9 dicembre forconi: 02/01/18

giovedì 1 febbraio 2018

LE “BUFALE” RAGGIUNGONO SOLO IL 3% DEGLI ITALIANI ONLINE

I LETTORI PASSANO, SUI SITI DI DISINFORMAZIONE, BEN POCO TEMPO E POI LA FORMA DI “FAKE NEWS” PIU’ DIFFUSA SI CHIAMA “PROPAGANDA” ED E’ IN MANO A PARTITI (E POLITICI) DI OGNI COLORE

Davide Casati per il “Corriere della Sera”

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Se ne parla di continuo, da più di un anno. Eppure, nell'ormai sempre più vago e politicizzato dibattito sulle fake news (notizie false pubblicate per profitto, ragioni politiche, o deliberata volontà di diffondere menzogne), mancava, finora, un dato cruciale: quante persone sono loro esposte? A tentare di trovarlo è ora un report dell'Istituto Reuters per lo studio del giornalismo e dell'Università di Oxford che si concentra su Francia e Italia.

Il risultato, per entrambi i Paesi (ma per il nostro in particolare) è apparentemente chiarissimo: nessuno dei 20 siti identificati come produttori di fake news raggiunge oltre il 3,1% della popolazione italiana online - un milione di persone al mese. Per avere un confronto: il Corriere raggiunge circa la metà degli italiani che usano il web. I lettori passano poi, sui siti di fake news, ben poco tempo. In una frase: «Le notizie false hanno una platea meno vasta di quanto generalmente si presume». Tutto bene, dunque? «Emergenza» già terminata?
fake newsFAKE NEWS

Affrettarsi a trarre conclusioni, spiegano gli autori, sarebbe sbagliato, e per una serie di motivi. Il numero di interazioni che alcune fake news riescono a scatenare su Facebook è notevole: alcuni siti superano persino, in questa classifica, quello della Rai. I rivoli di diffusione delle fake news ne alterano i meccanismi di attecchimento? In secondo luogo, non sono stati presi in considerazione media iperpoliticizzati, che giocano la loro partita estremizzando notizie lungo un confine difficile da definire, e da analizzare.

Molte fake news circolano poi con modalità quasi impossibili da misurare (immagini via chat, ad esempio). E gli autori, con onestà, esplicitano poi un' altra grande domanda che resta inevasa: quella della capacità delle fake news di influenzare rapidamente e in modo persistente - semi di sospetto paranoico - credenze e comportamenti. Non è ancora ora di dare per morto il dibattito sulle fake news - non prima, almeno, di averlo impostato in modo corretto, schivando comode strumentalizzazioni.

Fonte: qui

CROLLO DOLLARO/ La mossa Usa manda in tilt Germania e Francia

Steven Mnuchin, Segretario del Tesoro americano, da Davos ha fatto capire che gli Usa non sono più disposti a tollerare le manovre della Germania. PAOLO ANNONI

L’altro ieri i dazi all’importazione di lavatrici e pannelli solari avevano bucato i circoli degli addetti ai lavori segnalando la volontà americana di cambiare i rapporti commerciali con il resto del mondo. Ieri la vicenda si è arricchita di un’altra puntata. Prima ancora delle dichiarazioni di Angela Merkel e di Gentiloni contro il protezionismo di Trump, alcune dichiarazioni del Segretario del Tesoro americano scatenavano un mini crollo del dollaro che toccava i minimi contro l’euro da dicembre 2014. Steven Mnuchin, nel corso del meeting di Davos, dichiarava che “il dollaro debole è positivo per gli Stati Uniti”; il mercato agiva di conseguenza spedendo il cambio oltre 1,23. Dopo la decisione sui dazi, se mai ce ne fosse bisogno, il messaggio mandato dagli Stati Uniti al resto del mondo è che il paradigma degli ultimi anni non va più bene.
Gli ultimi dati sulla bilancia commerciale americana segnalano un deficit ai massimi degli ultimi 6 anni; il trend di peggioramento dura dagli inizi degli anni ‘90. La crisi dei debiti sovrani europea del 2011/2012 ha spostato il cambio euro/dollaro da una media vicina all’1,40 a un minimo vicinissimo alla parità a inizio 2017. Il vantaggio per le imprese europee che esportavano negli Stati Uniti era di oltre il 30%. Nessuno si può sorprendere che Angela Merkel sia contraria al nuovo corso americano. Il modello economico europeo fatto di austerity interna per schiacciare i salari e consentire alla Germania, insieme alla Francia, di colonizzare la periferia, nessun investimento, né per infrastrutture né per redistribuzione interna, e tutto basato sulle esportazioni è colpito al cuore dal nuovo corso americano.
L’America profonda in sostanza si chiede perché debba finanziare, aumentando il proprio debito, posti di lavoro in Germania e in Cina. La narrazione europea non ha nessuna possibilità di successo in un’America che vede la Germania in piena occupazione competere con una valuta artificialmente debole, perché ha dentro la Grecia con il 25% di disoccupazione, sul mercato americano. Nel frattempo la Germania continua a non investire e riduce il debito finanziandosi a tassi negativi. Gli appelli europei contro il protezionismo sono vuoti perché negli ultimi anni l’Europa ha permesso e perseguito la desertificazione economica della periferia. Non si può sostenere che il protezionismo produca povertà e guerre quando negli anni del libero scambio milioni di greci, portoghesi, spagnoli e italiani finivano sotto la soglia di povertà e venivano messi nella condizione di venire depredati mentre gli americani facevano la loro parte con una rivalutazione del dollaro del 30%. Allo stesso modo non si può predicare l’austerity come ricetta per le colonie europee potendoselo permettere perché in America nessuno sa cosa sia e si continuano a comprare, a debito, prodotti fatti in Europa.
Le richieste di limiti al protezionismo di Gentiloni vengono da un Paese che negli ultimi dieci anni ha perso la sua compagnia telefonica, la sua principale banca e assicurazione (governate da francesi), la sua principale azienda alimentare, cementiera, oltre a svariate utility, aziende del lusso e che, nel frattempo, non riesce nemmeno a mettere le mani su una decotta azienda francese; un Paese le cui banche non interessano all’Unione europea. Siamo lo spot migliore per il protezionismo.
Le obiezioni dell’Europa sono destinate a cadere nel vuoto perché l’Unione europea, la Francia e la Germania, non è credibile; la distrazione americana degli ultimi anni è stata in realtà usata per scopi interni dai Paesi che guidano l’Europa che hanno potuto senza spendere un euro prendere il controllo dell’Unione. Se gli americani avessero fatto l’austerity europea la guerra civile europea degli ultimi anni, per via economica, sarebbe stata pagata anche dalla Germania e dalla Francia. La Germania per salvare i suoi lavoratori avrebbe dovuto investire e in questo modo, via mercato unico, avrebbe beneficiato anche la periferia. Oggi la Germania ha tutto: valuta debole, controllo politico, nessun deficit e non deve nemmeno pagare un euro per salvare l’Unione e i lavoratori greci perché con le esportazioni agli Stati Uniti si ottiene un minimo di sollievo.
La beffa finale è vedere l’Italia arruolata dalla Germania per difendere un sistema che l’ha distrutta. Gli italiani poi, si sa, sono più simpatici dei tedeschi e dei francesi e sono il medium perfetto. Qualunque cambiamento di scenario esterno dovrebbe per l’Italia invece diventare l’occasione per un riequilibrio dei rapporti interni all’Europa. Ma ci vuole un minimo di amor proprio, coraggio e, soprattutto, molta meno ideologia. All’Europa in Germania e Francia non crede nessuno. A conti fatti la Germania non ha mai pagato un euro. Figuriamoci se gli americani vogliono pagare un loro dollaro per permetterle di vincere la guerra civile europea gratis. Meglio mettersi il cuore in pace.
Quando le divergenze tra centro e periferia metteranno la Germania di fronte all’alternativa tra pagare o spezzare l’euro si capirà chi era in buona fede e chi no. Speriamo sinceramente che l’alternativa non venga mai posta.
Fonte: qui

La Mente di fronte alle catastrofi (2) Quanto siamo resilienti?

In questo post propongo un'esercizio mentale volto ad anticipare un evento negativo, qualcosa di simile a quegli esercizi spirituali che facevano alcuni medievali, come la "meditatio mortis". Prendiamo l'ipotesi dell'arrivo di una meteora sulla terra, ipotesi che è stata cavalcata dalla filmografia catastrofista (basti pensare ad Armageddon).
Risultati immagini per meteorite


Per quanto ne so - basandomi ad esempio sulla "Storia della Terra" di McDougall - un'evento del genere è qualcosa che prima o poi riaccadrà, per via delle leggi della probabilità. Qui non mi interessa quando e se accadrà qualcosa del genere, quanto piuttosto prendere questo esempio come la "madre" di tutte le catastrofi annunciate.

Supponiamo che... un'organizzazione spaziale tipo la NASA avverta la popolazione che fra 6 mesi si abbatterà sulla Terra un'asteroide di dimensioni sufficientemente grandi da spazzare via metà della popolazione mondiale e che farebbe collassare l'intero network finanziario-commerciale su cui si basa la vita umana. Qualcosa come migliaia e migliaia di volte la potenza della più potente bomba atomica che sia capace di produrre, per esempio, il bravo Kim Jong-un.

Supponiamo che tutti gli enti governativi decidano che l'allerta è reale e avvertano la popolazione. Che cosa accadrebbe?

Nel film citato sopra gli esperti di turno valutano che l'unica chance per l'umanità è spaccare in due la meteora in modo da deviarla. La responsabilità nel film finisce per ricadere su quel gruppetto di astronauti che si incaricherà della missione.

Supponiamo che però non si possa far esplodere la meteora perchè è già troppo tardi... La popolazione viene avvisata che l'impatto è certo. La mente delle persone subito capisce e anticipa (la mente ha funzione di "anticipare"; si veda il post) che "sarà la catastrofe". A una parte dell'umanità toccherebbe la sorte peggiore, senza che si possa sapere a chi... Ci troveremmo ad affrontare tutti insieme, senza distinzioni di razze e privilegi sociali, lo stesso pericolo.

Le persone come reagiranno? Panico totale o collaborazione? La mente come si comporterà? Come un cavallo imbizzarrito o sarà sufficientemente calma per affrontare la situazione? In questi momenti sarebbe meglio aver coltivato la "consapevolezza" come un buddista o la frenesia come un'occidentale?
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Può essere che dopo un periodo iniziale di panico si cominci a cercare insieme delle soluzioni. Non sarebbe la più grande ricerca collettiva di una soluzione volta al bene comune? 

La soluzione migliore che viene trovata prima di tutto è di calcolare il momento esatto in cui vi sarà l'impatto così da capire in che luogo avverrà e dunque... evacuare l'intera popolazione mondiale nel punto opposto della Terra! In tal modo forse sarà possibile salvarsi quasi tutti (ribadisco che questa "ipotesi" non ha valore reale; è solo a titolo di esperimento mentale)

La gente si arrende all'evidenza e comincia a entrare nell'ordine delle idee che non c'è alternativa. Ecco il punto che mi interessa: avviene un'immenso cambiamento per tutti ebisogna metterlo in atto. Bisogna trasferirsi dall'altra parte del globo e abbandonare tutto ciò che si aveva e faceva.

Improvvisamente non esiste più nessuna vita quotidiana con le sue piccole gioie e timori, con i suoi ritmi e regolarità, aspettative, responsabilità, progetti, ecc. Cambia l'intero campo dei valori individuali e collettivi. La mente viene invasa da immagini e pensieri nuovi che cacciano sullo sfondo la maggior parte di quelli che era solita rappresentarsi. Ora c'è un solo obiettivo: salvarsi e aiutare anche i propri familiari e tutto diviene funzionale a questo scopo. Paradossalmente per qualcuno la vita potrebbe anche riacquistare un "senso" poichè ne risperimenta il valore (la mente anticipa che si potrebbe perdere la vita). 

TORNIAMO ALLA "REALTA'"...

La nostra situazione attuale riguardo ai cambiamenti climatici, mi domando, è poi molto diversa? L'unica differenza è che i dati che abbiamo a riguardo non possono darci certezze su cosa accadrà. Continuando però a spalmare le conseguenze più gravi di questo "evento" nei decenni a venire - come se non fossimo mai realmente nell'occhio del ciclone, ma sempre "Demain", come il titolo del film francese - di fatto finiamo con non concretizzare mai alcun comportamento collettivo adeguato (ma nemmeno individuale).

Il problema è che adesso c'è una vita concreta che devo mandare avanti, con tutti i suoi doveri, ed è assai difficile pensare che il futuro è adesso. "Che cosa dovremmo fare?" si chiedono in molti, con senso di impotenza. L'immenso problema è che la nostra stessa quotidianità è implicata nel problema. Non è che il Global Worming sia una fatalità che giunge all'umanità da un'altro pianeta, come una meteora appunto: siamo tutti noi, chi più chi meno, a contribuire alla quotidiana immissione di gas serra con i nostri comportamenti.

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Il sistema, dicono alcuni, è lock-in: è bloccato. Operare dei cambiamenti nel sistema è incredibilmente arduo, poichè bisogna modificare le "regole del gioco", quelle strutture/feedback che lo mantengono in essere. Cosa fare? Come farlo?

Ciò che non è abbastanza chiaro ai più è che ognuno di noi ha la sua parte di responsabilità in questa storia. Additiamo la responsabilità maggiore alle multinazionali, ai politici e al "sistema". Non possiamo accettare di farne parte anche noi. Siamo tutti "costretti" a giocare a questo gioco perverso guidato dalle corporations?

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Ciò che intendevo evidenziare è come tutti gli equilibri e le dinamiche cambiano quando un pericolo è evidente. Non c'è più alcun "sistema lock-in" di fronte a mobilitazioni simili, di colpo tutta la forza coercitiva che sembrava imporci di partecipare, quasi dall'esterno, secondo le norme stabilite alla vita sociale - viene meno.

Il sistema è bloccato solo perchè noi lo vogliamo (di solito inconsapevolmente)E' ingenuo pensare che i politici faranno qualcosa, anche se onesti, perché il politico non può cambiare la struttura del sistema.

Non ci potrà essere nessun "cambiamento sistemico guidato dal risveglio morale" (R. Heinberg) fino a che continuiamo a fare le stesse cose e come le facciamo prima. Se non facciamo diventare il cambiamento climatico "il nostro lavoro" che cosa credete che cambierà? 

Qui sta il vero blocco e modificarlo significa diventare resilienti, cioè in grado di affrontare il cambiamento.


Fonte: qui

L'HARLEY DAVIDSON DIVENTA ELETTRICA

FRA 18 MESI IN VENDITA IL MODELLO PIÙ CONTESTATO DI SEMPRE 

LEGGERISSIMA, QUASI COME UNA BICI ELETTRICA, LA MOTO HARLEY HA UN'AUTONOMIA DI 160 KM

Vincenzo Borgomeo per repubblica.it

Il primo annuncio - choc - con tanto di presentazione di un prototipo, avvenne nel 2014: fu quasi una sollevazione popolare, ma oggi l'Harley Davidson fa l'annuncio ufficiale: "Fra appena 18 mesi saremo sul mercato con una moto elettrica".

Evidentemente la speranza della casa di Milwaukee è che nel frattempo gli animi si siano calmato, ma potrebbe non essere così: il popolo del "Live to ride e ride to live" mal digerisce i terminali di scarico figuriamoci un'Harley silenziosa come un'ombra.

Senza contare il passo culturale: il suono delle Harley Davidson in Usa è un marchio registrato (caso unico al mondo) che non si può copiare. Ma che evidentemente si può distruggere...

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Alla casa del mito Usa però vanno avanti e, anzi, puntano ancora più in alto, addirittura a diventare leader mondiali nell'elettrificazione delle motociclette. Di certo dal 2014 di tempo e dal pesante prototipo "Project LiveWire" ne è passato. E mentre i manager e gli uomini delle pubbliche relazioni aspettavano che i puristi si calmassero, i tecnici hanno avuto tutto il tempo di lavorare. Abbattendo anche altri tabù. Ossia quello del peso e delle dimensioni.

La "moto" Harley infatti secondo alcune indiscrezioni sarebbe leggerissima, alla stregua di una bici elettrica potenziata. E l'idea appare davvero geniale: viste le prestazioni delle moderne biciclette, è facile arrivare a qualcosa di davvero mai visto. La casa di Milwaukee sta infatti covando un mezzo - per ora top secret - con autonomia di almeno 160 km. Altra rivoluzione nel mondo delle "bici" elettriche o moto leggere.

Il punto però è un altro: secondo voi come prenderà questa rivoluzione il popolo degli Harleysti, gente che va in giro con le magliette "Preferirei trovare mia sorella in un bordello che mio fratello su una Honda"? Fra 18 mesi avremo la risposta.

Fonte: qui
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