 2FAYEZ SARRAJ 2
Presto ne vedremo i risultati positivi», ci dice con tono realista il 43enne Hussein Dhwadi, da tre anni sindaco di Sabratha. Questi afferma di «non escludere, ma non sapere, se davvero gli italiani hanno pagato Dabbashi e in quale forma». Cosa del resto già nettamente negata sia dalla Farnesina che dall' ambasciata italiana a Tripoli. Tuttavia, nella stessa Sabratha non mancano i nemici feroci di Dabbashi ben contenti d' investigare.

«È un mafioso, un bandito, che sino a poche settimane fa ha assassinato i nostri agenti e prosperato nell' illegalità, nell' arbitrio. Non potrà mai essere nostro alleato», dice Basel Algrabli, 36 anni, direttore della locale Unità Anti-Migranti. Gli argomenti più forti arrivano dai responsabili dei servizi di intelligence della polizia urbana, con cui abbiamo parlato per due ore. Ma chiedono di non essere identificati nel timore di vendette contro di loro e le famiglie. Su Ahmad Dabbashi e il suo clan hanno interi dossier, alcuni dei quali ci sono anche stati mostrati: hanno iniziato infatti a seguirlo già un paio d' anni dopo il linciaggio mortale di Gheddafi a Sirte nell' ottobre 2011.
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Da tempo «Al Ammu» aveva scoperto che poteva far soldi occupandosi dell' ordine pubblico. Uccise «quasi per caso» un miliziano di Zintan che insidiava alcune ragazze su una spiaggia locale. Diventa allora un piccolo eroe, per qualche mese gestisce gli accessi alla spiaggia, poi si avvicina al Libyan Fight Group, il fronte jihadista libico che simpatizza per Al Qaeda. Con il latitare delle vecchie autorità gheddafiane il campo religioso guadagna punti. La gente gli dà credito, lo paga per garantirsi sicurezza. Lui assolda fratelli e cugini.

Poi, il salto di qualità: ruba 250.000 dinari a un commerciante locale, comincia a trafficare in droga e petrolio. Adesso può pagare i suoi uomini, si procura le Toyota blindate montanti mitragliatrici pesanti. Oggi ne possiede a decine utilizzate da centinaia di miliziani, forse oltre 300 ai suoi ordini diretti. Tanti raccolti dalla strada, dai luoghi della sua giovinezza. La sua struttura si militarizza nel 2014. Al Ammu comanda adesso la «Brigata Anis Dabbashi», intitolata a uno dei cugini morti in uno scontro a fuoco.

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Un' altra Brigata, la «48», è invece diretta dal fratello più giovane, Mehemmed chiamato «al Bushmenka», con la partecipazione attiva dei cugini Yahia Mabruk e Hassan Dabbashi. Nel 2015 impongono il monopolio sui movimenti dei camion verso il deserto e lungo la costa dal confine con la Tunisia al porticciolo di Zawiya. Non però verso Tripoli, perché qui domina violenta la potente tribù dei Warshafanna, ex sostenitori di Gheddafi oggi propensi a stare con il generale Khalifa Haftar, l' uomo forte della Cirenaica. Sempre secondo le stesse fonti, è in questo periodo che «Al Ammu» si assicura anche una parte dei servizi di protezione dei cantieri e terminali di petrolio e gas a Mellitah: dunque, indirettamente, delle attività Eni nel Paese.
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«Probabilmente è allora che lui ha i primi contatti con gli 007 italiani. Rapporti che poi si approfondiscono ai tempi del rapimento dei quattro tecnici italiani della Bonatti proprio diretti dalla Tunisia a Mellitah (di cui poi due tragicamente assassinati, ndr.)», aggiungono. Il capo del clan Dabbashi però è un ricercato, per lui è difficile viaggiare, specie all' estero. Tocca allora a Yihab, il fratello giovane più fidato, fungere da negoziatore e businessman del gruppo. Sulla rete difende il buon nome dei Dabbashi, oggi li rilancia come gruppo legittimo e garante della legge. «Yihab ha trattato per conto del fratello anche l' accordo sui migranti.

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Abbiamo le tracce dei suoi movimenti recenti. Sappiamo che tra fine luglio e fine agosto è volato a Malta con la compagnia privata Medavia. Di recente è stato a Istanbul, in Germania e in altre due nazioni europee. Con gli agenti dei servizi italiani si è incontrato più volte in alcuni hotel di Gammarth, la costa turistica di Tunisi. Sarraj e gli italiani si sono assicurati la sua collaborazione in cambio di almeno 5 milioni di euro e la promessa che i Dabbashi ne usciranno puliti e le loro milizie saranno legalizzate», leggono dai loro documenti i capi dell' intelligence.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Porti vuoti, spiagge deserte dove prima ogni notte estiva con il mare calmo imperava l' affanno delle partenze, niente barconi, nessun gommone all' orizzonte. Il traffico dalla Libia è praticamente fermo. I Dabbashi sono una garanzia. 

«Quanto erano efficienti nel traffico di esseri umani, tanto oggi sono bravi nel bloccarlo. Sino ai primi del luglio scorso si erano assicurati l' 80% delle partenze dalle nostre coste, un affare milionario. Il loro slogan presso gli africani era che si doveva pagare tanto, almeno 1.000 dollari a testa, ma i loro trasporti erano i più certi. Crediamo avessero contatti anche con organizzazioni criminali italiane.

BANDIERA ITALIANA BRUCIATA IN LIBIABANDIERA ITALIANA BRUCIATA IN LIBIA
Oggi sono attenti ad attuare i blocchi delle partenze già a terra, il lavoro dei guardiacoste libici serve ormai a poco o nulla», afferma Algrabli. Vedere per credere. La notizia che non è più possibile (o diventa molto difficile) prendere la via del mare dalla Libia si sta spargendo a macchia d' olio. «Oltre 30.000 persone sono bloccate nella nostra regione. Stiamo cercando di spostarle su Tripoli, da dove potranno tornare più facilmente ai loro Paesi di origine grazie all' Onu e alle loro ambasciate.

Libia Guardia CostieraLIBIA GUARDIA COSTIERA
Sono per lo più nigeriani, eritrei, sudanesi, tanti del Ciad, della Costa d' Avorio e del Mali. Il fatto positivo è che sono nel frattempo diminuiti anche gli arrivi dal deserto sub-sahariano, solo il 30% rispetto ai primi di luglio. Ciò significa che la Libia per loro non è più un punto di transito valido. Lo verificheremo con certezza all' arrivo dei dati di fine settembre», dice ancora il sindaco di Sabratha. La nuova situazione si manifesta amplificata a Triqsiqqa, che con i suoi ben oltre 1.000 migranti incarcerati (di cui al momento 120 donne) è oggi uno dei campi più vasti nella capitale.
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Si stima siano circa 600.000 gli «imprigionati» nell' imbuto libico. «Siamo in una prigione senza speranza. Io sono stato arrestato tre mesi fa. E adesso sono ben consapevole che via mare non si parte più», dice tra i tanti il diciottenne Hani Henessey, un ragazzino dai tratti fini e l' inglese quasi oxfordiano. Suo padre dentista lo condusse da bambino con la famiglia dal Sud Sudan a Londra. Ma di recente sono stati espulsi per lo scadere del visto. Hani dice però di essere gay e in quanto tale perseguitato in Africa. Vorrebbe tornare in Europa. E non sa come fare. Le storie di persecuzione, terrore e disperazione non si contano.

Joe Solomon, nigeriano di 24 anni, dice di essere stato rapito da un gruppo di contadini libici. «Volevano 700 dollari per liberarmi. Quando ho spiegato che né io, né la mia famiglia, né i miei amici potevamo pagare, mi hanno tenuto come schiavo a lavorare nei loro campi per quattro mesi», ricorda. Sono vicende di razzismo antico, rimandano ai tempi della tratta araba degli schiavi dall' Africa alle coste del Mediterraneo.

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Viene persino da pensare che per quanto qui le condizioni siano orribili, con migliaia di persone chiuse al caldo nello sporco dietro le sbarre, fuori alla mercé dei libici incattiviti da guerra e povertà possa essere anche peggio. Ma va anche aggiunto che l' intera zona costiera è disseminata di campi per migranti, molti senza alcun controllo e mai visti da giornalisti o umanitari. Mentre visitiamo il campo l' ambasciata sudanese manda due funzionari che organizzano i rientri di 200 connazionali. Anche l' Organizzazione Internazionale dei Migranti (Iom) e lo Unhcr stanno intervenendo.

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«Ma sono ancora gocce nel mare. Perché le Ong internazionali non ci aiutano? Voi italiani, che avete qui anche un' ambasciata, perché non siete presenti, non siete mai venuti a visitarci?», protesta Abdul Nasser Azzam, il direttore del centro. E Al Ammu? Come si muove colui che appare tra i maggiori artefici di tali epocali cambiamenti? Ancora a Sabratha raccontano che vorrebbe controllare lui stesso alcuni campi destinati al rimpatrio dei migranti grazie agli aiuti finanziari internazionali. Ma a noi non ha rilasciato commenti. «Se volete un incontro dovete avere il permesso delle autorità di Tripoli», ci fa dire, più formale e legale che mai.

Fonte: qui

UNA 12ENNE DI PALERMO MA ORIGINARIA DEL KOSOVO SI RIBELLA ALLE NOZZE: ERA STATA PROMESSA IN MATRIMONIO A UN PARENTE IN FRANCIA

UN COMPAGNO DI SCUOLA L’HA AIUTATA A SCAPPARE, POI HA RACCONTATO TUTTO ALLA POLIZIA
Salvo Palazzolo per La Repubblica

M. ha 12 anni, occhi grandi colore marrone e capelli lunghi nerissimi. M. è nata a Palermo da genitori rom di origine kosovara, e a Palermo vuole studiare e vivere la sua vita. M. ha un sorriso travolgente, ma da qualche giorno non sorrideva più, a casa aveva avvertito una strana atmosfera attorno a lei, qualcuno progettava di darla in sposa a un parente in Francia.

Mercoledì sera, M. è stata mandata dalla mamma a comprare un pollo allo spiedo, ed è fuggita. Cuffietta alle orecchie e scarpe da ginnastica rosa con la zeppa. Una fuga tra le viuzze del centro storico per provare a ribellarsi a un destino che sembrava già scritto.

M. è arrivata di corsa in un bar di piazza Marina, fra le luci dei ristoranti pieni di turisti. E si è avvicinata timidamente al bancone, ha chiesto un' aranciata, ma non aveva soldi in tasca, il barista l' ha guardata, le ha allungato comunque una lattina.

E da quel momento M. è sparita. Nessuno ha saputo più nulla della piccola rom fino alle 13 di ieri, quando è stata rintracciata mentre passeggiava con un compagno di scuola.
È stata una notte frenetica per i poliziotti di Palermo, alle tre la madre della bambina piangeva mentre diceva al 113: «Mia figlia è scomparsa, forse qualcuno le ha fatto del male».

sposa bambinaSPOSA BAMBINA
E fino alle 10 del mattino tutte le ipotesi sono rimaste in piedi nella stanza del capo della squadra mobile Rodolfo Ruperti. Anche le più terribili, dal sequestro di persona alla violenza.

Poi, la migliore amica di M. ha rotto il muro di silenzio che sembrava avvolgere questa vicenda. E poco a poco è emersa la storia di questa dodicenne: vive in una casa diroccata del centro storico che i suoi giovani genitori hanno occupato, il padre si arrangia con piccoli lavori, la madre a 26 anni ha già partorito sei figli ed nuovamente incinta.

Appena M. arriva nell' atrio della squadra mobile scortata dagli agenti corre ad abbracciare la sua amica del cuore. Un abbraccio intenso, fra le lacrime.
Le due bambine si dicono qualcosa all' orecchio. Poi, M. saluta in modo sbrigativo i genitori, mentre si allontana per essere ascoltata dagli investigatori.

«Ho una gran fame», dice. La funzionaria dei "Falchi", Carla Marino, le porge un pacco di biscotti e un succo di frutta. E finalmente M. si sente sollevata.
E può iniziare il suo lungo racconto.
SPOSA BAMBINASPOSA BAMBINA

Un compagno di scuola l' ha aiutata a fuggire. «È solo un amico», precisa lei. Un altro bambino cresciuto in fretta fra i vicoli del centro storico di Palermo. Anche lui ha dodici anni, ma ne dimostra molti di più.

Aspettava l' amica a piazza Marina, davanti al bar dell' aranciata. Insieme hanno vagato per tutta la notte, hanno dormito appena un' ora nell' atrio di un vecchio palazzo abbandonato.

In fuga dai genitori, in fuga dai tuguri dove vivono, in fuga dalle peggiori tradizioni. I genitori del bambino non hanno neanche segnalato l' allontanamento del figlio da casa. Qualcuno in famiglia ha problemi con la giustizia, e per un' altra tradizione, tutta siciliana, non si chiamano mai gli "sbirri". Ma a Palermo è arrivata la notte in cui i bambini hanno rotto le cattive tradizioni. E i genitori si sono presi una sonora ramanzina.

Anche la mamma della migliore amica di M., palermitana della città vecchia (in tutti i sensi) è stata rimproverata, perché ieri mattina non voleva che la figlia parlasse con la polizia, aveva addirittura fornito una falsa pista per proteggere i genitori kosovari.

Ora, tutta questa storia che racconta di un grande disagio sociale è stata segnalata alla procura per i minorenni. Intanto, però, i bambini che hanno rotto le cattive tradizioni nella notte di Palermo sono tornati a casa.

Fonte: qui
SPOSA BAMBINASPOSA BAMBINA

IN CINA MAXISEQUESTRO DI 30 MILIONI DI LATTINE DI FALSO PROSECCO PRONTE PER ESSERE VENDUTE SUL SITO DI E-COMMERCE “ALIBABA”

Giuliana Ferraino per il Corriere della Sera

Non c' è pace per il prosecco italiano. Dopo l' attacco dei giornali inglesi, che hanno accusato le nostre bollicine di rovinare lo smalto dei denti, ieri è stata bloccata la vendita potenziale di 30 milioni di lattine di falso prosecco, pronte per essere vendute sulla piattaforma ecommerce cinese Alibaba. A dare l' annuncio, sul suo profilo Facebook, è stato il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, sottolineando che l' operazione dell' Ispettorato repressione frodi del nostro ministero «dà il segno della grandezza del fenomeno delle contraffazioni».

Ma l' Italia è all' avanguardia nel contrasto. «Abbiamo portato avanti più di 2 mila interventi di protezione. Siamo l' unico Paese al mondo ad avere accordi con i più importanti player del web, come eBay, Google e Alibaba, per garantire tutela alle nostre Dop e Igp pari a quella dei marchi commerciali», afferma Martina. E per rendere più visibili le aziende italiane sul mercato internazionale il ministero ha aperto l' Italian Pavilion su Alibaba, domani in occasione della Giornata del vino.

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Secondo la Coldiretti il prosecco, che ha raggiunto una produzione di 410-415 milioni di bottiglie, è il vino italiani più taroccato, con le imitazioni diffuse in tutti i continenti dal Semisecco al Consecco e Whitesecco. E il successo esplosivo all' estero, con vendite in aumento del 25% nel 2016, moltiplica i tentativi di imitazioni, in crescita anche grazie all' ecommerce.

Fonte: qui
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ENI - INDAGATI TRE FACCENDIERI: SONO ACCUSATI DI ASSOCIAZIONI A DELINQUERE E DEPISTAGGIO

SI SAREBBERO INVENTATI CON I MAGISTRATI DI TRANI E SIRACUSA UN COMPLOTTO CONTRO DESCALZI 

SECONDO I PM, PER “INTRALCIARE LO SVOLGIMENTO DEI PROCESSI IN CORSO A MILANO CONTRO ENI E I SUOI DIRIGENTI

Luigi Ferrarella per il Corriere della Sera

Procura di MilanoPROCURA DI MILANO
Il «legale esterno di Eni spa» Pietro Amara (avvocato siracusano di processi ambientali del cane a sei zampe in Sicilia), il suo collaboratore Alessandro Ferraro, il tecnico petrolifero Massimo Gaboardi, e «altre persone interne ad Eni spa in corso di identificazione», sono indagate dalla Procura di Milano per l' ipotesi di «associazione a delinquere» per aver «concordato e posto in essere un vero e proprio depistaggio» attraverso «esposti anonimi e denunce» alle Procure di Trani e di Siracusa nel 2015-2016, e «false dichiarazioni al pm di Siracusa» circa l'«esistenza di un complotto contro Eni e in particolare il suo amministratore delegato Claudio Descalzi».

claudio descalziCLAUDIO DESCALZI
Un «depistaggio» (tramite «più delitti di calunnia, diffamazione, false dichiarazioni e favoreggiamento») che il pm Laura Pedio ipotizza compiuto per «intralciare lo svolgimento dei processi in corso a Milano contro Eni e i suoi dirigenti» (come Descalzi e Scaroni). E «per screditare i consiglieri indipendenti di Eni spa, Luigi Zingales e Karina Litvack»: l' uno dimessosi, e l' altra allontanata dal gruppo (per poi essere richiamata su pressione dei fondi stranieri 4 mesi fa nel Comitato Controllo), a cavallo dei fascicoli dei pm di Trani e soprattutto di Siracusa sul supposto complotto anti-Descalzi, che li avevano indagati l' 8 luglio 2016 per l' ipotesi di diffamazione aggravata con l' amministratore delegato di Saipem, Umberto Vergine.

Pietro AmaraPIETRO AMARA
Rischia dunque di ridiventare una cosa seria la prospettazione a Trani e Siracusa di un complotto internazionale volto a far dimettere Descalzi per sostituirlo con Vergine, animato da Zingales e Litwak nell' interesse di 007 nigeriani e imprenditori iraniani, con la regia di avvocati Telecom legati all' ex presidente Franco Bernabè quali Antonino Cusimano, Bruno Cova e Luca Santamaria, e con la fumosa partecipazione del petroliere (e ora banchiere di Carige) Gabriele Volpi, dell' ignaro imputato milanese Pietro Varone, e dell' imprenditore Marco Bacci amico del premier Matteo Renzi.

luigi zingalesLUIGI ZINGALES
Rischia di ridiventare una cosa seria non perché lo sia mai stata questa spy-story franata con il passaggio degli atti a Milano e il loro disvelamento nella richiesta il 20 marzo 2017 di archiviare i 3 indagati da Siracusa; ma perché serio - si scopre ora dalla contestazione rivolta a Gaboardi, avvalsosi a Milano della facoltà di non rispondere - affiora un legame di soldi tra Ferraro e Gaboardi.

Il factotum dell' avvocato siracusano esterno dell' Eni (Amara) avrebbe infatti in parte promesso e in parte già versato denaro a Gaboardi (tramite un parente di Gaboardi) per indurlo a rafforzare con le proprie improbabili dichiarazioni al pm di Siracusa sul complotto anti-Descalzi quelle del precedente dichiarante (lo stesso Ferraro). Le une e le altre, guarda caso, sovrapponibili al contenuto di tre scritti anonimi e di un altrettanto anonimo audio su pen drive fatti pervenire tra gennaio e luglio 2015 ai pm di Trani, e di un esposto di Ferraro in agosto ai pm di Siracusa su un confuso tentato suo sequestro da parte di rapitori di pelle nera.
esposti anonimiESPOSTI ANONIMI

Gli anonimi mossero i pm pugliesi Capristo-Savasta-Pesce che il 10 maggio 2015 acquisirono in Eni gli atti sugli interventi di Zingales (e uno degli anonimi mostrò poi di sapere ciò che solo Eni oltre ai pm poteva sapere, e cioè che fossero state acquisite anche mail tra Zingales e la presidente Marcegaglia); mentre l' esposto mosse il pm siracusano Giancarlo Longo (oggi trasferitosi a Napoli come giudice dopo che il Csm per tutt' altre ragioni ha avviato mesi fa una procedura di incompatibilità ambientale), il quale il 22 aprile 2016 ricevette l' intero fascicolo da Trani e il 10 maggio indagò Gaboardi per il tentato condizionamento del vertice Eni, società che con l' allora capo ufficio legale Massimo Mantovani si affrettò per la nomina di persona offesa e una cautelativa querela di parte.
pen drivePEN DRIVE

Amara - 48enne difensore molto attivo anche in Cassazione e Consiglio di Stato, anni fa discusso per la vicinanza a toghe siracusane fra i quali un ex procuratore capo e un ex pm finirono condannati per abuso d' ufficio dalla Cassazione - dopo aver avuto nel 2009 una pena sospesa di 11 mesi per accesso abusivo (tramite un cancelliere di Catania) a notizie segrete, due anni fa è stato archiviato dalla Procura di Cassino (al pari di un vicepresidente Eni) in un' altra indagine: quella nata dal perito chimico del Tribunale di Gela che aveva denunciato (e registrato) un imprenditore frusinate mentre, asseritamente nell' interesse di Eni, offriva soldi per aggiustare la perizia ambientale sulla raffineria di Gela.

PIATTAFORME ENI ADRIATICOPIATTAFORME ENI ADRIATICO
Altre traversie giudiziarie Amara ha attraversato con Ferraro, entrambi archiviati nel 2014 in un filone di indagini sui pm di Siracusa, e nell' aprile 2017 indagati dalla Procura di Roma per l' ipotesi di associazione a delinquere finalizzata a false fatture: qui è emerso (allo stato senza riverberi penali) che l' avvocato è socio di un giudice amministrativo (già presidente ad interim del Consiglio di Stato) in una società maltese che si proponeva di investire in una start-up tecnologica (in parte di Amara e in parte di Bacci) 750.000 euro di un' eredità del magistrato.

Fonte: qui

SENZA VERGOGNA - DOPO 25 ANNI, DI PIETRO CONFESSA: “HO COSTRUITO IL MIO CONSENSO POLITICO SULLE MANETTE. E SONO ANDATO A CASA”

Di Pietro:'Mi hanno mandato a casa, troppe manette'


Gisella Ruccia per Il Fatto Quotidiano

MEA CULPA DI PIETROMEA CULPA DI PIETRO
“Prendiamo atto di una verità sacrosanta, di cui io sono testimone, anzi parte interessata: il consenso sulla paura. Se si cerca il consenso sulla paura, lo si ottiene in una elezione, ma poi si va a casa. Io ne sono testimone: ho fatto politica basandola sulla paura e ne ho pagato le conseguenze”.

antonio di pietro magistratoANTONIO DI PIETRO MAGISTRATO
Così l’ex leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, si pronuncia durante L’Aria che Tira Estate (La7), commentando le vicissitudini politiche italiane recenti. E, tra gli applausi in studio, aggiunge: “Ho costruito la mia politica sulla paura delle manette, sul concetto che erano tutti criminali, sulla paura che chi non la pensava come me era un delinquente. Oggi però, avviandomi verso la terza età, mi rendo conto che bisogna rispettare anche le idee degli altri.

antonio di pietroANTONIO DI PIETRO
“Mi volevano ministro a destra e a sinistra perché portavo qualche bagaglio di voti. Ho fatto l’inchiesta Mani Pulite con cui si è distrutto tutto ciò che era la cosiddetta Prima Repubblica: il male, che era la corruzione e ce n’era tanta, ma anche le idee. E sono nati i partiti personali: i Di Pietro, i Bossi, i Berlusconi. Tutti partiti che hanno il tempo della persona. Io personalmente, prima di rivolgere gli occhi al cielo, vorrei rendermi conto che non basta una persona”. “Pazzesco”, commenta, entusiasta e rapito, l’imprenditore Luigi Crespi.

Fonte: qui

IL MIGLIOR GIORNO DELLA PRESIDENZA TRUMP CON L'ACCORDO COI DEMOCRATICI E LA TELEFONATA DELLA CINA SULLE SANZIONI ALLA COREA DEL NORD

FINALMENTE I BROGLI ELETTORALI! SI', MA PRO-CLINTON 

LA SENATRICE FEINSTEIN SOTTO TIRO PER LA CONTESTAZIONE AL GIUDICE CATTOLICO 

Maria Giovanna Maglie per Dagospia

KIM TRUMPKIM TRUMP
Si sono rubati senatore e voti elettorali per il presidente in New Hampshire l’8 novembre del 2016? Pare proprio di sì.  I repubblicani, naturalmente.  No, i democratici che strillano  da quel giorno  all’imbroglio e all’ impostore. Non cambia niente e probabilmente finisce la’, ma l'inchiesta appena chiusa in New Hampshire è un avviso alle anime belle. A chi tocca non s'ingrugna.

Già era stato il giorno migliore della presidenza di Donald Trump, ma per arrivare a leggere una semplice verità, o ti butti su Pat Buchanan, che prima di essere un politico conservatore è un giornalista di razza, o frughi tra quotidiani inaciditi, che dissertano sulla debolezza  del Trump  negoziatore, giù giù fino al Kansas star.

Era stata decisamente una buona giornata, fra telefonata col premier cinese che ha ceduto finalmente sulle sanzioni e ha detto le due parole che doveva dire contro il nucleare della Corea del Nord, a dimostrazione che bisogna sempre seguire il percorso del denaro, e accordo, potrebbe essere il primo di una serie, con i leader democratici del Congresso. Si è anche aperto il dibattito su quanto rosicano i repubblicani che al loro presidente  stanno scavando la terra sotto i piedi, e vedremo come procede.
KIM JONG UN DONALD TRUMPKIM JONG UN DONALD TRUMP

Ma la storia naturalmente nascostissima dei 5000 voti farlocchi del New Hampshire non può che migliorare l'umore alla Casa Bianca.
È successo che siccome in quello Stato come in altri 15 è possibile registrarsi per il voto il giorno stesso delle elezioni, si sono presentate circa 6500 persone con la patente, che e’ l'unico documento che stabilisce la residenza, di un altro Stato, dicendo che si erano appena trasferiti, e così hanno potuto votare.

Ma a distanza di quasi un anno, il 30 agosto, e nonostante la legge preveda che due mesi siano il tempo massimo per cambiare la residenza e l'indirizzo sulla patente, solo 1014 circa di quei 6540 risultano residenti in New Hampshire. Che è uno swing state, ovvero uno stato nel quale a volte vincono i democratici a volte i repubblicani, a differenza del Massachusetts e del Vermont confinanti, che sono stabilmente democratici.

Per molti anni si è detto, fino a farla diventare una sorta di leggenda metropolitana, che dai due Stati vicini i militanti democratici passavano a votare due volte approfittando della facilità consentita dalla registrazione nello stesso giorno, ora ci sarebbero le prove. “Vai a votare in New Hampshire con la macchina, e la sera ti guardi risultati da Boston a casa tua”.

hillary clinton donald trump il town hall.HILLARY CLINTON DONALD TRUMP IL TOWN HALL.
I più di 5000 imbroglioni non si sono certo mossi a livello individuale ma hanno fatto le truppe cammellate, e hanno fatto la differenza nel risultato perché il senatore eletto, la democratica Maggie Hassan, ha vinto per 1017 voti sulla sfidante repubblicana, Kelly Ayotte, e i 4 voti elettorali dello Stato sono andati a Hillary Clinton per soli 2732 voti. Il che non avrebbe fatto la differenza per l'elezione del presidente ma certo lo ha fatto per il Senato, e tanto per fare un esempio, se fosse 53 a 47 la maggioranza repubblicana, nel caso recente e clamoroso dell’ Obamacare a nulla sarebbe servita la sceneggiata del senatore John McCain, perché il suo voto non sarebbe bastato ad affossare la riforma.

Donald Trump proprio in New Hampshire aveva sollecitato un'inchiesta su tutti i 15 stati che consentono di registrarsi al voto il giorno stesso del voto, e aveva accusato i democratici di aver falsato le elezioni in quello Stato. Certo è che in tutti e 15 gli Stati i democratici si oppongono a una modifica della legge che chieda la dimostrazione della residenza per permettere l’iscrizione.

In America, si sa, si porta il cattolico adulto, per usare un termine caro a Romano Prodi, piuttosto che quello di una volta. Diciamo che la stessa protezione fornita dai politici al rispetto per le manifestazioni più tradizionali delle religioni ebraica e musulmana, oltre che alle varie gamme del protestantesimo che sfumano fino al settarismo, non è invece garantita ai cattolici all'antica.
DIANNE FEINSTEINDIANNE FEINSTEIN

Gli episodi non mancano, basta ricordare quello scambio di mail del capo della campagna di Hillary Clinton, John Podesta,  con un suo collaboratore,  nel quale  si metteva in dubbio anche l'igiene personale dei cattolici, e a rinforzare la tendenza ci pensano alcuni neo cardinali nominati da Bergoglio, guarda un po', tanto moderni da poter essere definiti degli autentici liberal, tanto impegnati politicamente da essere tutti dei fans di Hillary Clinton, ora rimasti un po' orfani ma strenuamente sostenuti da Città del Vaticano. Vedi Blase Cupich a Chicago.

Donald Trump però non la pensa così, e qualche cattolico tradizionalista in Amministrazione, forse spinto anche da sua moglie Melania, cattolica slovena praticante, lo ha piazzato e continua a piazzarlo con grande disdoro dei più liberal tra i senatori democratici che sono chiamati a confermare quelle nomine, previo interrogatorio dei candidati prescelti.

DIANNE FEINSTEINDIANNE FEINSTEIN
Ecco che l'altro ieri pomeriggio, durante un confirmation hearing della giudice Amy Coney Barrett, indicata per il settimo circuito della Corte d'Appello,  la senatrice democratica Dianne Feinstein ha attaccato la giudice senza mezzi termini per la sua fede cattolica, suscitando un mezzo ginepraio naturalmente, che potrebbe diventare un autentico caso non fosse che i famosi  cardinali di cui sopra sono d'accordo con la senatrice, gli altri stanno zitti perché hanno paura di ritorsioni vaticane.

La Barrett è un professore di Legge dell'Università di Notre Dame che ha scritto diffusamente sul ruolo della religione nella vita pubblica e tiene lezioni accademiche a gruppi cristiani. Non c'è niente da scoprire. Ma di qui a sostenere che la sua fede cattolica le impedisca di giudicare correttamente in un tribunale ce ne dovrebbe passare.


miami si prepara all uragano irma 9MIAMI SI PREPARA ALL URAGANO IRMA 
Non per la Feinstein.“When you read your speeches, the conclusion one draws is that the dogma lives loudly within you,” a leggere i suoi discorsi si ricava la conclusione che il dogma viva profondamente dentro di lei “,e ancora  “And that’s of concern when you come to big issues that large numbers of people have fought for for years in this country.” “ e questo preoccupa  quando si arriva a grandi questioni per le quali tante persone hanno combattuto per anni in questo paese”’.

È inutile nascondersi dietro un dito, la preoccupazione è per l'aborto, e insiste nonostante la Barrett avesse appena detto che “It is never appropriate for a judge to apply their personal convictions whether it derives from faith or personal conviction.” non è mai appropriato per un giudice mettere al di sopra e prima della legge le proprie convinzioni e fede personali.

Non è finita lì, è arrivato un altro liberal simpatico, Dick Durbin, a contestare l'uso del termine “cattolico ortodosso”, sostenendo che questo è un modo di calunniare quei cattolici che invece sono a favore dell'aborto e della pena di morte.
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Con santa pazienza, è il caso di dirlo, il giudice Barrett ha mostrato suoi scritti precedenti nei quali si dice che i giudici non devono mai e non possono tentare di allineare il sistema legale americano con gli insegnamenti morali della Chiesa nel caso che divergano, e ha insistito sulla possibilità, che lei ritiene vada praticata, e che tutti i giudici hanno, di ricusarsi quando si sentano in conflitto tra coscienza e legge.

Magari mente, ma è in buona compagnia. Soprattutto ci piacerebbe vedere I senatori coraggiosi  alle prese con un giudice di fede musulmana o ebreo ortodosso.

Dedicato agli zucconi e ai risentiti sociali, agli ambientalisti di carriera, agli anti Trump in servizio permanente effettivo, l'elenco dei terribili uragani dell'ultimo secolo. Succedeva anche prima che arrivasse l'impostore con i capelli tinti e, a proposito, quando capito’ a lui, l'intoccabile Obama non si spostò dalle vacanze. Cliccate, non serve neanche tradurlo, l'elenco è chiaro così com'è. Tremendo, come è tremenda la natura buzzfeed.com

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