9 dicembre forconi: 12/07/18

venerdì 7 dicembre 2018

AVEVANO SCHIAVIZZATO E COSTRETTO A PROSTITUIRSI TRE MINORENNI E VOLEVANO VENDERE IL BAMBINO DI UNA DI LORO PER 28MILA EURO: SEI NOMADI ARRESTATI A FOGGIA



NESSUNA DELLE RAGAZZE POTEVA USCIRE DAL CAMPO ROM, ERANO CONTROLLATE 24 ORE AL GIORNO E SEGREGATE NELLE BARACCHE. SECONDO GLI INVESTIGATORI POTREBBERO ESSERCENE ALTRE…


val d ala parco delle valli campo nomadi romaVAL D'ALA PARCO DELLE VALLI CAMPO NOMADI ROMA
Avevano ridotto in schiavitù e costretto a prostituirsi tre ragazze minorenni, che vivevano in un campo nomadi alla periferia di Foggia, e volevano vendere per 28mila euro il bambino di una di loro, rimasta incinta. Per questo sono finiti in carcere sei rom, smascherati da un'indagine della magistratura di Bari. Le ragazze, prive di documenti, vivevano segregate nelle baracche del campo, dove erano controllate 24 ore al giorno dai carcerieri.

I fermati sono una coppia, i loro tre figli (due dei quali minorenni) e una 26enne compagna di uno dei ragazzi. Tre sarebbero le vittime accertate dagli inquirenti, tutte minorenni, due delle quali risulterebbero ancora irreperibili. Come hanno spiegato gli investigatori, le indagini hanno consentito di accertare "come fosse prassi consolidata quella di costringere le minori a prostituirsi anche durante la gravidanza e, davanti al rifiuto delle vittime, le stesse venivano percosse senza pietà dai rispettivi fermati preposti al loro controllo".
CAMPO ROMCAMPO ROM

La Procura di Bari ha infatti parlato di "una delle nuove forme di 'schiavitù moderna', costituita dalla riduzione e dal mantenimento in stato di schiavitù di giovani straniere, per lo più sole e non in contatto con la famiglia, tutte minorenni da adibire al mercato della prostituzione, direttamente controllato dagli stessi fermati". In due mesi di indagini sono state raccolti i racconti delle vittime, fatti riconoscimenti fotografici, sopralluoghi, accertamenti tecnici su telefoni e social network, scoprendo "uno spaccato di cui si ignorava l'esistenza nel nostro territorio".
campo romCAMPO ROM

"Le condotte dei fermati - hanno aggiunto gli inquirenti - sono connotate da allarmante gravità, attesa la loro efferatezza e il disprezzo per la vita umana dimostrati dagli indagati, soprattutto in danno di giovani vittime minorenni e dei nascituri che portavano in grembo; gli stessi hanno, pertanto, dimostrato una totale indifferenza per le condizioni di particolare fragilità delle vittime e di non possedere il minimo sentimento di pietà verso le stesse".
campo romCAMPO ROM

Nessuna delle minorenni poteva scappare dal campo rom, essendo controllate 24 ore al giorno, private dei cellulari e dei documenti. Le ragazze, al momento tre ma potrebbero essere di più, venivano segregate nelle baracche, continuamente picchiate perché non tentassero di fuggire e non parlassero con qualcuno. Quando si spostavano per raggiungere le strade dove venivano accompagnate in auto, fornite di preservativi e costrette a prostituirsi, erano controllate costantemente con alcuni degli aguzzini nascosti tra i cespugli.

val d ala parco delle valli campo nomadi romaVAL D ALA PARCO DELLE VALLI CAMPO NOMADI ROMA
Dal campo nomadi: "Sono tutte bugie" - "Non è vero che tenevano segregate in casa le ragazze. Sono tutte bugie", ha però dichiarato un cittadino di nazionalità romena che risiede da anni nel campo nomadi di via San Severo. "La polizia è venuta ad arrestare i nostri vicini di casa, ma loro sono tutte brave persone. Non è vero nulla. Non abbiamo mai visto niente". Dello stesso avviso una donna romena che vive nella baracca accanto a quella degli indagati: "Sono bravi, li conoscevo bene. Lavorano nei campi nella raccolta di asparagi, pomodori e olive. Noi lavoriamo tutto il giorno per guadagnare soldi per il cibo".

Fonte: qui



LO STATO HA DOVUTO RESTITUIRE 2,5 MILIONI DI EURO SEQUESTRATI A DUE FAMIGLIE ROM CONDANNATE A PRATO

IL COMUNE DI GALLARATE È COSTRETTO A PAGARE L’HOTEL A UN CENTINAIO DI NOMADI SFRATTATI 

GIORDANO: “BISOGNA DIVENTARE ABUSIVI PER AVERE TANTA ATTENZIONE DA PARTE DELLE ISTIUZIONI. PARE CHE AI SEDICENTI NOMADI VENGANO OFFERTI ANCHE…”

Mario Giordano per “la Verità”

djula ahmetovicDJULA AHMETOVIC
Che quei rom di Prato rubassero era pacifico. Furti, rapine, ricettazione. Condanne. Così la Guardia di finanza aveva detto: andiamo a recuperare un po' del bottino. Buona idea, no? Infatti hanno sequestrato 2,5 milioni di euro: contanti, polizze, abitazioni, terreni. Era successo nel giugno 2017. Peccato che oggi, un anno e mezzo dopo, glieli restituiamo. Scusate, ci siamo sbagliati: il tribunale ha deciso che il sequestro non s' ha da fare.

Quei soldi devono tornare indietro. Proprio così, avete capito bene: abbiamo appena ridato 2,5 milioni a due famiglie rom, gli Halilovic e gli Ahmetovic, i cui componenti hanno collezionato una serie di reati contro il patrimonio che al confronto Alcatraz è una succursale dei frati cappuccini.

halilovic ahmetovicHALILOVIC AHMETOVIC
Vi sembra folle? In effetti, anche a noi. E ancor più folle è la motivazione di questa decisione piuttosto dispendiosa per le nostre tasche. Il tribunale sostiene infatti che non esiste la prova che quei soldi siano provento diretto delle attività criminali. E che si aspettava di trovare, di grazia? Le banconote segnate con il timbro «made in rapina»? Appartamenti tappezzati con le foto della Banda Bassotti? La confessione della polizza assicurativa: sì, è vero, sono stata acquistata con denaro rubato?

blitz al campo nomadi di castel romano 9BLITZ AL CAMPO NOMADI DI CASTEL ROMANO
Dagli atti, per altro, non risulta che gli Halilovic e gli Ahmetovic in questione abbiano altre rendite. Non risultano lavorare. Non hanno stipendi fissi. Non hanno fondato imprese, se non quelle criminali riconosciute dalla giustizia. E allora: da dove saranno mai spuntati quei 2,5 milioni di euro? Li ha portati Babbo Natale? La Befana? Sono piovuti dal cielo? Sono cresciuti miracolosamente dentro la vasca da bagno? O sono cresciuti sull' albero del cucù?

alessandro ahmetovicALESSANDRO AHMETOVIC




Potremmo chiederlo ai diretti interessati. Del resto c' è da fidarsi di questa gente. Quando la Guardia di finanza fece scattare il sequestro chiamò l' operazione «Falsi poveri», perché le famiglie sedicenti nomadi di Prato avevano anche occupato abusivamente alcune case popolari. Si fingevano indigenti e avevano 2,5 milioni in cassaforte.

CAMPING RIVERCAMPING RIVER



Ovviamente tutti soldi che non hanno nulla (ma proprio nulla) a che fare con le attività illecite per cui sono stati condannati, cioè con quei furti e quelle rapine, i cui proventi sono evidentemente stati utilizzati per aiutare le missioni cristiane nel mondo o forse per dare un contributo all' Accademia della Crusca, considerata la notevole sensibilità degli Halilovic e degli Ahmetovic per la cultura e la lingua italiana.

A questo punto mi viene un dubbio: non è che ora il tribunale ordinerà di restituire loro anche la casa popolare? Non ci sarebbe da stupirsi. Se ci spostiamo da Prato a Gallarate (Varese) scopriamo infatti che le assurdità a favore dei sedicenti nomadi non finiscono mai. Qui c' erano un centinaio di sinti che vivevano da anni in una serie di villette abusive.
djula ahmetovic 1DJULA AHMETOVIC 
Il sindaco ha deciso di sbaraccarle (e ha fatto bene) dicendo che avrebbe fatto pagare la spesa dell' abbattimento ai medesimi sinti (e avrebbe fatto benissimo) perché a lui risultavano tutt' altro che nullatenenti. Ottima idea anche questa, non vi pare?
Peccato che a una settimana dalla messa in moto delle ruspe non risulta che i sinti abbiano pagato il becco di un quattrino, ma al contrario risulta che il Comune si stia svenando per mantenerli al Grand hotel Milano Malpensa di Somma Lombardo. Al modico prezzo di quasi 2.000 euro al giorno, ricca colazione compresa.
SGOMBERO CAMPING RIVERSGOMBERO CAMPING RIVER

Risultato: 55.000 euro per mantenere nel lusso 69 sinti (il 75% di quelli che stavano nelle villette) fino all' 8 gennaio. Vacanze di Natale garantite al Grand hotel, a differenza di tanti italiani costretti a vivere in condizioni assai meno confortevoli. Ma vi pare logico? Bisogna per forza diventare abusivi per avere tanta attenzione da parte delle istituzioni pubbliche? Per altro pare che ai sedicenti nomadi, assai poco propensi a nomadare, vengano offerti in convenzione, al modico prezzo di 20 euro, anche pranzo e cena al ristorante del Grand hotel. Piacerebbe sapere chi paga anche quelli, ovviamente.

CAMPO ROMCAMPO ROM
Non si tratta di una questione da poco. Anche perché noi siamo dell' idea che i campi nomadi debbano essere spazzati via tutti, il più in fretta possibile: ma non è che poi dobbiamo ospitare tutti gli sgomberati in qualche Hilton ambassador o Luxury excelsior della Penisola? Siamo alle solite: l' impressione è che in questo disgraziato Paese l' illegalità paghi. Se violi la legge, ti aiutano. Se sei rispettoso di Dio e degli altri, ti castigano. Possibile?

val d ala parco delle valli campo nomadi romaVAL D ALA PARCO DELLE VALLI CAMPO NOMADI ROMA
Ieri le forze dell' ordine hanno fatto irruzione in un campo nomadi di Foggia. Hanno arrestato sei rom che tenevano in schiavitù tre ragazze minorenni. Le costringevano a prostituirsi, anche mentre erano in gravidanza. Quando una di loro ha partorito hanno cercato di vendere il bimbo per 28.000 euro. Questa violenza disumana, secondo gli inquirenti, era «prassi consolidata»: quelle ragazzine venivano tenute segregate, picchiate, umiliate, violentate in ogni modo.

val d ala parco delle valli campo nomadi romaVAL D ALA PARCO DELLE VALLI CAMPO NOMADI ROMA
Un caso limite? Può darsi. Ma in quanti campi nomadi i bambini vengono maltrattati, privati dei loro diritti, costretti a vivere tra topi e immondizia, mandati a rubare, usati per mendicare? E come possono le anime belle dei benpensanti tollerare tutto questo? Come si fa a non capire che, di fronte a situazioni simili, usare la ruspa è il massimo della civiltà e dell' umanità? E che al contrario la disumanità è lasciare che lo schifo continui? A patto, s' intende, di non dover poi ospitare anche gli autori di imprese criminali come quella di Foggia in quale suite extralusso. Magari dopo avergli restituito il bottino, con tante scuse firmate da un giudice.

6 Dicembre 2018

Fonte: qui

GILET GIALLI, SCONTRI IN TUTTA LA FRANCIA. LA POLIZIA FA INGINOCCHIARE GLI STUDENTI DEL LICEO, POLEMICHE SULLE TECNICHE DA ARABIA SAUDITA

PARIGI SI PREPARA A UN ALTRO SABATO NERO E L'INTELLIGENCE VUOLE SPAVENTARE LA POPOLAZIONE: ''C'È ARIA DI GOLPE''. 

MINACCE ALLA FAMIGLIA DI BRIGITTE

GILET GIALLI: POLIZIA FA INGINOCCHIARE STUDENTI, POLEMICHE
 (ANSA) - Le forze dell'ordine che fanno mettere in ginocchio un centinaio di studenti di un liceo di Mantes-la-Jolie, ieri, obbligandone alcuni a tenere le mani sulla testa: il video con queste immagini, che sono state girate al termine di scene di grande violenza durate ore nella cittadina di banlieue parigina, sta suscitando molte proteste in Francia.
gilet gialli studenti inginocchiatiGILET GIALLI STUDENTI INGINOCCHIATI
La sommossa davanti ai licei Saint-Exupery e Jean-Rostand di Mantes-la-Jolie ha portato ieri a 153 fermi sul totale di oltre 700 in tutta la Francia. Due auto e decine di cassonetti sono stati incendiati, il rettorato ha parlato di "bombole di gas" che erano state portate davanti alla scuola e di bottiglie Molotov. I poliziotti hanno affermato di essersi ritrovati in 15 di fronte a 122 giovani con atteggiamento "ostile" in possesso di "pietre, armi improprie, bastoni e mazze da baseball".

GILET GIALLI: PREMIER, 'LA REPUBBLICA È SOLIDA'
(ANSA) - "La repubblica è solida, le istituzioni sono forti, difese dalle forze dell'ordine": lo ha detto il primo ministro, Edouard Philippe, in diretta al tg delle 20 di Tf1. "Quando i gilet gialli che devono venire a trattare con il governo ricevono minacce di morte, quando le famiglie di dirigenti dello stato vengono minacciate di morte, quando la gente che ha dato fuoco alla prefettura di Puy-en-Velay gridava agli impiegati 'arrostirete come maiali', io dico che questa non è la Francia".
gilet gialli studenti inginocchiatiGILET GIALLI STUDENTI INGINOCCHIATI
SCONTRI IN TUTTA LA FRANCIA GLI 007: «C' È ARIA DI GOLPE»
Francesca Pierantozzi per “il Messaggero
«Sabato arriviamo alla meta finale, sabato siamo all' Eliseo». Eric Drouet, 33 anni, camionista di Melun, una sessantina di chilometri a sud di Parigi, ormai va in tv a dire che domani i Gilets Jaunes marceranno sull' Eliseo. E l' Eliseo ci crede. Ieri una fonte della Presidenza citata dal Figaro avrebbe dichiarato che «ci troviamo davanti a un tentativo di golpe». Le informazioni raccolte dai servizi sul campo (ma basta avventurarsi anche poco su Facebook) parlano di «appelli a uccidere», di inviti «a munirsi di armi per attaccare i deputati, al governo, all' esecutivo, alle forze dell' ordine».
gilet gialli studenti inginocchiatiGILET GIALLI STUDENTI INGINOCCHIATI
RIVENDICAZIONI
Macron ha chiesto a tutti, responsabili politici, sindacati, associazioni, di lanciare «un appello chiaro e esplicito alla calma». Lo hanno fatto, i politici di destra e sinistra (perfino Marine Le Pen, ma non Mélenchon), i sindacati, François Hollande.
Ma non è facile restare calmi in questa Francia che sembra essere sull' orlo dell' insurrezione, in cui la politica appare impotente, sbalordita, in cui qualsiasi concessione del governo è stata considerata briciole, in cui un popolo di pensionati, madri di famiglia, infermieri, agricoltori, artigiani, disoccupati, ma anche di casseurs, estremisti di destra e sinistra, anarchici, radicali giurano che non si fermeranno, che non si accontenteranno dell' annullamento delle tasse sui carburanti (che non sarà una sospensione di sei mesi come annunciato dal premier, ma una cancellazione definitiva, come voluto ieri da Macron), che vogliono di più, vogliono l' aumento del salario minimo, delle pensioni, delle allocazioni studentesche, vogliono essere ascoltati, vogliono rispetto, vogliono lo scioglimento dell' Assemblée Nationale, del Senato, le dimissioni di Macron, la fine della Quinta Republique, in un crescendo di rivendicazioni che rischia di travolgere tutto.
gilet gialliGILET GIALLI
Nonostante gli appelli a non venire a Parigi per il quarto sabato della rivolta, l' Eliseo si aspetta domani «un movimento di una grande violenza», con la mobilitazione «di un nucleo di diverse migliaia di persone» determinate «a distruggere e anche a uccidere». Un clima raramente visto in Francia. Siamo oltre il '68: «nessuno minacciava nessuno di morte» ha detto Daniel Cohn Bendit.
gilet gialli studenti inginocchiatiGILET GIALLI STUDENTI INGINOCCHIATI
Adesso le minacce di morte corrono sui social, e sono arrivate al telefono anche a persone vicine al Presidente. In questo clima, è suonata preoccupante perfino l' assicurazione che: «La Repubblica è solida», come ha detto ieri in tv Edouard Philippe. Il premier continua a credere «in un tavolo di negoziati che si aprirà a dicembre», ha immaginato un aumento del salario minimo, ma ha anche confermato che domani ci saranno i blindati della gendarmeria (una dozzina) a difendere Parigi.
SICUREZZA
Tutte le forze di polizia saranno mobilitate: saranno 8mila a Parigi, 89 mila in tutta la Francia.
studenti in franciaSTUDENTI IN FRANCIA
Dal ministero dell' Interno si parla di un dispositivo che userà non meglio precisati mezzi speciali e che gli agenti non si limiteranno più, come sabato scorso, ad arginare i casseurs o a confinarli in alcune strade, ma «andranno al contatto» con il rischio di un bilancio più grave, di feriti e «anche di morti». A Parigi ci si prepara a una sorta di coprifuoco: chiusi tutti i musei, chiuso il Louvre e il Grand Palais, chiusa la Tour Eiffel, chiusa la cripta di Notre Dame, chiusi molti teatri, chiusa l' Opera Bastille e il Palais Garnier, chiusi i negozi sugli Champs Elysées, chiuso lo stadio, con molte partite di serie rinviate anche in altre città.
La rivolta intanto ha contagiato i licei e comincia a estendersi alle università. Ieri ci sono state proteste in 280 istituti in tutto il Paese, 45 sono stati bloccati, oltre 700 gli studenti fermati, guerriglie polizia-studenti a Mantes-la-Jolie, banlieue di Parigi e nel nord dove due studenti sono rimasti feriti, gravi scontri con la polizia a Nizza e a Marsiglia.

parigi gilet gialliPARIGI GILET GIALLI
I sondaggi fotografano un presidente sempre più impopolare e un paese spaccato: 6 francesi su dieci pensano che il movimento dei Gilets Jaunes sia diventato preoccupante, ma sempre sei francesi su dieci giudicano che le concessioni del governo alla protesta siano state insufficienti e tardive. Fonte: qui
parigi gilet gialliPARIGI GILET GIALLI

IL MINISTRO SNOBBA UN CONVEGNO CGIL E I SINDACALISTI LO SOSTITUISCONO CON UN CARTONATO



RISPETTO A QUELLO ORIGINALE, E' AL CENTO PER CENTO IMMUNE DA QUALSIASI GAFFE E MATERIALI AFFINI...

RooS. per “il Giornale”

C'è un Toninelli Danilo che non fa gaffe, e non è una fake news.
È stato carabiniere pure lui, Toninelli Danilo appunto, poi assicuratore. Ma ora, da ministro delle Infrastrutture che sa il fatto suo, monitora di continuo gallerie e trafori, come ha spiegato ieri al question time, e non incorrerà mai più nell' ingenua visione che dette imperituro lustro alla sua figura.

Quando esordì da ministro spiegando a noi incolti: «Sapete quante delle merci italiane, quanti degli imprenditori italiani utilizzano con il trasporto principalmente ancora su gomma, il tunnel del Brennero?». Poveri noi, che non lo sapevamo. E povero Brennero, ancora non percorso da nessun tunnel da Innsbruck a Fortezza, ma solo da ponti.

DANILO TONINELLIDANILO TONINELLI
Ponti, si sa, che hanno sempre affascinato il ministro, già toccato nel vivo dalla tragedia di Genova, quando ammise davanti alla moglie, e alle telecamere, di «lavorare 18 ore al giorno». Non senza farsi postare in foto con famiglia al mare per un breve riposino e quindi dai monitor di Vespa con sorrisino ebete davanti al famoso plastico del ponte nuovo sul Polcevera. Un ponte, quello sognato da Toninelli Danilo, che «sarà un luogo vivibile, un luogo di incontro in cui le persone si ritrovano, in cui le persone possono vivere, possono giocare, possono mangiare...».

Più che sognatore, un innovatore e un rivoluzionario, dunque. Che immagina ponti restituiti alle consuete frotte di bimbi gioiosi e famiglie in gita. Ma anche un solido costruttore da tempi di pace, uno che ha giurato a Genova di aver dato tutto, proprio tutto. Così che «penso che in pochi mesi o al massimo anni tornerà a essere più forte di prima».
TONINELLI NELLA TRASMISSIONE ALLA LAVAGNATONINELLI NELLA TRASMISSIONE ALLA LAVAGNA

Un mese, un anno, un istante. Che cosa sono di fronte al nulla che pervade? All' immeritata fama di gaffeur che lo perseguita, al punto da fargli intitolare sul Web una scala Toninelli, unità di misura «per figure di merda». Mai più nulla, di tutto ciò. Il merito di un Danilo Toninelli che si rovescia nel suo antagonista, nell' apoteosi del suo contrario, va a un gruppo di sindacalisti napoletani della Fillea Cgil (lavoratori del legno, edilizia, industrie affini ed estrattive). In virtù della loro capacità, appunto, gli operai hanno saputo estrarre il meglio dal ministro, invitato l' altro giorno a un convegno sul futuro dell' edilizia.

Toninelli da personcina educata ha fatto sapere per tempo di non poter intervenire, per i troppi impegni arretrati. E loro, si può immaginare sollevati o quasi, lo hanno sostituito in platea con una sagoma di cartone. Rispetto a quella originale, di sagoma, al 100 per cento immune. Da qualsiasi cazzata e materiali affini.

Fonte: qui

CANADA: ARRESTATA IERI MENG WANZHOU


USA: BOLTON, INFORMATO SUBITO DI ARRESTO LADY HUAWEI 
(ANSA) -  John Bolton, il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha detto alla radio Npr che era stato informato dell'arresto sabato scorso a Vancouver, su richiesta delle autorità americane, di Meng Wanzhou, vicepresidente e capo finanziario del colosso delle telecomunicazioni cinesi Huawei, nonché figlia del suo fondatore Ren Zhengfei. Bolton ha però detto di non sapere se Donald Trump è stato avvisato personalmente dell'arresto, avvenuto lo stesso giorno in cui stava negoziando al G20 con il presidente cinese Xi Jinping la tregua sui dazi.
DONALD TRUMP XI JINPINGDONALD TRUMP XI JINPING

TRUDEAU, NESSUNA INTERFERENZA POLITICA SUL CASO HUAWEI 
(ANSA-AP) -  "Posso assicurare a tutti che siamo un Paese con un sistema giudiziario indipendente e che le autorità competenti hanno preso le decisioni su questo caso senza alcun coinvolgimento o interferenza politica". Lo ha detto il premier canadese Justin Trudeau in merito all'arresto della top manager di Huawei Meng Wanzhou, avvenuto in Canada nell'ambito di un'indagine Usa. Trudeau ha anche detto di essere stato informato con qualche giorno di preavviso dell'intenzione delle autorità canadesi di arrestarla.



Meng WanzhouMENG WANZHOU
1 - L’ARRESTO CHE FA LITIGARE USA E CINA
Giuseppe Sarcina per il “Corriere della Sera

Oggi il tribunale di Vancouver decide se autorizzare l' estradizione negli Stati Uniti di Meng Wanzhou, la figlia del fondatore di Huawei, l' azienda cinese leader mondiale delle telecomunicazioni. Ieri, intanto, i mercati finanziari si sono inabissati un po' ovunque, da Wall Street alle piazze europee, Milano compresa. E' il segnale delle preoccupazioni suscitate dall' arresto di Wanzhou, 46 anni, che ricopre la carica di direttore finanziario del gruppo. Gli investitori temono che ora si possa riaccendere lo scontro economico e politico tra Cina e Stati Uniti, vanificando la tregua sui dazi concordata da Donald Trump e Xi Jinping a Buenos Aires, lo scorso primo dicembre.

E' lo stesso giorno in cui le autorità canadesi hanno arrestato la manager, su richiesta del Dipartimento della Giustizia americano. Le indagini sono condotte dalla procura del Distretto orientale di Brooklyn, a New York. Gli inquirenti sospettano che Huawei, attraverso una società di Hong Kong, abbia fornito materiale dell' americana Hewlett-Packard all' Iran, violando i divieti imposti da Washington.
La triangolazione sarebbe cominciata nel 2016, appoggiandosi, sembra, ad alcune banche internazionali.

L' inchiesta, però, è già abbondantemente uscita dal perimetro giudiziario. L'ambasciata cinese in Canada ha chiesto l' immediato rilascio di Wanzhou.
MENG WANZHOU - HUAWEIMENG WANZHOU - HUAWEI
A Capitol Hill, invece, la notizia è stata accolta con favore sia dai repubblicani che dai democratici. Da tempo Huawei è sospettata di complicità negli attacchi informatici contro gli Stati Uniti. Non a caso, nell' agosto scorso, Donald Trump ha vietato l' acquisto per l' amministrazione statunitense di telefonini Huawei e Zte, altro big cinese.


MENG, IL PAPA’ E IL PARTITO. DAI CAVI ANTI TOPI ALL’IMPERO DEI TELEFONINI
Guido Santevecchi per il “Corriere della Sera

Ma chi è l' ingegner Ren Zhengfei e perché gli americani pensano tanto male di lui da voler arrestare la figlia? 

La sua (la loro Huawei) ha 180 mila dipendenti e nella prima metà dell' anno ha avuto ricavi per 41 miliardi di euro; le proiezioni indicano che chiuderà il 2018 a quota 200 milioni di smartphone venduti, scavalcando Apple. 

Ed è in campo per la fornitura delle reti 5G, la quinta generazione dei telefonini. Ren è un eroe per i cinesi, un capitano d' industria partito alla conquista del mondo globalizzato per contribuire al progresso tecnologico dando la supremazia alla Repubblica popolare. Per gli americani invece Huawei è la quinta colonna dell' impero cinese che muove le sue pedine mischiando hacker, spionaggio e penetrazione commerciale.

A Pechino pensano che l' arresto di Meng Wanzhou sia parte di un complotto, per fermare l' ascesa di Huawei e sabotare la tregua dei 90 giorni tra Trump e Xi.
huaweiHUAWEI

È il 1983 e Ren Zhengfei, classe 1944, viene congedato dal genio dell' Esercito perché il reparto è sciolto; un ingegnere, non un militare, sottolinea la biografia ufficiale, con un rango pari a vice comandante di reggimento. Ren a 40 anni potrebbe essere uno dei tanti nel guado delle riforme di Deng Xiaoping, senza più lo stipendio statale. Nel 1987 usa un piccolo capitale, meno di tremila euro al cambio di oggi, per mettersi in proprio sfruttando l' apertura all' economia di mercato nella zona speciale di Shenzhen, a quei tempi un paesone vicino a Hong Kong, l' avanzatissima colonia britannica; Ren ebbe l' idea di comprare centraline telefoniche a Hong Kong e di venderle nelle campagne intorno a Shenzhen, dove i telefoni erano rari, i topi si mangiavano i cavi e le linee saltavano. Ren, abituato a ingegnarsi, accoppiò alle centraline Made in Hong Kong i robusti cavi militari a prova di roditore. Il primo successo.

Il passato di Ren pesa ancora oggi sulla valutazione Usa.
HUAWEI P20 PROHUAWEI P20 PRO
Sospettano che non abbia mai troncato i rapporti con il potere politico e sia pronto a mettere la sua tecnologia al servizio del Partito. Risposta da Huawei: «Un altro esempio di protezionismo, sinofobia e discriminazione fondata sul Paese dove è basato il quartier generale di un' azienda. Ma Huawei non è la Cina; Huawei è Huawei».

Che Ren sia nazionalista non c' è dubbio (e non è peccato): Huawei significa «La Cina agisce». Si dice che l' ingegnere abbia dovuto aspettare a lungo prima di avere la tessera del Partito, ottenuta nel 1978 a 34 anni. In una rara intervista ha detto: «Sui diritti umani rispondo che in Occidente ci sono voluti diversi secoli di progressi, noi avanziamo passo dopo passo». E' membro del Congresso nazionale, e il giuramento di fedeltà mette il Partito al primo posto, anche davanti all' impresa privata.

La figlia Meng Wanzhou, 46 anni, a capo delle finanze globali e vicepresidente del consiglio d' amministrazione, ha raccontato che cominciò come assistente al ricevimento dei clienti e segretaria, nel 1993. Meng (ha scelto il cognome della madre divorziata) ha due lauree, Informatica e Management aziendale: è il volto del gruppo all' estero e si fa chiamare anche Sabrina Meng. Dalle sue mani passano ogni anno 20 miliardi per ricerca e sviluppo.

huaweiHUAWEI
La stampa di Hong Kong ora rivela frasi di un suo discorso interno ai manager, in ottobre, nel quale avrebbe detto: «Siamo sotto attacco Usa»; «In alcuni casi si può accettare il rischio di non osservare leggi che ci legano le mani». Si dice che possa essere lei a prendere la guida di Huawei quando Ren si ritirerà. Lui scherzando ha detto che dopo vorrebbe «aprire un caffé, o magari un ristorante e possedere una fattoria tutta mia». Ma sulla successione sostiene che in azienda non c' è mai stato e mai ci sarà nepotismo. Un capitalista vecchio stampo, con caratteristiche cinesi.


MENG, DA SEGRETARIA A STAR HI-TECH E ALL' ESTERO SI FA CHIAMARE SABRINA
Francesco Malfetano per “il Messaggero

Nel mondo occidentale la conoscono come Sabrina o Cathy, in Cina come la Principessa di Huawei. Meng Wanzhou, 46enne direttrice di finanziaria del colosso di Shenzen arrestata ieri dalle autorità statunitensi, è il nuovo volto della tech war in corso tra Stati Uniti e Cina. Sabrina, come pare preferisca essere chiamata, non è solo la responsabile delle finanze e la vice presidente di Huawei, soprattutto è la figlia del fondatore dell' azienda asiatica Ren Zhengfei, uno degli uomini più importanti della Cina nonché ex ingegnere dell' esercito di Liberazione Popolare di Pechino e membro eletto del 12 ° Congresso Nazionale del Partito Comunista.

Huawei Richard YuHUAWEI RICHARD YU
INFLUENZA
In altre parole Meng è una delle figure femminili di spicco all' interno della sempre più nutrita élite cinese, come riconosciuto anche da Forbes che, nel 2017, l' ha inserita all' ottava posizione tra le più influenti donne cinesi.

La 46enne, che porta il cognome della madre secondo la tradizione delle famiglie di alto rango del Paese, è anche da molti considerata la vera erede del settantaquattrenne Zhengfei, nonostante questo abbia spesso dichiarato che nessuno dei figli sapesse prendere il suo posto.
HENRY CAVILL PRESENTA IL P9 HUAWEI 3HENRY CAVILL PRESENTA IL P9 HUAWEI

Dopo un breve periodo in una banca di investimenti, è entrata in Huawei con il ruolo di segretaria nel 1993. Vale a dire a 6 anni dalla nascita del gruppo a Shenzhen, capitale del Guandong, sud-est del Paese, che poi diverrà simbolo del cambiamento voluto da Deng Xiaoping.

Un cambiamento che Huawei, anche grazie a Meng che intanto si era laureata all' Università di Huazhong di Scienze e Tecnologia, è riuscita a cavalcare prima nella modernizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione poi approfittando della strategia di sostegno ai produttori nazionali che Pechino scelse di adottare dal 1996.
Da quel punto in poi è iniziata l' ascesa globale del colosso cinese che - nonostante le accuse di collaborazionismo con il Governo - è riuscito ad imporsi come secondo produttore mondiale di smartphone e una delle aziende più avvantaggiate nella corsa alla costruzione delle infrastrutture per il 5G.

Fonte: qui

L’ACCORDO BANCARIO FIRMATO ALL’ECOFIN NEL SILENZIO DI TRIA È UN’ALTRA MAZZATA AI CORRENTISTI


C’È UN PARTICOLARE DELL’INTESA CHE DOVREBBE DESTARE PARTICOLARE PREOCCUPAZIONE: È IL ‘MORATORIUM TOOL’, CHE CONSENTE AL REGOLATORE EUROPEO DI SOSPENDERE I PAGAMENTI DI UNA BANCA COLPITA DA PROCEDURA DI RISOLUZIONE 

COLPITI ANCHE I DEPOSITI INFERIORI AI 100MILA EURO

Antonio Grizzuti per “la Verità”

il bail in europeo cagata pazzescaIL BAIL IN EUROPEO CAGATA PAZZESCA
Un vecchio adagio recita che «il diavolo si nasconde nei dettagli». Ed è proprio ai piccoli particolari che occorre prestare attenzione, perché molto spesso celano conseguenze importanti. Pensiamo al bail in, la procedura di risoluzione della banche approvata dal Parlamento quasi in sordina nel maggio del 2014, quando al governo c' era Matteo Renzi. Due anni dopo, l' ex premier pianse lacrime di coccodrillo (il bail è «un disastro per la credibilità e la fiducia», ebbe a dire in un' intervista), ma ormai il latte era versato.

TRIA E MOSCOVICITRIA E MOSCOVICI
Durante l' ultima riunione dell' Ecofin, svoltasi martedì a Bruxelles, sono stati compiuti dei «significativi passi in avanti verso l' unione bancaria», come ha affermato Hartwig Löger, ministro delle finanze dell' Austria e attuale presidente dell' Ecofin. Il pacchetto licenziato dai ministri dell' Economia, come peraltro largamente previsto, è totalmente sbilanciato sul piano della riduzione dei rischi, più che sulla loro condivisione.

Un orientamento caro ai Paesi nordici, Germania in testa. Questi Stati, infatti, prima di esporsi ai pericoli derivanti dalla convivenza con altri partner ad alto rischio di azzardo morale (Italia, Grecia e Portogallo, tanto per citarne tre a caso), vogliono cautelarsi acquisendo più garanzie possibili(IN REALTA' E' L'ESATTO CONTRARIO, VISTO L'ENORME ECCESSO DI CONTRATTI DERIVATI-SPAZZATURA DI CUI SONO IMBOTTITE LE BANCHE DEL NORD EUROPA!). Una sorta di contratto prematrimoniale, nel quale uno dei contraenti non si decide a fare il grande passo senza che la controparte fornisca la certezza di essere immune da rischi di cadute finanziarie.

banca centrale europeaBANCA CENTRALE EUROPEA
Lo diciamo chiaro e tondo per i pochi che si erano ancora illusi: nell' Europa di oggi c' è molto spazio per le regole (spesso astruse e di difficile applicazione, che servono a dar sopravvivere dei sistemi bancari completamente falliti quali quelli francesi e tedeschi), ma ben poco per la solidarietà. La pia illusione è che, a seguito dell' entrata in vigore di norme ancora più stringenti sul rischio, i «falchi» finalmente si decidano a dare il loro benestare allo schema europeo di assicurazione dei depositi (Edis), l' altro pilastro dell' unione bancaria. Contro questa visione, nel maggio scorso, si era schierato piuttosto duramente il nostro esecutivo.

EURO CRACEURO CRAC
Fonti del Mef, a margine dell' Ecofin svoltosi in quel periodo, avevano espresso insofferenza per tutti quegli anni spesi a elaborare «numerose misure per ridurre il rischio mentre non sono stati mossi passi sufficienti per condividerlo». Stavolta, invece, dalle parti di Via XX Settembre regna il totale silenzio. Eppure all' interno dell' accordo siglato questa settimana dai colleghi di Giovanni Tria c' è un aspetto dell' intesa che dovrebbe destare particolare preoccupazione. Si tratta del cosiddetto moratorium tool, vale a dire quella misura che consente al regolatore europeo di sospendere i pagamenti da parte di una banca quando questa è colpita da una procedura di risoluzione (ovvero il bail in).

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I lettori più attenti della Verità ricorderanno che abbiamo già trattato questo argomento più di un anno fa. A novembre del 2017, infatti, a seguito di richiesta della Consiglio europeo e del Parlamento, la Banca centrale europea pubblicò un parere sulle proposte di riforma della normativa che regola il bail in. Proviamo a immaginarci l' eventualità nella quale una banca finisce nel mirino del regolatore. Nel concreto, è molto probabile che a seguito di ripetuti crolli sui mercati azionari oppure di indiscrezioni trapelate a mezzo stampa, scatti il cosiddetto bank run, cioè la corsa agli sportelli da parte dei correntisti allo scopo di salvare i propri risparmi.

Italia CracITALIA CRAC
Una situazione dalla quale la liquidità di un istituto può risultare fortemente compromessa. È per questo motivo che, in quell' occasione, Francoforte si era raccomandata di introdurre una finestra temporale utile a «prevenire il grave deterioramento del bilancio di un istituto di credito». Ecco dunque spiegata la ratio del moratorium tool, un periodo di tempo seppur breve (2 giorni) durante il quale il regolatore si arroga il «superpotere» di ridurre al minimo i prelievi dallo sportello o al bancomat.

C' è di più: fino a oggi, la procedura di risoluzione ha escluso da ogni intervento i correntisti che risultano titolari di rapporti con saldo inferiore ai 100.000 euro. La Bce, tuttavia, in fase consultiva ha suggerito di considerare nella moratoria anche i depositi cosiddetti «garantiti», un' indicazione poi recepita dal Parlamento europeo lo scorso giugno proprio durante la discussione per la modifica del bail in.

BANCHEBANCHE
Tra i documenti pubblicati a margine dell' Ecofin di martedì scorso, non risulta disponibile il testo finale della bozza, che dovrà passare il vaglio di Consiglio e Parlamento. Tutto fa pensare, però, che da questo vero e proprio «pre bail in» non rimarranno esclusi i conti che sulla carta dovrebbero invece essere oggetto di tutela.

Se da un lato è comprensibile che il nostro governo si trovi in una fase nella quale la priorità è smorzare i toni con le istituzioni europee, d' altro canto il silenzio su questa faccenda non fa ben sperare. Proprio come avvenuto con la liquidazione delle quattro banche a novembre del 2016, a rimetterci in futuro potrebbero essere ancora una volta i risparmiatori.

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