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lunedì 23 gennaio 2017

Rigopiano, una turbina era rotta: "Ripararla sarebbe costato 10mila euro"

Rigopiano, una turbina era rotta: "Ripararla sarebbe costato 10mila euro"

È già polemica sui soccorsi in ritardo. Secondo Libero è stata fatta una "scoperta imbarazzante". Un mezzo si è rotto lo scorso 7 gennaio e da allora nessuno avrebbe autorizzato la spesa, variabile tra i 10 mila e i 25 mila euro, per poterlo riparare

Sarà l'inchiesta della procura di Pescara a chiarire se la tragedia dell'hoterl Rigopiano poteva essere evitata e chi non ha fatto fino in fondo il proprio dovere. Nel giorno dei primi interrogatori e del sopralluogo dei magistrati sull'area del disastro, il procuratore Cristina Tedeschini concentra l'attenzione su chi aveva il compito di disporre l'evacuazione dell'albergo, dopo che era stata diramata l'allerta meteo, e chi poi doveva liberare le vie d'accesso.
Nel mirino ci sono le comunicazioni partite dall'hotel nelle ore precedenti la slavina di mercoledì scorso, oltre che quelle partite dalla provincia verso Palazzo Chigi. Tra le attrezzature a disposizione della provincia di Pescara è noto che ci fosse una sola turbina del 1988, oltre che un Unimog, un camioncino in grado di tagliare l'erba d'estate e spalare la neve d'inverno, nelle disponibilità dell'ente pescarese dal 2000. Questo mezzo però si è rotto lo scorso 7 gennaio e da allora nessuno avrebbe autorizzato la spesa, variabile tra i 10 mila e i 25 mila euro, per poterlo riparare, nonostante la neve fosse cominciata a cadere copiosa.

Uno dei dettagli che i magistrati dovranno chiarire è il motivo per cui dopo le richieste d'aiuto siano passate diverse ore prima che i mezzi di soccorso si muovessero. L'allarme del cuoco di Rigopiano è partito alle 17.40, raccolto dal suo datore di lavoro, Quintino Marcello che a sua volta ha chiamato la Prefettura. Alle 18, quando ormai l'emergenza è conclamata, l'Anas riceve la richiesta di una turbina idonea, l'unica funzionante in zona, visto che quella della provincia è inutilizzabile. Quel mezzo però doveva fare gasolio e svolgere tutta una serie di adempimenti tecnici, quindi è arrivato sulla strada provinciale solo alle 19.30. Ha dovuto superare 28 km ostruiti da neve, detriti, rami sechi per raggiungere la destinazione 12 ore dopo.

Fonte: qui



ORA CI TOCCA LA “TASSA RENZI”

BELPIETRO: “PUR DI CONQUISTARE IL CONSENSO DEGLI ITALIANI, RENZI HA SPESO MOLTI SOLDI. DENARO CHE L’ITALIA NON AVEVA E CHE È STATO TROVATO PRODUCENDO ALTRO DEBITO. 

ORA LA TAGLIOLA DELLE CLAUSOLE SI PREPARA A SCATTARE: 15 MILIARDI CHE NEL 2018 BISOGNERÀ REPERIRE, DIVERSAMENTE L’ITALIA SUBIRÀ PESANTI SANZIONI”

Maurizio Belpietro per “la Verità”

LA VERITA BELPIETROLA VERITA BELPIETRO
Povero Matteo Renzi, ormai fa quasi pena. Dopo aver avuto per anni una fortuna sfacciata, tanto da essere riuscito senza colpo ferire a scalare tutti i gradini del potere, fino ad arrivare a Palazzo Chigi e a sedersi a fianco dei potenti della Terra, ora sembra non azzeccarne più una. Dopo un mese di silenzio, è bastato per esempio che mettesse fuori il capo con un’intervista all’ex direttore di Repubblica , Ezio Mauro, che zac, è arrivata la staffilata che lo ha rimesso a posto.

Nel colloquio con il collega del quotidiano debenedettiano, l’ex presidente del Consiglio, parlando dei suoi 1.000 giorni di governo, si era lasciato scappare un giudizio positivo, raccontando che ora «l’Italia ha qualche tassa in meno». Detto fatto, ci ha pensato l’Europa a farlo tornare alla realtà. Ieri, infatti, lo stesso giornale che domenica aveva pubblicato la chiacchierata con il fu premier dava notizia di una letterina con cui la Ue chiede al nostro Paese di correggere i conti.
RENZI PADOAN ORECCHIERENZI PADOAN ORECCHIE

Secondo Repubblica , Bruxelles vuole che l’Italia trovi 3,4 miliardi di euro entro il primo febbraio, pena l’apertura di una procedura d’infrazione. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, sarebbe già al lavoro per accontentare gli euroburocrati, evitando la stangata, che per il nostro Paese significherebbe non solo multe, ma anche controlli e maggior dipendenza dalla Ue.

Per sfangarla, però, l’ex direttore dell’Ocse dovrà mettere sul tavolo qualche cosa di più convincente delle chiacchiere usate finora. All’Europa non bastano più le parole, ora pretende i fatti. Del resto c’era da immaginarlo. Gli occhiuti funzionari che fanno rispettare i parametri imposti dalla Germania ci avevano dato tempo fino al 31 dicembre, cioè fino al dopo referendum, evitando così di interferire nel voto sulla riforma costituzionale.

RENZI PADOANRENZI PADOAN
Tuttavia era evidente che la manovra di bilancio non fosse gradita alla Ue la quale, onde non disturbare Matteuccio nostro, aveva fatto finta di credere che i conti tornassero. Passato il 4 dicembre e consentito l’insediamento del nuovo governo, ma soprattutto smaltita la sbornia dei festeggiamenti di fine anno, ecco che gli euroburocrati sono tornati all’assalto, presentando il conto.

Tre miliardi e mezzo sono tanti, ma se si rinunciasse a cercare di usare le disponibilità finanziarie per comprare il consenso come fino a ieri ha fatto l’ex premier, diciamo che non sarebbero una cifra così difficile da reperire. Paolo Gentiloni, dunque, stringendo i denti, ma soprattutto facendoli stringere agli italiani, potrebbe anche farcela. Il problema è che la «tassa Renzi» (così è giusto chiamarla, visto che si deve a lui se siamo chiamati a pagare 3,5 miliardi entro il primo febbraio) non sarà la sola ad essere richiesta nel prossimo futuro ai contribuenti italiani.
paolo gentiloniPAOLO GENTILONI

Infatti, mentre l’ex presidente del Consiglio sogna un ritorno in grande stile a Palazzo Chigi, pronto a fare carte false pur di riprendersi la poltrona di capo del governo, c’è chi passa in rassegna i nostri conti, controllando la tenuta del bilancio pubblico. Il risultato, come abbiamo sempre temuto, non è dei più tranquillizzanti.

Pur di conquistare il consenso degli italiani, nei tre anni trascorsi alla guida del Paese, Renzi ha speso molti soldi. 

Denaro che l’Italia non aveva e che dunque è stato trovato producendo altro debito oltre a quello già accumulato nel passato. 

Non solo: evitando di correggere i conti dello Stato, l’ex presidente del Consiglio ha anche rinviato al prossimo futuro le cosiddette clausole di salvaguardia, ovvero gli aumenti dell’Iva posti a garanzia del rispetto dei parametri concordati con Bruxelles.

christine lagardeCHRISTINE LAGARDE
E ora la tagliola delle clausole si prepara a scattare: 15 miliardi che nel 2018 bisognerà reperire, diversamente l’Italia subirà pesanti sanzioni. Insomma, non soltanto ci tocca la tassa Renzi, ma prossimamente dovremo fare i conti con l’eredità che l’ex premier ci ha lasciato in dono. Si capisce quindi perché il fu capo di governo scalpita per tornare e soprattutto per andare a votare. Renzi sa bene che nel 2018 l’Europa passerà all’incasso dei debiti da lui contratti e vuole evitare di presentarsi all’appuntamento elettorale con la mannaia della procedura d’infrazione, giocando d’anticipo.

La sua è una corsa contro il tempo. Tuttavia, ogni giorno che passa, appare sempre di più una corsa disperata. Da uomo solo al comando a uomo solo allo sbando. Una prova? Le previsioni del Fondo monetario. Quest’anno cresceremo dello 0,7 per cento, l’anno prossimo dello 0,8, ultimi in classifica nel vecchio continente.

mps titoli di stato 2MPS TITOLI DI STATO 2
Secondo Renzi eravamo nel gruppo di testa della Ue. Ora si scopre che siamo il fanalino di coda. Anzi: per lui siamo già ai titoli di coda. 

P.S. Nell’intervista a Repubblica il segretario del Pd ha provato a negare le responsabilità nella cacciata dell’amministratore delegato di Mps e nel fallito aumento di capitale del Monte. Ma le impronte digitali lasciate attorno alla banca senese testimoniano la facilità con cui l’ex premier nega l’evidenza.

Fonte: qui

Rigopiano, i vigili del fuoco: siamo pochi e lavoriamo in condizioni disperate

Rigopiano, lo sfogo dei pompieri

Sono talmente pochi i vigili del fuoco che scavano nella neve a Rigopiano senza mai perdere la speranza di trovare qualcuno vivo che non riescono nemmeno a fare i turni. Mangiano poco, lavorano al gelo con la divisa “normale”, non adatta a queste temperature.
Solo venticinque vigili del fuoco lavorano a Rigopiano nelle ricerche dei dispersi nella notte. Undici uomini di Pisa, otto di Roma e appena sei di Pescara”, dice al Tempo Antonio Brizzi, segretario generale del Conapo: “Il personale è scoraggiato dal fatto che, per ordini dall’alto, durante la notte sia stato ridotto perfino del 30% mentre in situazioni simili ci sarebbero dovuti essere 300 pompieri a ogni ora a tirare fuori le persone da sotto la neve”. “Ci vorrebbe un esercito”, si sfoga uno dei pompieri al lavoro nella zona di Farindola. Invece siamo pochi, talmente pochi che una zona dell’hotel non è stata proprio battuta”.
I vigili del fuoco – come riporta Libero – sono appena quaranta durante il giorno. “Eppure basterebbe mettere delle torri-luce per lavorare anche la notte”, continua Marco Piergallini, pompiere e sindacalista Conapo, in prima linea a Rigopiano: “Siamo sempre gli stessi, ogni tanto chi si stancava a riposare un’oretta”, “non c’è nemmeno un bagno chimico, e siamo in tanti qui, tra carabinieri, guardia di finanza, volontari, poliziotti, soccorso alpino e noi pompieri. La pipì la facciamo nella neve, per tutto il resto c’è il bosco. Il nostro pranzo di oggi è stato mezzo panino con la Nutella, una merendina e un succo di frutta. La cena di ieri è arrivata alle 4 di notte: la pasta e fagioli era talmente compatta che il mestolo si reggeva da solo”.

La deflazione programmata dell'Italia

L’Italia, ha certificato l’Istat, torna in deflazione per la prima volta dal 1959. Non è un incidente di percorso ma un obiettivo che è stato perseguito con lucidità e coerenza. L’ISTAT ha recentemente certificato che il 2016 è stato per l’Italia il primo anno di deflazione dal 1959.

Nell’anno appena terminato, i prezzi hanno registrato una variazione negativa dello 0,1 per cento rispetto al 2015. Era dal 1959, quando la flessione fu dello 0,4 per cento, che non accadeva.
Ciò che a prima vista potrebbe apparire come una manna dal cielo in tempo di crisi – beni e servizi a prezzi più accessibili, ottimo no? – è invece la cartina di tornasole della crisi profondissima in cui versa il nostro paese, quella che il governatore della Banca d’Italia ha recentemente definito  

«la recessione più profonda e duratura nella storia d’Italia».

La deflazione – con la quale s’intende una caduta generalizzata dei prezzi – è causata dal crollo della domanda aggregata e in particolar modo dei consumi, che infatti in Italia sono tornati ai livelli di trent’anni fa. A questo le imprese reagiscono riducendo il personale e tagliando i salari nonché, appunto, i prezzi. Il che, ovviamente, non fa che deprimere ulteriormente la domanda. E così via, in una spirale distruttiva da cui, una volta entrati, è molto difficile uscire. 


«Aumentano le diseguaglianze sociali e viene penalizzato chi è indebitato, che sia una famiglia o un’impresa. L’economia così invece di crescere va indietro. E sono i più poveri e quelli che vivono di lavoro a pagare il prezzo più alto».
Come nota Vecchi, la deflazione ha un effetto collaterale potenzialmente catastrofico: in uno scenario deflazionistico diventa sempre più difficile per le famiglie e le imprese far fronte ai debiti, perché i prezzi e i redditi calano ma il valore nominale del debito rimane inalterato (e dunque il suo valore reale aumenta). Questo – sommato alle imprese che sono costrette a chiudere: in Italia sono più di 100mila le imprese che sono fallite dall’inizio della crisi – fa ovviamente lievitare le sofferenze bancarie, ossia i crediti erogati a soggetti che sono poi diventati insolventi (o inesistenti), mettendo in crisi il settore bancario. L’Italia è una caso esemplare: l’ammontare delle sofferenze bancarie italiane è oggi pari all’incredibile somma di 360 miliardi di euro circa. Tra gli istituti più colpiti figurano, com’è noto, il Monte dei Paschi di Siena e altre banche “storiche”, per tenere a galla le quali il governo ha recentemente stanziato – in un’operazione tutt’altro che limpida – ben 20 miliardi di euro. Nota infine Guglielmo Forges Davanzati che  
«il principale effetto generato dalla caduta dei prezzi consiste nel ridistribuire reddito a beneficio dei percettori di rendite finanziarie (in quanto creditori) e di imprese esportatrici, dal momento che queste possono avvantaggiarsi della deflazione per recuperare quote di mercato nel commercio internazionale».
Tutto questo, come abbiamo detto, ha origine nel crollo della domanda interna verificatosi in Italia negli ultimi anni. E non poteva essere altrimenti, dopo sei anni di austerità fiscale (riduzione della domanda pubblica), svalutazione interna (riduzione dei salari e dunque della domanda privata) e “riforme strutturali” in salsa europea (riduzione delle tutele dei lavoratori, vedasi Jobs Act e affini), e più in generale dopo vent’anni di “convergenza” verso i criteri (intrinsecamente deflattivi) di Maastricht [1]. 

Che queste politiche avrebbero determinato una depressione della domanda aggregata (e dunque dell’inflazione, con pesanti ricadute sull’economia nel suo complesso) era ovvio, giacché la riduzione della domanda – al fine, secondo la narrazione ufficiale, di ridurre il disavanzo di partite correnti dei paesi della periferia e rendere queste economie più competitive – era (ed è) precisamente lo scopo di queste politiche. 

Come dichiarò Mario Monti in un’intervista alla CNN:  
«Stiamo effettivamente distruggendo la domanda interna attraverso il consolidamento fiscale».
Non si è trattato di un errore di percorso, insomma, ma di una strategia deliberata. 

Non a caso l’economista britannico Mark Blyth definisce l’austerità fiscale e salariale una forma di «deflazione volontaria» (“svalutazione interna” e “deflazione interna” sono infatti sinonimi). Allo stesso modo, era altrettanto ovvio che la politica di quantitative easing della BCE non avrebbe avuto pressoché alcun impatto sull’economia reale e di certo non sarebbe riuscita a compensare gli effetti depressivi delle politiche di austerità. 

Basta dare una rapida scorsa all’evoluzione delle retribuzioni in Europa negli ultimi anni per rendersi conto degli effetti drammatici di questa “cura letale”. 

Secondo dati dell’OCSE elaborati da Jan Zilinsky, tra il 2007 e il 2014 il reddito da lavoro (e dunque il potere d’acquisto) del lavoratore medio è diminuito del 50 per cento in Grecia, del 30 per cento in Spagna, del 19 per cento in Portogallo e del 14 per cento in Italia. 

Per i lavoratori a basso reddito le cose sono andate ancora peggio: -70 per cento in Grecia e Spagna, -60 per cento in Portogallo, -35 per cento in Italia[2]. 

E poi ci si sorprende che l’inflazione cali, fino a lasciare il posto alla deflazione? 








Fanno dunque sorridere – per non dire altro – le lacrime di coccodrillo di quei commentatori che hanno taciuto sulle politiche messe in campo negli ultimi anni (quando non le hanno entusiasticamente sostenute) e ora chiedono al governo di «intervenire» per combattere la deflazione, come se questa fosse l’effetto di una calamità naturale o al massimo dell’“inazione” del governo, e non il risultato di politiche che avevano come obiettivo esattamente quello di ottenere la deflazione (interna) attraverso la svalutazione salariale. 

Obiettivo che possiamo considerare pienamente centrato e di cui il governo sembra andare alquanto fiero, tanto che una recente brochure del Ministero dello Sviluppo Economico invitava gli stranieri a investire in Italia proprio in virtù degli stipendi più bassi della media europea.


Che sia chiaro: le cosiddette riforme strutturali, rivolte soprattutto all’eliminazione delle “rigidità del mercato del lavoro” e alla riduzione della contrattazione collettiva – di cui le manifestazioni più lampanti in Italia sono stati il Jobs Act e l’abolizione dell’articolo 18 – sono parte integrante di questa strategia di svalutazione interna. È fin troppo evidente, infatti, che una maggiore flessibilità e precarizzazione del lavoro – che favorisce contratti precari, riduce le tutele sul lavoro e facilita i licenziamenti – permette alle aziende di esercitare una maggiore pressione al ribasso sui salari, deprimendo ulteriormente la domanda[3]. Persino un osservatore solitamente pacato come Gad Lerner al tempo della discussione intorno al Jobs Act ipotizzò che la riforma fosse «un passaggio preliminare mirato al drenaggio di altre risorse dalle buste paga dei lavoratori» e più precisamente «a una decurtazione complessiva dei redditi da lavoro dipendente», all’interno di un più ampio «ridisegno complessivo del nostro sistema economico».

Nota l’economista francese Michel Husson che le trasformazioni che sono avvenute sul mercato del lavoro in Italia e altrove negli ultimi anni «non sono il prodotto di sviluppi spontanei» ma sono il risultato dell’attuazione di riforme strutturali relative all’organizzazione dei mercati del lavoro il cui «obiettivo è decentralizzare al massimo la contrattazione collettiva per avvicinarla il più possibile alle realtà delle imprese e aggiustare la progressione dei salari ai risultati di redditività di ogni singola impresa».

Offrire alle imprese maggiore facilità di licenziamento rappresenta un elemento cruciale – anch’esso pienamente realizzato – di questa strategia.

Un’indagine sui salari condotta dalla Banca centrale europea mostra infatti come il 10 per cento dei datori di lavoro europei trovi più facile “regolare l’occupazione” oggi di quanto non lo fosse nel 2010. Come si può vedere nel seguente grafico, questa percentuale è particolarmente elevata (30 per cento o più) nei paesi più colpiti da queste riforme come la Grecia, la Spagna e il Portogallo. Per quanto riguarda l’Italia, solo un mese fa l’Osservatorio sul precariato dell’INPS riportava che i licenziamenti disciplinari dall’entrata in vigore del Jobs Act sono aumentati del 28 per cento.











Dal breve quadro che abbiamo tratteggiato emerge con chiarezza come la deflazione – in Italia e altrove – non sia un incidente di percorso quanto piuttosto un obiettivo che è stato perseguito con lucidità e coerenza da tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni. 

Non crederemo davvero che ora saranno quegli stessi governi a tirarci fuori dal disastro che hanno pianificato a tavolino?

Note

[1] Già nel lontano 1978 Luigi Spaventa, al tempo deputato indipendente eletto nelle liste del PCI, previde con straordinaria lucidità le conseguenze dell’imminente ingresso dell’Italia nello SME, precursore dell’euro: 

«Quest’area monetaria rischia oggi di configurarsi come un’area di bassa pressione e di deflazione, nella quale la stabilità del cambio viene perseguita a spese sviluppo dell’occupazione e del reddito. Infatti non sembra mutato l’obiettivo di fondo della politica economica tedesca: evitare il danno che potrebbe derivare alle esportazioni tedesche da ripetute rivalutazioni del solo marco, ma non accettare di promuovere uno sviluppo più rapido della domanda interna».

[2] Il dato si riferisce sia al lavoro salariato che al lavoro autonomo, per cui è probabile che il dato sia parzialmente “falsato” da un aumento vertiginoso del lavoro nero tra i lavoratori autonomi.

[3] Vent’anni di ricerche empiriche hanno dimostrato che non esiste nessuna correlazione positiva tra flessibilizzazione del mercato del lavoro e crescita economica ed occupazionale. E l’Italia ne è la dimostrazione evidente: a partire dalla legge Treu del 1997, sono state approvate nel nostro paese ben nove riforme del mercato del lavoro, di cui sette negli ultimi sette anni, col risultato che oggi l’OCSE riconosce all’Italia il pregio di essere il paese che ha maggiormente flessibilizzato il mercato del lavoro tra i paesi industrializzati. A tal proposito è opportuno notare che l’Italia è il paese europeo in cui i salari reali sono cresciuti di meno dai primi anni novanta ad oggi, determinando una consistente riduzione della quota dei salari sul PIL.

Fonte: eunews.it

Gli agenti della CIA catturati ad Aleppo





Le autorità siriane, grazie a dati accurati, sono arrivate nel comando supremo degli ufficiali occidentali e arabi nascosto nel seminterrato di un quartiere di Aleppo est, catturandoli tutti vivi. Alcuni nomi sono già filtrati. Si tratta di militari USA, francesi, inglesi, tedeschi, israeliani, turchi, sauditi, marocchini, qatarioti ecc., che la Siria detiene attualmente con grande cura per concludere i negoziati con i Paesi che l’hanno devastata. Come annunciato dai media ad Aleppo, ieri notte, sono numerosi gli agenti stranieri armati che la Turchia ha chiesto alla Russia di far uscire vivi. 
Gli ufficiali dei servizi segreti, tra cui statunitensi, erano rimasti intrappolati con i terroristi ad Aleppo, nella sala operativa segreta presente nello scantinato di un edificio nel Suq al-Luz, in via al-Sharad, ad Aleppo est.
I nomi degli agenti presenti, per le cui trattative si sono complicate, sono stati resi noti:

Moataz Aouglakan Davutoglu – Turchia
David Scott Weiner – USA
David Shlomo Aram – Israele
Muhamad Shayq al-Islam al-Tamimi – Qatar
Muhamad Ahmad al-Sibyan – Arabia Saudita
Abdalmunayim Fahd al-Harij – Arabia Saudita
Islam Salam Zahran al-Hadjlan – Arabia Saudita
Ahmad ibn Nawfal al-Dridagi – Arabia Saudita
Muhamad Hasan al-Subaya – Arabia Saudita
Hamid Fahad al-Dusari – Arabia Saudita
Amjad Qasim al-Tirawi – Giordania
Qasim Sad al-Shamari – Arabia Saudita
Ayman Qasim al-Thalbi – Arabia Saudita
Muhamad Shafyah al-Idrisi – Marocco


Un ex-consulente del Ministro dell’Informazione siriano, Abdulhadi Narsi, ha rivelato che numerosi ufficiali turchi e sauditi combattevano contro le forze governative siriane nei quartieri orientali di Aleppo, assieme alla coalizione di gruppi terroristici Jaysh al-Fatah. “Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan cerca di trasferire i terroristi da Aleppo in Turchia. Il governo siriano ha scoperto che vi era un centro occulto con ufficiali sauditi e turchi e di vari servizi d’intelligence nella parte di Aleppo occupata dai terroristi“. Erdogan voleva trasferire 5000 terroristi in Turchia, testimoniando come l’intera questione della battaglia dei terroristi contro il governo siriano ad Aleppo fosse diretta dalla Turchia, “Nel frattempo, vi sono agenti turchi in Siria che guidano la guerra contro Damasco. L’Esercito arabo siriano li sta rintracciando“.
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Il giornalista siriano Hilal al-Sharifi dichiarava “Grazie alle informazioni ricevute, le autorità siriane hanno scoperto la base degli alti ufficiali occidentali e della NATO nel seminterrato di una zona ad  Aleppo est, catturandoli vivi. Alcuni nomi sono già stati dati ai giornalisti siriani, me compreso. Le nazionalità sono statunitense, francese, inglese, tedesca, israeliana, turca, saudita, marocchina, qatariota, ecc. Data la loro nazionalità e il loro grado, vi assicuro che il governo siriano ha compiuto un arresto eccellente, che dovrebbe consentirgli di dirigere i negoziati con i Paesi che hanno cercato di distruggerlo“. Finora, costoro sono stati identificati come della “NATO”.

Gli statunitensi aggregati ai terroristi cercarono di fuggire da Aleppo est camuffandosi da soldati siriani prigionieri, ma furono identificati e l’evacuazione dei terroristi da Aleppo venne bloccata. L’accordo di evacuazione da Aleppo prevedeva che tutti i prigionieri detenuti dai terroristi dovevano essere rilasciati. Le forze governative non solo si facevano consegnare i cittadini rapiti, ma anche  11 operatori statunitensi e 2 inglesi delle SAS. Perciò Stati Uniti e NATO cercarono di sabotare il cessate il fuoco, anche ricorrendo al rumore mediatico e mobilitando le organizzazioni fiancheggiatrici dei terroristi taqfiri, come MSF e affini. Lo scopo reale era esfiltrare gli squadroni della morte di Gladio e della CIA assieme a molti militari turchi, nascosti tra i terroristi. Quando il governo siriano rifiutava di reiterare il cessate il fuoco, avendo scoperto lo stratagemma per far fuggire gli squadristi di Gladio, bloccò i convogli degli autobus ad al-Ramusyah. 8079 terroristi e famigliari avevano lasciato Aleppo.
Hezbollah rastrella i convogli carichi di terroristi diretti ad Ildib.
Hezbollah rastrella i convogli carichi di terroristi diretti ad Ildib.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

BEN 11 ORE PRIMA DELLA SLAVINA, DAL RESORT RIGOPIANO ERA STATO CHIESTO UN INTERVENTO VIA EMAIL ALLA PREFETTURA E ALLA PROVINCIA DI PESCARA


A FORZA DI TAGLI GOVERNATIVI PER SALVAGUARDARE SOLO GLI INTERESSI DELLE BANCHE, NON C'E' RIMASTO PIU' NIENTE!!
AL SINDACO DI FARINDOLA E ALLA POLIZIA PROVINCIALE SEGNALANDO UNA “SITUAZIONE PREOCCUPANTE”

SI AVVISAVA DI TELEFONI FUORI USO E OSPITI “TERRORIZZATI” DOPO LE SCOSSE DI TERREMOTO

MA E’ ANCHE VERO CHE LA STRADA CHE PORTA ALL’HOTEL ANDAVA CHIUSA. E ORA VIENE RISPOLVERATO IL FASCICOLO SULLA STORIA DEL RESORT (E’ UN ABUSO EDILIZIO CONCLAMATO) E SULL'INDAGINE PER CORRUZIONE A CARICO DI EX AMMINISTRATORI LOCALI DI FARINDOLA 

LA SLAVINA È PIOMBATA SULL'ALBERGO A CENTO CHILOMETRI ORARI CON LA STESSA POTENZA DI 4000 TIR A PIENO CARICO. AVEVA UNA FORZA D'URTO DI 20 TONNELLATE PER METRO QUADRATO

1 - LA VALANGA CON LA FORZA DI 4 MILA TIR IGNORATA LA MAIL D' ALLARME DELL'HOTEL

È piombata sull' albergo alla velocità di cento chilometri orari con la stessa potenza di 4.000 Tir a pieno carico. Aveva una forza d' urto pari a 20 tonnellate per metro quadrato, una massa di 50 mila tonnellate, ed è stato praticamente impossibile per i muri dell' hotel sostenere una tale pressione.
hotel rigopiano prima della slavina 3HOTEL RIGOPIANO PRIMA DELLA SLAVINA 3
I numeri elaborati da Meteomont, il servizio nazionale di previsione neve e valanghe dei carabinieri forestali, dicono più di ogni descrizione. Il resort Rigopiano di Farindola si è trovato sulla traiettoria di un nemico che non avrebbe potuto fermare in nessun modo e che lo ha spostato in avanti di molti metri facendolo ruotare.
SLAVINA AL RIGOPIANOSLAVINA AL RIGOPIANO

«Aveva una capacità distruttiva enorme pur essendo medio-grande», per dirla con Valerio Segor, dirigente del Servizio di assetto idrogeologico dei bacini montani della Valle d' Aosta. E adesso si guarda con apprensione al resto della neve rimasta in cima. Una preoccupazione che riguarda tutto l' Appennino centrale dove il rischio valanghe è ritenuto molto alto, mentre è il maltempo a preoccupare nelle regioni meridionali, soprattutto in Calabria e Sicilia dov'è allerta rossa per il rischio idrogeologico (si sono registrati ieri allagamenti e frane). Alle prese con pessime condizioni meteo anche la Sardegna e poi c' è tutta l' area del Centro Italia ancora sotto scacco per la neve che ha isolato moltissime frazioni di montagna.

hotel rigopiano 3HOTEL RIGOPIANO 3
E ancora: per oggi pomeriggio il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio ha convocato una riunione sulle Grandi Dighe delle regioni colpite dal sisma e dal maltempo. Ci saranno la Protezione civile, il Consiglio superiore dei lavori pubblici, le Regioni coinvolte e i gestori che hanno la responsabilità dei controlli.

Si è scoperto ieri che dall'hotel undici ore prima della slavina era stato chiesto un intervento via email. L' amministratore Bruno Di Tommaso, alle 7 del mattino di mercoledì 18 gennaio, inviò infatti un messaggio di posta elettronica alla prefettura e alla Provincia di Pescara, al sindaco di Farindola e alla polizia provinciale segnalando una «situazione preoccupante» con telefoni fuori uso e ospiti «terrorizzati» usciti dall' albergo dopo le forti scosse di terremoto del giorno precedente e intenzionati a rifugiarsi nelle loro auto. Alle 17.30 dello stesso giorno l' hotel fu inghiottito dalla valanga.
SLAVINA AL RIGOPIANOSLAVINA AL RIGOPIANO
La mail è nelle carte dell' inchiesta del procuratore aggiunto di Pescara Cristina Tedeschini che parla di «una settimana di tempo per fare un primo punto sulle indagini».

2 - "LA STRADA ANDAVA CHIUSA" E SPUNTA IL PRIMO ALLARME LANCIATO ALLE 7 DEL MATTINO
Francesco Grignetti per “la Stampa”

C'è un elemento nuovo a illuminare meglio la realtà di Rigopiano, dove, a detta del pm Cristina Tedeschini, è «assodato che fosse zona di valanghe». Un tempo, i 9 chilometri di strada che collegano il centro abitato di Farindola al resort, in presenza di neve erano considerati «a rischio». E si preferiva chiuderli al traffico piuttosto che garantirne la percorribilità.

hotel rigopiano 1HOTEL RIGOPIANO 1
Chi sa, tra i vertici delle amministrazioni locali, ne parla a mezza voce: «Sul ciglio c'è ancora il segnale stradale, pronto all'occorrenza». Ma così accadeva un tempo, appunto, quando Rigopiano non era ancora sinonimo di un albergo di lusso, la strada portava soltanto a una locanda nel cuore di una riserva naturale e a nessuno sarebbe venuto in mente di dannarsi per battere la neve in campo aperto. Le cose erano facili, al tempo: scendeva la neve, la sbarra bloccava la strada, la locanda chiudeva i battenti.

LA TRASFORMAZIONE
Tutto è cambiato, nel frattempo. Al posto di un antico casolare, trasformato in locanda negli Anni Sessanta, c'è ora un hotel di lusso che può accogliere fino a 200 ospiti. E dato che il resort è divenuto il pilastro dell'economia di Farindola, è impensabile chiudere la strada.
hotel rigopiano 2HOTEL RIGOPIANO 2

Ma come siano cambiate le cose, e perché, sulla base di quali ricchi investimenti, e in forza di quale abuso urbanistico poi sanato dal Comune, c'è stato un processo a raccontarlo. Quel dibattimento per il reato di corruzione a carico di ex amministratori locali di Farindola (non per l'abuso, che era conclamato) si concluse con un'assoluzione e una generale prescrizione. Ora che si indaga per omicidio colposo e disastro colposo, però, i carabinieri hanno rispolverato il fascicolo e lo leggeranno con altri occhi.

hotel rigopiano 2HOTEL RIGOPIANO 2
Per arrivare al resort c'era una strada «difficile», insomma. È diventata impraticabile e si è trasformata in una trappola mortale, però, perché da queste parti le turbine antineve non funzionano. Inutile lanciare l' allarme meteo se poi gli uffici provinciali non sono in grado di reagire e rendere praticabili le strade. 

A Chieti, come ha scoperto il quotidiano locale «Il Centro», su una dotazione di sette turbine, cinque sono quelle scassate. A Pescara hanno una sola turbina ed è rotta dal 6 gennaio. La Provincia si difende agitando il suo bilancio ridotto all' osso.

hotel rigopiano 2HOTEL RIGOPIANO 2
E c' è una curiosità che sembra darle ragione: tre mesi fa la Corte Costituzionale ha dato ragione proprio alla Provincia di Pescara in conflitto con la Regione Abruzzo perché non aveva ricevuto i fondi necessari a garantire il trasporto degli studenti disabili. Un servizio considerato essenziale che non può essere subordinato al pareggio di bilancio.

L' indagine dei pm ha intanto accertato che la strada di accesso all' hotel era ancora aperta la sera di martedì 17 quando va via una coppia di ospiti che si è spaventata per il maltempo, e con loro il direttore dell' albergo Bruno Di Tommaso. Lo spalaneve provinciale fino a quel momento ha fatto il suo dovere. È nella notte che riprende a nevicare.
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Il giorno dopo, già alle 7 del mattino è chiaro che uno spalaneve qualsiasi non sarebbe stato più sufficiente. 

«A Rigopiano non si va», dice un dirigente della sala operativa. Comincia la ricerca affannosa di un' altra turbina visto che la loro è rotta, ma a quel punto l' intero Abruzzo è in tilt .

Le scosse e la paura Nel frattempo arrivano le scosse telluriche e all' albergo si spaventano. Il proprietario decide che è ora di far andare via tutti, clienti e personale.

Un gruppo in arrivo di 7 persone è pregato di tornare indietro. Gli altri preparano le valigie e si sistemano nella hall. Viene promessa una turbina per le 15 e però l' intervento salta. Alle 15,44, Di Tommaso manda una mail di sollecito al sindaco, al prefetto e al presidente della Provincia. «I clienti - scrive - sono terrorizzati dalle scosse sismiche e hanno deciso di restare all' aperto. Abbiamo cercato di fare il possibile per tranquillizzarli, ma non potendo ripartire a causa delle strade bloccate, sono disposti a trascorrere la notte in macchina». Conclude che i duecento metri del viale privato sono stati ripuliti e chiede «di predisporre un intervento».
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Ma il presidente della Provincia Antonio Di Marco vedrà quel messaggio soltanto il giorno dopo. «È una mail ininfluente - dirà poi -. Nessuno l' ha sottovalutata per il semplice motivo che io alle 14 avevo incontrato la sorella dei proprietari e avevo dato loro rassicurazioni che entro la serata sarebbe andata una turbina a liberare la strada». Si garantisce un intervento per le 19. Arriverà prima la slavina mortale.



3 - LA RICHIESTA DAL RESORT: SITUAZIONE PREOCCUPANTE

HOTEL RIGOPIANO SALVATAGGIOHOTEL RIGOPIANO SALVATAGGIO
«La situazione qui è diventata preoccupante. Ci sono 2 metri di neve e gli ospiti non possono ripartire, sono terrorizzati e sono disposti a trascorrere la prossima notte in auto». Sono queste le parole che Bruno Di Tommaso, l' amministratore dell' hotel Rigopiano, scrive a prefettura e Provincia di Pescara, al sindaco di Farindola e alla polizia provinciale chiedendo un intervento urgente.

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